Missione Medea
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Book preview
Missione Medea - Paolo Ninzatti
a cura di Franco Forte
Paolo Ninzatti
Missione Medea
Romanzo
Prima edizione maggio 2015
ISBN 9788867757954
© 2015 Paolo Ninzatti
Edizione ebook © 2015 Delos Digital srl
Piazza Bonomelli 6/6 20139 Milano
Versione: 1.0
Font Fauna One by Eduardo Tunni, SIL Open Font Licence 1.1
TUTTI I DIRITTI RISERVATI
Sono vietate la copia e la diffusione non autorizzate.
Informazioni sulla politica di Delos Books contro la pirateria
Indice
Il libro
L'autore
Missione Medea
Prologo
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Epilogo
Delos Digital e il DRM
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Il libro
La spedizione dei moderni Argonauti verso la Russia in fiamme era rischiosissima, ma loro erano duri come il comandante Pizzi e l'acciaio del sommergibile, oltre che devoti alla Contessa.
Alla fine della Prima Guerra Mondiale, un sommergibile della Regia Marina Italiana deve forzare i Dardanelli e il Bosforo, le fauci dell'Impero Ottomano, per raggiungere la Russia in piena rivoluzione. La missione è quella di portare in salvo la figlia dello Zar, la Granduchessa Anastasia.
A capo dei novelli Argonauti c'è il comandante Pizzi, un po' Giasone, un po' Sandokan e Corsaro Nero, un uomo tormentato e romantico. Al suo fianco, la misteriosa Contessa, una femme fatale, tra Mata Hari e una versione femminile della Primula Rossa. Una storia di mare, guerra e passioni. Un thriller con colpi di scena e azione.
L'autore
Paolo Ninzatti, Milano, classe 1950. Oggi vive a Tommerup nell'isola di Fionia, in Danimarca, pedagogista in pensione, suona in diverse band o come solista. Presente in diverse antologie edite da Delos Books, Edizioni Scudo, Alcheringa, Reverie, Montecovello. Ha scritto la sceneggiatura del fumetto Oltre il cielo di Giorgio Sangiorgi, tradotto anche in danese col titolo Over Himlen e del sequel Il Megalito, anch'esso uscito in danese col titolo Jættestuen. Per Odissea Digital ha già pubblicato il romanzo Il volo del leone.
Dello stesso autore
Paolo Ninzatti, Il volo del leone Odissea Digital ISBN: 9788867754533
Prologo
La baionette nemiche luccicavano alla luce rossa del sole appena sorto e sembravano fiamme o saette, le bocche da fuoco dei fucili erano neri occhi carichi di piombo pronti a fuminarci. Le maschere antigas degli uomini che ci prendevano di mira nascondevano i tratti umani conferendo loro sembianze di mostri di un altro mondo. La mitraglia in cima alla torretta era pronta a vomitare raffiche a un minimo accenno di resistenza da parte nostra a supportare le baionette e i fucili.
Un nuovo giorno era nato; ne avevamo visto l'alba e l'aurora, ma non ci saremmo potuti godere il tramonto. Per noi erano riservate soltanto due alternative: non vivere o morire, bensì perire con onore o senza.
Le morti eroiche appartenevano ai miti antichi, a romanzi di cappa e spada o poemi epici. La guerra moderna era soltanto un macello senza gloria.
In quegli attimi, davanti alla scelta su come terminare la mia esistenza e quella dei miei compagni di sventura, il tempo sembrava scorrere lentissimo. Quella strana sensazione mi donò una breve eternità che dedicai a ricordare gli avvenimenti che mi avevano portato a quella situazione, in quel luogo e insieme alla gente con cui stavo condividendo gli ultimi attimi da vivere.
Ricordi vecchi di soltanto un paio di settimane affiorarono e io li rivissi, attimo dopo attimo…
1
Il motociclista indossava l'uniforme della Regia Marina.
Ancora una volta il mondo moderno si confrontava con l'antichità di Monte Erice, come per ricordare a quell'oasi pervasa dalla divina magia di ben tre dee dell'amore che da qualche parte infuriava una guerra.
Immaginai Venere, Afrodite e Astarte invisibili ed eterne indignarsi disturbate dal rumore del motore del cavallo meccanico che arrancava sulla ripida stradina. Il marinaio a cavalcioni del veicolo tanto terraiolo era un intruso su un monte, molto più vicino al cielo, nonostante il panorama del regno di Nettuno fosse a portata di vista dal balcone di casa. Il promontorio a forma di falce che ospitava i due porti di Trapani si stendeva, a chilometri di distanza, apparentemente piccolo e quasi afferrabile con una mano, a ricordarmi ogni giorno che io appartenevo a quella distesa blu; qualcosa dentro me, tra la speranza e il timore mi sussurrava che forse il centauro vestito di mare era diretto al mio indirizzo.
Il rombo del motore si fece sempre più forte e insistente fino a che la motocicletta si fermò davanti al cancelletto. Lasciai il balcone, camminai a passo svelto lungo il corridoio, mi allacciai la camicia e scesi le scale mentre udivo il battacchio. Assunsi un'aria degna del mio grado e aprii la porta. Davanti a me si ergeva un sottufficiale di Marina che brandiva una busta. Ciò che mi mise sul chi va là non fu il fatto che qualcuno a Roma avesse scomodato un corriere graduato per consegnarmi chissà quale missiva personalmente, ma l'espressione dipinta sul volto del giovane messaggero; quella di chi ha avuto istruzioni sull'importanza e soprattutto sulla segretezza di quel pezzo di carta e cercava di tenerla nascosta senza riuscirvi.
– Tenente di vascello Salvatore Pizzi? – chiese mettendosi sull'attenti.
– Sì – annuii, aggiungendo: – Riposo.
Il giovane restò sull'attenti e osò ribattere: – I miei superiori esigono una conferma sulla vostra identità; scusate, questi sono gli ordini.
Deglutì, cercando di celare l'imbarazzo.
Sorrisi esibendo i documenti che portavo sempre in tasca, anche quando, come quel mattino, vestivo in borghese.
Con un'aria più rilassata, l'uomo mi consegnò la busta e un foglio di carta, un calamaio e una penna.
Firmai la ricevuta che portava lo stemma della Regia Marina.
L'aria di mistero sul volto del Mercurio a motore con le ruote ai piedi restò sul giovane volto sul quale lessi anche una pervasa soddisfazione, come se avesse appena concluso una missione con successo.
Era la fantasia che mi portava a immaginare e desiderare chissà che cosa? Solo perché qualcuno a Roma anziché scomodare le Regie Poste spediva un galoppino graduato a comunicarmi l'ennesimo rifiuto alle mie richieste in carta bollata?
Ne avevo collezionate a decine. Tenente, siamo spiacenti di annunciarle che…
e, sotto, qualche scarabocchio e un timbro con la corona che significava che nonostante le mie referenze e partecipazione alla gloriosa impresa
il ruolo di comandante era rimandato alle calende greche.
Il graduato salutò, fece dietro front e rimontò come un antico araldo sulla sua cavalcatura, che in breve si allontanò scoppiettando lungo la strada che lo avrebbe riportato nel luogo cui apparteneva, dove l'odore del mare era più intenso di quello del profumo dei giaggioli e dei fiori di mandorlo.
Attesi ad aprire la busta, rimandando l'ennesima delusione a minuti più tardi. Mi prodigai mentalmente a disinfettare la ferita prossima ventura meditando sulla bacheca appesa al muro contenente le medaglie testimoni di glorie passate e le fotografie di gruppo assieme all'equipaggio dello Squalo, a bordo del quale avevo prestato servizio prima del congedo. Per me la guerra era finita in gloriuzza e la vita comoda mi aspettava, nella torre d'avorio su quel monte. Un futuro di ricordi senza neppure figli o nipoti a cui raccontare epiche imprese. La sensazione spiacevole di incompletezza, un romanzo incompiuto, un'opera interrotta, un dipinto non terminato.
Guardai la parete dove le fotografie di Santa e Vincenzo sembravano guardarmi: le cornici erano finestre dall'Al Di Là dalle quali le persone che avevo amato di più si affacciavano. Giovani vite stroncate anzitempo dalle Parche assassine.
Mi versai un bicchiere di Marsala e mi sedetti sul divano.
Non appena mi sentii preparato aprii la busta.
Esistono nella vita attimi in cui, quando la fiamma della speranza sembra ormai spenta, una brace ancora rossa può riappiccare fuoco a contatto con un pezzo di carta.
Quel pezzo di carta scaturito dalla busta scatenò un incendio.
Lapalissiano: un postino in bicicletta è messaggero di cattive notizie in nero su bianco, ma un uomo di mare in moto non poteva farmi nuovamente affondare nell'oceano della delusione.
Lessi la missiva che laconicamente mi fece capire che le mie annose richieste erano state accettate. Seguivano informazioni sul luogo d'imbarco e una intrigante allusione a ulteriori istruzioni che sarebbero state date al momento della consegna.
Il vecchio lettore di romanzi d'avventura assopito stava risvegliandosi nel vedere, a caratteri cubitali, quasi fosse stato un essere vivente, il nome del natante che avrei finalmente comandato.
Argo.
Il nome prometteva tutto, rimandando ad antiche leggende di navigatori, appellandosi ai sognatori di avventure quale ero stato un tempo. Classe Medusa. Quarantacinque metri di lunghezza, quattro di larghezza, due motori diesel FIAT, capace di procedere in immersione grazie a motori elettrici Savigliano. Completato sei anni prima, nel 1912, nei cantieri navali FIAT San Giorgio di La Spezia.
Il sogno diveniva realtà. Il Ministero della Difesa me lo stava presentando a due passi da casa, nel porto settentrionale di Trapani, snello, metallico e micidiale.
Consegna a domicilio, avrei potuto affermare, anche se con amarezza dovevo ammettere che il grande sogno di comandare un sommergibile arrivava alle soglie dell'alba. La lunga notte bellica che tutti ormai definivano come La Grande Guerra stava giungendo al termine. Ben poco avrei potuto operare contro gli Imperi Centrali in procinto di crollare. Qualche siluro per colare a picco flotte moralmante ormai già affondate, o forse noiose pattuglie a fare il cane da guardia a colpi di coda austroungarici o tedeschi.
Quello che non riuscivo ancora a capire era come mai, dopo ben quattro anni di insistenze, solo ora mi era riservato il privilegio di diventare comandante della nuova arma chiamata in termini tecnici torpediniera sommergibile
.
Mi affacciai alla finestra mentre la brezza degli ultimi giorni del settembre siciliano mi baciava presentandomi nuovamente il panorama della falce del promontorio come fosse stata una carta nautica immaginandoci una croce sul porto dove finalmente avrei preso possesso del naviglio a me affidato.
Il leone assopito sembrò risvegliarsi. Fantasticai immedesimandomi nel titano che secondo la leggenda aveva scagliato la gigantesca falce sulla terra trasformandola nel promontorio che aveva dato il nome alla città, che in greco significava appunto falce
.
Il mare sembrò salire a monte, a chiamarmi. Ero pronto a rispondere accorrendo.
Guardai le fotografie di Vincenzo e Santa.
Che possiate essere orgogliosi di me, pensai, lanciando un messaggio in un'altra dimensione pregando che venisse ricevuto.
Le tre divine protettrici di Erice sembrarono benedirmi.
La clausola della lettera era laconica ma chiara. Avevo tempo fino a sera per prendere la decisione se accettare il comando del sommergibile che implicava la partecipazione a un'operazione di guerra classificata della quale non avrei dovuto far menzione ad alcuno. Alle ore ventuno si sarebbe presentato lo stesso sottufficiale che aveva recato la lettera con un mezzo di trasporto adeguato. Per quell'ora avrei dovuto aver preso posizione su come procedere. Nel caso di rifiuto l'avrei comunicato al trasportatore, il quale sarebbe ripartito. Roma avrebbe scelto un altro candidato. In caso in cui avessi deciso per la partecipazione alla missione avrei dovuto farmi trovare pronto, in divisa e bagaglio appresso.
Le parole prendere o lasciare
non erano scritte ma erano pervase nel messaggio. Ciononostante intuii che quei signori a Roma pur non avendo poteri vaticinanti, erano abbastanza intelligenti per concludere che, visti i miei dossier, non sarei stato così stupido da lasciarmi sfuggire l'ultima occasione per la mia anelata carriera.
Alle tre del pomeriggio congedai la donna di servizio dicendo che sarei partito per una conferenza a Palermo e non sapevo quando sarei tornato. Nelle ore che seguirono capii che se dovevo dire addio a qualcuno era soltanto a due foto appese al muro. Per il mondo ero soltanto un'ombra; se fossi sparito quel giorno nessuno vi avrebbe fatto caso. Forse per questo quelli di Roma avevano scelto me. Mi guardai allo specchio controllando se l'uniforme era secondo i canoni confermando che ero un essere in carne e ossa. Pensavo quindi esistevo; soffrivo quindi vivevo. Ma mi sentivo vecchio a soli trent'ottanni. La vedovanza