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Beatrice
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Ebook256 pages3 hours

Beatrice

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About this ebook

Massimiliano si ritira in una tranquilla località del nord Italia dove aveva trascorso le estati dell'infanzia per prepararsi al meglio agli imminenti esami di maturità.

Avrà modo di rilassarsi e studiare in tutta tranquillità, nonchè di ritrovare persone che facevano parte di un passato che inizierà a riaffiorare, tra incombenze domestiche e un nuova, sconvolgente conoscenza.

Una storia che ci riporta agli anni ottanta, a tratti anche più indietro.

Per ricordarci come eravamo prima del cellulare e del tablet...

prima dell'iphone, prima di internet...

Per ricordare alla mia generazione come eravamo...

ai nostri genitori come erano i loro figli...

ai miei figli come eravamo noi...

Ho cercato di raccontare una storia nella quale i personaggi si liberano delle catene... senza farsi impacchettare da una trama ma prendano una loro strada...ovunque essa porti.

Non spetta a me giudicare.
LanguageItaliano
Release dateSep 13, 2015
ISBN9786050415896
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    Beatrice - Massimo Tolotti

    disparati.

    Massimiliano

    La temperatura, attorno ai venticinque, gradi era piacevole e si stava che era una bellezza, anche se la sera rinfrescava molto e la notte ci voleva la coperta. Quelle non mancavano, le aveva notate prima, quando aveva portato la sua roba in camera, curiosando nell'armadio. Vecchie coperte color nocciola, con tre strisce bianche da un lato e dall'altro, per non sbagliare verso, pregne dell'odore pungente della naftalina. Gli davano la sensazione che con un paio di quelle avrebbe tranquillamente resistito in un bivacco invernale a Tuktoyaktuk in mutande.

    Tornato in casa sistemò il contenuto del bagaglio. Mutande e calzini di ricambio, pantaloni lunghi e corti, magliette con scritte varie, del tipo hard rock cafè London, un giubbotto di jeans, scarpe da ginnastica e espadrillas nere rigorosamente sfilacciate. Portafoglio con centomila lire perché non si sa mai. Centomila lire, un patrimonio... da spendere dove poi non si sa... ma non si sa mai.

    Guardò malinconicamente lo zainetto sul letto, quello con i libri di scuola, il motivo reale del suo volontario isolamento. Era li per preparare gli esami di maturità, lontano da troppe distrazioni. Sicuramente un posto migliore non lo poteva trovare. Certamente, un bel piccolo borgo disperso nei boschi e per giunta a piedi... A piedi.

    Era poco più di un quarto d'ora che il vecchio se ne era andato e già iniziava a farsi strada il senso di vuoto del distacco. L'euforia iniziale aveva lasciato il posto a un velo di malinconia. Pensò al padre che sarebbe rientrato ormai all'ora di cena. Lui e mamma avrebbero cenato davanti a qualche quiz televisivo tifando per uno o per l'altro concorrente. Poi il telegiornale con fatti e soprattutto miserie ogni giorno, politici e provvedimenti sempre sbagliati da commentare con disappunto. Una boccata d'aria sul poggiolo per godersi la frescura e poi in sala davanti a qualche sceneggiato della Rai. Una famiglia normale, come tante. La triste fine di ogni ideale ed ambizione della gioventù, il capolinea degli ideali. Se non arrivi lì ti è andata peggio.

    Forse è ora di mettersi a fare qualcosa, ma con calma, non forziamo gli eventi, meglio iniziare ad ambientarsi e prendere confidenza con il nuovo habitat, pensò. Entrò in cucina inciampando in una piastrella malferma.

    Dopo essersi preparato un panino col salame accompagnato da una birra, seduto sul cassettone pieno di legna iniziò a contemplare il suo nuovo mondo, con il brusio della vita di campagna in sottofondo.

    Perso nei suoi pensieri, non si accorse che dalla strada dietro alle sbarre alle quali era appoggiato stava arrivando qualcuno.

    Ehi, allora qualcuno torna ogni tanto in questo posto dimenticato dal mondo! La voce altisonante lo colse del tutto alla sprovvista.

    Balzò in aria per lo spavento, rovesciando una schiumata di birra sui pantaloni e girandosi di scatto per vedere chi aveva osato rendersi responsabile di tale spreco, pensando nel frattempo che, essendo stato svaccatamente appoggiato alle sbarre, un'amichevole pacca sulla spalla sarebbe stata molto peggio.

    Era la voce grossa e un po’ rauca di Giustino, un indigeno, ossia uno dei pochi nativi che vivevano lì tutto l'anno. Un uomo alto almeno uno e novanta, un’età che poteva andare dai trenta ai cinquanta. Pensò che lo aveva sempre visto così, lo ricordava sempre uguale nel corso degli anni, come se per lui il tempo non contasse niente o se il tempo si fosse scordato di lui. I lunghi capelli tra il biondo e il rossiccio, con dei baffoni che gli pendevano ai lati della faccia e un pizzetto anch'esso sufficientemente lungo. Sicuramente sopra il quintale, ma molti muscoli e poco grasso. Portava il classico abbigliamento che uno si aspetta in montagna... camicia di flanella a scacchi e righe nelle varie tonalità che vanno dal rosso al marrone, pantaloni di velluto nocciola a costa larga e scarponi di cuoio, quelli che pesano almeno mezzo chilo l'uno e che la gente di montagna cura con dedizione e rispetto, tenendoli sempre ben ingrassati col lardo o con la pelle di foca.

    Ciao Obelix! A momenti mi fai venire un colpo!

    Ciao Max! Come va la vita?

    Adesso che so di essere sopravvissuto, bene. A momenti mi prende un accidente

    E pensare che non ho nemmeno detto bau!

    Già.è che mi hai preso alla sprovvista, stavo assorto nei miei pensieri.

    Dove sono gli altri che li saluto, è un pezzo che non li vedo!

    Non c'è nessun altro, sono tutto solo... per stare alla larga dalle distrazioni, più silenzio, così riuscirò a concentrarmi meglio... almeno spero.

    Ah certo, non c'è dubbio... qui l'unico modo per distrarsi è prendere in mano una falce e segare il fieno, AAAhhh, Aahhh, Ahhh! Ma, a proposito, devi concentrarti per cosa? Mica sarai diventato uno di quelli che si tirano attorno una telara arancione e se ne stanno li tutto il giorno a blaterare come ebeti... . Giustino era già riuscito a scatenare l'ilarità di Max.

    Ah! Ah! Ah! Ma no, per carità, non credo di essere il tipo che si ritira in meditazione perpetua, non sono così spirituale... magari spiritoso, piuttosto. No, sono qui per studiare, tra una decina di giorni ho gli esami..

    Giustino rise di nuovo alla battuta, per poi assumere un atteggiamento più serio e rispettoso per gli esami, annuendo. Un ragazzo serio e responsabile. La sua risata roca e allo stesso tempo rubiconda aveva aperto una scatola, dalla quale usciva uno stormo di farfalle colorate che sulle ali avevano scritto RICORDI in caratteri tenui e sbiaditi ma che gli davano nel contempo l'impressione di materializzarsi reali e concreti col semplice sforzo di un battito di ciglia.

    E bravo il ragazzo disse poi, battendogli l'enorme mano su una spalla.

    Già... be, senti, ti posso offrire qualcosa? Ti metto su un caffè...

    No grazie a quest'ora il caffè non lo prendo mai. Ti ringrazio, ma devo scappare, ho ancora delle cose da fare. Passa a trovarmi quando vuoi, sai dove sono. Ciao, ci vediamo, e in bocca al lupo per i tuoi studi!.

    Crepi il lupo! Ciao Giustino, ci vediamo.

    Gran brava persona, pensò. E che razza di idiota che sei, pensò ancora, magari un bicchiere di vino lo avrebbe preso volentieri...Chissà se di sotto c'è qualcosa. Già, ma ormai se né andato.

    Max si accese una MS e si gustò il momento. Dopo aver piantato la sua bandiera al campo base, stava concretizzando la sua prima conquista: fumarsi una sigaretta in casa, in santa pace.

    Giustino

    Giustino era una persona schiva, introversa, per taluni un misogino.

    Di lui si sapeva poco perché, così dicevano le chiacchere, se ne era andato via da giovane dopo una delusione d'amore.

    Era stato respinto da una ragazza alla quale faceva il filo da un bel pezzo, fin dai tempi della scuola. Era la più bella di tutte e lei lo sapeva, perlomeno ne era convinta. Era una cosa scontata. I riccioli d'oro le scendevano sinuosi sulle spalle ed il suo sorriso era fin troppo accattivante sotto l'ombrellino bianco che la riparava dal sole, stretta nel suo vestitino immacolato.

    Si chiamava Rosa.

    Lei lo aveva incoraggiato, gli aveva anche fatto capire di sentirsi attratta da lui, con sguardi accattivanti da sopra la spalla tra i banchi di scuola, spingendolo a compiere azioni al limite dell'incoscienza fuori dalla scuola, perché lui le desse una dimostrazione del suo valore. Come quella volta che lo mandò a raccogliere un fiore per lei.

    Se sei veramente un cavaliere valoroso Devi dimostrarmi il tuo valore. Devi cogliere quel fiore per me! gli aveva detto con quel suo tono sempre ed irrimediabilmente spocchioso da puzza sotto il naso cronica (la gente si chiedeva come aveva potuto un tipo come lui, che avrebbe potuto averne a vagonate di ragazze, impelagarsi con una gattamorta come quella).

    Nessun problema, per te questo e altro. Lo sai che per te farei qualsiasi cosa!

    Eccome se lo so!

    Che c'è di particolarmente difficoltoso nel raccogliere un fiore? Niente. A meno che questo non sporga sul bordo di un precipizio di oltre duecento metri, al termine di un prato fradicio poco dopo un violento acquazzone estivo. Ma per il nostro prode cavaliere non c'era nessun problema, per te questo e altro, compreso andarsene all'inferno. Così iniziò a strisciare per il pendio erboso, piedi in avanti e mani appoggiate a terra, col sedere appena sollevato anche se era già fradicio per via dell'erba che gli strusciava contro. Impossibile rimanere in piedi, ci aveva già provato ed era scivolato, dovendosi aggrappare a dei ciuffi s'erba per fermarsi. Arrivato a ridosso del fiore e quindi dell'orlo del precipizio, puntò i talloni nel terreno in modo da potersi sporgere con un braccio per raccoglierlo quando il terreno sotto i suoi piedi franò. Giustino scartò immediatamente su un lato trovandosi a pancia all'ingiù, le gambe nel vuoto fino all'altezza del bacino. Con la sinistra era aggrappato ad un ciuffo d'erba, con la destra, per sua fortuna, era riuscito ad artigliare degli sterpi con le radici abbastanza profonde, sufficientemente profonde da salvargli la vita. La zolla che teneva nella sinistra infatti si staccò e il ciuffo d'erba gli rimase in mano. Sforzando con la destra riuscì a togliere le gambe dal vuoto ed issarsi sul pendio.

    Una volta al sicuro emise un soffio di sollievo, mentre si passava la fronte col palmo della mano per distogliere i capelli sudati che vi si erano appiccicati. Oltre a quello non un grido, non un gemito, niente. Solo determinazione a salvarsi la pelle.

    Rosa era rimasta ad osservare la scena impietrita con una mano sulla bocca. Quando Giustino arrivò da lei sudicio, bagnato ed ansante, l'unica cosa che riuscì a dirgli fu:

    Non mi hai neanche preso il Mio fiore!

    Mentre lo diceva era già di spalle e camminava col passo lungo della dama offesa e il naso all'insù, col suo bell'ombrellino per riparare la sua pelle delicata dal sole.

    Finché un giorno...

    Quel giorno di qualche anno dopo, la sera per la precisione, lui si presentò da lei, un baldo diciassettenne tutto tirato a lucido e agghindato a festa, con un bel mazzo di fiori di campo freschi, appena colti, gli occhi lucidi per l'emozione. Qualsiasi ragazza si sarebbe sciolta a quella visione. Bussò alla porta timoroso, preparando nella sua mente le frasi che avrebbe dovuto dire se ad aprire fosse stata la madre oppure il padre, o il maggiordomo, o il cane.

    Fu lei stessa ad aprire.

    Giustino rimase un attimo paralizzato dall'emozione, non era preparato ad un impatto così immediato, non aveva contemplato nemmeno lontanamente l'ipotesi che venisse lei stessa ad aprire la porta, le dee si fanno attendere, non si occupano di certe faccende.

    Non era come era abituato a vederla di solito, tutta tirata a puntino. Vestita in modo informale, senza trucco e con i capelli legati in un'approssimativa coda di cavallo aveva un aspetto tutt'altro che divino ma a lui non importava.

    Cercò di schiarirsi la voce e celare il suo imbarazzo :B...buonasera Io...

    Ah, sei tu... disse Rosa come lo vide, con malcelata sufficienza. Che c'è? E' scappato il cane un'altra volta? Se è così dì pure a quegli zotici che noi...

    Tobia, un grosso meticcio, un incrocio tra un somaro e il basilisco che leggenda vuole abitasse la rocca del bastione che sovrasta il paese di Tigne da tempi remoti, era sempre lasciato libero di andare e venire quando e come voleva. Se ci fosse un minimo di verità nel vecchio detto che spesso il cane somiglia al padrone, in questo caso non vi era verità più lampante. Antipatico, strafottente, altezzoso, aggressivo, cattivo... in una sola parola pericoloso. Il passatempo preferito durante le sue scorribande notturne erano i pollai, nei quali s’introduceva dopo aver divelto le reti di protezione o passandoci sotto, facendo scempio di galline. Nelle ore diurne prediligeva aiuole e vasi di fiori e ogni tanto non disdegnava mordere qualcuno. Naturalmente diverse persone avevano presentato le proprie rimostranze, venendo ogni volta liquidate con un rassicurante Non si preoccupi, non succederà più, ci penso io. Mai sentito nemmeno un Mi dispiace. Qualcuno in un paio di circostanze aveva perso le staffe e gli aveva tirato con un fucile da caccia a pallini, senza mai colpirlo. Tutti sapevano che se avessero voluto tirarlo giù dalle spese lo avrebbero centrato, i cacciatori della zona erano considerati non a torto dei cecchini, ma tutto sommato e per buona sorte del cane, cecchini di buon cuore. Sparavano colpi di avvertimento nella speranza di spaventarlo al punto che ci ripensasse due volte prima di tornare, ma invano. E' difficile spaventare il demonio, sostenevano alcuni. Impossibile mungere una zucca scambiandola per una mucca, sostenevano i più.

    No, io veramente volevo...

    Che volevi? gli rispose lei bruscamente. Iniziò a notare certi aspetti sfuggitigli in precedenza, come ad esempio che le dee possono non essere quello che sembrano. Non un apprezzamento sul vestito o per i fiori.

    Volevo solo darti questi e... gli porse il mazzo di fiori

    E cosa? Gli ha strappati il cane?

    No, io li ho colti perché pensavo che...

    Pensavi che cosa? Continuò a notare altri aspetti poco piacevoli della dea, come ad esempio che con i capelli per aria e senza trucco non era poi un granché. C'era anche un accenno di doppio mento che a diciassette anni ancora da compiere non si può certo definire ' quel tocco in più' per chi si auspica un futuro da modella. Lui non lo aveva mai notato, evidentemente riusciva a nasconderlo bene ma forse, più probabilmente, era troppo acciecato per vederlo. Il trono della dea in terra iniziava comunque a scricchiolare.

    Pensavo ti facesse piacere ricevere dei fiori e... la sua frase fu interrotta dalle risate di lei.

    AhAhAh! Pensavi che?! quasi strillava. Lui sussurrava, incredulo e col volto paonazzo

    ...credo sia ora di andare.... Le porse il mazzo di fiori e si allontanò a testa bassa, come si sentisse responsabile di tanta becera stupidità.

    Ah, Giusty, un'ultima cosa... lo chiamava sempre così, con quel vezzeggiativo, come chiamava Toby il cane.

    Giustino si fermò e si girò lentamente verso di lei, scorgendo la sua sagoma nella luce incerta che usciva dall'atrio dell'abitazione. Ora era solamente un'ombra oscura. In quel momento fu come travolto da una sensazione fortissima, definitiva. Ebbe la certezza che quella era la prima volta che la vedeva. La prima volta che la vedeva veramente com'era. Un'ombra oscura come la sua anima.

    Si?

    Se vedi il mio Toby portamelo qui! Il suo tono era perentorio come sempre. Lei riusciva solo a dare ordini.

    Va bene. le ripose in tono piatto. Sapeva benissimo che aveva gettato il mazzo di fiori: poteva illudersi che lo tenesse in grembo nascosto dall'ombra, rendendo così impossibile vederlo, ma non era così. Lo aveva gettato via come tutte le sue illusioni. Ne aveva percepito il fruscio nell'aria appena si era voltato.

    * * *

    Un paio di mesi dopo Toby ricomparve in tutto il suo splendore. Il bastardo appeso a testa in giù con vermi grossi come dita che gli rodevano ciò che restava delle interiora, le orbite vuote degli occhi che fissavano cose che non avevano mai capito nemmeno quando era in vita come il cielo, la coda smunta che sembrava appartenere ad una mostruosa pantegana, le fauci aperte in una grottesca smorfia di morte. La povera bestia ormai abbaiava all'inferno da un bel pezzo. Uno scarafaggio uscì da una delle narici, satollo.

    Era appeso per la coda al cancello di Rosa.

    La quale, già estremamente provata dalla sua scomparsa, ne fece una tragedia biblica piangendo per giorni, settimane, compatita più o meno da tutti, specialmente dall'entourage del suo facoltoso padre, che per consolarla aveva provveduto immediatamente a farle avere due cuccioli di razza nuovi di zecca. Poverina, è così affranta, bisogna capirla, il suo cagnolino...

    I più sobri e giudiziosi, che venivano pure etichettati come malelingue, faticavano a non sorprendersi al ricordo della sua povera madre, morta meno di due anni prima di un tremendo male che l'aveva costretta all'immobilità negli ultimi anni della sua giovane vita, divorata dai dolori e dalle cancrene. Quando morì di lei era rimasto ben poco, trentacinque chili di pelle e ossa, ma nessuno ricordava di aver visto una sola lacrima sul volto della figlia. Né durante né

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