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Come un brivido nel mare
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Come un brivido nel mare

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ROMANZO (237 pagine) - STORICO - Un appassionante thriller storico sullo sfondo della più grande catastrofe naturale che ha colpito l'Italia, il terremoto di Messina del 1908

Messina, 28 dicembre 1908: un terremoto di potenza spaventosa si abbatte sulla città, radendola al suolo e provocando più di 100.000 vittime. I primi a prestare soccorso alla popolazione sono i marinai di una flotta da guerra russa, alla fonda dinanzi alla costa siciliana, e gli uomini di una squadra navale britannica, anch'essa ormeggiata in rada.  Ma perché due flotte da guerra si fronteggiano proprio nel luogo e nell'istante della catastrofe? Che cosa stanno cercando, russi e inglesi, nelle acque italiane? Forse i servizi segreti dello zar e l'intelligence britannica hanno previsto l'evento? È possibile che due delle maggiori potenze mondiali dell'epoca siano sulle tracce di un'arma segreta in grado di provocare i terremoti? In questa ipotesi, che relazione esiste tra la catastrofe che distrugge Messina e il misterioso "evento Tunguska", abbattutosi solo pochi mesi prima sulla remota Siberia? "Come un brivido nel mare" tenta di rispondere a questi interrogativi. E racconta ciò che allora fu taciuto, rivelando un incredibile segreto, celato da più di un secolo, le cui implicazioni potrebbero essere terribili anche per il futuro della nostra nazione.

Francesco Grasso è nato a Messina nel 1966 ed è ingegnere elettronico. Ha scritto soprattutto fantascienza e narrativa storica, non mancando mai di inserire elementi storici nei suoi romanzi di fantascienza ed elementi fantastici in quelli storici. Ha vinto il Premio Urania due volte, nel 1992 con "Ai due lati del muro" e nel 2000 con "2038: La rivolta". Con i suoi racconti ha vinto anche il premio Sicurezza informatica 1996, il premio Cristalli Sognanti 1998, il premio Space Trucker 2001 e il premio Cuore di Tenebra 2004. Ha fatto parte della redazione di "Delos Science Fiction" anche con una serie di divertentissime parodie poi raccolte nel volume "Diffidate dagli originali".
LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateJun 9, 2015
ISBN9788867758012
Come un brivido nel mare

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    Come un brivido nel mare - Francesco Grasso

    a cura di Franco Forte

    Francesco Grasso

    Come un brivido nel mare

    Romanzo

    Prima edizione giugno 2015

    ISBN 9788867758012

    © 2013 Francesco Grasso

    Copertina: Igor Zhuravlov (123RF)

    Edizione ebook © 2015 Delos Digital srl

    Piazza Bonomelli 6/6 20139 Milano

    Versione: 1.0

    Font Fauna One by Eduardo Tunni, SIL Open Font Licence 1.1

    Edizione stampata: 2013 Nemo Editore

    TUTTI I DIRITTI RISERVATI

    Sono vietate la copia e la diffusione non autorizzate.

    Informazioni sulla politica di Delos Books contro la pirateria

    Indice

    Il libro

    L'autore

    Come un brivido nel mare

    Prologo

    Tracce…

    Diario di Alec Vassilievic Brasivin – Marinaio di seconda classe incrociatore Admiral Makarov

    Sebastopoli

    Baia di Kamyshava

    Odessa

    Varna

    Turchia

    Egeo

    Sicilia

    Messina

    Postilla – primavera 1910

    Seconda Postilla – 1934

    Delos Digital e il DRM

    In questa collana

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    Il libro

    Un appassionante thriller storico sullo sfondo della più grande catastrofe naturale che ha colpito l'Italia, il terremoto di Messina del 1908

    Messina, 28 dicembre 1908: un terremoto di potenza spaventosa si abbatte sulla città, radendola al suolo e provocando più di 100.000 vittime. I primi a prestare soccorso alla popolazione sono i marinai di una flotta da guerra russa, alla fonda dinanzi alla costa siciliana, e gli uomini di una squadra navale britannica, anch'essa ormeggiata in rada. 

    Ma perché due flotte da guerra si fronteggiano proprio nel luogo e nell'istante della catastrofe? Che cosa stanno cercando, russi e inglesi, nelle acque italiane? Forse i servizi segreti dello zar e l'intelligence britannica hanno previsto l'evento? È possibile che due delle maggiori potenze mondiali dell'epoca siano sulle tracce di un'arma segreta in grado di provocare i terremoti? In questa ipotesi, che relazione esiste tra la catastrofe che distrugge Messina e il misterioso evento Tunguska, abbattutosi solo pochi mesi prima sulla remota Siberia?

    Come un brivido nel mare tenta di rispondere a questi interrogativi. E racconta ciò che allora fu taciuto, rivelando un incredibile segreto, celato da più di un secolo, le cui implicazioni potrebbero essere terribili anche per il futuro della nostra nazione.

    L'autore

    Francesco Grasso è nato a Messina nel 1966 ed è ingegnere elettronico. Ha scritto soprattutto fantascienza e narrativa storica, non mancando mai di inserire elementi storici nei suoi romanzi di fantascienza ed elementi fantastici in quelli storici. Ha vinto il Premio Urania due volte, nel 1992 con Ai due lati del muro e nel 2000 con 2038: La rivolta. Con i suoi racconti ha vinto anche il premio Sicurezza informatica 1996, il premio Cristalli Sognanti 1998, il premio Space Trucker 2001 e il premio Cuore di Tenebra 2004. Ha fatto parte della redazione di Delos Science Fiction anche con una serie di divertentissime parodie poi raccolte nel volume Diffidate dagli originali.

    Prologo

    Rada di Messina, giovedì 31 dicembre 1908

    La donna avanzava con cupa compostezza lungo il corridoio gremito di brande militari e cumuli di materiale marchiato con l’emblema della Regia Marina. Alta e robusta, indossava una veste azzurra di taglio discreto e un copricapo dello stesso colore. Procedeva affiancata da un drappello di infermiere dal viso rosso e le bustine macchiate di sudore, mentre alle sue spalle un codazzo di personaggi paludati in abiti inadatti alla circostanza arrancavano con aria impacciata. Due passi più avanti, un ometto in divisa da ufficiale s’affannava a far largo al gruppo attraverso i ponti affollati di quel vascello da guerra adattato in tutta fretta a nave ospedale.

    D’un tratto la donna s’accostò a una lettiga. S’informò sulle condizioni di chi vi giaceva, poi fece cenno alle infermiere di provvedere. Quindi, sotto lo sguardo scandalizzato del suo seguito, si chinò a fianco d’un anziano che gemeva dal dolore e gli sostenne i polsi mentre il chirurgo apponeva gli ultimi punti di sutura. Schernendosi dai ringraziamenti del medico, passò a consolare una ragazza, coperta solo di stracci e fuliggine, che tremava raggomitolata su se stessa.

    – Di grazia, uno dei miei abiti a questa giovane – ordinò d’istinto a una delle matrone che la scortavano.

    – Uno dei… – ripeté l’altra, incredula. – Siete sicura?

    – Questi sfortunati hanno perduto tutto, non vedete? – decretò la donna alta. – Portate qui il mio bagaglio: lo distribuiremo tra i più bisognosi.

    Le altre s’affrettarono a ubbidire. La donna in azzurro si tolse il cappello, mettendo in mostra lunghi capelli corvini raccolti in un’acconciatura severa. Poi fece cenno all’ometto vestito da ufficiale.

    – Capitano?

    L’ometto accorse con aria frastornata.

    – Quanti sfollati avete preso a bordo, capitano?

    – Trecento, all’incirca – informò l’ufficiale. – E altrettanti sul Napoli.

    – Così pochi? – si stupì la donna.

    – L’ordine è imbarcare i feriti più gravi – spiegò l’altro. – L’ammiraglio Mirabello intende condurli sul continente appena cesserà la burrasca. Saranno il Taormina e gli altri piroscafi civili a proseguire i soccorsi.

    Le ultime parole dell’ufficiale si persero nello scroscio della pioggia che picchiava contro gli oblò: l’attenzione della donna era stata catturata dalla figura d’un giovane riverso su una branda posta in disparte e celata da un lenzuolo inchiodato alla paratia. Tra le aperture di quell’approssimativo paravento, la donna vide che entrambe le gambe e il braccio sinistro del giovane erano devastati da ustioni. Sulle sue spalle scorse i resti di un’uniforme a righe orizzontali bianche e blu, anch’essa segnata dalle bruciature. Ma fu soprattutto il viso del giovane a colpirla: a stento scampati al fuoco, i lineamenti del ferito apparivano eleganti, cesellati, perfetti. I suoi capelli corti erano di un giallo intenso. I suoi occhi, benché velati dalla sofferenza, rifulgevano d’un azzurro quasi insostenibile.

    La donna notò che anche le infermiere avevano colto la bellezza del giovane, e quasi si spintonavano l’un l’altra per accostarsi alla sua branda.

    – Di grazia, chi è quell’uomo? – chiese all’ufficiale.

    L’ometto scrollò le spalle. – Non lo sappiamo.

    – Non lo sapete? Che significa?

    – L’abbiamo raccolto stanotte, sulla spiaggia. Il suo italiano è approssimativo. È sicuramente straniero, forse un marinaio dell’incrociatore Makarov, a giudicare dalla scritta sul suo berretto.

    La donna tagliò corto, rivolgendosi direttamente al ferito.

    – как вы себя чувствуете, моряк?

    L’uomo sussultò, sorpreso di sentirsi interpellato nella sua lingua natale. Provò a rispondere, ma un colpo di tosse gli squassò il petto. Sulle sue labbra apparve una macchia scura, che la donna deterse con un panno, invitando nel contempo le infermiere a smettere di perder tempo e a occuparsi degli altri feriti. Loro ubbidirono, palesemente a malincuore.

    – Qual è il vostro nome di battesimo, marinaio? – domandò, esprimendosi di nuovo in un russo fluente.

    – Alec Vassilievic – mormorò stentatamente il giovane. – E il vostro, mia buona signora?

    – Jeléna Nicolaevna – rispose d’istinto la donna.

    Il marinaio trasalì di nuovo, realizzando all’improvviso, anche scorgendo le livree dei personaggi che facevano codazzo alla donna, l’identità di colei che gli stava di fronte.

    – Perdonatemi, maestà: non vi avevo riconosciuta.

    La consorte di Vittorio Emanuele III di Savoia scosse la testa. – In fede mia, marinaio, qui non ci sono nobili né sovrani: solo anime compassionevoli che desiderano arrecare conforto.

    – Vi prego, mia buona signora – si lamentò il giovane. – Muoio di sete.

    La regina d’Italia afferrò una brocca, l’accostò alle labbra del ferito. Lui tentò di deglutire, si lasciò sfuggire un gemito.

    – Bevete piano, marinaio – gli raccomandò la donna.

    Poi si rivolse all’ufficiale, ancora impalato sull’attenti. – Quest’uomo soffre molto, capitano. Non è possibile somministrargli una fiala di morfina?

    – Lo abbiamo già fatto, maestà.

    – Potreste aumentare la dose.

    L’altro scosse la testa. – Le nostre scorte sono molto limitate, maestà.

    La donna corrugò la fronte, come se solo in quel momento la bizzarria della situazione le si rivelasse in pieno. – Perché quest’uomo è qui, capitano? Forse una squadra straniera è rimasta coinvolta negli incendi?

    L’ometto abbassò lo sguardo, imbarazzato. – Non lo sappiamo, maestà.

    La donna batté signorilmente le palpebre. – In fede mia, capitano, credo che dovreste imbarcare quest’uomo su una lancia e condurlo al Makarov. È il minimo che possiamo fare, per ripagare l’aiuto che la flotta imperiale russa ci sta prestando in questa ora buia.

    L’altro tossicchiò. – Non è così semplice, maestà.

    – Come dite?

    – È pericoloso muoverlo da quel letto.

    – Perché mai? Ha lesioni interne?

    – Il problema è un altro, maestà.

    – Di che parlate?

    L’ufficiale abbassò la voce. – Mi spiace, ma devo pregarvi di rimettere il lenzuolo a posto. È accaduto che alcuni superstiti abbiano dato in escandescenze alla sola vista di…

    ‘U signu! Vardàti!

    L’ufficiale e la regina si volsero all’unisono: una donna anziana, urlando, puntava un indice ossuto contro il giovane russo.

    – Infermiere! – comandò in fretta l’ufficiale. – Zittitela, presto!

    Il personale medico della nave obbedì in fretta. Ma non abbastanza. Un secondo sfollato, allarmato dal grido della vecchia, si levò dalla branda e scorse il marinaio del Makarov. All’istante il suo viso divenne paonazzo.

    – TU! Malarittu! Jo ti…

    Balzò giù dal letto e si gettò con aria folle contro il russo. Gli uomini addetti alla sicurezza, colti di sorpresa, scattarono con un attimo di ritardo: lo squilibrato, puntando ciecamente al suo bersaglio, aveva già travolto la regina, cogliendola con una gomitata in pieno viso. Fu bloccato senza tanti riguardi: lo portarono via che ancora urlava.

    Elena di Savoia, ansimando, si tirò a sedere sulla branda del russo. Trattenendo un gemito, tamponò il naso sanguinante col fazzoletto di trine.

    – Buona signora, vi prego…

    La regina si rese conto che il giovane ustionato le sussurrava qualcosa in russo. D’istinto accostò l’orecchio alle sue labbra.

    – Io non uscirò vivo da qui, e forse lo merito – udì. – Ma vi prego, prendete questo. Qualcuno deve sapere.

    Meccanicamente, la donna afferrò l’oggetto che il giovane aveva tratto dalla tasca interna della giubba. Era, s’avvide, un voluminoso taccuino dalla copertina annerita dal fumo. Non ebbe modo di chiedere spiegazioni: le dame di compagnia le si accalcarono intorno, quasi sollevandola di peso dalla branda del giovane. Pigolavano tutte insieme e torcevano i pugni, più incredule che spaventate.

    – Vostra maestà!

    – State bene?

    – Cosa è accaduto?

    – Per tutti i santi, voi sanguinate!

    – Quando il re verrà a saperlo…

    L’ufficiale di bordo, pallidissimo, si scosse, tentò di prenderla in disparte.

    – Vostra maestà, imploro umilmente perdono. Stavo appunto accennando al pericolo che correvate.

    Lei lo zittì seccamente. – Credo, capitano, che mi dobbiate una spiegazione. E la pretendo adesso.

    Dispaccio telegrafico trasmesso otto ore dopo la tragedia.

    Innumerevoli morti et case crollate. Impossibile provvedere sgombero macerie. Mezzi locali insufficienti. Urgono soccorsi vettovagliamenti assistenza feriti.

    Tenente di vascello Belleni (torpediniera Spica, Marina di Nicotera)

    Gli uomini disseppelliscono gli uomini per seppellirli di nuovo

    Giovanni Pascoli (testimone)

    Articolo di Luigi Barzini, Corriere della Sera, lunedì 4 gennaio 1909

    La visione che coglie chi giunge, via nave, sui luoghi della tragedia è spaventevole. A Messina solo un edificio su dieci è rimasto in piedi. Gruppi di sbandati vagano con sguardi vacui per quella che un tempo è stata la loro città, alla ricerca degli affetti rimasti sotto le macerie. Cadaveri continuano a essere gettati a riva dalle onde. Mani ingiallite spuntano dalle rovine come orribili funghi […]

    Neanche negli anni della mia corrispondenza da Mukden ho veduto scene così strazianti: i profughi si muovono a branchi, attoniti, laceri, smarriti, affranti come manipoli di un esercito battuto. Di soccorso in soccorso, e tra il fetore, i lamenti e le rovine, pare di trovarsi sul campo di un’incalcolabile disfatta […] Gli scienziati discorrono di movimento tellurico e conseguente maremoto, della necessità di aggiungere un grado alla scala Mercalli, di tracce sui sismografi così grandi – oltre 40 centimetri – che hanno superato l’ampiezza dei cilindri di registrazione. Di certo ciò che si è abbattuto, qui alle 5 e 21 di lunedì 28 dicembre, è stata la più luttuosa catastrofe naturale nella storia della nostra penisola. Forse dell’intera Europa.

    L’Ora di Palermo, 5 gennaio 1909

    Dalle macerie, una donna implorava aiuto. Aveva le mani ornate d’anelli. Uno sciacallo, per non perdere tempo, le tagliò le dita. Non vi saranno pallottole bastanti a fucilarlo.

    Dalla prima pagina de Il Giornale d’Italia, martedì 5 gennaio 1909

    In questa giornata di lutto nazionale, S.M. il Re ha indirizzato un elogio al personale italiano e straniero impegnato nei soccorsi. "Nella terribile sciagura che ha colpito una vasta plaga della nostra Italia, distruggendo due grandi città e numerosi paesi della Calabria e della Sicilia, ha detto S.M. una volta di più ho potuto constatare il nobile slancio dell'Armata che, accomunando i suoi sforzi a quelli dei valorosi equipaggi delle navi estere, compì opera di sublime pietà strappando dalle rovinanti macerie, anche con atti di vero eroismo, gli infelici sepolti, curando i feriti, ricoverando e provvedendo all'assistenza ai superstiti. Al recente ricordo del miserando spettacolo, che mi ha profondamente commosso, erompe dall'animo mio e vi perdura vivissimo il sentimento di ammirazione.

    Il mio pensiero riconoscente corre pure agli ammiragli, agli ufficiali e agli equipaggi delle navi russe e inglesi che, mirabile esempio di solidarietà umana, recarono tanto generoso contributo di mente e di opra."

    Dalla missiva di un lettore de Il Giornale d’Italia, mercoledì 6 gennaio 1909

    […] apprendo dagli articoli del vs. inviato in Sicilia che le prime navi italiane sono giunte nei luoghi del terremoto solo nella mattina del 30 dicembre, mentre già da ventiquattrore gli equipaggi di una flotta russa e di una squadra navale britannica prestavano aiuto alla popolazione.

    Il vs. corrispondente Goffredo Bellonci rimarca questa differente solerzia in un polemico attacco all’inefficienza delle nostre Forze Armate. A mio parere, tuttavia, egli omette di chiarire un particolare che io giudico inquietante… Perché mai la marina imperiale russa e la Royal Navy tenevano due formazioni da battaglia in assetto completo davanti a Messina?

    Giacché le suddette nazioni non sono in guerra tra loro, e di certo non lo sono con l’Italia, quale motivo poteva indurre l’ammiragliato britannico e la sua controparte russa a effettuare manovre navali nelle nostre acque territoriali?

    Forse che, in qualche modo incomprensibile a noi lettori ignoranti, potevano prevedere quanto sarebbe accaduto? Prego il gentilissimo Bellonci di rispondere a questo mio umile interrogativo.

    Dalla terza pagina de Il Tempo, giovedì 5 gennaio 1909

    […] la regina Elena è rientrata a Roma, scortata da Sua Eccellenza il Ministro dei Lavori Pubblici Piero Bertolini.

    S.M. ha prestato, nei giorni scorsi, un’encomiabile opera di assistenza agli sfollati di Messina e Reggio Calabria, a bordo delle navi ospedale messe a disposizione dalla Regia Marina. All’arrivo al Quirinale, la regina ha dichiarato che l’esperienza l’ha oltremodo turbata, e che si adoprerà con tutte le Sue forze per raccogliere aiuti per la popolazione, contribuendo anche a titolo personale al ristoro dei numerosissimi senzatetto.

    Bertolini ha riferito al Parlamento, in toni a tratti commossi, della straordinaria dedizione e umanità dimostrata da S.M., riferendo anche dei rischi che la sovrana non si è fatta scrupolo di correre, per esempio quando, a bordo della corazzata Regina d’Italia, è stata gettata a terra e leggermente ferita da un sopravvissuto isterico, che aveva cercato di fuggire dalla nave perché terrorizzato da una scossa di assestamento […]

    Appunto del caporedattore de Il Tempo, mercoledì 6 gennaio 1909

    "Scossa di assestamento????" Una scossa di terremoto avvertita a bordo di una nave alla fonda, per di più durante una burrasca? Dico, ma vi capita di leggerle, le fesserie che scrivete? Sì, so bene cosa raccomandava il bollettino del Viminale, ma occorre anche saperle gestire, le censure del Ministero, e pubblicare comunque notizie credibili, quantomeno al pubblico meno smaliziato. Per cosa ci pagano, altrimenti?

    Be’, ormai il danno è fatto: speriamo che i lettori interpretino questo svarione come una nota di colore, e che nessuno si domandi cosa, in realtà, abbiamo contribuito a insabbiare.

    Tracce…

    Sito: www.azannunci.eu

    Annuncio n. 26163

    Tipo: vendita

    Prezzo: contattami

    Testo: Un superbo cimelio per appassionati neo-monarchici! Trattasi di taccuino, comprendente anche alcune foto d’epoca, risalente agli inizi del secolo scorso, proveniente dagli appartamenti privati di Elena di Savoia, moglie di Vittorio Emanuele III.

    In perfetto stato di conservazione, grazie all’accortezza di una prozia giuntane in possesso nel 1946, quando prestava servizio come cameriera al Quirinale. Si offre in trattativa privata a collezionisti veramente interessati e competenti. Si inviano, a richiesta, JPG dell’oggetto.

    --------------------

    Da: francesco.grasso@libero.it

    Inviato: martedì 11 ottobre 2011 16.27

    A: XXX

    Oggetto: annuncio n. 26163

    Gent.mo XXX,

    ho ricevuto le JPG e ringrazio. Ho una domanda. Può, cortesemente, spiegarmi come mai i contenuti del presunto taccuino reale appaiono – se distinguo bene: la pagina che mi ha mandato è scritta fittamente, con grafia minutissima – stilati in cirillico? È noto che Elena di Savoia fosse montenegrina, ma perché mai avrebbe dovuto utilizzare l’alfabeto russo per un suo supposto diario privato? In attesa di un gentile riscontro, porgo cordiali saluti.

    -----------------

    Da: XXX

    Inviato: giovedì 13 ottobre 2011 9.12

    A: francesco.grasso@libero.it

    Oggetto: re: annuncio n. 26163

    Egregio ingegnere,

    non ho mai presentato il cimelio in questione come diario privato della regina Elena. Se lo fosse, il suo valore sarebbe certo MOLTO superiore alla somma ragionevole che invece chiedo. Ciò che offro in vendita è senz’altro un effetto personale della moglie di Vittorio Emanuele III, ma il cui contenuto non posso garantire. Peraltro, concordo che la maggior parte del taccuino è compilato in una lingua straniera, a me sconosciuta: lei dice russo, ne prendo atto. Tuttavia, come può vedere dalla seconda JPG che le invio, ai margini di alcune pagine dello stesso si riscontrano annotazioni in italiano firmate J. Si tratta di note autografe della regina Elena. Allego perizia calligrafica. Quanto alla sua offerta, temo di non poter scendere al di sotto della cifra che ho quantificato nella mia precedente mail.

    ------------------------

    Da: francesco.grasso@libero.it

    Inviato: sabato 15 ottobre 2011 20.11

    A: XXX

    Oggetto: R: re: annuncio n. 26163

    Gent.mo XXX,

    la sua presunta perizia calligrafica è una dichiarazione talmente vaga e anonima che – mi perdoni – non mi sembra sposti i termini della questione. Del resto, la circostanza che lei usi un canale così informale (un sito web per annunci d’antiquariato!) per vendere un presunto documento d’interesse nazionale dimostra che l’origine di questo cimelio Savoia è quantomeno dubbia: se anche fosse autentico, si tratterebbe comunque di un cimelio autenticamente rubato.

    Detto questo, e chiarendo che l’oggetto in questione m’interessa solo per le ricerche storiche che sto compiendo per il mio nuovo romanzo, le ribadisco la precedente offerta come massima cifra che sono disposto a spendere. A lei la decisione. Saluti.

    -----------------

    Da: XXX

    Inviato: giovedì 20 ottobre 2011 11.03

    A: francesco.grasso@libero.it

    Oggetto: R: re: annuncio n. 26163

    Ecco il mio IBAN: XXXXXXX

    Diario di Alec Vassilievic Brasivin – Marinaio di seconda classe incrociatore Admiral Makarov

    (liberamente tradotto dal russo, attualizzando alcuni termini e costrutti per migliorare la comprensione)

    Sebastopoli

    6 ottobre 1907

    Il demonio in persona si presentò un giorno al Palazzo d’Inverno di San Pietroburgo informando i cosacchi di guardia che intendeva conferire privatamente col Signore di tutte le Russie.

    – Che posso fare per voi, eccellenza? – chiese lo zar, stupito della visita.

    – Ho bisogno di un consiglio, piccolo padre – spiegò Satana. – Sembra che i supplizi e i tormenti dell’inferno non siano efficaci come una volta. Che non spaventino più nessuno. I mortali, temo, si son fatti troppo smaliziati.

    – È il progresso, eccellenza – convenne lo zar.

    – Forse voi, piccolo padre, avete qualche suggerimento per rendere di nuovo terribile il mio regno? Torture aggiornate, strazi, sevizie, moderne atrocità che ispirino rinnovata ferocia alle bolge infernali?

    – Ma certo – assicurò lo zar. – Venite con me, eccellenza: vi farò visitare le stive delle mie navi da guerra. Cercate, però, di non spaventarvi.

    Caro Piotr,

    è toccata anche a te questa bislacca storiella? Su tutta la Flotta del Mar Nero, pare, viene usata come benvenuto a bordo per gli ultimi arrivati: gli anziani la narrano alle reclute in tono confidenziale, e poi esplodono in grasse (lubrificate con la vodka?) risate alla vista delle loro facce stralunate.

    Se poi i novellini si mostrano scettici, gli anziani – te ne sarai accorto – s’impegnano subito a dimostrare quanto la storia sia vera.

    – Sai remare, finocchio d’una recluta?

    – Remare? Io… sì, signore.

    – Bene. Va’ a spalare carbone, allora. E invece tu, recluta faccia di merda, sai nuotare?

    – Sissignore. Come un pesce, signore.

    – Bene. Va’ anche tu a spalare carbone, allora.

    Non so come fossero le caldaie della tua nave, Piotr, ma ti assicuro che nella sala macchine del Makarov il calore ti mozza le gambe. Dalla fornace sprizzano getti di fuoco che paiono serpenti smaniosi d’azzannarti. Sembra che nemmeno la luce del giorno se la senta, di scendere laggiù. La polvere di carbone è dappertutto: la respiri, l’inghiotti, s’attacca ai capelli. Ti finisce negli occhi, nelle orecchie, sotto la pelle. Il prurito rende pazzi, ma se ti sfreghi è peggio: ho visto poveri ragazzi conficcarsi unghie nere di coke nelle braccia e frugare disperati fino a scarnificarsi.

    – Dovete cospargervi d’olio, bambocci! – abbaia ogni volta Pasha, l’enorme capo-fuochista, col tono di chi si diverte un mondo. – Come faccio io, vedete?

    – Il lubrificante di macchina non è infiammabile, signore? – obietta puntualmente qualcuno.

    – No se lo mescoli con la sabbia e l’urina, bamboccio. Viene fuori una miscela che ti protegge dalla polvere e dalle ustioni.

    Pasha usa confermare la sentenza sputando un catarro nerastro. – Forza, bambocci, fatevene una bella doccia! Prendete l’odore dei guerrieri dello zar!

    Nelle caldaie si perde la cognizione del tempo, Piotr. Quando finisco il turno e salgo sul ponte, non so mai se in cielo m’aspetta il sole o le stelle. Del resto sono così stanco che, in entrambi i casi, crollo a dormire nel primo angolo libero. Perché ovviamente i novellini non hanno diritto a una branda: quelle sono per gli anziani, non certo per noialtri feccia!

    8 ottobre

    Oggi la giornata è cominciata con una sveglia a base di calci nelle costole.

    – In piedi, idiota d’una recluta. Come ti chiami?

    Ho aperto gli occhi a fatica. Era l’alba. – Brasìvin, signore. Alec Vassilievic Brasìvin.

    Krasìvi? Proprio un nome del cazzo, recluta!

    Ho riconosciuto il sottufficiale di coperta: m’era stato additato come Serioga la Bestia. Faccia da maiale su corpo d’orso. Mi sono costretto a tacere.

    – Bene, krasìvi. ¹ Fammi vedere che cazzo tieni lì dentro.

    Senza aspettare risposta, ha agguantato la sacca che usavo come cuscino, l’ha vuotata, ne ha sparso di malagrazia il contenuto sul ponte.

    – Non si può nascondere cibo a bordo, recluta – ha notificato, intascando le poche provviste su cui contavo per sopravvivere al rancio, sicuramente l’arma più micidiale in dotazione al Makarov. – Lo stesso vale per il tabacco. Vediamo… Niente vodka?

    Sfogata la delusione con una bestemmia, ha esaminato con aria perplessa il mio taccuino (questo stesso libretto su cui consumo la mia matita). L’ha sfogliato tenendolo sottosopra: è più analfabeta d’una mucca, e lo ostenta con

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