Economia politica e Capitale sociale
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About this ebook
Disciplina relativamente recente, l’economia cognitiva studia i comportamenti economici basandosi su un approccio interdisciplinare che utilizza gli strumenti elaborati dalla scienze cognitive, e cioè dalle neuroscienze, dalla psicologia cognitiva, dalla filosofia della mente, dalla linguistica e dall’intelligenza artificiale. Nella prima parte del libro si espone l’evoluzione storica di questa disciplina. La seconda parte del testo è caratterizzata da una critica operata mediante gli strumenti dell’economia cognitiva all’utilizzo strumentale che gli economisti neoclassici fanno del capitale sociale. Nell’ultima parte del libro si presentano i risultati di una ricerca sul campo riguardante i significati che i giovani attribuiscono al lavoro, ponendo attenzione a rilevare le possibili differenze percettive fra i laureandi del Nord e Sud Italia.
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Book preview
Economia politica e Capitale sociale - Gianluca Palma
Gianluca Palma
Economia cognitiva e capitale sociale
Abel Books
La pubblicazione si è resa possibile anche grazie al progetto de:
Immagine di copertina "Cuore Mondo" di MICHELA PETOLETTI
Biografia dell’artista (http://www.michelapetoletti.it)
Michela Petoletti si è formata studiando arte contemporanea e fotografia all’Accademia di Belle Arti di Brera, grafica alla Scuola d’Arte e Messaggio del Castello Sforzesco di Milano, arteterapia a Lecco e illustrazione a Sarmede.
Dal 2001 a oggi ha pubblicato i suoi disegni su Io Donna, Psychologies, Star Bene, Gioia, Vogue Bambini, Style piccoli, Corriere della Sera, ho illustrato libri per ragazzi (tra cui Fiera
, per S. Ferragamo, di A.Sbisà, Electa 2007, Hansel Gretel & Momo
, R.Mussapi e M.Caleffi, Pariliberatutti, 2010, Le favole di Style Piccoli
, RCS, 2011 , Novelle Orientali
, a cura di Aldo Strisciullo e Federica Ferzoco, CRPP, 2011), ha collaborato come illustratrice con pubblicità e aziende (tra cui Biblioteca della Moda, Legami, Fendi, Ferragamo, Ferrero, Inglesina), con enti pubblici, privati e associazioni no profit (Emergency) e condotto atelier di arteterapia nelle aree dell’infanzia, della psichiatria e della disabilità.
Proprietà letteraria riservata
© 2014 Abel Books
Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico.
Le richieste per l’utilizzo della presente opera o di parte di essa in un contesto che non sia la lettura privata devono essere inviate a:
Abel Books
via Terme di Traiano, 25
00053 Civitavecchia (Roma)
ISBN 9788867520978
A volte penso di aver fatto la cosa giusta,
ma già qualche istante dopo,
ripenso e ritratto tutto (o quasi).
Ci sarà mai qualcuno che mi dirà
quale è la scelta esatta?
Ai posteri l’ardua sentenza.
Ai miei genitori,
vi penso col cuore e
vi ringrazio.
Introduzione
I. Le radici storiche dell’economia cognitiva
1. Premessa
2. L’economia cognitiva: una breve descrizione
3. Le radici dell’economia cognitiva
4. Marshall, Menger e la Scuola Neoclassica
5. Economia cognitiva ed economia neoclassica: un breve raffronto
5.1. La finzione di Walras
e l’equilibrio economico generale
5.2. Il ruolo della conoscenza e delle istituzioni per
la Scuola Austriaca
6. La figura di Veblen e la scuola istituzionalista
7. Razionalità e sperimentalismo
II. La prospettiva dell’economia cognitiva nella prima metà del Novecento
1. Premessa
2. Il ruolo dell’incertezza e l’approccio induttivo
nella scienza economica
3. La teorie della scelta razionale e dell’utilità attesa
3.1. Katona e la psicologia economica
3.2. Il paradosso di Allais
4. I contributi di Hayek e Simon nell’evoluzione dell’economia cognitiva
5. Il pensiero di Simon
5.1. Simon e la teoria della razionalità limitata
5.2. Il concetto di razionalità procedurale
5.3. I processi di problem solving e decision making
5.4. Simon e l’idea dell’interazione uomo - ambiente
6. Il pensiero di Hayek
6.1. Il ruolo delle istituzioni nel processo economico
7. Verso una nuova frontiera dell’analisi economica
III. Un approccio interdisciplinare per l’economia cognitiva
1. Premessa
2. Il contributo psicologico di Kahneman e Tversky
2.1. Teoria del prospetto e framing delle decisioni
3. L’incontro fra economia sperimentale e cognitiva
3.1. Gli esperimenti in economia
3.2. Economia sperimentale e cognitiva: analogie e differenze
4. L’eterogeneità dell’economia cognitiva
5. L’influenza del contesto sociale e istituzionale nei processi mentali
6. L’economia cognitiva, la sociologia e le altre scienze sociali
7. Azione, modelli cognitivi ed identità
7.1. L’apprendimento: un processo culturale
7.2. Interazione sociale e strutturazione dell’identità
IV. Un’analisi del capitale sociale mediante gli strumenti dell’economia cognitiva
1. Introduzione alla nozione di capitale sociale
1.1. La visione utilitaristico/strumentale di James Coleman
1.2. L’approccio culturalista di Putnam e Fukuyama
1.3. Il ruolo delle istituzioni nella formazione del capitale sociale
2. Il capitale sociale nelle letteratura economica
2.1. Una definizione macro del capitale sociale in economia
2.2. Una definizione micro del capitale sociale in economia
3. Introduzione alla ricerca sul campo: Giovani e Lavoro
4. Una definizione di capitale sociale territoriale
4.1. L’identità fra cultura e territorio
5. Osservazioni conclusive
V. Ricerca sul campo: Giovani e lavoro
1. Un paese spaccato in due
1.1. Il mercato del lavoro in Italia
1.2. Flussi migratori fra il Sud Italia e il resto del Mondo
1.3. Laurea, mobilità e lavoro
1.4. Alcune riflessioni preliminari
2. Presentazione della ricerca: Giovani e lavoro
3. Un breve raffronto fra le Province di Lecce e di Alessandria
4. I risultati della ricerca
4.1. Aspettative future e raffronti
4.2. La propensione alla mobilità
5. Considerazioni conclusive
Osservazioni conclusive
Bibliografia
Appendice
Ringraziamenti
Indice
Introduzione
Capitolo I
CAPITOLO II
CAPITOLO III
CAPITOLO IV
CAPITOLO V
Osservazioni conclusive
Bibliografia
Introduzione
Da un essere umano, che cosa ci si può attendere? Lo si colmi di tutti i beni di questo mondo, lo si sprofondi fino alla radice dei capelli nella felicità, e anche oltre, fin sopra la testa, tanto che alla superficie della felicità salgano solo bollicine, come sul pelo dell’acqua; gli si dia di che vivere, al punto che non gli rimanga altro da fare che dormire, divorare dolci e pensare alla sopravvivenza dell’umanità; ebbene, in questo stesso istante, proprio lo stesso essere umano vi giocherà un brutto tiro, per pura ingratitudine, solo per insultare. Egli metterà in gioco perfino i dolci e si augurerà la più nociva assurdità, la più dispendiosa sciocchezza, soltanto per aggiungere a questa positiva razionalità un proprio funesto e fantastico elemento. Egli vorrà conservare le sue stravaganti idee, la sua banale stupidità
(Dostoevskij 1865)¹.
La citazione summenzionata appare come un preludio all’idea che fa da sfondo a questa ricerca: l’imperfetta razionalità umana che condiziona le preferenze degli individui{2}. L’esigenza di considerare adeguatamente la complessità dei fenomeni economici e dei processi che guidano le scelte degli agenti, ha trovato risposta in una nuova branca dell’economia denominata economia cognitiva. La prerogativa metodologica su cui essa si basa, pare magistralmente espressa dalle parole di Friedrick von Hayek secondo cui "un economista che è solo un economista non può essere un buon economista". Pertanto il metodo adottato in questo lavoro è improntato all’interdisciplinarità. Coloro che oggi condividono quest’approccio approvano: "l’idea secondo cui le scelte compiute dagli individui sono determinate non solo da alcuni obiettivi completi e coerenti e dalle proprietà del mondo esterno, ma anche dalle conoscenze che i decisori possiedono – o non possiedono – del mondo, dalla loro abilità o incapacità di evocare tale conoscenza al momento adatto, di elaborare le conseguenze delle proprie azioni, di prevedere il possibile corso degli eventi, di affrontare le incertezze (incluso l’incertezza derivante dalle possibili reazioni o risposte di altri attori) e di scegliere fra le proprie diverse esigenze in concorrenza fra loro" (Simon 2000, p. 25). Per argomentare queste tesi, il seguente lavoro è stato strutturato in tre sezioni.
Nella prima parte si è tentato di individuare le radici storiche dell’economia cognitiva, rintracciabili già nelle considerazioni di illustri filosofi del Settecento, quali David Hume e Adam Smith. Quest’ultimo, nello studio della naturale socialità umana, dimostrò come la condotta dell'uomo non persegua unicamente fini razionali ed egoistici{3}. Nell’Ottocento il fondatore della scuola di Cambridge, Alfred Marshall, diede un forte impulso alla nascita dell’approccio cognitivo, dedicandosi allo studio della filosofia e della neurobiologia (Marshall 1867-8). Successivamente Carl Menger, promotore della scuola Austriaca, in critica all’approccio neoclassico (nello specifico all’equilibrio economico generale walrasiano) evidenziò l’importanza delle istituzioni e della conoscenza nelle dinamiche di apprendimento e di scelta economica. Nello stesso periodo gli istituzionalisti americani, fra i quali va ricordato Veblen, adottavano un approccio diacronico e rimarcavano il ruolo delle istituzioni formali ed informali nei processi socio-economici{4}.
Nei primi anni del Novecento l’economista Frank Knight mise in evidenza il ruolo che riveste l’incertezza nelle decisioni economiche. Anche John Maynard Keynes, quando abbracciò la prospettiva marshalliana, che proponeva una scienza economica basata sulla logica ma anche sull’induzione e su un’ampia conoscenza dei fatti, riconobbe di non aver dato la giusta rilevanza alla vagueness (incertezza) che caratterizza tutta la conoscenza ed impedisce di fondare logicamente la probabilità.
Ma è solo a cavallo degli anni quaranta e cinquanta che due fondamentali contributi rendono possibile il consolidamento dell’approccio cognitivo in economia. Da una parte, il survey method dello psicologo americano George Katona apre la strada alla cooperazione fra la psicologia e l’economia; dall’altra, l’economista francese Maurice Allais, introducendo la pratica della sperimentazione in ambito economico, minò il paradigma neoclassico e in particolar modo la teoria dell’utilità attesa. Sempre in quegli anni, grazie anche all’affermazione del cognitivismo in psicologia, due illustri studiosi analizzarono il modo in cui gli essere umani percepiscono il loro ambiente e, più in generale, la rilevanza degli aspetti psicologici nelle dinamiche socio-economiche. I due economisti in questione furono l’americano Herbert Simon e l’austriaco Friedrick von Hayek.
Gli studi di Hayek e Simon, seppure con sostanziali differenze, presero le mosse da un’insoddisfazione per gli strumenti di analisi neoclassici e si concretizzarono in una critica alla presunzione di informazione perfetta e alla mancata considerazione del ruolo delle istituzioni e delle limitate capacità cognitive degli individui. Nella maturazione delle loro posizioni confluisce la loro formazione interdisciplinare, caratterizzata da un’apertura alla contaminazione con altre discipline. Per i due scienziati è molto difficile, se non in situazioni estremamente semplici, che i soggetti costruiscano la conoscenza sulla base dell’informazione parziale in un mondo non ergodico caratterizzato quasi sempre da incertezza{5}. Date le limitate capacità cognitive e di calcolo, gli individui sono incapaci di realizzare scelte ottime
e quindi agire in base a criteri di razionalità assoluta{6}.
Nella seconda metà del XX secolo, Daniel Kahneman ed il suo più giovane collega psicologo Amos Tversky, pubblicarono decine di lavori scientifici in cui fu ampiamente discussa una nuova modalità di studio su come le persone valutino l’incertezza e prendano decisioni. Di particolare rilievo a tal riguardo, appare il loro contributo nell’elaborazione dei principi psicologici che governano il determinarsi delle alternative nel processo di decision–making, mostrando come le nostre preferenze varino sensibilmente in base alle modalità con cui esse si presentano e vengono identificate. In questo modo Kahneman e Tversky hanno dato inizio ad un lungo percorso che ha progressivamente messo in discussione la validità descrittiva dell’assunzione di razionalità e del modello normativo dell’utilità attesa, proposto da von Neumann.
Negli ultimi anni alcuni studiosi provenienti da diversi ambiti di ricerca, fra i quali Vernon Smith (1982, 2002), Alvin Roth (1987), Charles Plott (1990), John Hey (1991) e James Andreoni (1995), ricorrendo in maniera sistematica alle attività sperimentali, hanno consapevolmente infranto più di una regola imposta dall’approccio metodologico modernista
dominante in ambito economico. Tale impostazione, come nota McCloskey (1988, pp. 21-22), mette al bando l’uso di questionari individuali, ritenendoli assolutamente inutili "perché gli esseri umani possono mentire e rigetta ogni forma di introspezione da parte dell’attore, ritenendola incapace di produrre conoscenza scientifica,
perché non c’è modo di collegare il soggettivo all’oggettivo"{7}.
Va detto che sul fronte della critica agli assunti delle impostazioni ortodosse
, negli ultimi anni si sono impegnati numerosi autori appartenenti a scuole diverse da quelle che fanno capo all’economia cognitiva. Tuttavia, gli economisti cognitivi hanno offerto un approccio interdisciplinare fondato sull’uso della psicologia cognitiva per lo studio del problem solving, del decision–making e del cambiamento, nonché per la spiegazione della natura e dell’evoluzione di organizzazioni e istituzioni economiche in situazioni caratterizzate da incertezza strutturale. Questa prospettiva del tutto particolare, è ben sintetizzata da Salvatore Rizzello quando afferma che: i fondamenti del comportamento economico sono nella nostra mente. Capire le dinamiche dei processi di scelta e decisione significa accettare coerentemente ciò che la neurobiologia e la psicologia ci insegnano e saperli inserire nell’ambito del contesto organizzativo e istituzionale in cui si svolgono
(Rizzello 1997, pp. 243-244).
La seconda parte del lavoro è caratterizzata da un approccio interdisciplinare alla lettura dei fenomeni socio-economici. Partendo dall’idea di Karl Polanyi secondo cui l’economia dell’uomo, di regola, è immersa nei suoi rapporti sociali. L’uomo non agisce in modo da salvaguardare il suo interesse individuale nel possesso di beni materiali, agisce in modo da salvaguardare la sua posizione sociale, le sue pretese sociali, i suoi vantaggi sociali. Egli valuta i beni materiali soltanto nella misura in cui essi servono a questo fine
(Polanyi 1974, p. 61), ci si è soffermati sul ruolo cruciale che rivestono le relazioni intersoggettive nella formazione della cognizione sociale individuale e del framework collettivo. Nello specifico l’analisi ha riguardato il capitale sociale, presentato mediante gli strumenti dell’economia cognitiva.
Passando in rassegna le varie definizioni risulta che per Bourdieu, il capitale sociale indica "il complesso delle risorse effettive e potenziali connesse al possesso di una duratura rete di relazioni più o meno istituzionalizzate di reciproca conoscenza e riconoscimento [...]" (Bourdieu 1986, p. 248){8}. Secondo Robert Solow (2000) gli economisti che si sono occupati di capitale sociale hanno cercato: to get at something difficult, complicated, and important: the way a society’s institutions and shared attitudes interact with the way the economy works. It is a dirty job, but someone has do it; and mainstream economics has puristically shied away from the task
(Solow 2000, p. 6). Questo lavoro sporco
, come lo definisce Solow, è stato fatto ancora una volta con un atteggiamento colonialistico, in quanto il capitale sociale è diventato per essi una nuova impresa del cosiddetto imperialismo economico.
L’ultima parte del testo è incentrata sulla presentazione di una ricerca sul campo e dei suoi risultati, riguardante i significati che i giovani attribuiscono al lavoro (nel nostro caso laureandi dell’Università del Salento e del Piemonte Orientale). Si è provato a raccontare le loro percezioni e i loro livelli di aspirazione ma anche il loro stato d’animo e le sensazioni provate in questa delicata fase transitoria della loro vita. Inoltre si è chiesto loro di comparare la propria situazione con quella dei coetanei, muovendosi secondo una prospettiva di analisi diacronica e spaziale.
Condividendo l’idea di Polany secondo cui "we know more then we can tell, scopo di questo lavoro non sarà quello di fornire
una soluzione definitiva a qualcosa", ma piuttosto proporre un criterio di osservazione alternativo, magari più complesso e criticabile rispetto ad altri, da adottare in futuro nella lettura dei fenomeni socio-economici.
Capitolo I
Le radici storiche dell’economia cognitiva
"Quando abbandoniamo il nostro studio e
ci impegniamo nelle faccende della vita comune,
le conclusioni [della ragione] sembrano svanire,
come i fantasmi del mattino,
e ci è difficile conservare perfino quelle convinzioni
che avevamo raggiunto con difficoltà". D. Hume 1739
1.1. Premessa
Nel 2002, l’Accademia Svedese delle Scienze ha assegnato il Premio Nobel per l’economia a Vernon Smith per aver affermato la rilevanza degli strumenti di laboratorio per l’indagine empirica in economia
e a Daniel Kahneman per aver integrato intuizioni della ricerca psicologica nella scienza economica
{9}. La decisione dell’Accademia ha sancito la rilevanza di un approccio all’analisi dei fenomeni economici diverso rispetto a quello proposto dall’economia neoclassica. L’esigenza riconosciuta è quella di considerare adeguatamente la complessità dei fenomeni economici e dei processi che guidano le scelte degli individui.
Negli ultimi anni, a questa esigenza ha cercato di rispondere una nuova branca dell’economia, denominata economia cognitiva. Secondo questa recente disciplina la risposta può essere individuata in uno studio dei comportamenti economici che adotti un approccio interdisciplinare, e che utilizzi gli strumenti elaborati dalle scienze cognitive.
1.2. L’economia cognitiva: una breve descrizione
L’economia cognitiva studia le operazioni di ragionamento e i processi di adattamento assunti dagli attori economici nel corso delle loro interazioni (Walliser 2001). Si parla di adattamento perché gli agenti, nelle loro scelte, non si comportano secondo quanto previsto dalle curve di preferenze descritte dagli economisti tradizionali, ma violano apparentemente, la razionalità. Le violazioni della razionalità economica non sono episodiche ma, come osserva Kahneman, sistematiche{10}. Si potrebbe affermare che l’economia cognitiva nasca dal bisogno di approfondire le ragioni di questa "ricorrenza dell’irrazionalità".
Essa si consolida e si diffonde a partire dalla fine degli anni Ottanta, e soprattutto nel corso degli anni Novanta, quando affiorano la complementarietà e le affinità tra i contributi resi dai vari economisti nel corso degli anni Cinquanta{11}. Proprio nella metà del Novecento erano emersi risultati sperimentali che mettevano in discussione la validità del modello standard dell’azione razionale. In particolare vanno ricordati: il paradosso di Allais nel 1952 e lo studio empirico dei processi decisionali nelle imprese condotto da Cyert, Trow e Simon nel 1956{12}.
La pubblicazione di questi lavori suscitò interesse, ma non alterò l’orientamento prevalente della