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Letteratura come arte della formazione. Modelli umanistici alla base di sviluppo personale e comportamenti organizzativi
Letteratura come arte della formazione. Modelli umanistici alla base di sviluppo personale e comportamenti organizzativi
Letteratura come arte della formazione. Modelli umanistici alla base di sviluppo personale e comportamenti organizzativi
Ebook238 pages3 hours

Letteratura come arte della formazione. Modelli umanistici alla base di sviluppo personale e comportamenti organizzativi

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About this ebook

All’inizio di ogni scritto che affronti, nel corso del suo svolgersi, tematiche formative, si trova sempre un tentativo di precisare cosa sia la ‘formazione’. La difficoltà nel darne una definizione che sia unanime e condivisa è indizio di una mancata conoscenza sulle radici del tema. Quali sono le origini dell’odierna formazione? Sono davvero così recenti e totalmente anglosassoni, come nella cultura aziendale è opinione diffusa ma mai dimostrata? Teorie, esempi e modelli racchiusi in queste pagine ci inducono a cambiare prospettiva: il gene della formazione è da ricercare molto indietro nel tempo, racchiuso nelle pieghe della nostra letteratura.
Partendo da questo assunto, mediante il filo rosso dello humanistic management, il libro attraversa temi quali educazione, formazione, sviluppo personale, comportamento organizzativo, scrittura di sé.
LanguageItaliano
Release dateOct 21, 2013
ISBN9788868221027
Letteratura come arte della formazione. Modelli umanistici alla base di sviluppo personale e comportamenti organizzativi

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    Letteratura come arte della formazione. Modelli umanistici alla base di sviluppo personale e comportamenti organizzativi - Edoardo Bellafiore

    scrittura.

    Premessa

    Ho sempre amato la storia e le storie. Ricordo i racconti dei miei nonni, così diversi tra loro.

    Mio nonno mi parlava dei fatti della guerra, del boom economico, degli anni di piombo. Ci arrivava partendo sempre dal presente, per farmi capire cosa ci aveva portati fino ad oggi, ad essere ciò che siamo e a vivere ciò che stiamo vivendo. Anche quando mi perdevo un po’ in quelle vicende, dense com’erano di riferimenti alla politica e di nomi che non avevo mai sentito, rimanevo in ogni caso con una consapevolezza: che fosse necessario guardarsi indietro per conoscersi; che per capire l’oggi bisognasse volgere lo sguardo a ieri e all’altro ieri. I suoi racconti erano storia.

    Mia nonna mi narrava avventure e disavventure della nostra famiglia, di parenti vicini e lontani. Nel ricordare, mi faceva entrare con i suoi occhi in ciò che aveva vissuto. Si soffermava sui personaggi, scavava nei loro caratteri, descriveva il rapporto che avevano avuto con la sorte, generosa o ingrata. Le sue parole assumevano la fisionomia di un grande romanzo autobiografico, fatto di gioie e dolori, felicità quotidiane e sconfitte esistenziali. I suoi racconti erano storie.

    Quando ho iniziato a lavorare all’ELIS[1] – un centro di formazione attivo a Roma dai primi anni Sessanta, una realtà eccezionale – avevo ventitré anni ancora da compiere. Era l’inizio del 2008, stavo finendo gli esami alla Sapienza, facoltà di Lettere e Filosofia, per prendere la laurea specialistica. Mi affacciavo, quasi per caso – come accade per molte cose che poi durano nella vita – al contesto organizzativo, che potevo vedere in tante forme, così diverse tra loro. Nelle attività di ogni giorno, rimasi stupito di due cose.

    La prima, di quanto mi servisse la storia per lavorare con consapevolezza. Ero arrivato in un mondo, quello dell’educazione degli adulti, di cui sapevo poco o nulla. Mi accorgevo che mi mancava non conoscerne la storia: come aveva agito chi prima di me vi aveva lavorato, da quali modelli nasceva ciò su cui mi cimentavo ogni giorno: la formazione aziendale. Studiando all’università la letteratura, l’arte, la filosofia, ero abituato a soffermarmi, prima di tutto, sulla loro storia. Era lei a darmi le coordinate per orientare ciò che studiavo e per definirlo.

    La seconda, di quanto fossero importanti le storie nell’universo della formazione. Nelle aule che frequentavo come tutor, e in cui sarei entrato in seguito come docente, notavo come la presentazione di sé e il racconto delle proprie esperienze, professionali e personali – sia da parte del formatore che dei partecipanti – costituisse un elemento importantissimo per instaurare un clima d’aula favorevole e per lavorare bene.

    Sotto la spinta della curiosità, ho iniziato a dare risposta alla prima, la storia, ricercando le radici della formazione. Andando avanti ho scoperto di quanto ciò che veniva alla luce si andasse a intrecciare con la seconda, le storie, nel valore di racconti ed episodi autobiografici. Nel frattempo, mi accorgevo come tanti di quei modelli umanistici che conoscevo o che avevo studiato, li rivedessi in ciò che vivevo ogni giorno: nelle organizzazioni, nella formazione, nelle dinamiche dell’apprendimento. Erano alle loro fondamenta. Iniziai a studiare, scavando. Ho cominciato a scrivere ciò che imparavo. Questo libro è ciò che ho imparato scrivendo.

    [1] ELIS (www.elis.org) promuove attività formative finalizzate al lavoro e di solidarietà sociale dal 1964. Con sede principale a Roma nel quartiere Tiburtino - Casal Bruciato e attraverso enti non profit, organizza corsi per giovani e lavoratori, conduce scuole, istituti professionali e residenze di studenti.

    Introduzione

    "Si tamen alterutra fuerit tibi parte cadendum, audendum magis est" : se si deve sbagliare da una parte, si dovrebbe farlo dalla parte dell’audacia. Lo sosteneva Lovato de’ Lovati sul finire del tredicesimo secolo, tornando a calcare, per primo, le orme degli antichi poeti classici[1].

    Sono parole che tengo a richiamare nel presentare questo lavoro, che ho voluto dedicare ad una tematica audace – se per audacia intendiamo il tentativo di varcare terre inesplorate, o semplicemente l’ardire di guardarle con nuovi occhi.

    Nel campo della saggistica, una tematica audace è sempre quella che si pone al confine tra più ambiti e che cresce all’interno del loro terreno comune. In questo caso, gli ambiti sono quelli della letteratura, dell’educazione degli adulti, della formazione aziendale, uniti tutti dal filo rosso dello humanistic management, dello sguardo puntato ai modelli umanistici. La loro storia e la loro tradizione ci permettono, in queste pagine, di comprendere molti dei paradigmi formativi odierni (alla base sia dello sviluppo personale che dei comportamenti organizzativi).

    Sono sicuro, infatti, che nello svolgersi della letteratura sia possibile rintracciare le radici della formazione – nella totalità dell’ampia sua congerie di gamme semantiche di riferimento, eterogenee al punto da determinarne l’impossibilità stessa di una definizione univoca.

    Sono certo che persino le origini dell’odierna formazione aziendale e professionale, abitualmente datate recentissime e americanissime in virtù della diffusa moda di contemporaneità e di esterofilia, derivino il loro passato illustre dalle pieghe della nostra letteratura, in cui, benché altamente complesso, appare ben documentato.

    Formazione deriva da forma, lemma classico per eccellenza, che nel Rinascimento veicolava la portata della rivoluzione umanistica, in cui un’intera civiltà, che certificava la sua avvenuta morte con il crollo di Roma e con il buio del Medioevo, aspirava a rinascere richiamandosi, con passione ed entusiasmo, ai modelli dell’antichità greco-romana: alla pristina forma, la forma dei classici. Se nel mondo ellenico la parola μορφή (forma) richiamava soltanto la componente estetica del termine, nel latino forma, accanto al significato afferente alla sfera artistica ne germogliava uno connesso alla dimensione morale, derivante dal linguaggio giuridico (per cui forma si traduceva in ‘regola’, ‘norma’). Furono Cicerone e Seneca a far sì che assumesse una sfumatura etica, così come fu Aristotele (e il conseguente affermarsi della sua tradizione filosofica nel corso del medioevo) a darle un’impronta nella quale si concentrassero ‘sostanza’ e ‘materia’, e in cui si determinasse la forza dinamica dello iato tra la potenza e l’atto che caratterizza il processo formativo.

    La significatività del termine esplose con l’Umanesimo, in cui la sfera semantica di provenienza classica si fuse con quella medievale (nella sua matrice aristotelica), facendo sì che il verbo ‘formare’ assumesse anche il significato di ‘educare’, ‘preparare ad un lavoro’, ‘specializzare’: così la formazione iniziò ad essere intesa come un percorso finalizzato a conseguire un miglioramento. Il Classicismo stesso puntò a un incessante perfezionamento dell’uomo, delle sue competenze tecniche e umane, basato sullo sviluppo delle potenzialità espresse dagli antichi. Ugo Foscolo, che studiò ardentemente i classici, all’alba dell’Ottocento redasse uno scritto in cui declinava i campi del sapere utili alla formazione. Fu sempre lui, nei Sepolcri, a sostenere come l’uomo, al termine della propria vita, avrebbe dovuto lasciare la tangibilità di grandi opere o il ricordo di elevate virtù, unici modi per poter continuare a vivere dopo la morte: l’individuo era di fatto chiamato alla realizzazione di un miglioramento costante.

    La forma, per i classici, si raggiunge con la grazia, che consente all’individuo di indossare un habitus a permettergli di inserirsi adeguatamente nel contesto sociale di riferimento. L’obiettivo è finalizzato ad acquisire il proprio perfezionamento: ai primi del Cinquecento si ricerca, nelle opere letterarie, la perfetta forma del pittore (con Leonardo), del principe (con Machiavelli), dell’uomo di corte (con Castiglione). Esiste un modus (composto di tante regole e altrettanti accorgimenti) per svolgere bene il proprio ruolo, che si può imparare con studio e applicazione, e su cui si può lavorare attivamente per una resa che sia sempre migliore.

    La formazione nasce e si caratterizza come un processo, che si realizza (tramite la forma) nella completezza: è come un cerchio, simbolo di vitalità e perfezionamento, di armonia e proporzione, in cui gli elementi che lo animano devono sapersi combinare in virtù di un obiettivo.

    La ricerca strutturata del miglioramento personale (tanto umano quanto professionale) tramite l’acquisizione di strumenti e metodi efficaci, che costituiva una delle maggiori novità nel panorama culturale e sociale dell’umanesimo, pervade totalmente le applicazioni formative odierne: le realtà aziendali del terzo millennio, che tendono (e tengono) sempre di più a ricercare il loro codice identitario in un’uniformità di valori da esprimersi con specifici comportamenti (la cosiddetta etica aziendale) a cui abbinare le abilità personali: così come teorizzato dall’economia formativa rinascimentale, la vitalità collettiva di un’organizzazione scaturisce dalla summa del valore dei singoli, dalla loro effettiva capacità di sviluppare nel tempo le proprie competenze, riuscendo di volta in volta a colmare il divario tra ciò che si sa (fare) e ciò che è necessario si sappia (fare). Nei ‘comportamenti’ e nelle ‘abilità’ dell’individuo si concentra la potenza combinante la componente umana con quella professionale: nell’umanesimo, la seconda non sarebbe stata conseguibile se non subordinatamente alla prima, concepita come base imprescindibile ad ogni sviluppo di competenze. Qualsiasi formazione, in epoca umanistica, si snodava dai classici, che si rivelavano nei testi: la conoscenza della letteratura, in cui erano contenute le gesta degli antichi celebri nei vari campi, diveniva passaggio obbligato per raggiungere apprendimento, virtù e abilità, nella sua capacità etica di civilizzare l’individuo aumentandone la sensibilità umana. Guarino Veronese, uno dei più celebri precettori di tutti i tempi, nel Quattrocento si servì di un’educazione completamente basata sugli studia humanitatis per allevare il futuro regnante Leonello d’Este. I risultati gli diedero ragione.

    Il sapere umano divenne funzionale alla formazione integrale dell’uomo, che in primo luogo doveva acquisire delle solide basi etiche, senza le quali non sarebbe stato spinto a perseguire il bene. Crollato il medievale "ipse dixit" legato alle teorie aristoteliche, l’individuo era attivamente coinvolto nelle dinamiche d’apprendimento, tenendo personalmente a conseguire la conoscenza, riconosciuta come un beneficio non effimero. La letteratura, nel suo sviluppare la sensibilità personale, ricopriva così un ruolo pratico nelle nuove dinamiche educative, andando a formare con le proprie pagine tutti i più importanti uomini dell’epoca aventi incarichi attivi nella vita comunitaria: dai notai ai cancellieri, ai funzionari governativi.

    La prima formazione da acquisire era quella morale. Al tempo stesso, ci si iniziava ad interrogare sulle dinamiche regolanti i processi formativi: già San Bernardino, vissuto a cavallo tra Tre e Quattrocento, si espresse con ragionamenti capaci di richiamare, nel loro significato, i presupposti necessari alla formazione odierna: volontà, impegno, continuità, orientamento all’obiettivo, apertura a nuovi metodi – tanto per citarne alcuni.

    Si iniziò a concepire l’educazione come un habitus che dovesse differenziarsi da persona a persona, proprio in conformità delle difformità tra un individuo e l’altro: la formazione era necessario che variasse in base alla persona di riferimento, per cui andava progettata ad hoc, prendendo atto della distinzione per età, sesso e ceto.

    La diversità dei metodi educativi era impostata sul vaglio delle attitudini individuali, ma era poi finalizzata a costruire l’abilità del singolo con lo scopo che fosse spesa all’interno della società (o di una categoria), in cui l’individuo, con tutte le sue peculiarità, era necessario che si inserisse, sapendo far spiccare le proprie peculiarità ma non infrangendo i codici scritti e non scritti di riferimento.

    Il lavoro in gruppo iniziò così a essere concepito come una modalità essenziale di apprendimento, che consentiva di imparare dal confronto con l’altro e dalla formulazione delle sue critiche costruttive. Al tempo stesso l’individuo, sentendosi come non mai arbitro del proprio destino, iniziava gradualmente a selezionare le letture da destinarsi e il grado di impegno da impiegare per raggiungere gli obiettivi: come asseriva Pico della Mirandola nell’Oratio de hominis dignitate, l’uomo può scolpirsi nella forma che preferisce.

    È la formazione dell’individuo (nell’entusiasmo ad andare oltre i confini del conosciuto, nella volontà di percorrere terre inesplorate con un solido retroterra culturale di riferimento, nell’entusiasmo di apprendere) che genera miglioramenti a livello individuale, organizzativo e sociale: furono queste caratteristiche a condurre l’uomo, nello spazio di un secolo, ad essere protagonista o artefice della scoperta di novità assolute, la cui portata giunge ai giorni nostri: dalla teoria eliocentrica all’introduzione della stampa, dall’elaborazione del calendario in uso a tutt’oggi alla codificazione della lingua italiana, alle infinite novità concettuali e stilistiche in arte.

    Di conseguenza, è con l’umanesimo che nasce l’importanza di raccontarsi e di narrare, modalità oggi ritenuta imprescindibile nei meccanismi delle dinamiche formative (anche aziendali), nella sua efficacia di veicolare il sapere e tramandare cultura andando a favorire l’apprendimento[2].

    L’autobiografia, che "modifica la vita dandole forma e permanenza in un’opera d’arte"[3], esplode con il Rinascimento, in cui è espressa in poesia e in prosa, veicolata attraverso diversi generi letterari (dalle satire alle lettere), scritta dagli uomini più disparati (poeti, avventurieri, esploratori, artisti) per gli scopi più differenti. Nella scrittura di sé l’individuo ripercorre episodi significativi dell’esistenza, a cui dà forma, soffermandosi su momenti chiave della propria vita, il cui attraversamento lo ha portato, nella gioia o (molto più spesso) nella sofferenza, a maturare. Ed è proprio mentre l’uomo scrive che ha la possibilità di intraprendere un intimo percorso di formazione, riflettendo sul suo agire nelle varie tappe della vita, analizzando le personali modalità d’azione nel corso del tempo. Spesso è da un impulso ricercante la propria dignità personale che l’individuo, nell’umanesimo, scrive di sé in pagine in cui, per mezzo della scelta stilistica e della complessione del disegno architettonico, la dimensione interiore si intreccia con il fine pratico che l’ha originata. L’autobiografia permette di ripercorrere un evento per crescere: nella celebre lettera del Ventoso[4], Petrarca è capace di fondere alla perfezione le dinamiche della scrittura di sé con i meccanismi essenziali del processo di formazione, come il passaggio dalla potenza all’atto, la volontà di affrontare un nuovo percorso, la tenacia nel raggiungimento dell’obiettivo, la presa in considerazione della voce esperta di chi quello stesso percorso lo ha già affrontato, la consapevolezza che talvolta la via apparentemente più agevole può poi non rivelarsi la più diretta, e neanche la meno faticosa. Ognuna di queste considerazioni è basata sull’assoluta importanza della conoscenza di sé, fine primario dell’individuo, e sulla imprescindibile presa di coscienza della sua stessa dimensione umana, in cui diviene fondamentale la riflessione sul tempo e sulla morte a certificare la limitatezza (e l’unicità) della vita. Con la scrittura di sé, per mezzo della pagina l’uomo vuole esibire e cristallizzare la propria forma, intesa come architettura che sintetizzi le sue esperienze di vita alla luce dell’immagine che, a sé e agli altri, intende offrire.

    È questa la strada che ho voluto che il lavoro seguisse per l’analisi letteraria dei concetti di forma e formazione, preferendo così un percorso che si sviluppasse nelle pieghe soggettive delle pagine autobiografiche più che in quelle oggettive dei trattati precettistici, che dall’umanesimo iniziarono a prescrivere il comportamento dell’uomo a più livelli e nelle varie funzioni. All’approfondimento di opere agenti sulla sfera esteriore dell’individuo, ho optato per l’analisi di scritti in cui inevitabilmente il soggetto dovesse impegnarsi in un’immersione interiore, ricercando con la palingenesi della scrittura una nuova architettura esistenziale in cui armonizzare tutti i nodi incontrati nella propria vita. L’autobiografia permette così di accostarsi alla forza delle storie individuali, nella cui vitalità si sta riscoprendo, negli ultimi decenni, l’importanza di trarre paradigmi formativi.

    È in questi assunti che ho tentato di palesare l’essenzialità dello studio dei modelli classici e umanistici per capire la formazione di oggi, nelle sue dinamiche legate allo sviluppo personale e ai comportamenti organizzativi.

    Facendo leva sull’approccio dello humanistic management, spero di aver concepito una nuova modalità di accostarsi a questi temi con il complesso, necessario e affascinante ausilio storico e testuale della letteratura. Non ho la pretesa di esserci riuscito, ma nutro la consapevolezza e l’entusiasmo di averci, audacemente, provato.

    [1] R. Witt, Sulle tracce degli antichi, Donzelli, Roma, 2005, p. 57. (Il testo di riferimento è: W.P. Sisler, An edition and traslation of Lovato Lovati’s Metrical Epistles with parallel passages from Ancient Autors, Ph. D. Diss, The Johns Hopkins University, 1977, p. 41).

    [2] Sull’importanza della narrazione e del racconto di sé nell’attuale panorama formativo si veda: C. Petrucco, M. De Rossi, Narrare con il digital storytelling a scuola e nelle organizzazioni, Carocci, Roma, 2009.

    [3] A. Forti Lewis, L’Italia autobiografica, Bulzoni, Roma, 1986, p. 25.

    [4] F. Petrarca, La lettera del Ventoso: Familiarium rerum libri (IV, 1), a cura di Maura Formica e Michael Jakob, Tararà, Verbania, 1996.

    La storia

    L’uomo, la forma, la formazione

    1. L’uomo e la forma

    All’inizio di ogni scritto che affronti, nel corso del suo svolgersi, tematiche formative, si trova sempre nelle prime righe un tentativo di precisare cosa sia la formazione, di fornirne una definizione che dia – a chi scorre l’opera – la possibilità di impossessarsi di una esatta chiave di lettura. ‘Tentativo di precisare’ è un sintagma che al proprio interno suona quasi ossimorico: da un lato la consapevolezza

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