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Sangue Duomo
Sangue Duomo
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Ebook289 pages4 hours

Sangue Duomo

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About this ebook

Marco è un uomo tranquillo e mite e la sua vita scorre senza scosse lungo un tracciato al riparo da intemperie, fino a quando l'incontro casuale con Omar, un vecchio amico delle scuole medie, non gli farà perdere completamente la rotta.

Dolorosi ricordi legati ad atti di bullismo, da entrambi subiti durante l'adolescenza, riaffiorano con forza facendo vacillare le poche certezze costruite durante la loro esistenza.

Mentre insoliti riti all'interno del Duomo di Milano accompagnano la vita di Omar, a distanza di venticinque anni i membri della banda de "I Quattro Serpenti", gli aguzzini di Marco e di Omar, vengono assassinati uno dopo l'altro.

Il sospetto che l'amico ritrovato stia mettendo in atto una vendetta si fa strada nella mente di Marco e il suo bisogno di mettere un freno a quello che sta accadendo diventa una necessità primaria, ma lo scavare nel passato per riordinare il presente può portare a galla amare e inaspettate verità.

All'ombra della Madonnina, in un bar dove il tempo sembra essersi fermato agli anni ottanta, nulla è come appare e tutto può accadere.
LanguageItaliano
Publishereditrice GDS
Release dateJan 24, 2015
ISBN9788867823796
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    Sangue Duomo - Christian Chirico

    Christian Chirico

    Sangue

    Duomo

    GDS

    Chistian Chirico

    Sangue Duomo

    GDS

    Via G.Matteotti 23

    20069 Vaprio D'adda-Mi

    www.bookstoregds.com

    www.gdsedizioni.it

    TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI

    CAPITOLO I

    Buio e silenzio...

    ancora buio e ancora silenzio...

    poi suoni e luce...

    La sveglia si presenta, come sempre, al solito orario e con il suo caratteristico suono ipnotico e martellante ed io, dopo essere riuscito ad aprire entrambi gli occhi e aver visto i suoi grossi numeri azzurri illuminare a giorno la stanza, la spengo con un gesto secco della mano.

    Avrei voluto ignorarla ancora per qualche minuto, nascondermi per un po', ma il suo bagliore è troppo intenso e il mio senso del dovere già in allerta.

    Scendo dal letto con non poca fatica e inizio molto svogliatamente a prepararmi, seguendo una meccanica sequenza di Fantozziana memoria, per andare al lavoro.

    ...niente faceva presagire che qualcosa di diverso sarebbe accaduto quel giorno...

    Una volta pronto per uscire saluto mia moglie e mio figlio, che trovo già in piedi ma con la testa ancora piena di sogni e mi avvio con il passo di chi deve fare in fretta, per la mia solita strada, come la puntina di un vecchio giradischi che segue il solco del disco lasciandosi semplicemente trasportare dal tracciato.

    ...e niente continuava a far presagire che qualcosa di diverso sarebbe accaduto quel giorno...

    Il treno che mi porta in ufficio percorre sempre lo stesso tragitto e accanto a me le stesse persone che quotidianamente fanno il mio percorso per recarsi al lavoro.

    Tutto risulta noiosamente ordinario, nulla fuori posto, compresa la presenza nello scompartimento della solita ragazza con più occhiaie che tette che, con la testa appoggiata al poggiatesta, continua a riposarsi anche fuori dal letto, suscitando la mia invidia; ma, nonostante questo, percepisco un'incessante sensazione che mi porta a pensare che

    ...qualcosa di diverso sarebbe accaduto quel giorno.

    Arrivo a destinazione con qualche minuto di ritardo sulla tabella di marcia, imprevisto decisamente accettabile e, una volta sceso dal vagone, mi metto tranquillamente in coda per uscire da quel groviglio di persone che si accalcano ai tornelli per abbandonare la stazione.

    Nei pressi del corridoio che porta alla mia uscita prelevo, come sono solito fare, uno dei giornali che sono offerti gratis e, sfogliandolo con poco entusiasmo, vi trovo l’evento che avrebbe reso unica quella giornata o, per lo meno, diversa da quelle precedenti.

    Il Mc Donald’s in Galleria Vittorio Emanuele avrebbe chiuso definitivamente i battenti per mancanza del rinnovo del contratto di affitto, con la promessa, forse vana, di traslocare altrove; la notizia sensazionale era che, per protesta, l’ultimo giorno di apertura lo staff avrebbe offerto panini gratis a chiunque si fosse presentato, e questo sicuramente non era un avvenimento che capitava tutti i giorni.

    L’ultimo panino del condannato, ma stavolta il condannato sarebbe stato il panino, perché era lui che aveva espresso il desiderio di essere mangiato per l’ultima volta.

    Penso immediatamente che, anche se non sono mai stato un patito di fast food, poteva essere piacevole partecipare a questo evento, per fare qualcosa di diverso e perché le cose gratis hanno tutto un altro sapore.

    Certo mi rendo conto da subito che come me molte altre persone si sarebbero presentate alle porte del Mc, ma ormai il fuori programma che avrebbe reso diversa la mia giornata si trovava già appuntato nella mia agenda mentale.

    Era un atteggiamento che mi caratterizzava.

    Nonostante fossi convinto che la benedetta routine delle mie giornate conferisse solidità alla mia vita e che mai l’avrei barattata con nulla al mondo, mi capitava spesso di cercare di apportare piccoli cambiamenti, seppur non radicali, alle mie giornate troppo uguali tra loro.

    A volte poteva essere un semplice cambio di tragitto per raggiungere il posto di lavoro oppure la decisione di pranzare non al solito bar, piccole cose che in qualche modo mi arricchivano.

    I miei passi accelerano leggermente solo negli ultimi metri che mi separano dalla porta d'ingresso dell'ufficio e, mentre varco la soglia, controllo il mio orologio, complimentandomi con me stesso per la precisione dei miei spostamenti e per aver recuperato il ritardo del treno e, dopo quell'attimo di auto celebrazione, i miei svaghi mentali finiscono.

    Dopo qualche ora di lavoro nel rifugio degli sfortunati, come sono solito chiamare il mio posto di lavoro, e, archiviata qualche pratica, decido di rendere partecipe della notizia relativa alla chiusura del Mc il mio collega Roberto, nonché vicino di scrivania, amichevolmente soprannominato Mustang, nomignolo guadagnato a causa della sua passione smodata per le macchine Americane.

    Mustang... ehi Mustang, che ne dici di venire con me a pranzo al Mc in Galleria? Oggi panini... gratis.

    Lui mi guarda con l'espressione che può avere una persona che non caga da una settimana e, inarcando il sopracciglio destro, esprime il suo totale dissenso alla mia proposta.

    Dalla scrivania del mio dirimpettaio Gianni si solleva una voce che, senza chiedere il permesso, attraversa la stanza.

    Marco se vuoi un panino da un euro senza pagarlo, possiamo organizzare una colletta in ufficio. Se però vuoi anche le patatine, allora dobbiamo coinvolgere anche le altre succursali, la Coca è proprio da escludere.

    Risatine generali si diffondono.

    Poi i commenti diventano più pesanti e fuori luogo e iniziano ad abbracciare argomenti pescati a caso, tra i quali la mia presunta taccagneria e, vista la ghiotta occasione, altre voci si aggiungono al coro.

    Era un fenomeno che si verificava spesso. Mi capitava di notare che difficilmente i miei colleghi riuscissero ad affrontarmi singolarmente: non ne erano capaci, dovevano sempre coalizzarsi... si sarebbero sentiti sconfitti in partenza nello scontro frontale, e di questo ne erano ben consapevoli.

    Avevo sempre guardato con compassione le persone bisognose del branco per potersi sentire forti.

    Ad ogni modo decido di stare allo scherzo, anche perché col passare del tempo ero diventato capace di non farmi travolgere dalle critiche e dalle opinioni degli altri, riuscendo quindi a valutare il tutto con estrema obiettività.

    Non dipendevo più dai giudizi degli altri, come invece accadeva un tempo, quando ero più giovane, e soprattutto non cedevo più alle provocazioni.

    Le parole mi scivolavano addosso come acqua piovana quasi come se fossi idrorepellente; avevo imparato che il silenzio e l'indifferenza molto spesso si rivelavano le migliori risposte.

    Sento però che la situazione inizia a prendere troppo il largo e decido quindi che è venuto il momento di interrompere quel flusso di parole.

    Il mio sguardo diventa intenso e minaccioso e si posa sugli occhi di Gianni, che assumono un'espressione di sorpresa.

    Inizia a sentirsi a disagio, e quindi con un po' d’imbarazzo cerca di smarcarsi.

    Stiamo scherzando Marco, non te la prendere, non fare il permaloso, anzi se riesci prendi un Big Mac anche per me.

    Continuo a guardarlo per fargli capire che sono io a condurre il gioco e, solo quando il suo smarrimento diventa palpabile, decido di stemperare la situazione.

    Gli strizzo l'occhio e lui mi guarda con un sorriso che non è del tutto un sorriso.

    Era sempre stata una mia dote innata quella di urlare con lo sguardo; dote che avevo affinato con il tempo, tornandomi molto utile soprattutto con mio figlio. Mi era sufficiente un’occhiata per riuscire a sedare qualunque suo tentativo di rivolta, per quanto un bambino di sei anni possa ribellarsi ai propri genitori.

    Invecchiare non è poi così male, a parte i capelli bianchi e i problemi di disfunzione erettile, che prima o poi sopraggiungono; in fin dei conti vi sono anche degli aspetti positivi, e la saggezza in prima fila porta il vessillo.

    Scoccata l’ora di pranzo, esco velocemente dall’ufficio e mi avvio verso la fermata del tram, facendo lo slalom tra i cumuli di foglie secche che i portinai degli stabili del viale hanno appena ammucchiato lungo il marciapiede e che ricordano a chiunque non se ne fosse ancora accorto, che l’autunno è arrivato con la sua solita puntualità.

    Salgo sul tram per raggiungere il centro di Milano e una volta seduto, osservo dei bambini che attirano la mia attenzione, poiché giocano molto divertiti proprio sulla piattaforma di congiunzione dei vagoni dove nelle curve sembra quasi che il tram debba staccarsi.

    Sono convinti di essere su una giostra del Luna Park.

    Il tram si muove e loro cercano di non farsi cogliere impreparati: muovendosi con lui ridono, sorridono, si aggrappano ogni tanto alla maniglia e ogni tanto l’uno con l’altra, riuscendo sempre ad evitare rovinose cadute.

    Sentendo l’accento dei genitori, che ogni tanto raccomandano loro di prestare attenzione, intuisco che non sono di Milano, e questo spiega il motivo di tale divertimento.

    Probabilmente provengono da un paesino dove non vi sono mezzi pubblici così grandi e quindi per loro salire su quella giostra improvvisata è l’occasione per gustarsi una grande novità.

    Con la loro spensieratezza e innocenza sono riusciti ad attirare l’attenzione di tutti i passeggeri che, come me, li osservano con uno sguardo misto di gioia e d’invidia; poi, una volta scesi, il momento si spegne e tutti torniamo alle nostre solite espressioni d’indifferenza verso quello che succede intorno.

    Decido quindi, tanto per far passare il tempo, di leggere il giornale che avevo prelevato quella mattina.

    Sfogliando le pagine e leggendo le micro notizie di cui è composto, noto che con molta superficialità mi ero fermato alla notizia del panino gratis, perché quella tornava a mio vantaggio, e non ero andato a fondo della faccenda, la quale sembrava talmente surreale da essere proprio vera.

    Al posto del Mc avrebbero aperto un negozio di abiti firmati, uno di quei posti dove per comprarsi un maglione occorre lasciare alla cassiera l'intera busta paga di un mese, e a volte non basta neppure.

    Una situazione davvero paradossale, soprattutto considerando il periodo di crisi che stavamo vivendo.

    Da qualche anno eravamo piombati in un periodo nero, e nessuno era in grado di intravedere una via d'uscita.

    Tutti i discorsi che la gente intratteneva iniziavano con il termine crisi e con lo stesso si concludevano.

    Non era possibile far finta di niente e restare indifferenti.

    Il futuro aveva assunto delle tinte fosche e i continui suicidi delle persone, che non riuscivano più ad andare avanti, dettagliatamente raccontati dai notiziari, rendevano quel periodo ancora più tragico.

    Si poteva solo sperare che le cose migliorassero, ma per molti anche la speranza era diventata un lusso che non ci si poteva più permettere.

    Sarei riuscito a tollerare il cambio del negozio con una qualsiasi altra attività, ma non con quella prevista.

    Mi aveva da sempre infastidito l’arroganza e la supponenza degli stilisti di successo in quanto, a mio parere, avevano da sempre costretto inconsciamente le persone, che diventavano quindi delle vittime, a comprare i loro vestiti per essere alla moda e così poter essere accettate dagli altri.

    È la fine dell’Impero Romano; questa la frase che ero solito pronunciare ogni volta che sentivo argomentare economisti che asserivano che il traino dell’economia del nostro paese fosse costituito dal settore moda.

    Apprendere che venisse data così importanza a persone il cui unico problema da risolvere fosse quello di abbinare le scarpe con la borsa, mi aveva sempre reso estremamente triste.

    Essendo quindi già prevenuto nei loro confronti, quell’informazione non poteva altro che trasmettermi un infinito senso di amarezza.

    Certe notizie quando hai diciassette anni t’indignano, quando ne hai venticinque ti mandano in bestia, ma quando ne hai quaranta passano in secondo piano; prima viene il panino gratis.

    A trenta anni non te ne accorgi nemmeno, si è troppo impegnati a organizzare la propria vita per occuparsi del sociale.

    Giunto davanti al Mc vedo quello che un po’ mi aspettavo: una folla oceanica che sosta davanti alla porta d’ingresso, in attesa del proprio turno per entrare e prendere il tanto ambito pasto gratis.

    Come un pezzo del domino mi posiziono tranquillamente in fila insieme con gli altri, in una calma attesa, mentre tutti quei ragazzi che mi circondano con gli zaini sulle spalle mi fanno pensare a quando ero uno studente e insieme ai miei compagni facevo la coda il pomeriggio davanti al Libraccio, in zona Navigli, per comprare i libri di scuola a metà prezzo.

    I pomeriggi trascorsi davanti al Libraccio sancivano imperativamente l’inizio dell’anno scolastico, e la speranza era sempre quella di trovare un libro non troppo rovinato o sottolineato, ma piuttosto con appunti ben presi che potessero aiutare nell’apprendimento, magari evitandoti interminabili nottate di studio.

    La mia attesa è accompagnata da un brusio di sottofondo, creato da tutte quelle persone che parlano e che risulta notevolmente amplificato dal fatto che ci troviamo in Galleria; ma, dopo un po’ di tempo, le mie orecchie si abituano a quell’accompagnamento che da fastidioso diventa quasi gradevole.

    Intorno a me però non ci sono solo studenti con gli zaini.

    In attesa c'è una folla estremamente eterogenea: impiegati in tenuta d’ufficio, turisti, sciure ben vestite, donne vestite con abiti dozzinali e semplici curiosi.

    Forse perché era presente chi, come me, voleva partecipare a un evento, ma anche chi considerava, nel periodo che stavamo attraversando, un pasto gratis un’occasione da non dover perdere e quest’avvenimento rappresentava davvero lo specchio dei tempi che stavamo vivendo.

    La crisi accomuna le classi e non è più come un tempo dove chi pativa apparteneva solo ed esclusivamente ai ceti più bassi. Questa crisi è estremamente ben distribuita.

    I ricordi delle immagini della Rivoluzione Francese, che mostravano il popolo affamato composto solo da pezzenti, sono davvero lontani; ora ne siamo tutti coinvolti, chi più direttamente e chi meno, ma nessuno può considerarsi estraneo.

    Dopo circa mezz’ora di coda finalmente riesco a raggiungere il bancone e a fare la mia ordinazione alla commessa, la quale riesce a servirmi molto velocemente, dato che non deve preoccuparsi né di battere il compenso sul registratore di cassa né tanto meno prendere e rendere soldi.

    Nonostante la triste situazione che si prospettava i commessi del negozio lavoravano alacremente e con molta convinzione; sembravano api operaie ben organizzate nel dividersi quel piccolo spazio dietro il bancone e si comportavano come se quello fosse esattamente un giorno come un altro, ma dai loro sguardi traspariva la preoccupazione e la rassegnazione per un futuro che tutto a un tratto era diventato incerto.

    Se mi fossi trovato al loro posto, forse avrei voluto che quel giorno non finisse mai e, per la prima volta nella mia vita, non avrei aspettato l’orario di chiusura come un sollievo, ma piuttosto come un triste capolinea.

    Mi avvio verso l’uscita sgomitando tra la gente che affolla il locale e, quando oltrepasso il portone d’ingresso, tenendo in alto le cibarie come se fossero dei trofei, riprendo fiato, quasi come se fossi rimasto in apnea per tutto il tempo, esattamente come quando da bambino giocavo in piscina a recuperare la monetina lanciata sul fondo da mio fratello e, una volta afferrata, riemergevo e, prendendo una grande boccata d’aria, la mostravo come se avessi compiuto l’impresa del secolo.

    Allontanandomi, inizio ad addentare il mio panino, senza farmi domande sulla dubbia qualità della carne, e a sorseggiare la mia bibita; a quel punto comincio a sentire quel brusio che mi aveva accompagnato, diventare sempre più flebile.

    I miei piedi sentono il liscio del marmo cedere spazio al ruvido del cemento.

    Decido quindi di andare a sedermi su una panchina del corso esattamente a lato del Duomo.

    Era davvero tanto tempo che non andavo in centro, l'avevo sempre considerata una zona troppo caotica e quindi da evitare assolutamente, eppure quasi nulla era cambiato, il tempo sembrava essersi fermato, e il Duomo di Milano era sempre lì…

    …quasi solitario, si eleva imponente emanando una suggestione seducente, limpido testimone del nostro tempo, con le sue guglie sprigiona spirito di elevazione che innesca una vibrazione che riesce a dare speranza nuova…

    così recita la guida, nella colonna scritta in Italiano, che un turista Giapponese, sedutomi accanto, tiene aperta e appoggiata sulle ginocchia e che guarda come se fosse un oracolo, ma io sinceramente non percepisco nessun tipo di vibrazione che conferisca speranza.

    Più prosaicamente penso che in fin dei conti dopo tanti anni che si vede sempre lo stesso monumento, la magia del primo incontro è difficile che si mantenga e che, col passare del tempo, diventa solo un punto di ritrovo da tutti conosciuto.

    Il giapponese nota il mio interessamento alla sua guida e mi guarda con un sorriso di circostanza, quindi cerca di sfruttare quel momento di complicità iniziando a farmi delle domande a raffica in inglese riguardanti le ubicazioni dei monumenti nella città, domande alle quali io rispondo piuttosto laconicamente, non perché non conosca l’idioma, anzi lo capisco e lo domino piuttosto discretamente, ma perché è una situazione che mi ha sempre infastidito.

    Le poche volte che mi sono recato all’estero, mi sono sempre dovuto prodigare per farmi capire dagli autoctoni, i quali non hanno mai cercato di utilizzare un linguaggio diverso da quello usato abitualmente; non voglio quindi essere io a dover parlare una lingua diversa nella mia città solo per compiacere l’azienda del turismo.

    Dopo aver indirizzato il giapponese e tutto il gruppo al suo seguito verso la statua di Vittorio Emanuele II, e mentre sono seduto che mi faccio tristezza da solo, con lo sguardo perso nel vuoto, tanto per buttare giù il carico da dieci, inizio a fischiettare e a cantare mentalmente il motivo di "Don't dream it's over" dei Crowded House, anche se l'intonazione delle mie corde vocali si avvicina di più alla versione di Paul Young.

    Gli stati d’animo, anche quelli più dolorosi, devono essere esaltati, non repressi, e non c’è modo migliore di scegliere una canzone e farla diventare la loro colonna sonora.

    Questa è sempre stata una mia convinzione, ed essendo io un gran conoscitore di tutti i generi musicali, sono sempre riuscito ad associare delle bellissime canzoni a tutti i momenti della mia vita.

    Quando però le canzoni così malinconiche diventavano troppo presenti nelle mie giornate era il segnale che qualcosa non andava bene, e sinceramente sentivo di attraversare un periodo in cui facevo addirittura fatica a sopportarmi da solo.

    Guardo la gente che passeggia lungo Corso Vittorio Emanuele, ricordandomi di quando da ragazzino facevo le cosiddette vasche nella speranza vana, molto vana, di rimorchiare le ragazze con quegli amici che consideravo unici e con i quali pensavo che avrei condiviso buona parte della mia esistenza.

    Poi crescendo ci si rende conto che nella vita di una persona i veri amici si contano sulle dita di una mano, gli altri sono solo persone con cui si trascorre qualche momento di divertimento e di svago e nient’altro, forse per non restare soli; ma a quei tempi che cosa ne potevo sapere io dell’amicizia? Dicevo sempre se cade uno, cadiamo tutti, e invece quando cadevo io, ero il solo a farlo.

    Assorto in quel momento di riflessione sulle mie speranze disattese e sulla canzone più ideale da associargli, alzo lo sguardo mentre un uomo mi passa davanti destando la mia attenzione.

    Sono convinto di conoscerlo.

    Cerco quindi di focalizzare lo sguardo sul suo viso, anche perché di corporatura mi sembra molto anonimo…

    Sono abbastanza sicuro che sia un mio vecchio amico delle scuole medie.

    Lo seguo con gli occhi, cercando di non perderlo in mezzo a quel via vai di persone e, quando sono finalmente certo che sia realmente lui, il cuore mi si ferma per un attimo.

    Mi alzo di scatto… gli vado dietro… il suo passo è molto svelto, accelero… la mia cadenza è un po’ troppo da passeggiata della pausa lavorativa; devo mettermi al passo con la mia città, dove la fretta regna sovrana, dove tutti corrono qualunque cosa si faccia.

    Per un attimo penso: Lo chiamo, ma temendo che lui non mi riconosca, preferisco stargli dietro.

    Il distacco diventa minimo, lui ora è fermo sul sagrato del Duomo davanti alla porta principale, quando inizia a compiere un gesto che mi fa desistere dal fare qualunque altra azione.

    CAPITOLO II

    Omar, questo il nome del mio vecchio amico che stavo seguendo, si era fermato davanti al portone centrale del Duomo e, mentre teneva gli occhi chiusi, con la mano destra sfiorava una scultura sopra raffigurata, la quale aveva una gamba in rilievo rispetto al resto del corpo.

    Era vestito con un abito grigio scuro, avvolto in un cappotto nero di raffinata fattura e questa tonalità conferiva un aspetto ancora più mistico ed enigmatico a quel gesto che lui continuava a ripetere con molta convinzione.

    Sembrava che pregasse mentre scorreva la mano sul polpaccio della statua, il tutto come se fosse un rito divinatorio; poi a un tratto smise con quel gesto e repentinamente entrò nella cattedrale.

    Avvicinatomi lentamente a quella figura che aveva appena toccato, mi accorgo che la parte da lui accarezzata è più lucida rispetto al resto della porta.

    Quella parte in rilievo è di color ottone lucido, mentre tutto il portone tende al verde, o meglio

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