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I manipolatori di anime
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I manipolatori di anime

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About this ebook

Daniel, dopo la morte della fidanzata, lascia gli studi di medicina e se ne va di casa. Il destino mette sulla sua strada un vecchio amico, che lo condurrà ad entrar a far parte di un’organizzazione segreta, il cui leader ha dei progetti ben precisi. Il ragazzo viene indottrinato a dovere dalla setta e spinto a ricercare delle ragazze da portare agli incontri. Ed è così che conosce Giulia che riesce a fargli ritrovare la lucidità.

La setta però non lo lascerà libero così facilmente. Daniel dovrà affrontare più volte i pericoli e la morte per uscirne e salvare la ragazza dal mirino di quel gruppo.
LanguageItaliano
Publishereditrice GDS
Release dateApr 3, 2013
ISBN9788867820634
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    I manipolatori di anime - ERICA BRUSCO

    ERICA BRUSCO

    I MANIPOLATORI

    DI ANIME

    EDITRICE GDS

    Erica Busco

    I manipolatori di anime

    EDITRICE GDS

    di Iolanda Massa

    Via G. Matteotti, 23

    20069 Vaprio d’Adda (MI)

    tel.  02 9094203

    e-mail: edizionigds@hotmail.it ; iolanda1976@hotmail.it

    Progetto copertina di ©Iolanda Massa

    Tutti i diritti sono riservati.

    Questo libro è il prodotto finale di una serie di fasi operative che esigono numerose verifiche sui testi. È quasi impossibile pubblicare volumi senza errori Saremo grati a coloro che avendone trovati, vorranno comunicarceli. Per segnalazioni relative a questo volume: iolanda1976@hotmail.it

    Nessuno vive perché lo vuole. Ma una volta che vive lo deve volere.

    Ernst Bloch

    PREFAZIONE

    Troppo spesso accade che il dono più prezioso che abbiamo ricevuto si rivela essere anche il più difficile; quante volte la vita ci pone di fronte a delle situazioni per cui sembra che davanti a noi sia sceso il buio eterno? Quella stella che ci guidava lungo il sentiero si è improvvisamente spenta, lasciandoci a un lungo inverno di dolore.

    Quel gelo ci insidia, onnipresente e noi ci abituiamo a lui, quasi diventasse un rifugio e nulla sembra più avere senso. Allora scatta in noi un meccanismo per cui, invece di vivere la nostra esistenza, la trasciniamo osservandola come fossimo estranei a essa. A quel punto la felicità e le piccole gioie diventano impossibili e noi, smarriti, continuiamo a barcollare, dimenticando ciò che abbiamo intorno.

    In realtà un appiglio esiste; c’è sempre almeno una persona che ci ama, pronta a prenderti la mano e illuminarti di nuovo la via; basta che tu abbia il coraggio di afferrarla e tutto riacquisterà i colori di prima. Allora ti renderai conto che davanti a te hai un quadro in cui alcune tinte sono belle e calde, mentre altre sono fredde, date con una spennellata talmente brusca da sormontare il resto. Tuttavia, è quel miscuglio di caldo e freddo, di gioie e dolori, di sudori e di piacere che rende quell’opera d’arte così bella e speciale, la stessa che chiamiamo vita e di cui solo tu sei l’autore.

    PROLOGO

    Venezia, 15 giugno 1588

    Francesco Celsi rientrò nella sua stanza, in quel momento sposa delle tenebre. Al suo ingresso, il bagliore tremolante della candela che aveva in mano disegnò sulle pareti una danza di ombre. Una folata di vento spalancò la finestra semiaperta, accompagnata da un rombo di tuono che annunciava l’odore di una notte tempestosa, chiaro presagio degli eventi futuri.

    Nonostante la croce che pendeva su di lui, il suo cuore era comunque quieto e fiducioso. Descrivere la sua persona, equivaleva a interpretare un messaggio criptato. Egli si occupava di occultismo fin da ragazzo, sentendo che il destino aveva in mente per lui un progetto importante.  Quella certezza crebbe quando l’abate San Domenico, presso il quale  fu istruito come chierico, aveva dispiegato il decreto emanato da Leone X nel 1515, secondo il quale si comminava il rogo dei libri non approvati dalla Chiesa e si procedeva con la scomunica dei loro autori.  Da allora, l’index librorum prohibitorum era diventato per lui la mela di Adamo.

    Celsi però non si sentiva completamente soddisfatto dell’istru-zione che stava ricevendo; essa era solo un piccolo assaggio che gli faceva venire ancora più la sete di conoscenza.

    Quell’incerto confine tra scienza e magia che era vietato conoscere, materia di uomini di grande ingegno, rischiava di deperire.   E lui cominciava a stancarsi di quello stato di cose; era arrivato il tempo di opporsi seguendo la corrente innovatrice. Lo stesso spirito e la ragione si ribellavano: non possono sopportare l’uno la tristezza e la rigidità dell’ascetismo medievale, né l’altra il severo dogmatismo. C’era qualcosa che superava il visibile nel mondo, che andava oltre ai limiti cui l’uomo non poteva arrivare perché tenuto in catene dalla società. Così aveva cominciato a studiare le tesi di Pico della Mirandola e il De Harmonia Mundi di Francesco Giorgi, combinando la cabala cristiana con i quattro elementi naturali e la numerologia pitagorica. Secondo Giorgi, questo connubio avrebbe portato al contatto con le sfere celesti. Eppure Celsi sentiva che c’era di più: la vera armonia universale non era stata ancora completata e non riguardava solo i cieli.

    Da allora egli aveva dedicato la sua vita a questa ricerca, finché una notte, in sogno, gli era apparso lui, un angelo bellissimo, portatore di una luce così attraente di cui non si poteva desiderare altro che farne parte.

    Ti osservo da tempo Gli aveva detto. E ti ho scelto come mio messaggero per rivelare la mia parola; io ti detterò i segreti del mondo che nessun altro ha e diverrai il custode stesso del futuro….

    Da quel momento aveva preso la penna d’oca e come in trance, aveva scritto ciò che l’angelo gli aveva dettato, parola per parola. La mano si era mossa come spinta da una forza esterna; in poche ore si era trovato tra le mani un manoscritto di un centinaio di pagine in latino, alcune parti anche al rovescio.

    Già da qualche tempo quella materia lo aveva condotto lungo un sentiero di morte e ora, con quel servigio, si trovava sull’orlo della fossa. Tuttavia, se all’inizio aveva cercato di compiere i suoi studi in segreto, ora era stanco e non voleva più nascondersi.  Si strinse nella mantella rossa, attendendo il suo momento. Sapeva che presto sarebbero venuti a prenderlo e l’avrebbero torturato per fargli rivelare tutto, prima di tappare la sua bocca per sempre. Tuttavia non aveva paura di affrontare il dolore, di sentire le fiamme ardere fino a fargli scoppiare il cuore: era un uomo maturo, depositario di un segreto che inconsciamente aveva cercato per anni e che sarebbe riuscito a tramandare con quelle pagine a chi lo meritava. Egli aveva pertanto ottenuto ciò che desiderava e quand’anche l’avessero cercato, il libro si trovava già al sicuro, nelle mani di un amico fidato che lo avrebbe portato in un luogo oscuro agli inquisitori. Così, egli attendeva la fine in piena tranquillità, affidandosi al silenzio anche di fronte alla tortura.

    Nel frattempo sei uomini dalla toga bianca, con una cappa marrone incappucciata sulle spalle, remavano fra le acque tenebrose del Canal Grande per avvicinarsi al Palazzo Giustinian. Le loro torce infuocate gettavano bagliori sinistri sulle acque notturne che, sotto la spinta dell’imbarcazione e del vento, sbattevano vigorosamente contro la cornice basamentale del palazzo. Fermarono la barca legandola con un nodo semplice a un palo e scesero, incuranti della pioggia sferzante che ingrossava le acque.

    Francesco già sentiva i loro passi che, come cavalli al galoppo, salivano le scale e attese paziente la loro incursione.  Quando entrarono, la croce dorata riluceva sulla loro cappa, illuminata dall’unica candela della stanza. Il loro arrivo fu per lui una conferma.

    Francesco Celsi, oltre ad essere colpevole di stregoneria, osate diffondere una dottrina che rinnega il cristianesimo e vi ritenete sopra di nostro Signore… Disse il più anziano dei sei, che già mostrava una capigliatura canuta.

    Mentre lo prendevano, strattonandolo malamente, lui ridacchiava.

    Poveri ignoranti, non sapete che il futuro è già stato scritto anche senza di me, io sono solo un messaggero e il destino si compirà quando voi non potrete fare più niente per fermarlo. Tremate gente, perché chi sfiderà l’Angelo, perirà in dolori inimmaginabili.

    PRIMO CAPITOLO

    Roma, settembre 2004

    Qualcuno di voi mi sa dire perché il venticinque dicembre celebriamo il Natale? Chiese il professor Marchini, stridendo il gesso alla lavagna mentre scriveva velocemente e in maniera altrettanto deformata il numero. Una scia di polvere cadde sulla pe-dana di legno scolorito, che scricchiolava a ogni suo passo.

    Perché è il giorno del Signore. Rispose una ragazza i cui riccioli corvini le ricadevano sulle spalle, lucendo al riflesso del sole che filtrava dalla finestra. Seguì una lieve risatina.

    Il professore fece segno agli studenti di stare calmi.

    Non si preoccupi signorina Fazzini La rassicurò Marchini Siamo qui per imparare e non ridiamo certo di lei. Si schiarì la voce e continuò: In realtà, nessuno sa il giorno di nascita di Gesù, eppure il venticinque dicembre è stato scelto per convenzione nel periodo in cui il cristianesimo diventava religione ufficiale e rinnegava il paganesimo.

    Con un gesto nervoso scrisse un’altra data alla lavagna. "Nel 336 abbiamo la prima attestazione della celebrazione del giorno del Natale di Gesù al 25 dicembre, in coincidenza con il giorno festivo del calendario romano dedicato al dies natalis del Sol invictus… era ed è il solstizio d’inverno, il momento in cui le giornate riprendono ad allungarsi e, con il suo calore, la vita lentamente riprende vigore".

    Quindi mi sta dicendo che hanno mantenuto la data di una festa pagana? Chiese Giulia, mentre prendeva appunti con la sua calligrafia minuta. Gradiva molto le lezioni di storia medievale; quando si era iscritta all’accademia d’arte, temeva di doversi sorbire molte ore noiose di storia. Quando però aveva cominciato a frequentare il corso del professor Marchini, aveva scoperto un innato e sconosciuto interesse per quelle che erano state le origini

    della cultura e della situazione attuali.

    Esattamente Confermò l’insegnante con la bocca piegata in un sorriso sghembo. È stato un po’ come indorare la pillola, no?. Appoggiò il sedere al bordo della cattedra, di fronte l’intera classe, continuando a sorridere.

    Non si può certo di punto in bianco cambiare totalmente le credenze e le abitudini di un popolo, no?. Tirò su la manica della camicia blu per guardare l’ora.

    Il Cristianesimo si opponeva palesemente alla religione dominante e, alla fine, Costantino si mise alla testa del movimento monoteista convocando il concilio di Nicea nel 325. Ed ecco che nei primi dipinti cristiani, quelli delle catacombe, si trasformano i simboli pagani in arte cristiana: ad esempio il susseguirsi delle stagioni diventa simbolo della resurrezione, oppure la nave, che presso i pagani era simbolo di prosperità, diventa il simbolo della chiesa. Premette il pulsante del proiettore per far scorrere le immagini; le figure angeliche erano ben diverse da quelle dell’immaginario collettivo: al posto degli angioletti dai boccoli d’oro c’erano uomini adulti che indossavano abiti impreziositi da clavi. La seconda diapositiva mostrava due puttini nudi, ai piedi del letto, dove una vergine attendeva assieme a un’immagine divina alata, che tanto ricordava lo Spirito Santo; i personaggi erano tutti di un candore quasi surreale. Questa si trova nella galleria Borghese, spiegò, ed ecco che gli amorini pagani diventano degli angioletti, mentre in quest’altra, la vittoria alata è la rappresentazione di un angelo. Altro click. Oppure si utilizzavano gli antichi motivi naturalistici legati al culto di Bacco, come simboli iconici nell'ambito del messaggio evangelico Continuò mostrando un paio di annunciazioni, in cui angioletti alati volavano sopra il protagonista del dipinto nel raggio di luce divina. Molto bene, direi che per oggi è tutto Concluse. La settimana prossima termineremo questo discorso e cominceremo a vedere le basiliche.

    Evviva Borbottò ironicamente la studentessa accanto a Giulia, alzando gli occhi al soffitto.

    A me il professor Marchini piace.  La contraddisse la compagna, mentre liberava il banco e metteva le cose nella borsa in finta pelle.

    Se ti piacciono gli stagionati. Aggiunse l’altra con una smorfia. Giulia prese la giacca senza darle retta (quella ragazza era troppo esaltata ed esuberante per iniziare con lei una conversazione). Era una ragazza abbastanza introversa e non amava affatto circondarsi di persone simili.

    Devo andare Anna, ci vediamo domani. La salutò frettolosamente. Infilò la borsa a tracolla e scese le scale che portavano alle file di banchi, fino all’uscita.

    Imboccò a destra via di Ripetta, camminando sul marciapiede, tra il muro e la fila di macchine parcheggiate. Come di consueto, le auto sfrecciavano per la via facendo dei piccoli salti sul porfido che producevano un rumore simile a uno scoppiettio. Il clacson di qualche autista impaziente la fece voltare alla sua destra. Da una Punto nera, un signore di mezza età fece un gestaccio a un motociclista appena passato. Dopo i primi cinquanta metri già sentì il caldo: l’azzurro terso sovrastava infinito a Roma e il sole di metà settembre scaldava parecchio. Giulia passò accanto alle verdi palme di Piazza del Ferro e continuò fino la fine della strada. Seguendo a destra il marciapiede, giunse alla fermata dell’auto-bus. Fu in quel momento che sentì i morsi della fame stringerle lo stomaco.

    Lanciò un’occhiata furtiva al suo orologio in acciaio: le tredici e trenta. Sapeva che non sarebbe arrivata a casa prima di un’ora e stava morendo di fame. I crampi allo stomaco cominciarono a diventare dolorosi ed erano accompagnati da rumorosi brontolii, tanto da temere che i passanti li sentissero. Frugò nella tasca della giacca, ma non trovò spiccioli: quella mattina era uscita di corsa perché si era riaddormentata dopo il trillo della sveglia e non c’era stato il tempo di  preparare uno spuntino. Persino il portafogli era rimasto sul tavolo: per fortuna lasciava sempre i carnet dell’auto-bus nella borsa, altrimenti avrebbe dovuto farsi una bella camminata.

    Mannaggia Mugugnò. Uno spicchio di pizza me lo sarei mangiato volentieri… ho una fame!

    Quindi notò, dall’altra parte della strada, un ragazzo appoggiato alla ringhiera, nel punto in cui la via procedeva in salita. Teneva la testa leggermente inclinata per accendersi una sigaretta. L’ar-gento dell’accendino brillava alla luce del sole.

    Impossibile non vederlo. Era di una bellezza sconvolgente, assurda. Quasi finta. I capelli ramati gli ricadevano in ciuffi disordinati. Il maglioncino azzurro aderiva perfettamente al torace ben scolpito, definendo i contorni del petto e delle braccia.  La pelle, di un pallore inquietante, risaltava il rosso dei capelli, facendoli sembrare di fuoco.

    Non è che sia stato molto al sole. Pensò. Eppure il suo viso angelico era magnetico.

    In quel momento arrivò l’autobus, nascondendo la visuale. Giulia salì e trovò posto accanto al finestrino, ma quando lo cercò, lui non c’era più e il suo pensiero volò verso qualcos’altro.

    SECONDO CAPITOLO

    Marilena tamburellava col piede sulle piastrelle marmoree del pavimento, mentre, seduta sul divano e con le braccia conserte, teneva lo sguardo fisso sull’orologio. Il suo ticchettio era quasi ipnotico, nel silenzio della stanza. Le quindici e trenta. Si spostò per prendere la tazza di the, quando lo sbattere improvviso e violento dell’uscio la fece sussultare e rovesciare metà liquido sul tappeto floreale.

    Daniel, il figlio diciannovenne, passò accanto alla madre senza nemmeno guardarla e salì la scala a chiocciola di legno che portava alle stanze da letto.

    Marilena osservò la figura scarna del ragazzo: era dimagrito visibilmente negli ultimi tempi e il fatto che lui la ignorasse, tenendola fuori dalla sua vita, la faceva stare ancora peggio.

    Lo seguì spazientita, chiamandolo a gran voce, ma il ragazzo non le rispose nemmeno. Lo raggiunse sul pianerottolo, mentre si richiudeva la porta alle spalle.

    Bussò alla porta, chiamandolo ancora, ma la sua voce fu coperta da una musica assordante, dal tono duro, che pareva richia-mare l’oscurità e il male: più che canto sembravano grida provenienti dalle viscere del cantante, quasi fosse posseduto. Non aveva mai gradito quel tipo di musica, l’heavy metal; ne era nauseata. Preferiva ascoltare il tosaerba, piuttosto. Lavorava part-time come assistente presso uno studio dentistico e conosceva un po’ d’inglese; quindi riconobbe le parole: Go drill your deserts, /Go dig your graves /Then fill your mouth with all the money you will save Andate verso i vostri deserti, Andate a scavare le vostre tombe! Poi riempitevi la bocca con tutti i soldi che risparmierete.

    Bussò più forte, più e più volte, finché il ragazzo, sbuffando, aprì. La madre avvertì un tuffo al cuore nel vederlo pallido e con gli occhi scavati.

    Che c’è? Chiese.

    Ah, e me lo chiedi? Ribatté lei, indignata. Abbassa quella musica infernale! Gli intimò subito dopo.

    Il ragazzo obbedì e, dandole le spalle, le chiese cosa volesse.

    Che cosa voglio, mi chiedi? Strepitò lei, inferocita. Sentiva il calore uscire dalle orecchie e dalla pelle come se stesse ardendo.

    Dì un po’... ma sei impazzito?

    Non capisco, mamma.

    Sono venuta all’università perché mi sarebbe piaciuto una volta tanto essere lì mentre sostenevi l’esame di psicologia e sai cosa ho scoperto? Lo informò, avvicinandosi.

    Il ragazzo teneva la testa china e non rispondeva.

    Non lo indovini? Insistette la donna.

    Arrivata all’estremo esaurimento della pazienza, afferrò le spalle del ragazzo e lo scosse forte.

    Non puoi trattarmi così! Tuonò, continuando a scuoterlo.

    Sei maggiorenne, ma merito di sapere cosa fai tutto il giorno e cosa ti succede!

    Cosa mi succede? Ripeté il ragazzo, con aria di sfida.

    Marilena lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi e sospirò, affranta.

    Hai dato solo un esame finora e i professori non ti conoscono nemmeno!

    L’unica ragione che mi dimostrava che la vita è bella non c’è più, mamma! Mentre pronunciava quelle parole, gli s’infiamma-rono gli occhi e una lacrima scivolò lungo una guancia.

    Tesoro, la morte di Kello è stata un dolore immenso ma devi reagire… sei giovane. Gli ricordò. Un altro sospiro le scosse il petto. Provò a scegliere un altro approccio.

    Rachele, o Kello, come la chiamava lui, era la sua fidanzatina con cui si frequentava dal liceo. Ragazza splendida, con due smeraldi per occhi e piena di vita, Kello sapeva trovare il lato positivo in ogni cosa, persino in un temporale.

    È il grido della natura per annunciare il suo bagno rinfrescante e poi l’arcobaleno mostrerà quanto è contenta! Diceva. Se ne era innamorato non solo per la sua bellezza, ma anche per tutta la fiducia che lei riponeva in lui e nelle sue capacità.

    Suo padre, dopo il diploma, voleva inserirlo subito nell’azienda di famiglia, un’industria di arredamenti, la GIOIE DI CASA. Vieni da noi e uscirai col sorriso- diceva lo slogan sull’insegna e sul sito web. Kello però sapeva che Daniel voleva studiare medicina e aveva insistito perché perseguisse quel sogno. Carpe diem! Gli ripeteva. Se non fai quello che ami finirai per sentirti in gabbia. Alla fine anche i genitori avevano acconsentito. E lui ci aveva creduto. Grazie a lei. I due avevano persino cominciato a parlare di un futuro insieme. Poi, quel sabato di nove mesi fa era cambiato tutto. La vita della ragazza era stata spezzata in un incidente. Kello aveva chiesto a Daniel di accompagnarla a teatro a vedere una sua amica. Lui le aveva detto che doveva studiare per l’esame di lunedì e che sarebbe andato a letto presto. Lei lo aveva salutato serenamente, dicendogli che lo amava e augurandogli buono studio.  Poche ore dopo la voce affranta della madre di Kello al telefono gli aveva annunciato che la giovane era salita in macchina con una ragazza neopatentata e si erano scontrate con un’auto in sorpasso, facendo un frontale. Erano morte entrambe sul colpo. Per Daniel quello era stato l’inizio dell’inferno. La scuola e il futuro non contavano più senza di lei e così il mattino usciva, vagava per la città, giocava con le macchinette, si prendeva spesso sbronze. Ogni giorno era uguale all’altro, senza via d’uscita: il sole nasceva e tramontava, tingendo ora d’oro ora di rosso il cielo, per poi inabissarsi lasciando spazio a una notte amara ed eterna, che tutto abbracciava nel silenzio. Aveva pianto solo al funerale, poi tutto era diventato apatico, insignificante. Persino le lacrime. Il tempo scorreva sordo alle sue orecchie, mentre svanivano i colori della vita coperti da una coltre di morte e tristezza.

    I genitori lottavano anche per il fallimento del loro rapporto e così pensavano che la reazione del ragazzo fosse solo temporanea. Fino a quel momento.

    Se non ce la fai con l’università, ok, prenditi del tempo… ma almeno dillo, no? Se questo disagio dopo tanti mesi ancora ti tormenta, possiamo chiedere aiuto…ma non startene chiuso in te stesso, ignorando il mondo.

    Diciamo che il divorzio tra te e papà non mi aiuta molto, no? Puntualizzò.

    "Forse se foste

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