Amsterdam ti soffia fumo negli occhi
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Amsterdam ti soffia fumo negli occhi - Ottaviano Naldi
tenebra
Amsterdam
Giro la chiave nella toppa della serratura. Lei mi prende in braccio come se fossi una sposa e varchiamo la soglia dell’appartamento al 19 di Jan SteenStraat, Amsterdam. Abbagliate dal biancore delle pareti socchiudiamo gli occhi, travolte da un bacio passionale. Ci sovvengono le raccomandazioni dell’amico di Emanuela, che gentilmente ci ha prestato il suo rifugio, la nostra luna di miele deve attendere ancora qualche minuto per inzuccherarci la pelle; ci togliamo le scarpe nel corridoio per non inzaccherare il lindo parquet laminato in rovere. Cucina e sala da pranzo sono un enorme ambiente, dove impera il caminetto. La parete a sud è animata dal sordo vocio di strada e dai passanti frettolosi che scivolano davanti alla vetrata, come su di uno schermo. Inauguro l’ampio bagno e già mi manca il bidet. Punzecchio Emanuela, spaparanzata sul divano di pelle bianca, a disfare le valigie. Riponiamo nell’armadio maglioni di lana, pantaloni di pelle da motociclisti, succinti vestitini da sera, calzettoni e collant. Non la smetto di manifestare il mio entusiasmo per la ricerca di materiale filosofico che servirà a preparare la tesi, ed Emanuela insinua le mani sotto il mio camicione di felpa. Il mio parlare davanti allo specchio si trasforma in sospiri. Emanuela mi attira sul letto adorno di rosse lenzuola di raso, come le tendine legate alle quattro colonne agli angoli del letto. Inseguo a cavallo il sole che fugge via, sulla pelle color latte della mia lei. Sazia d’amore Emanuela è rapita da un sonno profondo e io me ne sto assisa sul trono del romanticismo a indugiare con lo sguardo sulle sue forme aggraziate. Il frigorifero è un bianco, solitario iceberg, guardo l’orologio, a quest’ora i negozi di certo sono chiusi.
– Jasmine, amore ho fame – biascica Manu fra qualche sbadiglio, appoggiata allo stipite della porta, mentre si stira, con le mani, le pieghe del cuscino sul viso.
– Ti offro la cena ragazza del nuovo millennio, su vai a prepararti – la incito, mentre tiro su la lampo ai pantaloni in pelle, antipioggerellina insistente prenatalizia.
La situazione meteorologica stabile, di questa notte, non è particolarmente invitante ad accoglierci all’aperto, ma là fuori c’è una città che pulsa, la trasgressiva Amsterdam ci attende. Un basco di pelle nera per la mia testa rasata e uno uguale, a raccogliere i biondi capelli di Emanuela, che appena varcato l’uscio si proietta verso un coffee-shop. In Rembrandt Plein ci perdiamo tra la gente che popola la notte, fra questa mescolanza di razze, la mia pelle scura di mulatta, non attira attenzione; inizio a sentirmi a mio agio, molto di più che nella piccola città italiana in cui vivo. Emanuela e io camminiamo fianco a fianco, come due amiche. Un’insegna luminosa, dalle tinte rosse e blu con due palme verdi al neon, attira la nostra attenzione. La porte d’or
. Una zaffata di fumo d’oriente ci addolcisce le narici. Carpiamo due posti nell’unico tavolino vuoto. Cartine ben ordinate in apposito contenitore sostituiscono i tovagliolini di carta. Alla biondina tutta tette che viene a prendere la comanda, un po’ intimorite ordiniamo due birre e lei ci schiaffa davanti al naso un menù ricco di ogni tipo di hashish e di marijuana. Dopo varie indecisioni ordiniamo Sensimilia. La tettona insieme alla bustina ci porge una tessera e ci spiega che ogni dieci dosi, un bollino rosso su ognuna da applicare sulla tessera, si ha diritto a una fumata gratis. Ringraziamo ed Emanuela incomincia a rollare la prima canna in libertà. Apro la bustina e affondo il naso odorando il profumo di spezia magica. Emanuela mi passa lo spinello, inspiro a pieni polmoni, pochi minuti e sono già in un altro mondo. L’erba ci fa ridere di ogni nonnulla, i colori attorno si amplificano e una sana gioia s’instilla nell’animo. Ragazzi dietro al bancone, con il viso dietro enormi boccali di birra scura, ci osservano farfalloni, mi avvicino a Emanuela sorprendendola con un bacio sulle labbra. Sorprese dalla nostra temeraria espansività, scoppiamo a ridere. La nostra vita segreta al femminile in questo paese può uscire allo scoperto. Uno sguardo compiaciuto di Emanuela per il mio gesto audace. Secoli di inibizioni ataviche non ci permettono di comportarci con naturalezza, perciò muoviamo intorno gli occhi a cercare le reazioni della gente, che, ovviamente, non arrivano. Siamo libere, in un paese libero, dobbiamo prenderne coscienza, dobbiamo uscire dalla profondità del disorientamento sessuale in cui la nostra cultura ci ha sepolte. Siamo normali, non siamo affette da nessuna patologia, siamo soltanto lesbiche, persone sane come tutte le altre. Qui posso finalmente alleggerirmi della negativa nomea di omosessuale attribuitami e neppure Emanuela è più schiava delle malelingue, che la identificano come la ragazza che va a letto con tutti. Ci pare un sogno per noi provinciali poter dichiarare il nostro amore, sembra persino impossibile che sia permesso fumare droghe leggere in un bar, figuriamoci baciarsi fra donne. La mia donna ora pare meno evanescente, con quelle dolci sottili rughe di sorriso agli angoli della bocca, e quegli occhi verdi d’acqua marina abbandonano l’effimero da carta patinata, con crepe rosse, indicano i sentieri dello sballo che conducono alla psiche liberata. Fame plastica post fumata ci assale. Con un balzo siamo in un ristorante arabo, dove ci servono una pizza degna di tal nome. I miei occhi sfavillano d’amore per la mia ragazza, accarezzo con le dita il velluto delle sue mani. Dopo cena iniziamo ad accusare la stanchezza di un’intera giornata di viaggio. Optiamo per una partita a biliardo alla Porte D’or, un’ottima scusa per farci un joint ancora. Un forte colpo parte dalla stecca di Emanuela a penetrare il triangolo di palle illibate sul panno verde. Fumiamo, bestemmiamo e beviamo come due maschiacci. Dopo la terza partita ci appoggiamo pesantemente sulle stecche e ingessarle di blu sta diventando complicato, mentre la mira lascia alquanto a desiderare, è meglio smettere prima di strappare il panno. Evacuiamo dall’aria arcigna del locale. Una boccata d’aria fredda ci rimette in sesto dandoci la forza per attraversare un quartiere prima di raggiungere la nostra dimora. Ci abbandoniamo al tepore del nostro letto matrimoniale, abbracciate, ciascuna indaga sulle attese dell’altra per il Natale, e concordiamo di fare spese al sexy–shop. La gioia di dormire accanto a lei e sapere che sarà per un lungo tranquillo periodo, senza dover nascondersi dalla gente, mi dona sicurezza, chiudo gli occhi pensando che voglio sognare di noi, come due bambine che giocano nei prati. Gli ultimi rimasugli di sonno si sciacquano il viso nel cono di luce, che dalla finestra si allarga in una macchia che riempie il letto. L’attesa per l’escursione al sexy–shop m’invade i pensieri e appena desta mi sento già tutta bagnata. Studiamo la piantina della città, per arrivare al centro è opportuno rispolverare le due biciclette, ovviamente olandesi, parcheggiate nello sgabuzzino. L’ora di colazione è passata da un pezzo e l’ora di pranzo è ancora lontana, ma il pedalare, anche se ci ha riscaldato più del pallido sole, che gioca a nascondino con le spesse nuvole grigie, ci ha messo un certo appetito. Ci facciamo un hamburger con ketchup, patatine, birra e per digestivo continuiamo la cura con medicine preparate da moderni druidi fiamminghi. Gli olandesi sfrecciano accanto al nostro andare ciclistico incerto, di sensi fumati su piste ciclabili all’avanguardia, dotate di segnaletiche e semafori. Nel centro città pedonalizzato incateniamo i cavalli di ferro e prendiamo a muoverci tra frotte di gente che si riversa nelle vie commerciali per fare acquisti, domani è la vigilia di Natale e Amsterdam è vestita a festa con addobbi e lucine colorate. Le vetrine sono decorate e invitano allo shopping più sfrenato. Dopo qualche indecisione ci prendiamo per mano, non l’avevamo mai fatto di giorno, in pubblico, ci sentiamo come due adolescenti al primo amore, la mia ragazza e io, che passeggiamo tenendoci la mano non innocentemente. Su un ponte ci fermiamo, ci fissiamo negli occhi e senza parole scocca un bacio di lingua. Un sospiro di liberazione, finalmente abbiamo reso testimonianza d’amore, attesa che si protraeva sin dalla nostra prima visita a Venezia. Sul ponte dei Sospiri, ci fu permesso soltanto uno sguardo amaro, colmo d’invidia per gli innamorati etero, che si baciavano secondo l’antica tradizione, quella stessa tradizione la cui morale non permette a due donne di compiere quel gesto. Trepidanti entriamo in un sexy–shop, ma Emanuela tirandomi per un braccio mi riporta fuori.
– È il regalo di Natale, deve essere una sorpresa, facciamo gli acquisti separatamente – dice Manu rispettosa delle tradizioni e apre la porta del negozio.
– L’hai scritta la letterina di Babbo Natale? – enfatizzo io.
Emanuela mi sorride con un ah ah ah.
– Mi faccio un giro, tu scegli pure il mio cadeaux in tutta tranquillità – la informo su ogni mio spostamento.
– Piccola vai, su, tanto credo di conoscerli i tuoi gusti – replica Manu con i suoi doppi sensi.
Già fantastico sul contenuto degli stuzzicanti pacchetti che giungeranno dal cielo, su di una slitta trainata da renne, perché questa notte di Natale sia indimenticabile. Mi sistemo la sciarpa, do una moneta a un clochard e appiccico il naso alla vetrina dei dolciumi, arroto i denti sul mio chewingum senza zucchero, decido di concedermi una tregua dalle diete draconiane, un momento di indecisione ancora, rifletto: Altezza 1.72 peso 51 Kg sì, si può fare.
Faccio incetta di ogni forma zuccherina e me ne esco con un lecca lecca in bocca, rosso, a forma di cuore. Ai vetri delle finestre, appiccicati con ventose, alberi di Natale in carta colorata e scritte d’auguri. Un lustrascarpe attira la mia attenzione. Non ne ho mai visto uno e non avrei immaginato di poterne avere l’occasione, credevo che questa specie fosse estinta. Mi avvicino, osservo il suo lavoro. Con aria allegra m’invita a sedermi sull’alta sedia di vecchio legno tarlato e graffiato, appoggio il piede sulla pedana. I ruoli si sono invertiti, io la negra che si fa servire dall’uomo bianco e il solo fatto di essere servita da qualcuno mi fa soffrire, faccio per andarmene, mi sembra di stare a umiliarlo, ma lui insiste per completare il lavoro e battuta dopo battuta mi dice che non farei la figura che merito con una scarpa pulita e una sporca. Lucida, lucida e canticchia. Emanuela mi raggiunge, con il pacchetto nella borsa mi guarda provocante. È il mio turno. Sugli scaffali vibratori di ogni tipo, formato, colore; giocherello con uno che al tatto sembra di pelle vera. Bambole gonfiabili appese, grottesche, quasi quanto le vagine di plastica. Fruste e scudisci posti accanto a strani completi neri in lattice, rifiniti di catene e borchie. In un altro ripiano gel lubrificanti e preservativi all’ultimo grido, che a noi non servono, poi poco più in là scorgo qualcosa di particolare e la mia scelta è fatta. Un’occhiata alla stanza contigua destinata a riviste e videocassette porno. La mia mente si scioglie sotto la base dell’utero in un brodo caldo pornografico. Ho le mutandine talmente bagnate, la sensazione che ho è di essermi fatta la pipi addosso. Emanuela con le mani in tasca, piantata sull’altro lato della strada soffia un palloncino con il suo chewingum, gonfiandolo sino allo scoppio. Sculetto davanti a lei, esibendomi in un colpo d’anca speciale, nel girare attorno a un lampione, poi sfioro con la lingua le sue labbra sovraccariche di carminio.
– Il negozio dei giocattoli ti ha messo in fregola, a quanto vedo – mastica con espressione accondiscendente Manu.
Le cingo la vita e le infilo una mano nella tasca posteriore dei pantaloni, le palpeggio il culo mentre indirizzo il suo passo sapendo già dove portarla.
– Ti devo confessare Jasmine che anch’io mi sento inquieta fra le gambe – sussurra con voce calda la mia fidanzata.
Entriamo nel primo bar, senza staccare la presa da Emanuela ordino due birre e proseguiamo senza arrestarci davanti al bancone per rinchiuderci nel bagno delle signore. Lo sguardo perplesso di Emanuela si distende dopo due giri di chiave e le mie mani le sono dappertutto. Le succhio i turgidi capezzoli e scivolo con la lingua fino alla cintura, che slaccio freneticamente, i suoi pantaloni cadono sul pavimento sudicio, le libero una gamba, che incolla al coperchio della tazza, inginocchiata davanti alla mia statua di carne, mi riempio il naso dell’acre odore di miele, che si libera dai suoi riccioli biondi e setosi impregnati di desiderio. Le bacio la fichetta e con ferma convinzione in pochi minuti placo la sua sete di desiderio. Adesso è Emanuela che affonda le dita nel fiume languido della mia fessura e il clitoride è una nave potente, grande, dura, d’acciaio e motori che naviga nel piacere. Emanuela zittisce i miei altisonanti gemiti soffocandomi con la sua lingua serpentina. Il primo orgasmo mi investe di un desiderio ancora più sconvolgente, ma bussano insistentemente alla porta e siamo costrette a riabbottonarci i calzoni. Usciamo con ostentata nonchalance, ma ho l’impressione, che la donna di mezza età, dai capelli color pannocchia, ci lanci un’occhiata allusiva. Al bancone del bar ci aspettano due bionde ben schiumate; con il primo sorso deglutisco il sapore del polline del fiore della mia amante, mentre lei, con le gote imporporate d’orgasmo, si chiude gli ultimi bottoni della camicetta. Sistemiamo i giubbotti sugli alti sgabelli e ci sediamo sopra, rispettando l’usanza Amsterdammer. Ho la vaga sensazione che gli avventori ci squadrino con fare spionesco, intuite le lubriche espansioni della toilette, ma appena mi sono scolata la birra me ne infischio del mondo intero, e dono tutte le mie attenzioni alla mia compagna. Improvvisamente mi rattristo, Emanuela coglie la nota spessa di malinconia nel refrain che mi tormenta il pensiero.
– Che ti succede Jasmine, che problemi? – domanda Manu in tono rassicurante.
– È il primo Natale che trascorro lontana da mia madre, per le feste non ci siamo mai separate. La nostra famiglia siamo soltanto lei e io, ma io ho te e lei non ha nessuno. A Natale è triste rimanere soli. Ha tanto insistito perché facessi questo viaggio – rifletto a voce alta, facendo di Manu la mia confidente.
– Hai studiato e lavorato tanto Jasmine, avevi bisogno di staccare la spina per qualche tempo, prima di preparare la tesi di laurea. Tua madre ti vuole bene e sa badare