Le maschere
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Tra utopia negativa e paradosso, con uno stile coinvolgente e carico di verve, l’autore crea una storia che ha i tratti leggeri della favola illuminista. Una riflessione velata di ironia sui valori della nostra epoca.
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Le maschere - Enrico Quarto
prima
Il disturbo di C
1.
L’uomo che ha appena varcato le ampie porte a vetri della sede centrale della multinazionale Fly & Dream è l’ingegner Carità. Poco più di trent’anni non proprio egregiamente portati, una leggera goffaggine nell’andatura, le braccia un po’ scoordinate, come se fossero tentate dall’andarsene in giro per conto proprio, si sta recando a un appuntamento con l’amministratore unico.
Argomento dell’incontro il progetto di una rivoluzionaria lega ultraleggera per la costruzione di aeromobili ecologici, termine quest’ultimo con il quale si vuole intendere in grado di volare con un risparmio di carburante pari al settanta per cento circa, e perciò appetibile anche a chi non tiene l’ecologia in cima alle sue quotidiane preoccupazioni.
Il settore Innovazione e ricerca dell’azienda segue da tempo il progetto. Lo ritiene molto promettente. Sfortunatamente vi ha anche evidenziato un lato negativo, il più frequente in questi casi: gli elevati costi dell’investimento. Bisognerebbe renderlo molto promettente. L’ultima parola spetta oggi all’amministratore unico, che proprio per pronunciare le ultime parole sta dove sta.
La sede della multinazionale Fly & Dream è un sofisticato intreccio di vetro e acciaio che sale per quarantadue piani, svettando sull’orizzonte cittadino. L’ingegnere attraversa l’atrio immenso, dirigendosi verso una delle diverse postazioni preposte all’accoglienza, seguito dallo sguardo penetrante degli addetti alla sicurezza.
Da qui viene indirizzato verso l’ascensore, che in qualche decina di secondi lo solleva fino al quarantesimo piano, dove un articolato filtro di guardie e uscieri regola l’accesso ai due piani superiori, quelli del comando. Ad attendere il visitatore stanno qui altri addetti, che a giudicare dal rigore dei controlli non devono tenere in grande considerazione il lavoro di quelli dei piani inferiori.
Finalmente si aprono le porte dell’ufficio.
Quello che l’ingegnere si trova di fronte è per spazi e silenzio più simile a un tempio che a un ufficio, con la sola differenza, a suo favore, di essere molto più vicino al cielo.
Carità oltrepassa la soglia dell’ufficio-tempio abbastanza tranquillo. Come la maggior parte degli scienziati, ha dalla sua il non trascurabile vantaggio di non prendere troppo sul serio gli uomini e le colossali scenografie in cui amano collocarsi.
Non ha bisogno delle sue non indifferenti doti di uomo di scienza, né tanto meno ci vuole un indovino, per capire fin dal primo sguardo che non è aria. Se virtù diplomatiche possiede, il capo non ha l’abitudine di farne sfoggio tutti i santi giorni.
Lo scrupoloso ingegnere illustra comunque nei quindici minuti a sua disposizione tutti gli aspetti positivi del suo progetto, ponendo l’accento sui tempi ragionevoli nonché sulle concrete speranze di successo.
Difficilmente qualcuno sosterrà di avere il migliore dei datori di lavoro possibile. Anche in ragione del fatto che in cambio del pane quotidiano, costui reclama il sudore della nostra fronte, elementi, il primo e ancor più il secondo, che non possono non evocare, anche in chi dei giorni del catechismo abbia conservato soltanto un’impalpabile infarinatura, sensazioni poco piacevoli. In tutti i modi, non si troverà nessuno disposto a sostenerlo in questi quarantadue piani. L’amministratore unico è un tipo autoritario. Sarcastico, se è di buon umore. Irremovibile nelle cose più futili ancor più di quanto non lo sia nelle grandi, grondante disprezzo per gli altri, presi singolarmente o nel loro insieme cambia poco. Per lui la vita e ogni suo atto significano guerra su tutti i fronti e frotte di nemici che avanzano come la foresta di Macbeth.
- Sa quanti studi sono attualmente in fase avanzata di sperimentazione? – chiede quando l’ingegnere ha terminato.
- Veramente no.
- Ci avrei scommesso. Ebbene glielo dico io. In questo preciso momento sono novantadue. Dico novantadue. Posso chiederle se ha idea di quali investimenti abbiano richiesto?
L’ingegnere non è il tipo che impedisce a qualcuno di porre domande, e il gesto che fa significa che non ha intenzione di cominciare adesso.
- Un miliardo e quattrocento milioni di euro di investimenti, caro mio. Dico un miliardo e quattrocento milioni, e arrotondo per difetto.
Il grande capo fa una pausa, continuando a fissare il proprio interlocutore, come se volesse dargli il tempo di mettere a fuoco, banconota sopra banconota, la cifra indicata, quindi aggiunge:
- Perché voi scienziati, quando da sopra le nuvole vi degnate di gettare un’occhiata, non sempre beneficiate di una visuale chiara delle cose di quaggiù. Vi sfugge per esempio che anche il più piccolo ingranaggio di questo benedetto mondo funziona in virtù di quella geniale invenzione che si chiama denaro.
Senza dare alcun segno di impazienza, l’ingegnere attende la fine del colloquio.
- Una holding come la nostra non persegue la conoscenza per amore della conoscenza. L’amore della conoscenza lo lasciamo a voi universitari, che avete il tempo dalla vostra parte e in qualche modo dovete pur intrattenere i vostri discepoli. Noi entriamo in scena dopo, quando la conoscenza moltiplica i dividendi. Io non sono nato amministratore unico. Se oggi sono alla testa di un colosso non è per virtù dello spirito santo, ma perché ho dimostrato di saper assolvere meglio di chiunque altro a tutte le mansioni che ho ricoperto, e le assicuro che nella mia vita di cose ne ho fatte veramente tante. Quarant’anni fa mi avrebbe trovato al piano terra. Le dirò una cosa che forse non immagina. Se un amministratore unico, intendo qualsiasi amministratore unico, è orgoglioso di sé stesso, come è naturale che sia, non è per il posto che occupa, bensì per tutti quelli che ha ricoperto in precedenza. Sa perché sono seduto su questa sedia adesso? Per una ragione molto semplice: qui dentro nessuno meglio di me conosce i tempi del denaro.
Senza volerlo, l’amministratore unico finisce per peccare di modestia. In realtà, del denaro conosce tutto, vita morte e miracoli.
- Prematuro – conclude infine, chiudendo il fascicolo con un movimento brusco, e col fascicolo anche la conversazione, dopo aver portato l’interlocutore ancora per un po’ a zonzo tra i larghi viali alberati del proprio ego.
Che pallone gonfiato!
Il pensiero balena nella mente dell’ingegnere, probabilmente per naturale riflesso al panorama offerto da quei viali.
Proprio un pallone gonfiato
.
Queste parole le ripete tra sé, ma è come se le pronunciasse ad alta voce, poiché proprio in quel momento accade un evento per definire il quale bisogna far ricorso a un vocabolo che non si vorrebbe mai usare - e in un romanzo meno che mai -, e cioè inspiegabile.
La testa del dirigente massimo, che fino ad ora è sembrata una comunissima testa, seppur di dimensioni considerevoli, unita al busto attraverso un collo che per struttura e morfologia si sarebbe potuto definire taurino, si trasforma in qualcosa di simile a un missile sulla rampa di lancio al quale sono stati accesi i motori. L’ingegnere vede chiaramente l’onda infuocata risalire, gonfiare le vene del collo e arrivare fino alla fronte, prima di esplodere in un boato:
- Ma come osa?! Viaaa! Vada viaaa! – seguito da un pugno sul tavolo che somiglia all’epicentro di un sisma destinato a propagarsi per l’intero edificio.
Mistero di cervello di scienziato – ben più impenetrabile dei fatti su cui si è votato a far luce –, lì per lì l’ingegnere non pensa quale possa essere il motivo scatenante quel subitaneo scatto di furore. La sola cosa che affiora nella sua mente, mentre istintivamente indietreggia verso l’uscita, è che la scrivania possa nascondere una speciale cassa di risonanza o analogo marchingegno segreto in grado di amplificare a dismisura quella voce.
Solo un attimo dopo, ritornando alla realtà, è sfiorato dal dubbio che, pur senza volerlo, quelle parole obiettivamente lesive della reputazione dell’amministratore delegato le abbia pronunciate ad alta voce. L’amministratore, tuttavia, non sembra nella disposizione migliore per un eventuale chiarimento. Continua a inveire nei suoi confronti, intimandogli di non farsi più vedere, e intanto gli punta contro un indice minaccioso, dal quale sembra possano sprigionarsi fulmini e saette.
Una segretaria è seduta in anticamera. Vedendolo uscire, solleva su di lui il rassicurante sguardo di un barometro. Niente di preoccupante, sembra dire, ordinaria amministrazione. Passandole davanti, Carità non può fare a meno di osservarla una seconda volta. Ha avuto la sensazione che le sue labbra, scolpite in un’espressione annoiata, abbiano pronunciato una breve ma significativa frase:
- È uno stronzo.
2.
Una moglie e un cane attendono a casa l’ingegnere. La voce di lei lo accoglie fiduciosa non appena sente la porta che si apre:
- Com’è andata?
Ancor più calorosa è l’accoglienza del cane, che esprime nel suo solito modo, lanciandoglisi cioè tra le braccia, la felicità di riavere tra le mura domestiche anche il suo secondo padrone.
- Malissimo – risponde lui, togliendosi la giacca dopo aver arginato le effusioni dell’animale.
Avanza poi nel soggiorno, e si lascia cadere sul divano, subito raggiunto dal cane.
- Che significa malissimo? – chiede poco dopo la donna, comparendo sulla soglia della cucina con un coltello in una mano e un cavolfiore nell’altra.
- Significa che è sfumato il progetto e che sono stato pure cacciato dalla compagnia, cacciato in malo modo, direi.
- Ma cosa è successo? – e la donna si siede nel divano di fronte –. Hai parlato con l’amministratore?
Cosa è successo lui non lo ha ancora capito, e quindi non può spiegarlo. Sente ancora l’urlo del capo rimbombargli nella mente.
- Sì, ci ho parlato, aveva appena finito di dire che secondo lui il progetto era prematuro, ma questo si era già capito fin da subito, e poi all’improvviso è andato su tutte le furie e mi ha cacciato.
Detto ciò, l’ingegnere si ferma un attimo. Riporta indietro il film del ricordo per lasciarlo scorrere una seconda volta.
- Gli hai detto che era un pallone gonfiato?! – esclama incredula la moglie.
- Cosa?
- Lo hai chiamato pallone gonfiato, l’hai appena ripetuto.
- Io non ho ripetuto niente. L’ho solo pensato. È proprio un pallone gonfiato, ho pensato.
- A me è sembrato che parlassi – mormora la donna, immobile in una posizione che ricorda la statua della giustizia, o piuttosto una sua parodia, considerati gli oggetti poco consoni che tiene in mano.
L’uomo si ferma perplesso.
- In che senso è successo qualcosa di simile? – chiede lei dopo qualche secondo, come se seguisse il ragionamento del coniuge, ma subito tace, realizzando che lui effettivamente non ha aperto bocca.
A questo punto il marito se ne esce con una frase che, seppur sia capitato a tutti di pronunciare almeno una volta nella vita, possiamo escludere sia mai stata usata nel suo significato letterale, poiché in quest’ultimo caso ne sarebbe sicuramente rimasta memoria negli annali del paranormale. Dice il marito:
- Ma stai leggendo nei miei pensieri?
Finalmente lei posa coltello e cavolfiore, e, fissandolo, mormora una domanda che contiene l’implicita risposta affermativa:
- Ma com’è possibile una cosa del genere?
- Non ci posso credere... – ripete per un po’ l’uomo. E nemmeno lei ci può credere.
- Dev’essere la stessa cosa che è successa oggi – esclama lui di colpo –. Mentre parlavo col capo ho proprio pensato che pallone gonfiato! Mi è pure venuto il dubbio di averlo detto ad alta voce senza rendermene conto. Invece no... anche lui… ha visto nella mia mente...
Un evento di questo tipo, o anche meno imprevedibile, avrebbe il potere di gettare nel panico ogni persona comune, ma i coniugi Carità persone comuni non sono. Se il marito, come riferito, è uno scienziato di prim’ordine, la moglie non è da meno. Nonostante la giovane età, ha al suo attivo numerose e apprezzate pubblicazioni ed è titolare della cattedra di psichiatria generale presso l’università della capitale.
Abituati ad occuparsi del mondo – quel