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16 Rose arancioni
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16 Rose arancioni

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About this ebook

Nel giorno del più importante compleanno per un ragazzo, il diciottesimo, Antonio

torna da una vacanza e trova ad attenderlo un’orrenda sorpresa che gli cambierà

completamente l’esistenza.

In un susseguirsi di eventi terribili e misteriosi segreti verranno a galla omicidi perpetuati con maniacale attenzione di particolari che sembrano seguire delle vere e proprie scenografie, frutto di una mente malata, firmati teatralmente con una poesia visionaria che tengono la polizia in stallo fino alla rivelazione che permetterà di risolvere il caso.

Ma i colpi di scena non sono ancora finiti. Le situazioni al limite della follia che

coinvolgono tutta la famiglia di Antonio ed i suoi amici, si snodano negli ambienti

familiari dell’autore, un apparentemente tranquillo rione di una cittadina toscana

dove tutti si conoscono, fino a giungere ad un epilogo apocalittico.
LanguageItaliano
Publishereditrice GDS
Release dateSep 9, 2014
ISBN9788867823314
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    16 Rose arancioni - Michele Ciardelli

    Michele Ciardelli

    16 rose arancioni

    GDS

    Via G. Matteotti, 23

    20069 Vaprio d’Adda  Milano

    tel/fax 029094203

    www.gdsedizioni.it

    La storia narrata è frutto della fantasia dell’autore. Ogni riferimento a fatti e/o persone realmente accaduti è puramente casuale.

    Voglio ringraziare, prima di tutti, due persone che mi hanno aiutato sotto tanti punti di vista alla realizzazione di questo libro anche se in modo molto differente l’una dall’altra: La Signora Rispettoso Barbara (Baby) e la signora Perfetti Rossana. Poi desidero ringraziare la pazienza dei miei colleghi di lavoro che hanno avuto nel sopportarmi; il signor Giannessi Giulio per i consigli tecnici e l’amico editor Pardi Pierantonio. Un ultimo ringraziamento voglio farlo alla persona più importante della mia vita: mia moglie Sabrina. Ti amo, anzi di più: ti venero.

    Questo libro è dedicato ad un angelo caduto dal cielo in un mondo troppo duro per capire la sua fragilità…

    Come vedi, ho mantenuto la promessa: ciao A.R.

     TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI

                                                                                                           Diario di un folle

    La mente si aggrappa a un'idea

    finché la sua realizzazione non se la porta via.

    Inquisito ingiustamente dalla mia colpa supposta

    inchiodandoti ad una croce capovolta

    ho trovato la mia risposta.

    Nelle pagine della Bibbia ho scovato il mio sentiero

    dove il male ha liberato il mio animo fiero

    e fatto fare il mio dovere per intero.

    Pietre ho scagliato per liberare la mia vita

    per lacerare e vedere scorrere fra le mie dita

    una sensazione di purezza infinita.

    Come un popolo oppresso dal tormento

    ripongo la mia esistenza nel Vecchio Testamento

    a quando l'acqua si divise in un momento.

    Quando un angelo verrà risparmiato

    perché simile a me è stato creato

    nell'alba della mia nuova vita sarò rinato.

    Capitolo 1

    L’aria sempre più fresca al discendere del sole dalla sua parabola, preannunciava la sera ormai imminente, e che l’estate volgeva al termine, in quella giornata di fine agosto.

    Gli ultimi istanti di luce provocarono l’aumento frenetico del lavoro di un’ape che volava di fiore in fiore, quando il frastuono delle ruote di un treno sulle rotaie la impaurì talmente tanto da farle cercare rifugio nell’erba circostante. La curiosità, però, la spinse ad uscire e a posarsi delicatamente sui petali di un fiore, per vedere il passaggio di quello strano serpente. Attraverso un finestrino del treno, vide gli occhi di un bambino e ne rimase rapita al punto che volle sapere dove si erano posati. Si voltò e, non appena si accorse che dietro di sé c’era un aereo in fase di atterraggio, cercò di volare via quanto più velocemente possibile.

    Il bambino fissava quell’aereo come se davanti a sé non ci fosse altro e, girandosi verso suo padre, esclamò: «Guarda papà!» indicando con il dito l’aereo, mentre dal suo interno stava uscendo il carrello.

    «Che cosa?» rispose suo padre, mentre osservava una piccola ape volare via velocemente…

    «Un aereo!» esclamò con stupore il bambino, come se non ne avesse mai visto uno.

    «Sergio, lo sai che ho paura di volare…»

    «Anch’io non mi sento a mio agio… Preferisco il treno.» disse un uomo seduto vicino al bambino, nel tentativo d’intavolare una discussione.

    Dal corridoio, nel frattempo, si sentiva la voce, sempre più vicina, del controllore che chiedeva con insistenza l’esibizione del biglietto. Arrivato nel loro scompartimento, pretese di vedere anche il loro: «Biglietti, prego!» esclamò, prima di rimanere sorpreso dalla foto del padre del bambino sul tesserino. Lo aveva riconosciuto, senza esserne sicuro: «Ma lei è… Quell’ispettore della polizia! Accidenti, non mi viene il nome.»

    «Piacere. Io sono Palandri Altero e questo è mio figlio Sergio…»

    «Ho seguito tutta la vicenda in tv, mi dispiace… Le faccio le più sincere condoglianze.» gli disse con voce affranta, il controllore.

    «La ringrazio, ma…» non proseguì per non piangere. Sentiva che, se avesse continuato a parlare, non avrebbe potuto trattenere le lacrime e questo, davanti a Sergio, non se lo poteva permettere…

    «L’hanno preso quel bastardo?» gli domandò l’uomo vestito in modo elegante, ma decisamente fuori moda per un uomo poco più che trentenne, seduto vicino a suo figlio.

    «Ancora no, ma le indagini sono tuttora in corso e coperte dal segreto istruttorio» rispose Altero, ritrovando, grazie a quella domanda, tutta la sua professionalità.

    «La mamma da lassù lo ha già perdonato, ne sono sicuro. Mi ha sempre insegnato a non provare odio per nessuno…» disse Sergio, candidamente.

    «Mamma ha ragione, ma i cattivi devono stare in galera!» esclamò a tono quell’uomo.

    Non appena il controllore uscì per continuare a fare il proprio lavoro, quell’uomo vicino a suo figlio, dietro gli occhiali tondi e la folta barba, disse ad Altero: «Lo sa che è molto fortunato ad avere un figlio così dolce?»

    «La ringrazio, ma... lo sapevo già!» rispose Altero visibilmente imbarazzato, ma fiero di suo figlio. «Mi scusi la curiosità… Ha una strana copertina gialla quel libro, di che cosa parla?» domandò, per cambiare discorso.

    «È un romanzo autobiografico... c’è un po’ tutta la mia vita qua dentro.» spiegò eccitato quell’uomo. «E sto andando dall’editore per firmare il contratto di pubblicazione.»

    «Allora, in bocca al lupo…» gli augurò Altero.

    «Crepi…» rispose quel tale, con un po’ d’imbarazzo.

    L’imbarazzo di entrambi permise di far calare definitivamente fra di loro il silenzio, rotto solo dalle simulazioni vocali di Sergio che animava una battaglia fra soldatini…

    Il ricordo di Alice, nel silenzio, riaffiorò nella mente e nel cuore di Altero, alimentato dalla visione di quell’aereo che ormai aveva quasi finito di atterrare. La solitudine gli rammentava che era passato poco tempo da quando Alice, sua moglie, non c’era più. Se n’era andata il giorno del loro decimo anniversario, quando un ladruncolo, intento a scipparle la borsa, la spinse contro una vetrina, uccidendola. Continuava a pensare che, se avesse dato ascolto alla sua paura di volare, forse adesso lei sarebbe ancora lì con loro. Ma il sorriso di Sergio gli ricordava che qualcosa di lei viveva ancora, proprio mentre il treno giungeva in stazione.

    Il treno iniziava a rallentare sempre più, proprio mentre la piccola ape cercava, nonostante il rumore, di avvicinarsi all’aereo. La curiosità la spinse nei pressi di quello strano uccello, facendole notare, attraverso un finestrino, che un ragazzo conversava con un signore seduto a lui vicino. Avrebbe voluto sapere di che cosa stavano parlando, se quell’uomo non l’avesse calpestata su uno scalino, giustificandosi, col dire: «Sono allergico alle punture d’ape.»

    Il ragazzo non se ne accorse neppure e, voltandosi verso di lui, esclamò: «Non vedevo l’ora di arrivare!»

    «Perché, sei  stato  male in  Spagna?» gli domandò il vicino di viaggio, incuriosito.

    «No. Mi sono pure molto divertito, ma… Casa tua è sempre casa tua.» rispose Antonio. «E poi… Fra una ventina di giorni, inizia nuovamente la scuola.»

    «Che classe fai?»

    «Faccio la quinta dell’industriale» rispose Antonio, avviandosi all’uscita.

    «Quindi quest’anno avrai gli esami.»

    «Sì! E non vedo l’ora d’averli già superati…»

    «Allora buona fortuna per i tuoi studi…» gli augurò il compagno di viaggio.

    «Grazie!» esclamò Antonio, mentre inforcava la bicicletta, con il pensiero già rivolto a casa.

    Dopo pochi chilometri, arrivò a casa. Scese dalla bici, fece due passi ed entrò nel vialetto per andarla ad appoggiare al garage, domandandosi distrattamente come mai il cancello automatico fosse già aperto. L’emozione dei suoi diciotto anni aveva più importanza di quel curioso pensiero e poi non vedeva l’ora di riabbracciare entrambi i suoi genitori e… di sapere cosa papà Rocco gli avesse fatto di regalo.

    Già il regalo…

    Ogni anno era come risolvere un rebus sapere cosa e più che altro dove l’aveva nascosto. Come l’anno scorso quando aveva trovato un foglio con su scritto un indovinello ed un anello portachiavi sulla scrivania di camera sua. Capì immediatamente che gli aveva regalato il tanto agognato scooter, ma da quelle parole non riusciva a carpire dove l’avesse nascosto. Provò più volte a sforzarsi di capirlo, fino a quando, abbassandolo, non si trovò davanti Rocco che gli dondolava davanti agli occhi un portachiavi a forma di smile e gli ordinava di correre in garage…

    Sul portellone del garage trovò appeso un fiocco con sotto un nastro con impresso a caratteri cubitali: Auguri. Lo aprì e si trovò davanti uno scooter rosso fiammante con stampato, ai lati, le sue iniziali: AV (Antonio Visio)

    «Per distinguerlo dagli altri…» disse il padre, incoraggiandolo ad avvicinarsi.

    Con ancora in mente quel ricordo, andò di corsa al garage con la speranza di trovarci la macchina perché, come aveva detto Antonio prima di partire: «La maggiore età lo impone…»

    «Poi si vedrà…» gli rispose Rocco, lasciando la porta della speranza socchiusa.

    Ripensava ancora a quelle parole quando aprì il garage, facendo perdere le sue speranze nel silenzio. La macchina non c’era e nessun altro rumore si udiva, anche dopo aver provato a chiamare: «Papa! Sono tornato. Mamma! C’è nessuno?» senza ottener risposta.

    L’aria era immota ed irreale, come se non ci fosse nessuno ad attenderlo, tranne uno strano stato d’animo.

    Urlò di fronte ad una finestra chiusa: «C’è qualcuno?»

    Tentò più volte, ma sempre con lo stesso risultato.

    Una strana angoscia si faceva sempre più largo quando andò a richiudere il cancello, come se volesse aumentare un’ irreale suspense. Si voltò verso la casa e con aria pensierosa s’incamminò verso la porta, cercando le chiavi. Montò due scalini, aprì la porta e chiese se c’era qualcuno, ma la speranza si perse ancora una volta nel silenzio.

    Si addentrò con circospezione e, abbassando gli occhi, notò una insolita biglia. La prese in mano ed esclamò: «Mamma! Ho trovato una strana pallina per terra… Un’altra e… Un’altra!» desiderando che qualcuno gli rispondesse.

    Quelle strane sfere avevano catturato la sua attenzione; osservandole attentamente si rese conto che erano messe una di seguito all’altra, a formare un sentiero che conduceva in sala. Cominciò a raccoglierle, avvertendo, ad ogni passo che faceva, una voce che incessantemente cantava: «Ninna nanna ninna o, questo bimbo a chi lo do?»

    Si rese immediatamente conto che la voce era quella di sua madre. Il suo continuo cantilenare gli fece pervadere il corpo da brividi accompagnati da stupore, quando la vide seduta in poltrona con una gamba a cavallo del bracciolo. Cominciò a fissarla senza capire come mai continuasse con quella cantilena senza degnarlo di uno sguardo. Lo strano stato d’animo si trasformò in imbarazzo e l’aria si fece sinistramente strana: la stanza era tirata a lucido e… il camino era acceso! Troppe cose risultavano perlomeno strane e senza una logica spiegazione. Appena cominciò a riflettere, sua madre lo invitò a voltarsi verso la sua destra.

    Si girò molto lentamente e, come a rallentatore, svenne. Quando riaprì gli occhi ripensò a quello che un attimo prima aveva visto e si disse che era impossibile. La nenia che continuava a cantare ininterrottamente sua madre lo riportò, tristemente, alla realtà. Il calore del camino gli fece scendere delle gocce di sudore, alimentate da una crescente tensione. Si rialzò e si girò nuovamente verso destra e a quel punto capì che non c’erano dubbi: l’apocalisse si era abbattuta in casa Visio! La tremenda immagine che gli si mostrò davanti assomigliava all’inferno dantesco dove l’immagine di suo padre inchiodato ad una croce messa capovolta pareva la configurazione dell’Anticristo. Tutto aveva un non so che di satanico e di rituale. Antonio provò a fissare la statua di suo padre cercando di farsi forza per non vomitare e per non svenire, ma non ci riuscì…

    La nenia che insisteva a cantare Sara, lo risvegliò nuovamente.

    Come se non potesse farne a meno si girò ancora una volta verso suo padre, notando un particolare che il dolore non gli aveva permesso di vedere: al posto dello stomaco aveva una grossa macchia rossa che partiva appena sotto lo sterno e finiva sul pube. Si avvicinò con molta diffidenza, ma poi desistette per andare a telefonare alla polizia. Cercò le residue forze nervose per mantenere un barlume di razionalità, ma milioni di pensieri gli affollavano la mente quando prese la cornetta e compose il numero.

    «Pronto, polizia? Venite subito in via Andrea Pisano 300, perché mio padre è stato…» Antonio fece un attimo di pausa, per trovare la forza di dire: «Ucciso!»

    La voce dall’altra parte si segnò tutti i dati, prima di invitare una volante a recarsi sul posto dove era stato segnalato un cadavere, vittima di un omicidiosuicidio.

    «Andiamo immediatamente sul posto» disse l’agente rispondendo alla chiamata.

    «Ci rechiamo anche noi sul posto…» Si aggiunse alla conversazione Altero, dopo aver ascoltato la chiamata della centrale ed aver sentito il luogo del presunto omicidio.

    L’ispettore capo della polizia della sezione omicidi Palandri Altero, quel giorno, aveva preso servizio da poco. Era andato con un agente della squadra mobile, nonché suo migliore amico, Gualtiero Loboli, vicino a casa Visio per un altro omicidio e non appena sentì il nome e il numero di quella via, si precipitò perché sapeva abitarci la famiglia a cui era legato fin da bambino.

    Prima di arrivare sul posto, Gualtiero gli fece qualche domanda per rompere il ghiaccio e sciogliere la tensione che si accumula per ogni caso che devono risolvere.

    «Ti sei divertito oggi con Sergio?» gli domandò Gualtiero.

    «Da morire… È stata un giornata veramente da ricordare e poi finalmente sono riuscito a ritrovare il sorriso.» rispose Altero, visibilmente felice. «E se tutto va bene, la prossima settimana ci ritorneremo!»

    «La volante è già qui!» esclamò Gualtiero, per ritrovare un tono professionale. «Odio questi nastri… Significano sempre la stessa cosa: morte!»

    La casa era già stata nastrata e messa sotto sequestro da un agente, mentre l’altro cercava di far uscire Antonio, spiegandogli che lui, lì, non ci poteva stare.

    «Questa è la villa di Rocco Visio, il macellaio del quartiere, nonché dell’assessore di Pisa...» disse Altero appena giunse nei pressi della casa.

    «Lo conosci?» domandò Gualtiero, incuriosito.

    «Sì!» esclamò a tono Altero. «Io e il figlio più grande di Rocco, siamo cresciuti insieme, prima che lui…» non concluse il discorso perché uno dei due agenti gli si parò davanti.

    «Ispettore!» esclamò l’agente, mettendosi sull’attenti.

    «Cos’è successo?»

    «Mi scusi ispettore, ma in trent’anni di servizio non avevo mai visto niente del genere.»

    «Cosa potrà mai essere successo…» disse Gualtiero con fare insolente.

    Altero lo fulminò con lo sguardo, perché non sopportava quel lato del suo carattere e soprattutto non lo tollerava sul lavoro. Invitò entrambi a seguirlo dentro casa, ma si fermarono sulla porta d’ingresso dove c’era l’altro agente in compagnia di Antonio.

    «Oggi è il mio compleanno…» sibilò Antonio, con lo sguardo perso nel vuoto, alla domanda sul come stava.

    Vista l’impossibilità di poterci parlare, lo invitò ad uscire, accompagnato da un agente, mentre il medico dell’ambulanza avvisava che aveva steso il proprio rapporto sulla reale morte di Rocco, porgendogli la cartella firmata. Altero chiese a Gualtiero di seguirlo e di non toccare niente per non compromettere le eventuali prove.

    «Non sono mica un pivello!» esclamò deciso Gualtiero.

    «Lo so, ma la prudenza non è mai troppa, in questi casi.»

    Si fecero accompagnare sul luogo del delitto dal primo agente, che, in prossimità della porta di sala, disse: «Scusatemi, ma io ho già dato.»

    «Non ti preoccupare…» lo rassicurò Altero, dandogli una pacca sulla spalla.

    Non varcò la porta per lo stupore nel sentire provenire dall’interno una strana nenia. Si mise ad ascoltare ed immediatamente si rese conto che era la voce di Sara che incessantemente cantilenava. Fece per entrare, ma si dovette subito fermare perché si accorse che sulla soglia c’erano sparse per terra delle strane sfere. Si mise i guanti in lattice e ne raccolse una, avvertendone la morbidezza e notando una strana cucitura che lo incuriosì non poco. La voce di Sara lo riportò alla realtà, facendolo riflettere su una domanda che fino a quel momento non si era ancora posto: «Ma il corpo dov’è?»

    Stando attento a non pestarle entrò nella stanza e si trovò la statua di Rocco dinanzi a sé. Fece uno sforzo non indifferente per non vomitare, poi chiamò Gualtiero ed il medico, invitandoli a non schiacciare quelle palline.

    Altero chiese al medico di portare Sara in ambulanza perché era in evidente stato di choc ed invitò Gualtiero a chiamare le centrale operativa per far intervenire la scientifica, il commissario ed il magistrato di turno.

    Nell’attesa si avvicinò alla statua con reverenza in segno di rispetto, per volerla vedere da vicino, constatando subito che al posto dell’addome c’era una grossa macchia rossa che dall’odore sembrava fatta di cera; con stupore si accorse anche che c’erano incise delle piccole parole. Si sforzò di leggerle, capendo con stupore che formavano i versi di una poesia mai sentita prima, ma che cantavano: Ogni visione è passione, ma ogni sguardo è pensione.

    Nel momento in cui iniziò a riflettere, entrò Gualtiero che esordì dicendo, con aria stralunata: «Che caldo fa qui dentro!»

    Altero scoprì d’improvviso di essere accaldato e, voltandosi di scatto verso il camino, domandò: «Perché è acceso?»

    Il dottore era riuscito a convincere Sara ad uscire, ma, sulla porta, Altero, le domandò che cosa fosse successo, ma lei proseguì con quella cantilena. Purtroppo si dovette arrendere all’evidenza che da lei non avrebbe ricavato nulla...

    Gualtiero lo riportò al caso quando disse: «Siamo in estate…» senza curarsi di Sara che gli stava passando vicino.

    «È vero…» disse Altero. «Poi è tutto così pulito, in ordine e nemmeno una goccia di sangue per terra…»

    Le sue considerazioni vennero interrotte dall’arrivo del sostituto procuratore, Mario Pollici, accompagnato dal commissario e, poco più tardi, dalla scientifica.

    «Ciao Altero, come stai?» gli domandò il sostituto procuratore.

    «Salve procuratore. Io bene e lei?»

    «Non c’è male... Cosa abbiamo questa volta?»

    «Rocco Visio, il macellaio del quartiere, nonché l’assessore in Comune è stato crocifisso in sala…» venne bruscamente interrotto da Mario che esclamò: «Crocifisso!»

    «E non è tutto. Dopo essere stato crocifisso è stato messo al rovescio senza nemmeno aver lasciato tracce di sangue e… Il camino è acceso.»

    «Lasciamo terminare tranquillamente la scientifica, poi potremo iniziare a lavorare» disse come un ordine il sostituto procuratore.

    «Per terra ci sono delle strane palline cucite in modo particolare e… Quei versi della poesia…» disse Altero un pensiero a voce alta.

    «Quale poesia?» domandò un estraneo.

    «Scusi! Ma lei chi è?» chiese allibito Gualtiero, mentre l’estraneo si avvicinava alla statua.

    «Piacere! Sono Paolo Lilli e sono un giornalista…»

    «Come ha fatto ad entrare?»

    «Dalla porta! Era aperta…» rispose disinvolto il giornalista. «Il vostro poeta ha fatto un vero e proprio capolavoro…»

    «Vada immediatamente fuori o la faccio arrestare per intralcio alle indagini» ordinò un altrettanto sbigottito Altero.

    Il giornalista venne portato a forza fuori di casa e oltre i nastri che delimitavano la zona messa sotto sequestro. Altero lo seguì con lo sguardo ed ordinò ai due agenti di fare maggiore attenzione e di non lasciare entrare nessuno.

    La scientifica intanto era andata avanti con il proprio lavoro ed il medico legale si apprestava a fare le prime analisi sul posto senza attendere di avere il corpo sul proprio tavolo. Altero riprese una delle sfere che c’erano per terra e colse l’occasione per domandargli che cosa fosse.

    «Sono i plichi che compongono il colon» rispose secco il medico legale. Viste le facce sbigottite di Altero e di Mario, si affrettò a precisare: «Posso dirlo con assoluta certezza, perché sono stati l’argomento di discussione della mia tesi.»

    Al suono di quelle parole Altero fece cadere la pallina per terra come se avesse avuto in mano un rospo velenoso.

    «Con molta probabilità sono di San Pietro» aggiunse il sostituto procuratore, cercando di ironizzare e dando, senza volerlo, il nome alla nuova operazione che avrebbe dovuto portare alla cattura del colpevole.

    Il medico legale fece notare inoltre che su un braccio c’erano dei fori compatibili con quelli fatti dagli aghi; i lineamenti del viso erano del tutto rilassati e non c’erano segni di

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