La Bicicletta di mio padre
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La Bicicletta di mio padre - Pierfranco Bruni
infanzia…
I
I giorni si allungano e il tempo racconta. Non ho abbandonato i sogni. Ma i sogni mi abbandonano e mi lasciano le onde dei ricordi. Ancora, sempre questi arcobaleni che mi tagliano i giorni. Se dovessi scegliere raccoglierei tutti i crepuscoli della mia infanzia lasciati in un paese che è rimasto dentro di me come una fotografia.
Si susseguono le fotografie.
Ora in bianco e nero. Ora a colori. Fotografie che fissano il tempo. Gioco a fare l’indiano con me stesso. Come si fa a raccogliere in una sola conchiglia tutti gli echi del passato? Mio padre giovane su quella bicicletta. Correva, correva sfidando Bartali e Coppi. Una legnano di colore nero luccicante. Quelle biciclette robuste.
Il tempo è passato come una nuvola vagante ed io ho viaggiato nella fantasia dei coriandoli e nelle cronache che raccontano il quotidiano. Sono invecchiato insieme ai ricordi. Strano. Prima si invecchia e poi giungono i ricordi. In questo caso io sono invecchiato insieme a loro. Ma si invecchia quando si comincia a prendere consapevolezza che gli anni della giovinezza si sono trasformati negli anni che definiamo come anni della maturità. È solo un modo di dire.
Essere maturi è superare l’età della giovinezza?
Ci sono capitoli di letteratura che invadono il campo e ci imbrigliano e forse ci imbrogliano. Tutto si muove tra l’imbrigliare e l’imbrogliare. La vita è un gioco immenso che ci attrae e ci respinge.
Ho capito la pesantezza del tempo il giorno in cui ho rivisto la bicicletta di mio padre abbandonata in un angolo in un magazzino della mia grande casa di paese. E stava lì ormai consunta dai troppi anni di cammino, un po’ arrugginita, con i copertoni fuori dalle ruote e con il manubrio tutto stortito. Sembrava un ferrovecchio. Ma a ridurla tale in fondo ero stato io.
Il tempo non solo cammina accanto a noi ma cammina dentro di noi. Il paese che ho lasciato e che vorrei tanto ritrovare è un’isola della memoria nel vento che trapassa leggero gli artigli acuminati delle palme del giardino. Più vado avanti e più mi rendo conto che dimenticare è una virtù e ricordare resta tuttavia un vizio. Ho vissuto anni fragili ma anche anni che non riesco ancora a definire. L’indefinibilità dei miei anni non è forse raccontabile. Ma perché raccontare?
Mio caro amico.
Ci sono storie che non si possono raccontare e altre che non vorresti smettere di raccontare. Cosa cambia in fondo? Non ricordo se non per immagini il ticchettio dell’infanzia. Non ricordo se non per sensazioni la fugacità della giovinezza. Ma tutto è passato.
Mi restano questi anni che vanno oltre. Sempre più oltre. Tutto questo perché non ci sono più ricordi ma solo memoria.
Sono entrato nel tempo della memoria e i ricordi sono sogni che recitano insieme alla fantasia. Le parole sono giocate sulla scacchiera dell’inesorabile, del mistero, del fascino dei trapassi.
Sono sulla bicicletta di mio padre. La storia è un teatro dove si trova di tutto. E ognuno di noi ha una sua parte.
I carri armati non occupano più le piazze. Le bandiere sono ormai quelle che si sventolano negli stadi. I convegni sono parlatori inutili. Le campagne elettorali non hanno senso. I comizi sono delle buffonate.
E le idee? Non si costruisce più nulla con le idee soltanto. Magari una volta gli scontri con le baionette servivano a solidificare consapevolezze e valori. Oggi gli scontri veri si disputano nei mercati finanziari. E noi qui che ci stiamo a fare? È proprio vero. Dimenticare è una virtù. Nello specchio in frantumi si ricompone lo sguardo. Lo sguardo dello sciamano.
Le tristezze sono il nostro tempo. Ma non ci sono tristezze comuni. Ognuno di noi vive una propria tristezza con le nostalgie che cavalcano gli anni e il nostro sentire. Gli anni ci cambiano. Sono cambiate tante cose nel corso di un dormiveglia che ha invaso i nostri destini e le nostre voci.
Ho viaggiato senza pause. E non posso dire che tutto mi è scivolato addosso. Le cose che mi hanno toccato hanno inciso un segno indelebile. Tangibile come è tangibile questo scorticare le parole sul battere del vento sui vetri delle finestre.
Mi ritrovo ancora sulla bicicletta di mio padre. E sono i ricordi che mi riportano. Avanti e indietro. I falò di San Giuseppe e la cenere che il vento spargeva sono solo un graffio di rughe.
A pezzi il mosaico si scompone. Chi ha mai detto che negli anni noi componiamo un mosaico. Noi lo scomponiamo il mosaico. Mentre tra le dita si intrecciano i fili degli amori che diventano disamori. C’è proprio un filo di paglia sottilissimo tra l’amore e il disamore.
Non ho fatto altro che raccordare la paura di perdere con l’annuncio del disamore che una storia serba in sé. Qualsiasi storia nasconde amore e disamore.
Io non credevo che questa sera sarebbe stato davvero un addio. Cantava una volta, tanto tempo fa, Luigi Tenco. Era la stagione di una giovinezza gridata. E poi lungo i binari che mi conducevano qua e là.
Quante cose avremmo dovuto fare e non abbiamo fatto. Però è noioso rileggere le cose che scrivevo venti anni fa. Sembrano sempre le stesse. Pavese mi ha insegnato che quando non si ha più uno stile è finita. Sarebbe meglio non scrivere più. Letteratura e vita non sono separabili. Forse per questo Verrà la morte e avrà i tuoi occhi…
Cammino ancora tra i labirinti di un ricercare. La piazza è buia ma c’è il rotondo della luna che cade a colpi su tutto il paese. Cosa farò questo dieci agosto? Sembra strano ma spesso mi sono trovato a farmi questa domanda in questi anni lacerati e perduti.
È morta Eleonora. Io non ho avuto la forza di andare ai suoi funerali. Eleonora. Oppure la battagliera Eleonor di un romanzo di Francesco. Se n’è andata in punta di piedi. Silenzio. Se n’è andata dicendo a tutti che bisognava avere un po’ di pazienza perché si sentiva di guarire. In meno di un mese. Non voglio ricordarla. È un’immagine costante nel mio navigare.
Lontano, lontano nel tempo. E poi lunghi silenzi. Ma esiste veramente l’addio o è soltanto un arrivederci. L’acqua di mare è diventata sale. Versi di canzone che continuo a rubare. Ma tutto nella vita si ruba. Non soltanto le parole. Forse anche le emozioni.
Sei sulla tua bicicletta. Quella bicicletta che è diventata mia senza alcun regolare passaggio di proprietà. Tra padre e figlio non ci sono documenti legali ma solo sguardi, intese, resistenze, turbamenti e ricongiungimenti. Ho visto un mio amico imboccare il padre morente e tra i due c’era una intesa di tenerezze e di silenzi ascoltati con silenzio.
Tra padre e figlio non c’è la storia. Forse ci sono segreti che rimangono tali anche dopo decenni e ci si ritrova un giorno per restituirseli. Ritorna la questione del cerino davanti alla bocca raccontata da Francesco.
Non chiedetemi di cosa sto parlando. È inutile capire ora. Si capirà quando non c’è altro da fare che capire. Ci sono ombre che sventolano e mi restituiscono quello che forse non mi serve più.
Domani alle tre nella terra bagnata. Io me la ricordo. La ballata di Michè di De André. Non uso corsivi e neppure incisi o virgolette. Io non faccio che copiare. Anche questa stanca malinconia che mi perseguita è una copiatura.
Copio tutto. E che importa alla fine? Si muore lo stesso.
Alla fine. Chi c’è accanto a me?
Era bella la serata in Via dei Villini in