Il serpente nella testa
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About this ebook
Si tratta di racconti brevi, (prosecuzione ideale de I DADI SONO TRUCCATI ed. BiancoeNero 2010), e rappresentano per stile e per contenuti una novità nella narrativa contemporanea. In essi si incontrano gli aspetti più problematici della vita sociale:l’incapacità del potere, l’usura, il ricorso alla violenza, la difficoltà di essere buoni, l’anonimato degli individui, l’infangamento del mondo, la piccolezza e la piattezza di tanti personaggi che ci circondano.
Il lettore troverà in questa originale narrativa, basata sulla tecnica del paradosso, uno stimolo a comprendere meglio la realtà sociale e individuale. In appendice fa spicco un discorso sul Bene e sul Male, che ha affascinato i filosofi per tanti secoli senza mai trovare un definitivo significato.
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Il serpente nella testa - Luciano Jolly
Luciano Jolly
IL SERPENTE NELLA TESTA
Abel Books
Proprietà letteraria riservata
© 2013 Abel Books
Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico.
Le richieste per l’utilizzo della presente opera o di parte di essa in un contesto che non sia la lettura privata devono essere inviate a:
Abel Books
via Terme di Traiano, 25
00053 Civitavecchia (Roma)
ISBN 9788867520619
Indice
Anche i libri hanno un destino
Favole per bambini grandi
La bombetta e il cappellino
Il riposo del signor Volpe
Il Presidente del Cimiteri Fioriti
Il serpente nella testa
Dire una cosa
Racconti del qui-e-ora
Bolle di sapone
Fraternité
Il caso Jacob
Il progetto Zeta
Ingombrare
La confessione
La macchina per sporcare il mondo
La saga dei Fergusson
L’infezione
Nascono piatti
Lo sfacelo
Nessuno
Odori
L’uomo in mano
Usura
Intelligente, artificiale
Quando noi morti ci destiamo
Zal o della bontà
Lui
Un caso isolato
Appendice
Una chiosa sul caso Jacob
Il problema del Bene e del Male
ANCHE I LIBRI HANNO UN DESTINO
IL SERPENTE NELLA TESTA è nato con un fratello gemello: I DADI SONO TRUCCATI, pubblicato nel 2010.
Sono libri paralleli. Entrambi iniziano con i racconti brevi scritti a metà degli anni ’70 e proseguono con testi composti dopo il 2000. Tra il capo e la coda di ognuno vi sono oltre 40 anni di differenza. In comune hanno che tra il principio e la fine di ogni libro c’è un vuoto rappresentato dalla seconda parte del secolo XX. Un periodo colmo di guerre, rivolgimenti, illusioni, stasi, crolli di muri e passi indietro dell’umanità.
In realtà, imitando i versi di Neruda, confesso che in quel periodo ho vissuto. Vivevo bene, avevo delle ricadute, mi ammalavo, risorgevo. In complesso progredivo. Ma questa è un’altra storia, che sarà raccontata in futuro con il titolo: IL MIO FU UN DIO OPERAIO.
Che cos’è IL SERPENTE NELLA TESTA? Come il suo gemello, è un libro di racconti brevi. Gli italiani, lo sappiamo dalla statistica, preferiscono le storie lunghe. Con questa propensione, credo che perdano una possibilità. Il racconto breve è un lampo, un’intuizione, la sintesi di una situazione. È l’illuminazione su un aspetto della vita. Occorrerebbe leggere tanti racconti brevi quanti sono i lati oscuri della nostra vita. Un flash porta certe volte l’intensità di luce sufficiente su un lato della nostra esistenza, o della vita sociale, che era rimasto fino allora in ombra: ci permette di modificare uno stato d’animo, una tendenza; ed ecco che la letteratura si salda con la vita, con la Storia, raggiungendo il suo scopo e la sua maturità.
Ritornando al SERPENTE NELLA TESTA, questo libro
inizia con alcuni esperimenti sull’onda dei formalisti russi degli anni venti, (Sklovski, Jacobson). Come Bertolt Brecht, che li imiterà più tardi, essi pongono tra gli ingredienti della loro ricetta ciò che chiamavano estraniamento.
Con questo procedimento si intende togliere un oggetto dal suo contesto abituale, per farlo apparire sorprendente. Le abitudini velano la realtà. Ne nasce così un modo di raccontare fantasioso, ricco, divertente, che l’autore scrive con gioia, sperando di comunicare agli altri questo atteggiamento verso la vita.
I racconti recenti hanno invece un andamento più naturalistico e riguardano la natura della nostra società: l’usura, la difficoltà di essere buoni, l’impotenza dell’uomo massa, la sua mancanza di spessore nell’uomo, la fraternità (questo racconto, Fraternité, è il libero rifacimento de L’Infanzia di un Capo di Jean Paul Sartre).
Per quanto riguarda il serpente che affligge la testa di Bebi Doc, il lettore può scorgervi ciò che le sue esperienze lo portano a vedervi. Per me il serpente simboleggia la distorsione che l’uomo occidentale porta nella propria mente, la quale vuole tutto conoscere, tutto dominare, tutto possedere. Ciò lo spinge a comportarsi come un sonnambulo dormiente e lo conduce alla violenza.
Ancora una domanda: è lecito trattare una tragedia come se fosse materia di divertimento? Ridere sugli avvenimenti più cruenti? Brecht ha risposto di sì. Anch’io sono di questa opinione. A mio avviso, dopo aver vissuto il dramma, occorre prenderne le distanze. In caso contrario, si rischia di vivere i drammi, raccontare solo drammi e restare con la mente legata ai drammi.
Imparare a riderne significa superarli, andare oltre: lasciarli dietro le spalle e scoprire nuove dimensioni dell’essere.
L. J.
FAVOLE PER BAMBINI GRANDI
LA BOMBETTA E IL CAPPELLINO
(il Vecchio e il Nuovo)
Il cielo era color albicocca, ma pallido pallido.
A destra, nella piazza del Trionfo, i fanali tremavano tutti, e uno si torceva fino a toccare quasi la terra, cioè sfiorava le selci che la ricoprivano come un mantello pezzato.
Passavano dei signori color cannella, con gli occhi gialli e la pancetta rotonda, la quale era come una palla che invece di rotolare stava appesa al suo proprietario. Lo smog, ingrugnito, era agganciato al cielo, e minacciava di scivolare giù ad ogni momento. Insieme agli uomini color cannella, passavano anche delle signore color prugna o color dromedario, a seconda dei casi: sorridevano gentilmente e se ne andavano.
Il giovane fanale rabbrividiva, si torceva e si raddrizzava, come se l’avesse preso la febbre di partire. Tutta la piazza lo stava guardando. Un cornicione gli augurò con un soffio di voce, che risuonò ben chiara e visibile: Scaldati e parti!
Davanti al solenne palazzo del Trionfo c’era da qualche decennio un vecchio marciapiede, con qualche lastra sconnessa e delle pietre mancanti. Se ne stava buono al suo posto, ma quel giorno si mise a brontolare:- Che cos’ha da agitarsi quel fanale da quattro soldi, si può sapere? E’ nato ieri, e già vuole andare in giro per il mondo?
E’ semplice. Qualche persiana, cigolando ancora mezzo addormentata, cominciò a ridere sommessamente:- Non sopporta più di stare lì fermo, piantato come un palo. I giovani hanno voglia di muoversi!"
Il marciapiede, che era una brava persona ma un po’ antiquata, ebbe un attacco d’indignazione, come noi possiamo averlo di tosse: Ai miei tempi queste cose non succedevano! Prendete me, per esempio: che cosa dovrei dire io, allora? Da mezzo secolo la gente mi cammina addosso, sulla testa e sulle spalle. Credete che faccia piacere? Eppure non mi lamento, io. Sopporto! Ma quel fanale mingherlino, che non ha nemmeno dodici anni, vuole già andarsene in giro per il mondo. Roba da matti!
Nonno, chi sono i matti: ce lo spieghi?
lo prese in giro il getto della fontana rotonda, che sprizzava acqua in alto verso le impurezze atmosferiche, le quali non volevano farsi bagnare ed ebbero uno scarto, con il rischio di perdere l’equilibrio da un momento all’altro, e finire addosso ai cornicioni, ai fanali, ai marciapiedi e perfino al palazzo del Trionfo, che ne avrebbe sofferto moltissimo: negli ultimi tempi la sua salute si era dimostrata cagionevole.
I matti siete voi che volete cambiare la piazza
brontolò il vecchio marciapiede, sempre più indignato. Faceva pensare ad uno di quei galli che, quando cominciano a rabbuffarsi improvvisamente, gonfiano le penne colorate intorno al collo, per niente: La piazza sta bene così, come è rimasta per tanti anni. Non c’è ragione che debba cambiare! Ogni cosa al suo posto.
Le cose appunto si complicavano. Il palazzo del Trionfo, panciuto come una grassa signora color prugna, si diede a sbuffare.
Ahi mi fa male la pancia. Non ne posso più.
Che cosa hai mangiato ieri sera, papà? Qualcosa di guasto?
s’informò l’asta della bandiera, che stava piantata come il bompresso di una nave sulla facciata del palazzo. Era nuda come un bruco e sporgeva da una finestra del primo piano, vergognandosi come una collegiale della sua nudità.
Ohi sì sì, ohimè, ohi sì sì
si lamentava intanto il palazzo del Trionfo, enorme, panciuto e ingordo, senza darsi pace. E’ da quando ero bambino che mi fanno mangiare roba guasta. Che mal di pancia, ragazzi!"
Guardate come sono smilza
disse con un filo di voce l’asta della bandiera. Se facesse come me, certe cose non capiterebbero a quel ghiottone: Non è mai sazio!
Tu stai zitta: salti i pasti, ma ti fai bella con i colori degli altri
la stava accusando il vecchio marciapiedi. Ma dovette smettere subito perché, con un agile salto contemporaneo, due selci gli erano scivolate fuori posto. Esse erano scese in piazza e ne stavano facendo il giro cantando sfrontatamente:
Buracci-ci, buracci-ci,
La Repubblica è fatta
Di stracci-ci
Buracci-ci, buracci-ci
come se fossero accompagnate da un tamburo.
Questo è troppo
brontolò il marciapiede, con il tono del vecchio nonno che, dopo essere stato tanto calpestato, non ha più voglia di vivere. Non lo sopporto.
E si girò dall’altra parte per non vedere quello strazio, che faceva male al suo cuore indurito.
Come a un segnale, i cornicioni del palazzo scesero giù e cominciarono a passeggiare.
Venite anche voi?
chiedevano alle finestre, galantemente. Ma le finestre, così delicate, avevano paura d’incrinarsi ed esitavano ancora.
Su, forza, venite. Non fatevi pregare
stava dicendo un cornicione con il petto gonfio, per mostrare che era forte. Con uno slancio, la cupola del panciuto palazzo si mise a correre nel cielo della piazza, saltava di qua e di là con noncuranza. Il palazzo era rimasto senza cappello. Inorridito, lo smog non aveva parole per esprimere la sua condanna. I fanali, staccati dalla base, in parte suonavano melodie celestiali, in parte facevano dei giri di valzer