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Una città una Rivoluzione: Tunisi e la riconquista dello spazio pubblico
Una città una Rivoluzione: Tunisi e la riconquista dello spazio pubblico
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Ebook254 pages3 hours

Una città una Rivoluzione: Tunisi e la riconquista dello spazio pubblico

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About this ebook

Lo spazio pubblico è al contempo lo spazio fisico che nelle città permette ad estranei di entrare in contatto e lo spazio relazionale dove l’opinione pubblica si forma e si manifesta. A Tunisi per oltre vent’anni questo spazio, sottoposto ad un feroce controllo poliziesco, era riservato ai simboli e alle manifestazioni inneggianti alla dittatura di Ben Ali: la Rivoluzione del 14 gennaio 2011 che lo ha messo in fuga ha avuto come primo esito la riconquista dello spazio pubblico.
Il libro analizza in che modo una rivoluzione ha cambiato il paesaggio urbano di una capitale. Includendo nello stesso sguardo le trasformazioni semantiche, estetiche e simboliche visibili nelle strade, nelle piazze, sui muri e le nuove pratiche sociali osservabili sui marciapiedi, nei caffè, nei luoghi della cultura e in quelli della politica, vuole mostrare la stretta relazione che si dà tra spazio fisico e pratica politica.
LanguageItaliano
Release dateMar 12, 2014
ISBN9788868221669
Una città una Rivoluzione: Tunisi e la riconquista dello spazio pubblico

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    Una città una Rivoluzione - Chiara Sebastiani

    Ossidiana

    Teoria cultura e vita quotidiana

    Collana diretta da Paolo Jedlowski

    7

    Comitato scientifico:

    Paolo Jedlowski

    Olimpia Affuso

    Sonia Floriani

    Teresa Grande

    Simona Isabella

    Fedele Paolo

    Ercole Giap Parini

    Giuseppina Pellegrino

    Chiara sebastiani

    UNA CITTà

    UNA RIVOLUZIONE

    Tunisi e la riconquista

    dello spazio pubblico

    Proprietà letteraria riservata

    © by Pellegrini Editore - Cosenza - Italy

    Edizione eBook 2014

    Isbn: 978-886822-166-9

    Via Camposano, 41 - 87100 Cosenza

    Tel. (0984) 795065 - Fax (0984) 792672

    Sito internet: www.pellegrinieditore.com - www.pellegrinilibri.it

    E-mail: info@pellegrinieditore.it

    I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

    Alla memoria di mio padre, Lucio Sebastiani

    (Tunisi 1913 - Roma 1962),

    Console Generale d’Italia a Tunisi dal 1959 al 1962;

    e a quella di Elia Finzi (Tunisi 1923-2012),

    tipografo, editore, direttore del Corriere di Tunisi,

    suo fraterno amico.

    Indice

    Introduzione

    Incontrare la storia

    Spazio pubblico e sfera pubblica

    La ricerca sul campo: nota metodologica

    Il nuovo spazio pubblico

    1. Prima della Rivoluzione: Una cappa di piombo

    Le due città

    L’occupazione dello spazio pubblico

    La città delle donne

    L’islam nella città

    2. Aspettando la primavera: Un momento magico

    I giorni dell’Avenue

    Le notti della kasbah

    Le veglie dei quartieri

    Il breve incontro

    3. La nuova sfera pubblica: Ad alta voce

    Intorno al teatro

    La sfera pubblica si mette in scena

    Altre sfere

    In quale lingua?

    4. Lo spazio politico: Se non volete che torni …

    Campagna in città

    La giornata di una scrutatrice

    L’islam nello spazio politico

    Vecchie e nuove élite

    5. Il destino dello spazio pubblico: Quando scendo in strada …

    Dov’è finita la gioia di quei giorni?

    Lo spazio conteso

    La città che cambia

    Tra strada e Facebook

    Per continuare

    Ringraziamenti

    Bibliografia

    Appendici

    Cronologia: storia della Tunisia e cronaca degli eventi recenti

    Glossario*

    Sigle

    Introduzione

    Incontrare la storia

    È una radiosa giornata di marzo 2011. Il mare di fronte a La Marsa, elegante sobborgo residenziale di Tunisi, è di un blu intenso e scintillante, la mimosa in fiore esplode tra le case bianche e donne di tutte le età si accalcano per ascoltare Gisèle Halimi. Dal palco del cinema la grande avvocatessa[1], che nonostante l’età è sempre bellissima e appassionata, prende la parola e la sua voce è carica di emozione: Non capita a tutti di avere la fortuna di incontrare la storia.

    Quando a me è capitato ho pensato che andarle incontro non fosse solo un’opportunità ma anche un obbligo, se per mestiere si studia e si insegna la politica, se la propria ricerca ha per oggetto da anni fatti e luoghi che a quella storia sono connessi e se il caso si mostra favorevole. Per l’anno accademico 2010-11 avevo ottenuto un anno sabbatico. Avevo intenzione di tirare le fila di una serie di ricerche che da anni andavo svolgendo sul tema dello spazio pubblico, fare un secondo giro di lavoro sul campo nelle città oggetto della mia ricerca e pubblicare un libro sulle politiche e le pratiche dello spazio pubblico nel Nord e nel Sud del mondo. Tunisi, nella mia agenda, era la quarta di cinque tappe: veniva dopo Nairobi, Bruxelles e Roma e prima di Città del Capo. In dicembre, di ritorno da Nairobi, ero a Roma e mi preparavo ad un soggiorno abbastanza lungo a Bruxelles quando sono incominciate ad arrivare le notizie dei movimenti in corso in Tunisia. Movimenti li abbiamo considerati fino al momento in cui, con una velocità folgorante – comme une traînée de poudre, si diceva, una scia di polvere a cui si è dato fuoco – dalle città del Sud le manifestazioni, le carovane, le proteste sono risalite a Nord, sono giunte alla capitale, si sono riversate sull’Avenue Bourguiba e si sono confuse con il flusso dei cittadini che dai palazzi del centro scendevano in strada e con quello degli abitanti dei quartieri periferici che dalle cités confluivano in centro. Qui le masse hanno sostato una notte e un giorno sotto il famigerato ministero dell’Interno finché, al calare della seconda notte, è giunta notizia della fuga del presidente Ben Ali. Era il 14 gennaio 2011 e quel giorno il movimento è diventato Rivoluzione.

    E così ho ridotto ai minimi termini il mio soggiorno a Bruxelles e sono andata invece a Tunisi: una prima volta a fine marzo, poi per tutto il mese di maggio, poi ancora in luglio, poi in ottobre per le elezioni e a partire dal 2012 regolarmente ogni mese o due, per soggiorni di una o più settimane. L’ultimo soggiorno prima di dare alle stampe questo libro l’ho effettuato nel maggio 2013. Il periodo di osservazione copre dunque due anni abbondanti a partire dalla Rivoluzione. Per il periodo antecedente mi sono avvalsa principalmente delle osservazioni e delle interviste raccolte tra il 2004 e il 2006, data del mio ultimo soggiorno a Tunisi prima degli eventi che hanno portato alla caduta del regime.

    Spazio pubblico e sfera pubblica

    Disponevo, al momento in cui è scoppiata la Rivoluzione tunisina, e con essa la primavera araba, di una quantità notevole di materiali, frutto da un lato di ripetuti soggiorni in Tunisia[2], dall’altro di un lavoro di ricerca pluriennale comparato sulla relazione tra lo spazio pubblico urbano come spazio fisico e la sfera pubblica come pratica sociale[3]. A ciò si deve aggiungere che per ragioni legate alla mia storia personale avevo conosciuto la Tunisi dei primi anni sessanta, tornandovi successivamente negli anni settanta e ottanta prima di intraprendere soggiorni regolari per motivi di studio e ricerca a partire dalla fine degli anni novanta. Avevo così per le mani un vero e proprio follow-up longitudinale sulla trasformazione di Tunisi dall’indomani dell’Indipendenza all’indomani della Rivoluzione: trasformazione urbanistica e degli spazi pubblici da un lato, trasformazione delle pratiche sociali e politiche che in tali spazi si svolgono, dall’altro.

    Un buon ricercatore deve saper coniugare la raccolta di materiale empirico teoricamente e concettualmente orientata con l’apertura ad esperienze e scoperte accidentali ed impreviste, ovvero a ciò che Hannerz (1992, p. 210, T.d.A.) chiama serendipity. Mentre lavoravo sullo spazio pubblico in un sistema autoritario mi sono trovata ad assistere, quasi in tempo reale, ad una trasformazione improvvisa e radicale di tale spazio, strettamente collegata ad una analoga trasformazione della sfera pubblica, non tanto di quella virtuale che da anni ospitava spazi clandestini alternativi ai media di regime, quanto di quella che si forma in condizioni di compresenza nello spazio fisico, casuale o organizzata. Quello che era uno dei casi di studio di una ricerca comparata si era trasformato in un laboratorio dove le trasformazioni si potevano osservare giorno per giorno. Alla fine mi sono arresa all’evidenza e ho capito che a Tunisi dovevo dedicare un libro e non un singolo capitolo. Così nasce questo libro che guarda alla Rivoluzione tunisina dal punto di vista dello spazio pubblico urbano e della sfera pubblica che in esso si materializza prima, durante e dopo il 14 gennaio 2011.

    Lo spazio pubblico oggetto di questa ricerca è uno spazio al contempo fisico e relazionale, generato tanto dalla pianificazione urbana quanto dalle pratiche sociali. Possiamo concepire un tipo ideale, ovvero astratto, di spazio pubblico a partire da una serie di definizioni proposte da diversi autori, ciascuna radicata in uno specifico contesto linguistico-culturale. Habermas (1962, tr. it. 1988, p. 45) parla di Öffentlichkeit – che noi traduciamo con sfera pubblica anche se spazio pubblico suonerebbe meglio – definendola una dimensione pubblica di privati, generata nei luoghi dove individui singoli si radunano dando vita ad un pubblico di lettori, spettatori, attori impegnati in dibattiti critici e propositivi. Prima di lui, tuttavia, già Hannah Arendt (1958, tr. it. 1998, p. 145) aveva definito the public realm, letteralmente l’ambito pubblico, con riferimento alla polis ellenica, come lo spazio generato da individui che si radunano per condividere parole e azioni. Successivamente Sennett (1976) esalta la civiltà dell’uomo pubblico che tra Sei e Settecento vive nello spazio pubblico come su un palcoscenico, indossando una maschera, capace di separare la vita in pubblico dalla sfera dell’intimità. Infine Bauman (2001, p. 19, T.d.A.) individua quale funzione principale degli spazi pubblici urbani quella di essere "spazi che la gente può condividere in qualità di personae pubbliche e nei quali entra con un atto di impegno e di partecipazione".

    Sebbene per tutti questi autori l’idea di spazio pubblico – quale sinonimo di sfera pubblica, ambito pubblico, luogo della vita pubblica – rimandi anzitutto a delle pratiche sociali, dunque ad una produzione dello spazio dal basso, tuttavia tali pratiche, calate in una dimensione storica ed empirica, evidenziano un legame imprescindibile con gli spazi materiali che ad esse fungono da supporto, che si tratti di piazze, caffè, marciapiedi, giardini o altro[4]. Ho illustrato altrove (Sebastiani 1997; 2007) la tesi secondo cui si dà una stretta relazione tra lo spazio fisico, lo spazio sociale e lo spazio politico. Le domande che mi sono posta sono: possono darsi spazi pubblici senza sfera pubblica? e viceversa, può la sfera pubblica sussistere nello spazio astratto dei media e in quello virtuale supportato dalle nuove tecnologie senza legami con gli spazi delle relazioni faccia a faccia, casuali o organizzate? Il caso di Tunisi dimostra in modo particolarmente efficace – poiché si tratta di una situazione-limite – l’imprescindibilità di spazi materiali che generano e supportano relazioni faccia a faccia tra estranei affinché si dia una sfera pubblica capace di svolgere la sua funzione critica e politica, capace cioè di produrre una pubblica opinione informata, razionale e condivisa, abbastanza autorevole da costringere chi governa a tenerne conto. Gli spazi nei quali quelle relazioni – libere e non gerarchiche, aperte all’intervento di estranei – sono precluse saranno spazi pseudopubblici, spesso scenografie propagandistiche a beneficio del regime, come dimostrano le piazze allestite da Ben Ali a propria glorificazione. Del pari una sfera pubblica supportata dalle nuove tecnologie, per quanto capillare, produrrà quegli effetti che la definiscono come tale – costringerà i governanti a tenerne conto – solo al momento in cui si materializza nello spazio fisico delle relazioni faccia a faccia.

    È dunque alla relazione tra spazio pubblico e sfera pubblica che si guarda qui nel ripercorrere due anni di trasformazione dello spazio pubblico a Tunisi. Ed è questa la griglia interpretativa con la quale ho raccolto il materiale empirico qui elaborato, sia negli anni che hanno preceduto la Rivoluzione tunisina sia nel periodo immediatamente successivo, ottenendo così un materiale omogeneo dal punto di vista dei criteri che ne hanno guidato la raccolta. Ai fini della ricerca empirica mi sono avvalsa dello schema che Habermas (1992) propone rivisitando il concetto di sfera pubblica – trent’anni dopo il suo Strukturwaendel dedicato alle trasformazioni strutturali della sfera pubblica borghese – in Faktizitaet und Geltung. Considerandola non più soltanto una formazione sociale storicamente data ma bensì un fenomeno sociale elementare (Habermas 1992, tr. it. 1996, p. 427), egli la descrive con un’articolazione su tre livelli. A livello elementare la sfera pubblica effimera è una struttura spaziale d’incontri semplici ed episodici (ivi, p. 428) come quelli che avvengono nei caffè, nelle piazze, e nel rito urbano europeo del passeggio, che si svolge sul corso, o sul boulevard, o sulla rambla. A livello intermedio la sfera pubblica organizzata si presenta sotto forma di strutture più stabili, con funzioni più ampie e destinate ad un pubblico più vasto: vi rientrano gli spettacoli teatrali al pari dei concerti rock, le riunioni di partito al pari di quelle parrocchiali e, più in generale, conferenze e dibattiti per le quali non a caso si danno le metafore architettoniche di uno spazio circolare chiuso: parliamo infatti di fori, palcoscenici, arene ecc. (ivi, p. 429). Il terzo livello infine è quello della sfera pubblica astratta, ovvero indipendente dalla presenza fisica del pubblico ed estesa alla presenza virtuale – mediata dalle comunicazioni di massa – di lettori, ascoltatori e spettatori tra loro lontani (ibidem).

    Questa ricerca si occupa dei primi due livelli della sfera pubblica, quelli cioè delle sfere pubbliche legate alla concreta visibilità di un pubblico fisicamente presente (ibid.) e collocate in spazi pubblici anch’essi concretamente visibili: si occupa, possiamo dire, di corpi nello spazio. La trasformazione strutturale dello spazio pubblico a Tunisi attraverso una rivoluzione ha messo infatti in evidenza quanto, in situazioni politiche estreme, il corpo nello spazio pubblico diventi strumento politico: da Bouazizi che del suo corpo immolato con il fuoco fa uno strumento estremo di rivolta, alle centinaia di vittime che nello spazio pubblico hanno esposto i loro corpi alle pallottole di poliziotti e cecchini e che vengono onorate come martiri, alle donne che su fronti opposti rivendicano la disponibilità del proprio corpo, consapevoli del fatto che esso si trasforma in una posta in gioco in ogni conflitto.

    Qualche incursione nel campo della sfera pubblica astratta – quella mediatica e quella virtuale – viene fatta necessariamente, nella misura in cui i tre livelli della sfera pubblica sono fisiologicamente collegati tra di loro. Tuttavia, mentre l’attenzione internazionale dei media e degli studiosi dopo la Rivoluzione del 14 gennaio si è concentrata sulla sfera pubblica virtuale, assai minore importanza è stata data agli altri due livelli. Le strade e le piazze con i loro allestimenti simbolici di bandiere nazionali, graffiti, slogan hanno ricevuto largo spazio sugli schermi, ma poco in una riflessione più sistematica. Ancora meno attenzione è stata dedicata all’emergere immediato e tumultuoso di una sfera pubblica organizzata fatta di centinaia di eventi – conferenze, dibattiti, spettacoli – quotidiani.

    La ricerca sul campo: nota metodologica

    È anche vero, però, che fin dall’inizio si sono levate voci che contestavano l’attenzione unilaterale, se non esclusiva, al ruolo delle nuove tecnologie per rivendicare la riconquista della strada – come si esprimeva il massmediologo tunisino Riadh Ferjani nel corso di una conferenza pubblica svoltasi un paio di mesi dopo la Rivoluzione sul tema Espace public en démocratie (Tunisi, 31-3-2011).

    Ed è proprio a ciò che è avvenuto e avviene per strada che questa ricerca guarda: ai modi di produzione dello spazio pubblico e ai modi di azione nello spazio pubblico prima e dopo la Rivoluzione. Si propone così di verificare le relazioni di interdipendenza tra spazio e sfera pubblica e l’ipotesi che una sfera pubblica vitale, su cui poggiano le basi stesse della politica democratica, sia necessariamente un fatto sociale formato nello spazio (Bagnasco 1994). Lo fa con una metodologia che combina più strumenti.

    Il primo lo chiamerò osservazione urbanistica. Esso combina gli approcci dell’antropologia urbana (Hannerz 1980) con quelli dell’urbanistica detta partecipativa (Sclavi 2002). Prende alla lettera il famoso principio del filosofo Alfred Korzybski secondo cui la mappa non è il territorio, cioè il nome dato ad una cosa non è la cosa in sé (Deriu 2000, p. 81). Spesso infatti gli urbanisti, guardando alle loro mappe, sono convinti di conoscere la realtà mentre è solo percorrendo il territorio e calpestandone il suolo che si conosce tale realtà. L’antropologia può portare all’urbanistica una sensibilità per l’inaspettato, per i fatti nuovi e le nuove connessioni tra i fatti che possono rendere sconosciuti persino contesti familiari (Hannerz 1980, tr. it. 1992, p. 81) e – aggiungiamo noi – rendere familiari contesti che a priori consideriamo lontani ed esotici. Maestra e ispiratrice di tale approccio è Jane Jacobs (1961) che combina liberamente antropologia ed economia urbana, pianificazione e politiche pubbliche. Nell’osservazione della sfera pubblica episodica è proprio della lezione di Jane Jacobs che mi sono avvalsa: le sue osservazioni dimostrano infatti, in modo particolarmente efficace, la relazione che si dà tra la configurazione dello spazio urbano e quella delle relazioni che vi si svolgono.

    Il secondo strumento è quello dell’osservazione partecipante applicata ai fenomeni politici. Al contrario dell’antropologo, il politologo si avvicina ai fenomeni muovendo dall’ipotesi che essi siano in linea di massima intellegibili e dominati dall’agire razionale in riferimento allo scopo. Ritiene altresì che in linea di massima il nome corrisponda alla cosa e che cose con lo stesso nome (partiti, istituzioni, società civile) si possano ipso facto comparare; per il resto, come l’antropologo, annovera l’approccio comparato alla politica tra i metodi principali della sua disciplina (Pa-squino 2003). Ho usato l’osservazione partecipante principalmente per lo studio della sfera pubblica organizzata: riunioni di partito e associazioni, pubbliche assemblee e dibattiti, conferenze, manifestazioni. L’osservatore partecipante deve fare i conti con la problematica weberiana della relazione ai valori (Weber 1904), inevitabilmente presente quando il ricercatore si occupa di fenomeni politici e particolarmente acuta quando lo fa in un contesto di conflitto radicale come nel caso, appunto, di una rivoluzione. Poiché, come afferma Weber, da una relazione ai valori non si può prescindere, né sarebbe auspicabile, è al contempo scientificamente ed eticamente corretto per il ricercatore esplicitarla quando occorre, così come l’osservatore nel campo delle scienze esatte tiene conto della propria equazione personale. Inoltre, a differenza dell’antropologo, il politologo colloca i fenomeni osservati in un campo – quello del politico – di cui il conflitto è elemento costitutivo. Ho quindi generalmente esplicitato il mio punto di vista sul processo rivoluzionario in corso e ho spesso trovato più efficace, ai fini della raccolta di informazioni, partecipare in prima persona a discussioni di gruppo anche con argomenti e posizioni personali che non praticare una neutrale astensione dal dibattito.

    Il terzo strumento utilizzato è stato quello classico delle interviste, a singoli e a gruppi. Le interviste, di carattere qualitativo, ripetevano uno schema pensato per la ricerca comparata sullo

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