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L'integrazione scolastica dalla tutela del disabile ai nuovi bisogni educativi specialiI: Con normativa e giurisprudenza. II edizione riveduta e ampliata
L'integrazione scolastica dalla tutela del disabile ai nuovi bisogni educativi specialiI: Con normativa e giurisprudenza. II edizione riveduta e ampliata
L'integrazione scolastica dalla tutela del disabile ai nuovi bisogni educativi specialiI: Con normativa e giurisprudenza. II edizione riveduta e ampliata
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L'integrazione scolastica dalla tutela del disabile ai nuovi bisogni educativi specialiI: Con normativa e giurisprudenza. II edizione riveduta e ampliata

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La stagione dell’attenzione alla persona diversamente abile e ai suoi diritti si apre nel secondo dopoguerra quando, a partire dalla Costituzione, diviene cogente l’assunto che l’inserimento e l’integrazione delle persone disabili nella società non poteva prescindere dal loro diritto all’istruzione e formazione. Il percorso normativo che ne è conseguito diviene sintomatico del livello effettivo di integrazione dei disabili nei diversi contesti del vivere sociale ed in particolare in quello scolastico.
Si tratta di un percorso che solo negli ultimi anni ha raggiunto un più compiuto esito, se si pensa che, prima del 1992 (anno dell’entrata in vigore della legge n. 104), non vi era una vera e propria norma che risolvesse in modo articolato il problema dell’attuazione dei diritti e principi fondamentali e dell’implementazione di strumenti, metodi e servizi, che potessero favorire la partecipazione sociale e migliorare il rendimento scolastico delle persone con disabilità.
LanguageItaliano
Release dateSep 10, 2014
ISBN9788868221379
L'integrazione scolastica dalla tutela del disabile ai nuovi bisogni educativi specialiI: Con normativa e giurisprudenza. II edizione riveduta e ampliata

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    L'integrazione scolastica dalla tutela del disabile ai nuovi bisogni educativi specialiI - Carolina Pellegrino

    CAROLINA PELLEGRINO

    L’integrazione scolastica

    Dalla tutela del disabile ai nuovi bisogni educativi speciali

    Con normativa e giurisprudenza

    II edizione riveduta e ampliata

    Proprietà letteraria riservata

    © by Pellegrini Editore - Cosenza - Italy

    Edizione ebook Luglio 2014

    ISBN: 978-88-6822-137-9

    Via Camposano, 41 - 87100 Cosenza

    Tel. (0984) 795065 - Fax (0984) 792672

    Sito internet: www.pellegrinieditore.com

    www.pellegrinilibri.it

    E-mail: info@pellegrinieditore.it

    I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

    Premessa

    La stagione dell’attenzione alla persona diversamente abile e ai suoi diritti si apre nel secondo dopoguerra quando, a partire dalla Costituzione, diviene cogente l’assunto che l’inserimento e l’integrazione delle persone disabili nella società non poteva prescindere dal loro diritto all’istruzione e formazione. Il percorso normativo che ne è conseguito diviene sintomatico del livello effettivo di integrazione dei disabili nei diversi contesti del vivere sociale ed in particolare in quello scolastico.

    Si tratta di un percorso che solo negli ultimi anni ha raggiunto un più compiuto esito, se si pensa che, prima del 1992 (anno dell’entrata in vigore della legge n. 104), non vi era una vera e propria norma che risolvesse in modo articolato il problema dell’attuazione dei diritti e principi fondamentali e dell’implementazione di strumenti, metodi e servizi, che potessero favorire la partecipazione sociale e migliorare il rendimento scolastico delle persone con disabilità.

    Sicuramente un notevole passo in avanti venne compiuto dalla legge n. 118 del 1971[1], norma a favore dei mutilati ed invalidi civili, stabilendo per prima che l’istruzione dell’obbligo degli alunni in situazione di handicap doveva avvenire nelle classi normali della scuola pubblica, salvi i casi in cui i soggetti fossero affetti da gravi deficienze intellettive o da menomazioni fisiche di tale gravità da impedire o rendere molto difficoltoso l’apprendimento o l’inserimento nelle predette classi normali. Non di meno va ricordato che tale prima disciplina normativa cominciò, anche, ad affrontare la questione delle barriere architettoniche[2].

    Nella stessa direzione si mosse la legge n. 517 del 1977[3], norma che, viceversa, allargò l’obbligo scolastico ad ogni livello di disabilità e che, attraverso un processo basato sulla programmazione a livello didattico e organizzativo-amministrativo, pose come fine dell’azione educativa la promozione della piena formazione della personalità degli alunni[4]. Fu proprio la legge del ‘77 che previde, per la prima volta, accanto ad altre forme di sostegno fornite dallo Stato e dagli Enti locali, forme di integrazione a favore di alunni portatori di handicap con la prestazione di insegnanti specializzati[5].

    Si trattò, tuttavia, di elementi quantitativi e non qualitativi: la scuola in realtà, non aveva ancora assunto e fatti propri quegli strumenti e obiettivi programmatici necessari per un intervento multidisciplinare mirato all’inserimento e al sostegno del soggetto con disabilità, per cui la sua presenza a scuola era ancora pressoché fisica piuttosto che partecipativa.

    Dopo circa vent’anni di esperienze di integrazione e grazie al ruolo incisivo della sentenza della Corte Costituzionale n. 215 del 1987[6] sul diritto pieno e incondizionato di tutti gli alunni con disabilità a frequentare anche le scuole superiori, si è giunti, nel 1992, a formulare la legge quadro n. 104[7], la prima legge ad occuparsi in modo puntuale dell’integrazione dei disabili all’interno delle scuole di ogni ordine e grado.

    Viceversa, in ambito comunitario, attraverso un percorso articolato, partito nel 1993 con l’emanazione del Libro Verde sulla politica sociale europea, seguito nel 1996 dalla Comunicazione della Commissione europea sulla parità di opportunità per i disabili e nel 1999 dalla Risoluzione del Consiglio sulla parità di opportunità in materia di occupazione per i disabili, si è concluso con l’emanazione della direttiva-quadro n. 78 del 2000 in materia di disabilità. Tale direttiva ha segnato il trapasso da una concezione assistenziale rispetto ai problemi della disabilità a una concezione fondata in termini antidiscriminatori della disabilità nel senso della tutela dell’eguale dignità di tutti gli essere umani.

    Questo indirizzo oltre modo è stato, se così possiamo dire, costituzionalizzato nei trattati. Dapprima nel trattato di Amsterdam, che nel 1998 inserisce nel Trattato Ce l’art. 13 facendo rientrare fra le discriminazioni vietate quelle fondate sulla disabilità. Successivamente nella Carta di Nizza viene esplicitamente positivizzato da un lato il divieto di discriminazione per disabilità, vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali[8] , dall’altro, il riconoscimento del diritto all’inserimento nella vita della comunità quale diritto fondamentale per il disabile, l’unione riconosce e rispetta il diritto dei disabili di beneficiare di misure intese a garantirne l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità[9].

    [1] In tal senso si veda l. 30 marzo 1971, n. 118, in materia di Conversione in legge del D.Lgs. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili, art. 28 : "Ai mutilati e invalidi civili che non siano autosufficienti e che frequentino la scuola dello obbligo o i corsi di addestramento professionale finanziati dallo Stato vengono assicurati:

    a) il trasporto gratuito dalla propria abitazione alla sede della scuola o del corso e viceversa, a carico dei patronati scolastici o dei consorzi dei patronati scolastici o degli enti gestori dei corsi;

    b) l’accesso alla scuola mediante adatti accorgimenti per il superamento e la eliminazione delle barriere architettoniche che ne impediscono la frequenza;

    c) l’assistenza durante gli orari scolastici degli invalidi più gravi.

    [L’istruzione dell’obbligo deve avvenire nelle classi normali della scuola pubblica, salvi i casi in cui i soggetti siano affetti da gravi deficienze intellettive o da menomazioni fisiche di tale gravità da impedire o rendere molto difficoltoso l’apprendimento o l’inserimento nelle predette classi normali] (1)

    [Sarà facilitata, inoltre, la frequenza degli invalidi e mutilati civili alle scuole medie superiori ed universitarie] (2).

    Le stesse disposizioni valgono per le istituzioni prescolastiche e per i doposcuola."

    (1) Comma abrogato dall’art. 43, Legge 5 febbraio 1992, n. 104.

    (2) La Corte costituzionale, con Sentenza 3 giugno 1987, n. 215 (G.U. 17 giugno 1987, n. 25 - Serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente terzo comma, nella parte in cui, in riferimento ai soggetti portatori di handicaps, prevede che Sarà facilitata, anziché disporre che E’ assicurata la frequenza alle scuole medie superiori. Il comma è stato abrogato dall’art. 43, L. 5 febbraio 1992, n. 104.

    [2] Cfr. l. 118/1971, art. 27: "(Barriere architettoniche e trasporti pubblici). Per facilitare la vita di relazione dei mutilati e invalidi civili gli edifici pubblici o aperti al pubblico e le istituzioni scolastiche, prescolastiche o di interesse sociale di nuova edificazione dovranno essere costruiti in conformità alla circolare del Ministero dei lavori pubblici del 15 giugno 1968 riguardante la eliminazione delle barriere architettoniche anche apportando le possibili e conformi varianti agli edifici appaltati o già costruiti all’entrata in vigore della presente legge; i servizi di trasporti pubblici ed in particolare i tram e le metropolitane dovranno essere accessibili agli invalidi non deambulanti; in nessun luogo pubblico o aperto al pubblico può essere vietato l’accesso ai minorati; in tutti i luoghi dove si svolgono pubbliche manifestazioni o spettacoli, che saranno in futuro edificati, dovrà essere previsto e riservato uno spazio agli invalidi in carrozzella; gli alloggi situati nei piani terreni dei caseggiati dell’edilizia economica e popolare dovranno essere assegnati per precedenza agli invalidi che hanno difficoltà di deambulazione, qualora ne facciano richiesta.

    Le norme di attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo saranno emanate, con decreto del Presidente della Repubblica su proposta dei Ministri competenti, entro un anno dall’entrata in vigore della presente legge (1).

    (1) Vedi il D.P.R. 27 aprile 1978, n.384".

    [3]Della legge si veda nel particolare art.7: Al fine di agevolare l’attuazione del diritto allo studio e la piena formazione della personalità degli alunni, la programmazione educativa può comprendere attività scolastiche di integrazione anche a carattere interdisciplinare, organizzate per gruppi di alunni della stessa classe o di classi diverse, ed iniziative di sostegno, anche allo scopo di realizzare interventi individualizzati in relazione alle esigenze dei singoli alunni. Nell’ambito della programmazione di cui al precedente comma sono previste forme di integrazione e di sostegno a favore degli alunni portatori di handicaps da realizzare mediante la utilizzazione dei docenti, di ruolo o incaricati a tempo indeterminato, in servizio nella scuola media e in possesso di particolari titoli di specializzazione, che ne facciano richiesta, entro il limite di una unità per ciascuna classe che accolga alunni portatori di handicaps e nel numero massimo di sei ore settimanali. Le classi che accolgono alunni portatori di handicaps sono costituite con un massimo di 20 alunni. In tali classi devono essere assicurati la necessaria integrazione specialistica, il servizio socio-psico-pedagogico e forme particolari di sostegno secondo le rispettive competenze dello Stato e degli enti locali preposti, nei limiti delle relative disponibilità di bilancio e sulla base del programma predisposto dal consiglio scolastico distrettuale. Le attività di cui al primo comma del presente articolo si svolgono periodicamente in sostituzione delle normali attività didattiche e fino ad un massimo di 160 ore nel corso dell’anno scolastico con particolare riguardo al tempo iniziale e finale del periodo delle lezioni, secondo un programma di iniziative di integrazione e di sostegno che dovrà essere elaborato dal collegio dei docenti sulla base di criteri generali indicati dal consiglio di istituto e delle proposte dei consigli di classe. Esse sono attuate dai docenti delle classi nell’ambito dell’orario complessivo settimanale degli insegnamenti stabiliti per ciascuna classe. Le attività previste dall’ultimo comma dell’articolo 3 della legge 31 dicembre 1962, n. 1859, devono essere coordinate con le iniziative comprese nel programma di cui al precedente quinto comma. Il suddetto programma viene periodicamente verificato e aggiornato dal collegio dei docenti nel corso dell’anno scolastico. I consigli di classe, nelle riunioni periodiche previste dall’ultimo comma dell’articolo 2 della legge 31 dicembre 1962, n. 1859, verificano l’andamento complessivo dell’attività didattica nelle classi di loro competenza e propongono gli opportuni adeguamenti del programma di lavoro. Le classi di aggiornamento e le classi differenziali previste dagli articoli 11 e 12 della legge 31 dicembre 1962, n. 1859, sono abolite. Per la parziale abrogazione delle disposizioni contenute nel presente articolo, vedi l’art. 14, l. 20 maggio 1982, n. 270

    [4] Cfr. nota precedente

    [5] Ibidem

    [6] V. infra

    [7] Legge 5 febbraio 1992, n. 104 "legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate".

    [8] Cfr. art. 21 co. 1 Carta di Nizza.

    [9] Cfr. art. 26 Carta di Nizza. In senso conforme, sotto forma di tutela indiretta, si veda il noto caso Coleman, c. giust. CE, 17 luglio 2008, C-333/06. In ambito comunitario ed internazionale si veda A.Guazzarotti, I diritti sociali nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Riv. Trim. dir. Pubbl., I, 2013, 9 ss. in particolare la parte relativa all’integrazione tra Carta di Nizza e Cedu.

    CAPITOLO PRIMO

    Diritto all’istruzione tra valori costituzionali e leggi di attuazione

    La legge quadro n.104 del 1992 relativa all’assistenza, all’integrazione sociale e all’affermazione dei diritti delle persone handicappate, rappresenta a pieno l’attuazione di principi, valori e diritti costituzionali. Fra di essi, in primo luogo, figurano il principio personalista di cui all’art. 2 cost.[1], e il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 cost.[2], nella duplice accezione di eguaglianza formale e di eguaglianza sostanziale[3].

    A tale riguardo, tuttavia, occorre precisare che il primo comma dell’art. 3 Cost. solo in apparenza ha una valenza meramente formale[4] in quanto nel descrivere fattispecie tipiche quali Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali, indica connotazioni fattuali[5] rispetto alle quali la legge non può porre distinzioni[6]. Pertanto affermare una valenza prevalentemente formale al principio ci porta a svalutare la sua rilevanza e il suo contenuto normativo[7]. Per meglio dire, se da una parte è immediato riconoscere che tale principio è rivolto al legislatore, quale limite alla legge, nel senso che la legge non può introdurre regole in contrasto con i contenuti normativi esplicitati nell’art. 3, ciò nonostante l’efficacia del principio trova la sua immediata attuazione nella giurisdizione[8]. Un giudice, infatti, nell’ipotesi in cui si trovasse innanzi ad un atto normativo in contrasto con il primo comma dell’art. 3 potrebbe rilevarne il dubbio di costituzionalità. Sottoposta la questione al giudice delle leggi ovvero alla Corte costituzionale, sarebbe questo giudice a dichiarare l’annullamento della regola normativa difforme dalla costituzione e quindi ad affermare positivamente il valore costituzionale del principio di eguaglianza[9].

    Per quanto concerne il secondo comma dell’art. 3 della Costituzione, ossia il principio dell’eguaglianza sostanziale, occorre innanzitutto rilevare che a differenza del primo comma, non trova immediata applicazione[10]. Il principio di eguaglianza sostanziale, stando alla sua formulazione È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese è una disposizione di natura programmatica. Tale connotazione comporta che esso trovi applicazione in primo luogo mediante l’intervento del legislatore. Ciò si desume dal richiamo alla Repubblica[11], la quale pur rappresentando una nozione ampia, investe prima di tutto il titolare della funzione legislativa, senza escludere comunque che altri soggetti con responsabilità istituzionali, siano chiamati al compito anzidetto. Tale affermazione deriva non solo da una sedimentata interpretazione costituzionale, che colloca lo stato, come soggetto giuridico, in una posizione di primazia rispetto ad altri soggetti pubblici, ma anche dal novellato primo comma dell’art. 114 cost. ove viene sancito che La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato[12]. La disposizione quindi, mentre stabilisce le forme del pluralismo istituzionale[13], indicandoci i soggetti a cui viene demandato il compito di promozione dell’eguaglianza sostanziale, rende chiara la dislocazione dell’esercizio dei poteri di vertice all’interno dell’ordinamento costituzionale che vedono in primis l’obbligo-dovere dello stato nel promuovere condizioni di vita migliori e pari opportunità per tutti i cittadini. Il principio di eguaglianza si pone quindi come strumentale allo svolgimento della personalità di cui all’art. 2 Cost.[14] Dal canto suo, l’affermazione del principio personalista, secondo una concezione giusnaturalistica, ovvero il riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo, pone, come obiettivo prioritario in capo alla repubblica, una garanzia di effettività, richiedendo l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà sociale ed economica[15].

    [1] Cfr. legge 104/1992, art.1,: "Finalità. La Repubblica:

    a) garantisce il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia della persona handicappata e ne promuove la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società;

    b) previene e rimuove le condizioni invalidanti che impediscono lo sviluppo della persona umana, il raggiungimento della massima autonomia possibile e la partecipazione della persona handicappata alla vita della collettività, nonché la realizzazione dei diritti civili, politici e patrimoniali;

    c) persegue il recupero funzionale e sociale della persona affetta da minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali e assicura i servizi e le prestazioni per la prevenzione, la cura e la riabilitazione delle minorazioni, nonché la tutela giuridica ed economica della persona handicappata;

    d) predispone interventi volti a superare stati di emarginazione e di esclusione sociale della persona handicappata".

    [2] Cfr. legge 104/1992, art.2, Principi generali, La presente legge detta i principi dell’ordinamento in materia di diritti, integrazione sociale e assistenza della persona handicappata. Essa costituisce inoltre riforma economico-sociale della Repubblica, ai sensi dell’articolo 4 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5. e art.5, Principi generali per i diritti della persona handicappata, "La rimozione delle cause invalidanti, la promozione dell’autonomia e la realizzazione dell’integrazione sociale sono perseguite attraverso i seguenti obiettivi:

    a) sviluppare la ricerca scientifica, genetica, biomedica, psicopedagogica, sociale e tecnologica anche mediante programmi finalizzati concordati con istituzioni pubbliche e private, in particolare con le sedi universitarie, con il Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), con i servizi sanitari e sociali, considerando la persona handicappata e la sua famiglia, se coinvolti, soggetti partecipi e consapevoli della ricerca;

    b) assicurare la prevenzione, la diagnosi e la terapia prenatale e precoce delle minorazioni e la ricerca sistematica delle loro cause;

    c) garantire l’intervento tempestivo dei servizi terapeutici e riabilitativi, che assicuri il recupero consentito dalle conoscenze scientifiche e dalle tecniche attualmente disponibili, il mantenimento della persona handicappata nell’ambiente familiare e sociale, la sua integrazione e partecipazione alla vita sociale;

    d) assicurare alla famiglia della persona handicappata un’informazione di carattere sanitario e sociale per facilitare la comprensione dell’evento, anche in relazione alle possibilità di recupero e di integrazione della persona handicappata nella società;

    e) assicurare nella scelta e nell’attuazione degli interventi socio-sanitari la collaborazione della famiglia, della comunità e della persona handicappata, attivandone le potenziali capacità;

    f) assicurare la prevenzione primaria e secondaria in tutte le fasi di maturazione e di sviluppo del bambino e del soggetto minore per evitare o constatare tempestivamente l’insorgenza della minorazione o per ridurre e superare i danni della minorazione sopraggiunta;

    g) attuare il decentramento territoriale dei servizi e degli interventi rivolti alla prevenzione, al sostegno e al recupero della persona handicappata, assicurando il coordinamento e l’integrazione con gli altri servizi territoriali sulla base degli accordi di programma di cui all’articolo 27 della legge 8 giugno 1990, n. 142;

    h) garantire alla persona handicappata e alla famiglia adeguato sostegno psicologico e psicopedagogico, servizi di aiuto personale o familiare, strumenti e sussidi tecnici, prevedendo, nei casi strettamente necessari e per il periodo indispensabile, interventi economici integrativi per il raggiungimento degli obiettivi di cui al presente articolo;

    i) promuovere, anche attraverso l’apporto di enti e di associazioni, iniziative permanenti di informazione e di partecipazione della popolazione, per la prevenzione e per la cura degli handicap, la riabilitazione e l’inserimento sociale di chi ne è colpito;

    l) garantire il diritto alla scelta dei servizi ritenuti più idonei anche al di fuori della circoscrizione territoriale;

    m) promuovere il superamento di ogni forma di emarginazione e di esclusione sociale anche mediante l’attivazione dei servizi previsti dalla presente legge".

    [3] In tema, in modo esteso, cfr. U. Romagnoli, Commento all’ art.3 co.2, G.Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna-Roma, 1975; vedi anche P. Barile, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Bologna, 1984. In termini ricostruttivi A.Giorgis, La costituzionalizzazione dei diritti all’eguaglianza sostanziale, Napoli, 1999, in particolare 91ss.

    [4] La Carta fondamentale, se interpretata in chiave liberale come ancora tesa alla esclusiva attuazione dell’eguaglianza formale e del razionalismo borghese attraverso la legge generale ed astratta, non può al contempo « proteggere ciascuno nei suoi diritti e nello stesso tempo consentire, [...], i capovolgimenti sociali che sono realizzabili sempre e solo in favore di uno e a danno di altro » (E. Fohrstoff, Concetto e natura dello stato sociale di diritto, in Stato di diritto in trasformazione, a cura di C. Amirante, Milano 1974, 7).

    [5] Sul punto cfr. Corte costituzionale sentt. n. 53 del 1958 e n. 151 del 1960. Sui percorsi evolutivi della giurisprudenza costituzionale in materia, si veda già A. Cerri, L’eguaglianza nella giurisprudenza della Corte costituzionale, Milano,1976. Sulla problematica generale L. Paladin, voce "Eguaglianza" (dir. Cost.), in Enc.diritto, vol.XIV, Milano, 1965. Tuttavia la Corte, in maniera costante, ha escluso un sindacato di costituzionalità volto a verificare la giustezza, l’equità, l’opportunità, la completezza in quanto riservato all’apprezzamento del legislatore. Sul punto, all’origine, cfr. Corte costituzionale sentenza n. 46 del 1995. Ma anche di recente si veda corte costituzionale sentenza n.5 del 2000.

    [6] Si veda corte costituzionale, sentenza n. 32 del 1971 su cui C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1969, in particolare 1019; in tema di differenziazioni basate su ragioni soggettive cfr. A. Cerri, L’eguaglianza, Roma-Bari, 2005. Non è tuttavia automatico che la legge sia passibile del sindacato di costituzionalità quando interviene favorendo determinate condizioni sociali. Sovente, tale valutazione rimane riservata alla discrezionalità del legislatore. Sul punto, già agli esordi, cfr. Sentt. 3 e 28 del 1957. In particolare si veda Corte cost. sentenza n. 25 del 1966. A tale riguardo la Corte Costituzionale non ha avuto dubbi nell’affermare che il principio di eguaglianza sia valido anche nei riguardi degli stranieri, quantomeno per ciò che concerne il godimento dei diritti costituzionali.

    [7] A tal proposito, Corte costituzionale sentenza n.1 del 1956 dove la Corte osserva che …la nota distinzione fra norme precettive e norme programmatiche può essere bensì determinante per decidere della abrogazione o meno di una legge, ma non è decisiva nei giudizi di legittimità costituzionale, potendo la illegittimità costituzionale di una legge derivare, in determinati casi, anche dalla sua non conciliabilità con norme che si dicono programmatiche, tanto più che in questa categoria sogliono essere comprese norme costituzionali di contenuto diverso da quelle che si limitano a tracciare programmi generici di futura ed incerta attuazione, perché subordinata al verificarsi di situazioni che la consentano, a norme dove il programma, se così si voglia denominarlo, ha concretezza che non può non vincolare immediatamente il legislatore, ripercuotersi sulla interpretazione della legislazione precedente e sulla perdurante efficacia di alcune parti di questa; vi sono pure norme le quali fissano principi fondamentali, che anche essi si riverberano sull’intera legislazione, 8 cpv del considerato in diritto. In tema, si veda V.Crisafulli, La costituzione e le sue disposizioni di principio , Milano, 1952.

    [8] Ibidem

    [9] Sul sindacato di costituzionalità ed eventuali fattispecie tipiche e sul modo di utilizzare il principio a livello giurisprudenziale si veda L. Paladin, Corte costituzionale e principio generale d’eguaglianza, aprile 1979-dicembre 1983, in AA. VV., Scritti in onore di Vezio Crisafulli, Padova, 1985, in particolare 628 ss.

    [10] Cfr. ancora Corte costituzionale sentenza n.1 del 1956. In modo complessivo, A. Pizzorusso, Eguaglianza (diritto di), Enc.sc. soc., Vol. III, 1993, 496 ss. A tale riguardo l’intervento della Corte costituzionale non risulta frequente. I casi segnalabili sono riconducibili alle disposizioni costituzionali in materia di diritti sociali ( 4, 32, 34, 35, 36, 38), rispetto ai quali si veda oltre. Ad ogni modo è senz’altro significativa la sentenza della Corte cost. n.215 del 1987, relativa ai portatori di handicap, ove la Corte costituzionale associa all’art.3 co.2 parte delle disposizioni richiamate.

    [11] A proposito si veda intervento on. A.Moro, 13 marzo 1947, in Assemblea Costituente, discussione generale delle «Disposizioni generali» del progetto di Costituzione della Repubblica italiana: A questo punto io credo si debba ricollegare l’altro che costituisce l’ultima parte dell’articolo 7: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli, di ordine economico e sociale, che limitano la libertà e l’eguaglianza degli individui ed impediscono il completo sviluppo della persona umana». Evidentemente siamo, in questa applicazione del principio dell’eguaglianza, nello stesso ordine di considerazione cui adesso facevo cenno. Si tratta di realizzare in fatto, il più possibile, l’eguale dignità di tutti gli uomini. Il senso di questo articolo è precisamente questo. Non accontentiamoci di parole, di dichiarazioni astratte, facciamo in modo, attraverso la nostra legislazione sociale, che, il più possibile, siano in fatto eguali le condizioni e le possibilità di vita di tutti i cittadini.

    [12] Art.114 cost. "La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione. Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento", come modificato dalla legge costituzionale n.3 del 2001.

    [13] A partire dalla garanzia che fa carico alla repubblica di tutelare le formazioni sociali nelle quali si svolge la personalità dell’uomo come osserva il Mortati, tale affermazione di principio segna il trapasso da una concezione individualistica, se vogliamo propria della società ottocentesca, legata al movimento rivoluzionario francese, la quale poneva gli individui isolati di fronte allo stato e negava la legittimità dei gruppi intermedi al contrario, col principio pluralista ( istituzionale e sociale ), si afferma in costituzione che solo nella società con i suoi simili l’uomo acquista, con la piena consapevolezza di se stesso, i mezzi necessari all’integrazione delle proprie capacità, i tramiti che, di grado in grado, dalla comunità naturale della famiglia a quelle religiose, scolastiche, culturali, professionali, politiche, gli rendono possibile la partecipazione attiva alla vita dello stato. Istituzioni di diritto pubblico, I, 1975, 157-158 . Sotto il profilo istituzionale tale connotazione affermata sovente nella forma del decentramento, a riferimento nell’art. 5 cost. in combinazione col citato art. 114. In tema di pluralità degli ordinamenti giuridici si veda S. Romano, L’ordinamento giuridico, sec. ed., 1946, Milano; L.Paladin, Diritto costituzionale, Padova, 1991, 6, 565

    [14] In tal senso C. Mortati, ult.op.cit., 156 e 182

    [15] In tema di stretta correlazione tra diritti inviolabili e doveri inderogabili si veda G. Lombardi, Contributo allo studio dei doveri costituzionali, Milano, 1967, 21

    CAPITOLO SECONDO

    Obiettivi di principio e modalità di individuazione della condizione di disabilità

    Dunque, da tale contesto discende e in tale contesto si colloca la legge quadro n. 104 del 1992[1]. Tra le finalità di cui all’art.1 della suddetta legge, nella consueta enunciazione, la Repubblica è chiamata a garantire il pieno rispetto della dignità umana, i diritti di libertà e di autonomia della persona diversamente abile[2]. Altresì la Repubblica è chiamata a promuoverne l’integrazione nelle formazioni sociali[3] tipiche[4], quali la famiglia, la scuola, il lavoro e quindi nella società. Tra le altre finalità di rilievo vanno segnalate la prevenzione e la rimozione delle condizioni invalidanti che impediscono lo sviluppo della persona umana, quindi la promozione della massima autonomia delle persone diversamente abili al fine di garantirne la vita comunitaria e l’esercizio dei diritti fondamentali. Ulteriore scopo è il recupero funzionale e sociale della persona affetta da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali, garantendo, in tale circostanza, servizi e prestazioni per la prevenzione, la cura e la riabilitazione. In questo solco, la legge si preoccupa della tutela giuridica ed economica del disabile, per opera, altresì dell’amministrazione di sostegno[5]. Al fine di rendere effettivi i compiti ricordati, la norma richiede la predisposizione di provvedimenti indirizzati al superamento delle condizioni di emarginazione e di esclusione sociale di coloro che versano in condizioni di svantaggio[6].

    In nome di queste ragioni la legge 104 del 1992 disciplina una

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