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La Formula di Rene Caisse: Un rimedio per difendersi dal cancro e dalle malattie degenerative
La Formula di Rene Caisse: Un rimedio per difendersi dal cancro e dalle malattie degenerative
La Formula di Rene Caisse: Un rimedio per difendersi dal cancro e dalle malattie degenerative
Ebook128 pages56 minutes

La Formula di Rene Caisse: Un rimedio per difendersi dal cancro e dalle malattie degenerative

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About this ebook

In questa nuova edizione rivista e ampliata, la storia di una tisana di erbe degli indiani d’America che ha guarito migliaia di persone dal cancro raccontata dal primo italiano che ne ha tratto beneficio.
Lo scopo di questo libro è aiutare le persone cui vengono diagnosticati un cancro o una malattia degenerativa a trovare la luce in fondo al tunnel nel quale sembra loro di essere finiti.
Alla storia di un rimedio erboristico queste pagine affiancano informazioni su altri metodi e sui diritti dei malati, e consigli per affrontare una tappa difficile della propria vita diventando protagonisti della guarigione e non semplici comparse.
LanguageItaliano
Release dateFeb 8, 2016
ISBN9788863653366
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    Book preview

    La Formula di Rene Caisse - Ludovico Guarneri

    Margherita

    PREFAZIONE di Carla perotti

    Sentii subito che erano destinate a me, queste erbe, fin dalla prima sera in cui le sorbii.

    Mi scivolarono dentro il corpo risvegliando le note della guarigione, portando luce nei luoghi oscuri della malattia. Non si trattò di una vicenda suggestiva, ma di una reale e immediata acquisizione di forze, come se mi fossi messa in contatto con l’archetipo della Terra e la Natura stessa mi invitasse a vivere.

    Per questo, il giorno successivo, volli cercare nell’aroma di vecchi libri i ritratti delle madri di queste erbe o fiori, alberi o arbusti cresciuti in luoghi vicini e lontani, così amati dalle terre del mio chakra radice. Da quando mi curo con i loro umori felici, poso accanto a me la prima delle tre tazze fumanti della serenità ancora prima di prendere posto sul mio cuscino quadrato, quando l’alba è appena nata dall’occhio della notte.

    Altre volte mi accade di visualizzare un campo, di vedere la terra nell’ora in cui l’impeto della luce risveglia le qualità generose dell’olmo rosso, e ascolto il bell’albero raccontare la propria storia. Ogni elemento di questo paesaggio mi porta in dono la propria voce, la propria promessa, anche gli elfi che compaiono fra piantaggine e trifoglio cresciuti nel tumulto dei lavori estivi mi vengono incontro con riverberi di sole.

    Altre volte è la bardana a parlarmi di mare e di delfini, a versare le sue memorie preziose nella tempesta insidiosa della malattia. Allora vedo placarsi il mare del disagio mentre le onde del linfoma piano piano arretrano verso la battigia e il rumore del mare si fa più sottile. Raccolgo le prime conchiglie e decifro nella loro spirale l’andamento stesso della vita, dall’universo al DNA, dalla galassia alle piante, messaggi di un’armonia che sta ricomponendosi per raccogliersi al centro del mio essere.

    La Natura parla un messaggio che non uccide, che medica, ed è una lingua dolcissima. Si può guarire, lo sento, quando il nostro ascolto si fa così sottile e queste erbe crescono nel nostro stesso cuore, perché non vi è più separazione.

    Dovevo soltanto fermarmi, ascoltare e rendermi disponibile alla sacralità della Natura. Una passeggiata dove cresce l’acetosa, dove uno dei grandi spiriti soffia il suo respiro di primavera e la fragranza di ogni stelo disegna il verso di una poesia.

    Carla Perotti

    INTRODUZIONE

    Ogni giorno, domeniche e festività incluse, a circa 1000 persone in Italia viene diagnosticato un cancro. Significa 360 mila all’anno. Nell’arco di 60 anni si ammalano di cancro 22 milioni di italiani. La popolazione ammonta a circa 66 milioni di individui, dunque una persona su tre, nell’arco di una vita, avrà una diagnosi di cancro. Molte di queste sono meno gravi di altre, allo stato iniziale o facilmente operabili oppure semplici basaliomi cutanei, o ancora tumori individuati precocemente grazie a circostanze fortuite o a controlli effettuati con strumenti diagnostici sempre più sofisticati.

    Resta il numero altissimo di 360 mila casi. Sono numeri degni di un’epidemia. Il cancro uccide in Italia 150 mila persone all’anno.

    Il costo per la società è altissimo, decine di miliardi in cure, operazioni, radioterapie e chemioterapie dispendiosissime. Gli esami radiologici si aggirano spesso oltre i mille euro e per singole applicazioni di farmaci, come gli anticorpi monoclonali, la Sanità pubblica spende fino a 3 o 4 mila euro.

    Nonostante questi dati allarmanti, ufficiali, di cancro si parla poco. Troppo poco.

    I fondi stanziati dallo Stato per la ricerca di una cura sono ridicoli se confrontati al costo sociale della malattia.

    Per aiutare la ricerca viene chiesto a noi cittadini di fare l’elemosina, comprare le azalee, i ciclamini, le uova di Pasqua contro il cancro. Dobbiamo sopperire con la nostra generosità a uno Stato carente di una politica che affidi la ricerca a organismi indipendenti senza fini di lucro come i (troppo pochi) centri di ricerca statali in Italia. In realtà la ricerca è quasi totalmente nelle mani delle case farmaceutiche che non hanno come statuto e ragione sociale la scoperta della cura ma il conseguimento del profitto.

    Nel frattempo la popolazione è poco e male informata. Trasmissioni televisive con spettacoli per la raccolta di fondi magnificano scoperte che esistono solo sulla carta e professori di fama internazionale (che nessuno conosce fuori dai nostri confini) ci promettono che siamo a un passo dalla cura.

    In questi vent’anni dal giorno in cui ricevetti la diagnosi ho ascoltato tutti questi annunci trionfali cui è seguito ben poco di concretamente applicabile.

    Nel maggio del 2015 è stato consegnato a Parigi il Léopold Griffuel, il premio più prestigioso in Europa per la ricerca sul cancro. Il vincitore è un ematologo umbro quasi sconosciuto al grande pubblico: il professor Brunangelo Falini.

    A parte i giornali locali, pochissimi quotidiani o telegiornali nazionali hanno dato spazio alla notizia che invece ha fatto scalpore nel mondo scientifico internazionale.

    «Il riconoscimento è legato alla scoperta di due lesioni genetiche, due mutazioni che sono la causa della leucemia acuta mieloide e della leucemia a cellule capellute», ha spiegato il professor Falini indicando le motivazioni che gli hanno consentito di ottenere il prestigioso premio. L’importanza di questa ricerca di base, già tradotta in attività clinica, è mirata a migliorare la diagnosi e la terapia dei pazienti. Il premio in denaro, che ammonta a 150 mila euro, verrà in gran parte utilizzato (almeno 125 mila euro) per lo sviluppo di nuovi farmaci antileucemici e per individuare anche vecchi farmaci, che possono essere utilmente impiegati per il trattamento di particolari sottotipi di leucemie acute (Quotidiano Sanità, 12 maggio 2015).

    Non se ne è parlato per molte ragioni.

    La prima è che il professor Falini ha scoperto una lesione genetica e non la cura per il cancro, ed è difficile spiegare al grande pubblico che, visto che siamo a un passo dalla scoperta della cura, si dà il premio numero uno a chi ha trovato due o tre pezzi del complicatissimo puzzle che è la ricerca per la cura del cancro.

    La seconda è che il professor Falini per le sue ricerche ha utilizzato denaro proveniente da pubbliche donazioni all’AIRC (Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro), mentre non ha percepito quasi niente dallo Stato e niente dalle case farmaceutiche.

    La terza è che il professore è persona onesta e per niente trionfalista, cosa che dà fastidio ai suoi colleghi che amano mostrarsi in TV vantando successi straordinari basati su un’interpretazione ottimistica dei dati statistici.

    La quarta ragione è nascosta nelle parole individuare vecchi farmaci, quelli che non hanno più la patente che consente alle case farmaceutiche di venderli a prezzi esorbitanti al Servizio Sanitario Nazionale.

    Nel frattempo per le terapie complementari come l’omeopatia, la medicina tradizionale orientale, la fitoterapia, si continua a parlare con accento dispregiativo di effetto placebo.

    Il placebo contro il quale la scienza confronta le nuove medicine chimiche nelle sperimentazioni a doppio cieco, e contro il quale spesso queste risultano meno efficaci. Perché, mi domando, si dovrebbe disprezzare l’effetto placebo se molti pazienti ricavano ottimi risultati? Per tenere alto il nome di una scienza medica moderna che in realtà è ancora primitiva?

    Il cosiddetto effetto placebo funziona, ma ancora se ne ignora il perché.

    La Germania ha stanziato negli ultimi anni 5 milioni e 200 mila euro a un’équipe di medici dell’Uniklinik di Essen per studiare l’effetto placebo e il suo utilizzo negli spazi ospedalieri. I risultati sono sorprendenti e le scienze neurologiche si stanno sempre più orientando allo studio dell’interazione corpo-mente. Gli studi finanziati così lautamente hanno dimostrato che l’effetto placebo provocato da un medico attento ai sintomi e ai bisogni del paziente ha un’incidenza sulla buona riuscita di una terapia di almeno un 30% in più. Perfino

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