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Il semplice oblio
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Il semplice oblio

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CANDIDATO AL PREMIO STREGA (2003).
''Spesso gli uomini chiamano la loro imbecillità: destino'' "Come sei giovane tu che sei tanto vecchio!" Gli dico affascinato dalla sua serenità. "Non c'è giovane, non c'è vecchio. Abbiamo tutti la stessa età, l'età dell'attesa." "E se nel cuore ho la disperazione?" Chiedo. "Allora ringrazia il tuo dio, vuol dire che ti sta mettendo alla prova." "E se non ho alcun dio?" Insisto. "Allora siediti e guarda nel fondo di te stesso, a lungo, finchè vedrai apparire i volti delle persone che ami. Sono loro i guardiani delle tue speranze, è in loro che devi credere."
LanguageItaliano
Release dateDec 3, 2014
ISBN9788896192146
Il semplice oblio

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    Il semplice oblio - Silvano Agosti

    Adolescenza

    Il semplice oblio

    PRIMA PARTE

    ADOLESCENZA

    Ho dodici anni quando mio padre telefona e dice a mia madre di non aspettarlo per la cena, perché lui non tornerà mai più.

    Se n’è andato per sempre, senza una ragione, senza un perché.

    La sera mia madre mangia in silenzio, piangendo.

    Le lacrime si mischiano alla minestra.

    Ho chiesto:

    Che succede?

    Niente, caro.

    Di notte la sento andare su e giù per il corridoio, a piedi nudi.

    Il giorno dopo, mentre esco per andare a scuola, ravviandomi i capelli con la mano sussurra.

    "È partito, sai.

    Tuo padre è partito, per un lungo viaggio."

    Gli occhi le si riempiono nuovamente di lacrime.

    So che, quando qualcuno muore, ai bambini si dicono cose del genere.

    È morto?

    Sei intelligente. Sussurra baciandomi la fronte.

    Tuo padre non è morto, ma un po’ sì.

    Vado a scuola. Mi sento leggero.

    Forse, adesso che se n’è andato, qualche volta potrò dormire nel letto grande con mia madre.

    Anche quando mio padre viveva con noi lo vedevo raramente.

    Lo sentivo quando rincasava a tarda notte.

    Si avvicinava al mio letto e si chinava osservandomi a lungo, senza baciarmi, senza una carezza. Io fingevo di dormire.

    Ora vivo serenamente con mia madre.

    I primi giorni mi sveglio nel cuore della notte con l’impressione di udire i passi di mio padre che rincasa.

    Poi mi sono rassicurato e non ho udito più nulla.

    Un vecchio amico di mio padre nei primi tempi ci ha aiutato e ha trovato lavoro alla mamma.

    Vende capi di abbigliamento in un grande magazzino.

    Di giorno, mentre mia madre lavora, lavo i pavimenti e pulisco la casa.

    Qualche volta preparo anche da mangiare.

    La scuola come sempre mi annoia e quando qualcuno chiede di mio padre, rispondo che è ammalato di tubercolosi e deve rimanere per qualche anno in sanatorio.

    Mia madre è spesso molto affettuosa, forse pensa in questo modo di colmare il vuoto lasciato da mio padre.

    Io le lascio credere che sia così, ma in realtà la sua assenza quasi mi entusiasma.

    Posso girare liberamente per la casa, la sera mi addormento senza più il timore di sentirlo avvicinare al mio letto nell’oscurità.

    Oggi ho trovato una sua sigaretta nell’armadietto del bagno e l’ho fumata.

    Ho sofferto molto. Ho tossito, sputato, sentito una mano che mi afferrava la gola e la stringeva fino a soffocarmi.

    La mia prima sigaretta. Forse l’unica.

    Un sapore amaro mi è rimasto sulle labbra e, nonostante mi sia lavato i denti varie volte, ho continuato a sentire nel naso un odore acre e nauseante.

    Non capiscoche piacere provino i fumatori.

    Rimango lunghe ore da solo e quando non so cosa fare riempio la vasca da bagno.

    Qualche volta mi addormento nell’acqua.

    Oggi ho provato a farmi un caffè.

    Ho dimenticato la caffettiera sul fuoco e si è bruciata la guarnizione. Il caffè, anche con molto zucchero, sapeva di gomma.

    Ho levato dalla caffettiera quello che rimaneva della guarnizione e sono andato in giro nel quartiere alla ricerca di una nuova.

    Finalmente l’ho trovata, uguale, in un negozio di ferramenta.

    Dopo aver raschiato i residui di gomma bruciata sono riuscito a infilare la guarnizione nella caffettiera, così mia madre non si accorgerà di nulla.

    Nei pomeriggi mi incontro spesso in solaio con Elsa e lì rimaniamo incantati per ore a guardarci, a parlare e a toccarci.

    Elsa è la figlia del preside che abita sul nostro stesso pianerottolo. Il padre, un uomo severo, con barba e baffi, le ha proibito di fermarsi anche solo a parlare con i ragazzi.

    Per questo ci incontriamo in solaio.

    Lei arriva sempre per prima. Tutte le volte che salgo o che penso a Elsa, il cuore batte forte, come quando sentivo mio padre avvicinarsi al letto nella notte, per spiare se dormivo o ero sveglio.

    La prima volta era seduta sulla scala che conduce al terrazzo. Mentre parlava ha schiuso le ginocchia, mostrandomi la piega bianca delle mutandine.

    È vero che se tuo padre ci vede insieme, ci ammazza?

    Chi te l’ha detto?

    Me l’hanno detto.

    "Mio padre non può vederci, è a scuola. Fa il preside.

    Anche quando non è a scuola in solaio non sale mai. Ha paura dei gatti."

    Se sapesse che siamo qui soli ci verrebbe, anche se ha paura dei gatti.

    Le cosce magre di Elsa ondeggiano.

    Impossibile, se mio padre vede un gatto che gli va vicino sviene.

    Allora hai ragione.

    Mi chiamo Elsa.

    Lo so.

    Ma sai proprio tutto.

    Elsa corre verso il terrazzo e si ferma sulla soglia. La luce attraverso la gonna disegna in azzurro i contorni delle gambe bianche e sottili. Rimane immobile, mostrandosi a me, con la scusa di osservare se in terrazza c’è qualcuno.

    Vieni. Non c’è nessuno. Prendiamo il sole.

    Chiudo la porta del solaio dall’esterno infilando il chiodo arrugginito nell’occhiello del muro.

    Il terrazzo è bianchissimo. La luce del pomeriggio estivo lo inonda.

    Dobbiamo tenere gli occhi socchiusi per arrivare ai grandi camini, dove nessuno sguardo ci può raggiungere, perché di lì si vede solo l’azzurro del cielo.

    Credi davvero che tuo padre ci ammazzerebbe?

    Sì, una volta mi ha chiuso in camera per una settimana, al buio, perché ho dimenticato di chiudere la porta mentre ero al gabinetto.

    E come ti ucciderebbe?

    "Mi soffocherebbe.

    Col cuscino.

    Me lo mette sulla faccia mentre dormo e io non mi accorgo neppure di morire.

    Ci spogliamo?"

    Non ho il costume rispondo arrossendo.

    Tua madre cosa dice se lui ti uccide?

    "Mia madre piangerebbe, ma direbbe a tutti che è stata una disgrazia.

    Mettiamoci in mutande, è come stare in costume."

    Elsa si è tolta la gonna azzurra e ora si leva la maglietta. Non ho il coraggio di confessarle che non ho neppure le mutande.

    Levati i pantaloni.

    Sul suo petto i seni sono appena accennati, i capezzoli molto grandi. Sembrano due bottoni.

    Che petto grande, guarda il mio.

    Mi levo la camicia per distrarla. Spero dimentichi che non mi sono tolto i pantaloni.

    E i pantaloni?

    Tu però chiudi gli occhi.

    Si gira. Le sue mutandine bianche con le roselline azzurre lasciano vedere in trasparenza.

    Mi siedo accavallando le gambe in modo che possa immaginare che indosso le mutande.

    Mi ucciderebbe e direbbe che sono morta nel sonno. Elsa si distende accanto a me.

    La sua mano, calda di sole prende la mia e la appoggia sul suo ventre.

    LA NUOVA VITA

    La vita scorre lenta ora che non ho più paura di mio padre, ma da quandonon c’è lui tutto quello che mi circonda sembra ridipinto di nuovo.

    I colori sono più vivi, i suoni più dolci, gli sguardi della gente che incontro per le scale più amichevoli.

    Oggi mi sono spogliato in camera di mia madre e ho guardato con attenzione il mio corpo nudo allo specchio. Così lo vede Elsa Ho pensato.

    Sono trascorsi due anni da quando mio padre se n’é andato.

    Da quel giorno non abbiamo saputo più nulla.

    Di lui è rimasto un vago ricordo, i tratti del suo viso si perdono nell’immaginario.

    Per qualche mese mia madre si è nascosta a piangere, poi il sorriso è tornato sul suo volto.Io non ho sofferto. Lo conoscevo poco. Ho avuto con lui solo incontri fugaci.

    Uno schiaffo improvviso, la sera in cui, rimasto solo in casa, ho indossato gli abiti di mia madre.

    Avevo messo il giradischi a tutto volume con la cavalcata delle Walkirie.

    Camminavo ancheggiando nelle stanze deserte, inciampando nella gonna troppo lunga.

    Tornando dal cinema mi hanno trovato per terra, addormentato, col rossetto sulle labbra.

    Insomma la lontananza di mio padre non mi pesa.

    Alla fine del primo anno è arrivata una cartolina.

    Non c’è scritto nulla, neppure la firma. Così pure alla fine del secondo anno.

    Sappiamo che è lui.

    Dopo che mio padre se n’è andato, i primi sei mesi la mamma ha fatto le pulizie negli uffici, e ha lavorato come commessa in un Grande Magazzino.

    Prima o poi torna, vedrai. Dice poco convinta.

    Ora vende enciclopedie.

    Finalmente ha un compenso fisso e la percentuale su ogni enciclopedia venduta.

    Qualche volta l’accompagno e gli affari vanno meglio.

    La gente si fida più di una madre che di una donna qualsiasi.

    Il direttore della ditta che l’ha assunta rimane sempre più spesso a cena da noi.

    È vedovo e ha una figlia.

    Sorride quando incontra il mio sguardo.È gentile con me.

    Odora di borotalco e parla spesso a voce bassa.

    Ho notato che quando la mamma non vende nulla, lui le lascia ugualmente i soldi che ci servono per vivere.

    Vorrei scoprire perché mio padre se n’è andato.

    L’altro ieri, spinto da una forza misteriosa, sono entrato per la prima volta nel suo studio. La mamma era al lavoro.

    Tutto sembra essere rimasto come lui l’ha lasciato. Perfino l’anta socchiusa della libreria.

    Mia madre quando fa le pulizie, non sposta neppure un oggetto, senza variare in alcun modo la posizione delle sue carte.

    Ho deciso di esaminare cassetto per cassetto, alla ricerca di una traccia, una spiegazione qualsiasi che giustifichi la decisione di allontanarsi per sempre dalla nostra vita.

    Non ricordo di averlo mai chiamato papà.

    Ultimamente sono entrato sempre più spesso nello studio e ho esaminato le sue carte.

    Mi era impossibile leggere i suoi scritti, quando abitava con noi, un po’ perché leggere non mi piaceva e un po’ perché teneva tutto chiuso a chiave.

    Anche mia madre non si avvicinava mai alla sua scrivania.

    I manoscritti sono molti e di difficile lettura. La calligrafia è minuscola, spesso contorta.

    Ho deciso di decifrarli.

    Quaderno n.3

    Primo manoscritto

    "23 marzo. Oggi, nel giorno del mio compleanno, ho concluso gli studi sull’evoluzione dell’apparato cerebrospinale del feto durante la gestazione.

    Sono arrivato a una conclusione.

    Per circa sei mesi durante la gravidanza, il cervello del nascituro, elabora i dati che la memoria genetica gli offre.

    Confronta, istante per istante, i codici dei destini e dei comportamenti di chi è vissuto prima di lui.

    E questo è noto.

    Credo invece di aver scoperto che in seguito questa sintesi di destini comuni precedentemente vissuti formula, nell’individuo, una serie di nuovi codici. In tal modo si determina in lui il solco di un probabile destino, dalla nascita fino alla morte.

    Una sorta di scheda pilota che soccorrerà l’individuo in ogni circostanza della vita, facendolo agire in relazione ai dati elaborati durante la gestazione.

    Una vero e proprio pilota automatico dell’esistenza.

    Ogni scelta, in seguito e per sempre, seguirà questo tracciato.

    Tutto, nella vita di un uomo, sembra quindi essere preordinato.

    Ognuno non fa che eseguire, nel corso della vita, un destino fissato da sempre e per sempre.

    Un destino comune, ripetitivo e prevedibile, simile a quello, privo di scelta, degli animali.

    La follia, i sogni, la poesia e l’amore sono le sole possibili trasgressioni a questo destino prefissato.

    Ecco dunque come potrei formulare in sintesi la mia scoperta:

    L’intero destino di ogni essere umano si viene determinando in massima parte e in modo irreversibile, prima della nascita, durante la gravidanza.

    A questa rivelazione, sui fogli degli appunti di mio padre, segue una pagina minuziosamente cancellata.

    Ho provato a esaminarla in controluce, nulla.

    Allora ho imbevuto un batuffolo di cotone nell’alcool cercando di creare una trasparenza.

    Ho solo peggiorato la situazione.

    La calligrafia è sempre più fitta e contorta.

    Se insisto troppo a decifrarla mi viene mal di testa. Continuerò domani.

    Dopo cena, invece, decido di tornare nello studio per proseguire la trascrizione dei manoscritti. Mia madre ha telefonato che farà’ tardi.

    Sono a buon punto. Questa ricerca mi appassiona. Credo proprio che ormai mi fermerò solo quando scoprirò perché mio padre se n’è andato.

    Si tratta di materiali per un saggio scientifico sulla gravidanza che mio padre ha lasciato incompiuto.

    Gli scritti sono raggruppati in diversi quaderni.

    Quello che più mi attrae, il più enigmatico, è contrassegnato col numero tre.

    Sui fogli ingialliti del quaderno leggo e trascrivo.

    Quaderno n.3

    Primo manoscritto

    "23 marzo. Oggi, nel giorno del mio compleanno, ho concluso gli studi sull’evoluzione dell’apparato cerebrospinale del feto durante la gestazione.

    Sono arrivato a una conclusione.

    Per circa sei mesi durante la gravidanza, il cervello del nascituro, elabora i dati che la memoria genetica gli offre.

    Confronta, istante per istante, i codici dei destini e dei comportamenti di chi è vissuto prima di lui.

    E questo è noto.

    Credo invece di aver scoperto che in seguito questa sintesi di destini comuni precedentemente vissuti formula, nell’individuo, una serie di nuovi codici. In tal modo si determina in lui il solco di un probabile destino, dalla nascita fino alla morte.

    Una sorta di scheda pilota che soccorrerà l’individuo in ogni circostanza della vita, facendolo agire in relazione ai dati elaborati durante la gestazione.

    Una vero e proprio pilota automatico dell’esistenza.

    Ogni scelta, in seguito e per sempre, seguirà questo tracciato.

    Tutto, nella vita di un uomo, sembra quindi essere preordinato.

    Ognuno non fa che eseguire, nel corso della vita, un destino fissato da sempre e per sempre.

    Un destino comune, ripetitivo e prevedibile, simile a quello, privo di scelta, degli animali.

    La follia, i sogni, la poesia e l’amore sono le sole possibili trasgressioni a questo destino prefissato.

    Ecco dunque come potrei formulare in sintesi la mia scoperta:

    L’intero destino di ogni essere umano si viene determinando in massima parte e in modo irreversibile, prima della nascita, durante la gravidanza.

    A questa rivelazione, sui fogli degli appunti di mio padre, segue una pagina minuziosamente cancellata.

    Ho provato a esaminarla in controluce, nulla.

    Allora ho imbevuto un batuffolo di cotone nell’alcool cercando di creare una trasparenza.

    Ho solo peggiorato la situazione.

    La calligrafia è sempre più fitta e contorta.

    Se insisto troppo a decifrarla mi viene mal di testa. Continuerò domani.

    Dopo cena, invece, decido di tornare nello studio per proseguire la trascrizione dei manoscritti. Mia madre ha telefonato che farà’ tardi.

    Sono a buon punto. Questa ricerca mi appassiona. Credo proprio che ormai mi fermerò solo quando scoprirò perché mio padre se n’è andato.

    Quaderno n.3

    Secondo manoscritto

    I codici di comportamento di chi ci ha preceduto, dunque, preordinano" gli atti e le scelte che compiremo dopo la nascita, per tutta la vita.

    Ecco perché spesso si ha la sensazione di aver previsto ciò che ci sta accadendo e diconoscere eventi in realtà mai prima vissuti."

    Seguono cancellature e frasi impossibili da decifrare.

    Sembra che mio padre, scosso nel cuore e forse un po’ anche nella mente dalla sua scoperta, abbia cercato invano di dimostrarla scientificamente.

    Proseguendo nella trascrizione mi sono reso conto che tutto si spiega in seguito, quando la sua esperienza personale risulta più evidente e tragica.

    Tra l’altro oggi ho trovato una frase che mi riguarda.

    "22 aprile. L’esistenza quotidiana spesso mi opprime.

    Ad esempio scopro di essere sposato e di avere un figlio, senza mai averlo

    veramente deciso né desiderato."

    Ecco perché non mi accarezzava mai.

    "Capita che tutto, e non solo il destino, spinga gli esseri umani verso le medesime scelte, senza poterle decidere o riuscire a capirle.

    Questo e altro scopro di aver subìto nel corso della mia vita, senza aver compiuto alcuna vera scelta.

    Di questo passo, come la maggior parte degli esseri umani, mi sveglierò vecchio, alla fine dei miei giorni, con la sensazione di essere stato in qualche modo truffato."

    È evidente che mio padre non viveva volentieri con noi, ma è chiaro anche che, ovunque si trovi, è un vero scienziato, acuto e rigoroso.

    Formula le sue osservazioni con la massima precisione.

    Tutto ciò di cui scrive, pur non essendo dimostrato, rivela una certa credibilità.

    Mi sento fiero della sua intelligenza, anche se la componente un po’ folle del suo ingegno mi spaventa.

    Ho quindici anni, ma i suoi scritti li capisco senza difficoltà.

    Vorrei riuscire a dimenticare di essere suo figlio per portare avanti serenamente quest’impresa: decifrare i suoi appunti e conoscere a fondo i suoi pensieri, le sue teorie.

    Ho iniziato per curiosità e per gioco. Ormai la necessità di sapere é tanto importante da occupare quasi tutti i miei pensieri.

    Sono sempre più’ certo che in questi manoscritti scoprirò la ragione della sua fuga.

    PRIME RICERCHE

    La professoressa di italiano era amica di mio padre, ma come tutti i parenti e gli amici non ha detto una parola sulla sua sparizione.

    Oggi sono rimasto per ultimo in classe.

    Ho deciso di chiederle qualche notizia, un parere.

    Dimmi caro, hai bisogno di qualcosa?

    È per via di mio padre.Rispondo.

    "Ah, il tuo papà.

    Una situazione molto particolare. Che dice la tua povera mamma?"

    Mi avvicino a lei quasi a sfiorarle il volto.

    Voi eravate amici. Che persona è mio padre?

    "Uno scienziato. Una persona eccezionale. Certo non ha mai voluto uscire allo scoperto. Era…È molto riservato. Se volesse potrebbe occupare posti di prestigio. Evidentemente la fama e il successo non gli interessano.

    Aveva un modo di conversare molto divertente.

    Sorrideva spesso, mi domando proprio che ragione ha avuto per…"

    "Per sparire?

    Con me non giocava mai. Era sempre serio."

    "Ti voleva molto bene. Parlava spesso di te. Ricordo che una volta ha detto.

    Non devo far capire a mio figlio che lo considero molto intelligente, voglio che continui a esserlo il più a lungo possibile.

    La professoressa mi ha fatto una carezza, simile a quelle che mia madre mi faceva i primi tempi, dopo la scomparsa di mio padre.

    Una carezza sul capo con indugio pietoso sulla nuca, come a dire Povero ragazzo, come farai ora?

    Pazienza.

    Ho chiesto anche al tabaccaio se ricordava mio padre.

    "Puntuale, come un cronometro. Veniva ogni mattina alle nove e mezza precise a comprare le sigarette... Si sarebbero potuti regolare gli orologi.

    Aveva la battuta facile, era molto divertente."

    È incredibile questa storia che mio padre era divertente. Allora perché con me non sorrideva mai, perché parlava raramente e solo per chiedermi notizie sulla scuola?E sempre nello stesso identico modo.

    Beh, come va la scuola?

    L'IDILLIO

    Oggi invece di andare in palestra sono tornato a casa con l’intenzione di continuare a esaminare gli scritti di mio padre.

    Appena entrato ho trovato la luce accesa e mi sono avvicinato in punta di piedi alla camera da letto. Ho intravisto il direttore accanto a mia madre e lei si stava sbottonando la camicetta. Erano distesi sul letto matrimoniale.

    Dalla fessura della porta vedevo distintamente il seno di mia madre imperlato di sudore.

    Anche i capelli scomposti e la fronte del direttore erano bagnati.

    Visto che ci amiamo perché non dovremmo vivere insieme? Sussurrava il direttore attorcigliando col dito indice una lunga ciocca di capelli di mia madre.

    È presto. Rispondeva lei. Il ragazzo ha bisogno di credere che suo padre prima o poi tornerà.

    Ma sono passati più di due anni. Protestava sottovoce il direttore.

    È presto. Intanto potresti invitarci a casa tua. Facciamogli conoscere tua figlia. Se diventano buoni amici, tutto sarà più facile.

    Va bene, domenica venite a pranzo da me. Certo sarebbe stato meglio se tuo marito ti avesse lasciata. Questa situazione è instabile, visto che può tornare da un momento all’altro.

    "Ho la sensazione, conoscendolo, che non si farà più vedere.

    A mio

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