Il project financing come strumento di politica economica dell'ambiente
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L’autore analizza dal punto di vista storico e normativo il cammino dello sviluppo sostenibile a livello comunitario e nazionale e gli sviluppi teorici dell’economia dell’ambiente.
In particolare, si segnala la originalità dell’analisi dello strumento finanziario del Project Financing come possibile strumento di politica economica dell’ambiente, nelle sue potenzialità e nei suoi limiti.
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Il project financing come strumento di politica economica dell'ambiente - Emanuele Giuseppe Rizzello
SITOGRAFICI
INTRODUZIONE
Il Project Finance nell’economia dell’ambiente
Economia è un termine che deriva dal greco, composto da due parole: oikos (casa) e nomos (norma), inteso quindi come regole della casa, gestione del patrimonio. Economia, è quella scienza che va ad analizzare la produzione, lo scambio, la distribuzione ed il consumo di beni e servizi presenti all’interno di un sistema.
Ambiente è un termine che deriva dal latino ambiens, participio presente del verbo ambire, che significa circondare, inteso quindi come ciò che sta intorno.
Entrambi i termini sono stati utilizzati nel corso dei secoli, in vari campi e in varie accezioni. L’economia può essere familiare, di un Paese, si può fare economia nel senso di attuare dei risparmi; l’ambiente è stato ed è usato nel campo della biologia, della matematica, dell’architettura, della sociologia, della politica, dell’informatica. Ma a partire dalla seconda metà del Novecento, economia e ambiente si sono trovati improvvisamente uno accanto all’altro, come mai era successo in precedenza: nasce l’economia dell’ambiente.
Negli anni Sessanta del Novecento vengono lanciati i primi segnali allarmanti riguardo la deturpazione ambientale, la distruzione della natura, e per forza di cose l’economia ha dovuto tendere la mano nei confronti di determinati argomenti. Nel corso degli anni sono maturate le varie teorie di politica economica dell’ambiente, è nata l’economia ambientale o ecologica con una visione opposta rispetto all’economia dell’ambiente, si sono analizzati i vari strumenti economici utilizzabili nel sistema ambientale; però ancora oggi, tutto è in fermentazione, e a molte domande non si trova risposta certa: qual è il peso reale dei danni provocati all’ambiente? Come tutelare la natura tramite gli strumenti che offre l’economia? Come passare dalla teoria alla pratica? Lo sviluppo sostenibile è veramente attuabile? Gli indicatori di benessere economico comprendono il livello di benessere ambientale?
Nel presente lavoro, dopo aver analizzato i punti suddetti, si considera una forma alternativa di azione e progettazione: il Project Finance (Finanza di Progetto), soffermandosi sulla sua applicabilità e sulle sue potenzialità come strumento di politica economica dell’ambiente.
Il Project Finance prevede il coinvolgimento di privati nella realizzazione, gestione e nell’accollo (parziale o totale) dei costi per la realizzazione di un’opera (pubblica o privata); solitamente, e soprattutto nel caso della realizzazione di grandi opere, è un finanziamento a lungo termine, con il ritorno di cassa per l’ente privato finanziatore rappresentato dagli introiti previsti dalla gestione temporanea dell’opera realizzata.
Nei primi due capitoli del lavoro, si analizza lo sviluppo negli anni dell’economia dell’ambiente e dell’economia ecologica, tra Scuola Classica e pensiero Neoclassico (primo capitolo) e la nascita e gli sviluppi del concetto di sviluppo sostenibile dalla seconda metà del Novecento ad oggi (secondo capitolo). Il terzo capitolo è dedicato agli strumenti di politica economica dell’ambiente -suddivisi in strumenti normativi, economici e volontari- e funge da tramite al quarto capitolo nel quale si effettua un’analisi profonda del Project Finance in tutte le sue sfaccettature, soprattutto nelle sue potenzialità di strumento di politica economica dell’ambiente. Per testimoniare l’utilità economico-ambientale della Finanza di Progetto, nell’ultimo capitolo si focalizza l’attenzione su un progetto che si è rivelato tra i più interessanti degli ultimi anni e tra i più grandi (per dimensioni e modalità) d’Europa: tramite il Project Finance, la Provincia di Firenze, ha istituito un bando pubblico per realizzare 12 centrali idroelettriche sulle briglie dell’Arno. Si stima che la grande opera pubblica avrà una ricaduta positiva sull’ambiente, sulla città e sulla popolazione stessa che potrà usufruire dei prodotti dell’opera sia energetici sia infrastrutturali previsti nel progetto esecutivo; infatti è previsto il ripristino delle pescaie del fiume, ma si punta anche al recupero delle sponde del fiume e agli spazi pubblici in generale.
L’economia dell’ambiente, le norme per gestire la casa, il patrimonio naturale
, è in continuo fermento.
1. L’ECONOMIA DELL’AMBIENTE
1.1 Origini e sviluppi
Nel secondo dopoguerra e soprattutto a partire dagli anni sessanta del Novecento, nella maggior parte dei paesi industrializzati, iniziano ad avvertirsi i primi sintomi dei danni procurati all’ambiente nel corso del tempo: effetto serra, abbattimento delle foreste, piogge acide, inquinamento atmosferico, fiumi e laghi sporcati dall’inquinamento dei mari, provocano gravi conseguenze specialmente nelle città-chiave dello sviluppo mondiale di allora (Londra, Tokyo, New York). Ma le tracce di inquinamento ambientale non comprendono in quegli anni solamente le città-chiave dello sviluppo industriale; infatti sempre all’inizio degli anni sessanta vengono ritrovati un orso e una balena, rispettivamente nel gelo dell’Antartide e in Groenlandia, infetti dal D.D.T. (para-diclorodifeniltricloroetano, un insetticida). L’aver rintracciato i due mammiferi nei due poli opposti del Mondo, rafforza la tesi della diffusione a scala globale del degrado ambientale e dei suoi effetti negativi{1}. La realtà muta continuamente, e in risposta ai primi importanti sintomi di sofferenza da parte della natura, si formano i cosiddetti movimenti ambientalisti, che diffondono informazioni tra la gente e la sensibilizzano riguardo il deturpamento dell’ambiente e i danni futuri connessi ad esso, e fanno pressione sugli amministratori, sugli industriali e, in generale, su chi detiene il potere, per cambiare rotta e virare verso determinate politiche ambientali. Gli allarmi e le pressioni a livello internazionale, in seguito ai poco confortanti messaggi che l’ambiente invia all’uomo, pongono seriamente degli interrogativi a cui non è possibile rispondere in maniera certa ed immediata: come ostacolare l’avanzata del deterioramento ambientale? Che politiche bisogna attuare? Con quali mezzi? Quali scenari futuri si presenteranno a livello globale? Qual è la differenza tra crescita e sviluppo? Sono due concetti che possono prescindere l’uno dall’altro oppure no?
L’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite), sente la necessità di deliberare diversi interventi in materia di tutela ambientale, e nel presente lavoro verranno illustrati successivamente, ma nel 1972 viene pubblicato un rapporto che contribuisce a far avvertire in maniera seria la questione del degrado ambientale a livello internazionale: The Limits to Growth (I limiti dello sviluppo), un rapporto commissionato al Massachusetts Institute of Technology (MIT) con autori D.L. Meadows, D.H. Meadows, J. Randers e W.W. Behrens III. Il rapporto mette in relazione cinque variabili a livello mondiale: produzione industriale, produzione alimentare, risorse naturali, popolazione, inquinamento, e di esse ne illustra i trend futuri. Le previsioni sono risultate allarmistiche, in quanto ipotizzando una crescita esponenziale di tutte le variabili prese in considerazione, il Rapporto prevedeva la fine di disponibilità delle risorse entro il XXI secolo e dunque una vera e propria catastrofe. Il rapporto I limiti dello sviluppo
, che proponeva come antidoto alla fine delle risorse disponibili la crescita zero (stazionarietà economica), ha avuto le colpe di allarmare -col senno di poi- eccessivamente gli addetti ai lavori, ma d’altra parte è riuscito a inserire al centro delle attenzioni a livello internazionale il tema della tutela ambientale.
Nel 1973 scoppia la crisi petrolifera internazionale, e proprio a partire da quel momento si fanno i conti con l’effettiva limitatezza delle risorse, che il Rapporto del 1972, enfatizza in maniera allarmistica, ma ha il merito di aver scosso e messo in allerta i settori di competenza.
Però, prima di giungere alla seconda metà del Novecento, bisogna inquadrare il tutto in uno scenario che è andato sviluppandosi fin dal Settecento, a livello di teoria economica, da quando ci si approccia ad analizzare l’influenza del commercio sull’economia dei Paesi{2}.
Nel diciottesimo secolo, prende corpo in Francia una nuova teoria, i cui esponenti sono chiamati fisiocratici
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