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La coscienza dello specchio
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La coscienza dello specchio

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About this ebook

Un fatto atroce accade nella tranquilla cittadina di Gardic, qualcosa di terribile ed apparentemente inspiegabile scaraventa il giovane sceriffo Arkel Lange in un incubo dai contorni sulfurei. Inizia così il racconto della sua vita, una confessione alienante e misteriosa sul suo passato e sulla sua condizione presente, segnato in profondità da terribili segreti e sofferenze strazianti iniziate tanti anni prima, quando ancora era solo un ragazzo. Contemporaneamente al suo racconto, in un universo non così lontano un bambino di nome Gudbert decide di sfidare le ferree leggi che governano il suo bizzarro mondo intraprendendo inconsapevolmente un viaggio che lo porterà a demolire le fondamenta che reggono il suo spirito dando il via ad una serie di accadimenti che porteranno ad immensi cambiamenti e che lo renderanno partecipe di segreti che mai si sarebbe immaginato, fino ad entrare in contatto con una misteriosa ed imperscrutabile entità, una creatura onnisciente che lo inizierà alla più profonda verità dando così il via alla più esoterica delle trasmutazioni.
LanguageItaliano
Publishereditrice GDS
Release dateJan 24, 2015
ISBN9788867823772
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    La coscienza dello specchio - Leander Loch

    Leander Loch

    LA COSCIENZA DELLO SPECCHIO

    EDITRICE GDS

    Leander Loch La coscienza dello specchio©EDITRICE GDS

    EDITRICE GDS

    di Iolanda Massa

    Via G. Matteotti, 23

    20069 Vaprio d’Adda (MI)

    tel. 02  9094203

    e-mail: edizionigds@hotmail.it  ;  iolanda1976@hotmail.it

    Illustrazione in copertina di © The Consciousness of the Mirror di Deborah Ballinger

    Progetto copertina di © Iolanda Massa

    Tutti i diritti riservati.

    Capitolo 1 - Blackout

    Dannazione, è andata via un’altra volta la luce, mi sembra impossibile che non riescano a capirne le cause. Amos passami la candela, e accendi qualche lampada.

    Subito capo.

    Era già da qualche mese che le cose andavano avanti in quel modo, i blackout erano cominciati improvvisamente, senza nessuna apparente spiegazione, una sera come tante l’elettricità semplicemente scomparve, senza preavviso, lasciando i cittadini immobili per le strade buie, spezzando la loro quotidianità e i loro pensieri di fine giornata.

    Si era subito pensato a un guasto della centrale elettrica che distribuiva l’energia alla città, anche se la cosa era molto improbabile dato che il sindaco era conosciuto come un uomo prodigo al suo mestiere, molto puntiglioso sulla manutenzione della città, un uomo che aveva lottato con le unghie e con i denti per farsi eleggere. Le sue intenzioni di migliorare la città erano nobili e ci teneva moltissimo che tutto andasse alla perfezione e non solamente per suo personalissimo tornaconto, si poteva dire che era un uomo modello, forse il miglior Sindaco che la città avesse mai avuto.

    Amos accese una candela, poi si diresse in silenzio ad accendere anche le lampade a olio che erano sparse per la stanza preparate appositamente per quelle evenienze, non facevano tanta luce, ma in mancanza di meglio erano più che sufficienti...

    Abbiamo quasi finito le candele e l’olio per le lampade, domani vedrò di andare a farne scorta. Con questi blackout J. ci farà una fortuna, è l’unico in città che ha trovato il modo di guadagnare qualcosa da questa vicenda.

    J. è un brav’uomo, non sarebbe un male se riuscisse a racimolare qualcosa. Sfortunatamente per lui la sua passione per lampade e candele non gli ha mai portato una grande clientela, quel suo negozietto in questi tempi deve essere in gran fermento, sono contento per lui.

    Secondo te qual è la causa?

    Non lo so Amos, so solo che il sindaco sta sborsando una fortuna in questo periodo, tra l’acquisto del nuovo generatore idrico e l’illuminazione cittadina ci sta rimettendo anche la camicia.

    Disperato il sindaco era arrivato persino a far installare lungo il fiume un nuovo generatore, nel tentativo di ristabilire la normalità in città: quelle nottate di buio stavano andando avanti già da troppo tempo. La cosa per sua sfortuna e per sfortuna degli abitanti non funzionò, anzi le cose peggiorarono.

    Adesso oltre all’illuminazione cittadina, l’elettricità aveva smesso di fare il suo lavoro anche nei piccoli generatori indipendenti delle abitazioni private, a quel punto era evidente che il problema non stava né nel generatore né nella presunta incompetenza che si era attribuita inizialmente ai tecnici della manutenzione. La cosa era fuori controllo.

    Anche a Brendano sono cominciati i blackout, era l’ultima città della regione con ancora un’illuminazione stabile e non vogliono smettere, si allargano sempre di più. Ieri mi hanno detto che anche Wostuv è rimasta al buio, se continua dovranno adottare tutti il sistema del sindaco.

    Vedremo. Per adesso finché non ne trovano le cause credo che abbia avuto una brillante idea a far mettere quelle grosse lanterne, almeno eviterà che qualcuno si spacchi la testa andando a sbattere contro qualche lampione. Poi conferisce alla città un certo fascino.

    Per rimediare almeno in parte a questo problema senza capo né coda il sindaco aveva fatto disseminare lungo tutta la città, nelle strade principali, delle grosse lanterne a olio (per la gioia di J.), appese sui muri delle abitazioni. Qualche ora prima del tramonto degli addetti cominciavano ad accenderle una ad una.

    Leggi qua, oggi dicono che la colpa potrebbe essere di quelle scosse di terremoto di qualche tempo fa, ricordi?

    Certo gli presi il giornale di mano per leggere l’articolo, fra tutte le assurdità che sono state scritte di questi tempi questa sembra la più plausibile.

    Io davo più credito alla fine del mondo.

    In effetti questi blackout sono cominciati qualche tempo dopo quelle scosse, magari hanno smosso qualche minerale sconosciuto sotterrato qui vicino in grado di assorbire elettricità, questo spiegherebbe anche perché i generatori a dinamo non funzionano, ma non perché il fenomeno si stia allargando a tutto il paese.

    In quell’istante la porta si aprì facendo trillare il campanello, nella penombra della stanza una figura colossea fece il suo silenzioso ingresso ammutolendoci.

    Sorreggeva qualcosa che gli pendeva inerme da una mano, nell’altra aveva una lampada morente che emanava una flebile luce giallastra, un tanfo tremendo si sparse per la stanza man a mano che la figura ci si avvicinava. Il tanfo aumentava, eravamo rimasti spaesati da quella brusca interruzione, muti osservavamo la sulfurea sagoma nera che si avvicinava, intenti a riagguantare la briglia della nostra fantasia che poc’anzi avevamo lasciata sciolta per le nostre congetture.

    Con questa fanno tre questa settimana, più gli altri che non vi dico la voce come un tuono da far vibrare i vetri alle finestre proruppe dalla figura nera, alzò in alto la mano mostrando quello stringeva.

    Bear?, mi hai fatto prendere un colpo, poi cos’è questo odore nauseabondo?.

    "Il porcile, scusa Amos. Buonasera sceriffo Lange, scusate ma questa è già la terza gallina che quei teppistelli mi ammazzano, più i lividi sulle altre bestie. Una deve avere anche qualche costola rotta.

    Il bello è che non riesco neanche a capire come l’abbiano uccisa, questa non ha neanche un segno addosso e il collo è sempre intero".

    Salve Bear, e questa volta chi sono stati? Li hai visti?.

    No non li ho visti, comunque scommetto che è stato il giovane B. con i suoi amici, ne sono sicuro. Pochi attimi dopo che la luce se ne era andata ho sentito un fracasso nella stalla, ho slegato i cani e gliel’ho mandati dietro.

    Bear lo sai anche tu che per adesso non c’è un modo per sapere quando andrà via la corrente, non credo che siano stati i ragazzi, sono solo un po’ irrequieti, ma non hanno mai fatto danni.

    Sceriffo si dimentica quella volta che stavano per uccidere la signora Phar!

    Non stavano per uccidere nessuno Bear, non dare retta alle voci da cortile, le hanno solo fatto prendere un bello spavento lei ha avuto un lieve malore e dopo l’hanno anche accompagnata dal medico con scuse varie. Quella sera sono finiti tutti nel suo salottino a mangiare latte e biscotti.

    Dall’inizio dei blackout era entrato in voga tra i più giovani della città l’usanza di far scherzi a chicchessia, era una vera e propria epidemia, al calar della sera, dopo aver cenato, si davano appuntamento in un luogo qualunque della città si dividevano in squadre e andavano ad appostarsi in vicoli bui, fra cespugli e agli angoli delle strade meno frequentate, aspettando qualche povero malcapitato per saltare fuori all’improvviso e fargli prendere un accidente. Scappando via poi prima che questo gli menasse il bastone da passeggio dietro. Si sfidavano a quale squadra sarebbe riuscita meglio l’impresa, in palio naturalmente c’era la gloria, ed è inutile dire che le cose erano più divertenti quando la città rimaneva al buio.

    Questa almeno era la routine serale fino ai primi avvistamenti.

    Ogni tanto si mettono nei guai con qualche bravata del genere ma non hanno mai fatto del male a nessuno, non gli passerebbe nemmeno per la testa di uccidere i tuoi animali Bear. Comunque domani andrò a fare due chiacchiere con loro se la cosa ti può tranquillizzare.

    Bè sceriffo, a dire la verità la cosa più che tranquillizzarmi mi renderebbe solo più irrequieto. Se non sono stati loro allora non ho veramente la più pallida idea di chi potrebbe essere stato, questa è una cittadina tranquilla, l’idea di qualche squilibrato che si diverte a uccidere e torturare gli animali è raccapricciante. Prima di recarmi qui dopo aver trovato questa gallina morta alzò nuovamente la mano per mostrare la carcassa ciondolante sono passato dalla stalla per controllare gli altri animali. Uno dei miei cavalli era messo maluccio, aveva un livido sul costato grande quanto la mia mano… e io sceriffo ho una bella mano, sembrerebbe come se qualcuno lo avesse colpito con qualcosa di grosso, non so... magari una grossa pietra. Non vorrei passare da credulone sceriffo, ma cosa ne pensa di quegli stranieri che dicono ci siano in città?

    Eccone un altro pensai.

    Bear lo sai anche tu che non ci sono stranieri in città, tutto questo vociferare è solo frutto dell’immaginazione della gente mista a qualche scherzo dei ragazzi, abbiamo persino setacciato tutta la città e i boschi circostanti e non è saltato fuori nessun straniero come dici tu, te lo posso assicurare.

    Come se non bastassero già i problemi derivanti dai blackout, ci si erano messe anche le persone a rendere la situazione più difficile. Da qualche tempo in città si era sparsa la voce che degli stranieri (termine usato nel più meschino dei modi) si aggiravano di notte per la città, e per stranieri si intendeva -quelli cattivi- non certo i radi turisti che qualche volta finivano a Gradic per sbaglio.

    Naturalmente i primi a essere sospettati furono i ragazzi del luogo. Si pensò all’ennesima bravata e venne imposto loro momentaneamente un coprifuoco, nessuno escluso, sotto la diretta responsabilità delle famiglie, per accertarsi se questi eventi si potessero collegare a loro.

    Le segnalazioni continuarono nonostante il coprifuoco dei ragazzi, si organizzarono delle ronde notturne, l’unico risultato fu qualche nuova testimonianza da parte delle pattuglie, ma niente di più.

    Questa nuova vicenda ben presto invase l’immaginazione collettiva, l’abitudine sostituì la paura con l’andare del tempo facendo posto a nuove fantastiche congetture, come se non bastasse, l’argomento fu preso di mira anche dalla stampa locale, imbastendo ogni settimana un nuovo articolo su queste presenze, che ormai nell’immaginario comune erano conosciute come Stranieri.

    Le settimane passarono le ronde notturne cessarono, e per la gioia dei ragazzi nacque un nuovo passatempo: la caccia agli stranieri.

    Gli scherzi di un tempo erano cosa passata per il sollievo dei passeggiatori serali, adesso il nuovo passatempo era considerato anche una cosa utile alla comunità, ovvero tentar di avvistare e finalmente vedere uno di questi Stranieri.

    Le modalità erano le stesse di un tempo, si radunavano muniti di lampade a olio (le torce elettriche erano inutili durante i blackout) si dividevano in squadre e iniziavano il loro girovagare nella speranza di avvistare qualcosa di interessante per poi pavoneggiarsi a fine serata con gli amici o il giorno dopo con i più grandi, imbastendo storie e particolari sulla figura che avevano inseguito la sera precedente, sfamando la curiosità dei presenti.

    Comunque, credo sia il caso di mettere un coprifuoco fino a quando non si farà maggior luce su questo fatto; i danni di Bear stranieri o no sono reali, non vorrei che qualcuno si facesse male con l’andar del tempo

    Amos ha ragione sceriffo, finché si tratta di galline posso dare la colpa a qualche bestiaccia, ma quale animale potrebbe provocare un livido come quello ad un cavallo o ad una mucca? La mia unica spiegazione erano i ragazzi, ma se loro non sono stati non rimane che pensare a qualche pazzo o magari anche più d’uno che si aggira per le strade della città, chissà quali pensieri passano per la testa delle persone quando sanno di essere coperti dalla notte per le loro perversioni

    "Credo che abbiate ragione. Domani Amos riorganizzeremo qualche ronda notturna, manderò una pattuglia alla fattoria di Bear per aiutarlo a sorvegliare i suoi animali durante la notte e magari riuscire a capirci qualcosa.

    Adesso Bear è meglio che torni a casa, grazie per la tua segnalazione, domani in mattinata passerò da te a dare un occhiata al tuo cavallo, vuoi che chiami Egil?"

    Si, grazie sceriffo. Spero che i miei cani siano tornati, non mi va di lasciarli fuori tutta la notte, non vorrei avere brutte sorprese anche con loro.

    Riprese la lampada che aveva lasciato sul tavolo, senza aggiungere un’altra sola sillaba si voltò e a grandi falcate si diresse verso la porta riassumendo lentamente le sinistre sembianze con cui aveva fatto il suo lugubre ingresso poco prima scomparendo dietro il rumore del campanello della porta assieme al tremendo tanfo che aveva accompagnato la discussione fino a quel momento.

    Bear era un ragazzone grande e grosso, qualcuno sosteneva che fosse anche un po’ tardo, io credevo invece che fosse solo un po’ lento. Aveva ereditato la grande fattoria di famiglia che si trovava appena fuori città alla prematura morte dei suoi genitori, se ne era addolorato tantissimo, tant’è che dovemmo durar non poca fatica per farlo riprendere con le sue mansioni, per non lasciar che andasse tutto in rovina. Era un bambinone erculeo, un po’ eccentrico ma in fin dei conti un bravo ragazzo. Allora pensavo questo.

    Da quanto tempo la fattoria di Bear è vittima di questi accadimenti?

    Tre settimane, ha perso fino adesso sette galline. Può accadere che qualche animale prenda di mira una fattoria per le sue scorribande, le galline sono le prede più facili ma è la prima volta che succede qualcosa a qualche altro animale, poi un cavallo con una costola rotta è molto di più un paio di galline uccise alla settimana. Temo che abbia ragione sul fatto del pazzo che si aggira per le strade di notte. Non avevo mai visto Bear così spaventato, non vorrei che facesse qualche stupidaggine

    Spero proprio di no, tenere a bada un colosso come Bear richiederebbe tutti gli uomini della città. Domani mattina passo a prendere Egil poi ci ritroviamo verso l’ora di colazione alla fattoria per cercare di capirci qualcosa. Nel frattempo vado a casa, speriamo che questa notte sia solo un fuoco di paglia.

    Capitolo 2 – Molliche rosso sangue

    Questo è l’inizio della storia che voglio raccontare, per motivi che non espongo e che apparentemente mi sembrano fin troppo chiari, al posto dei nomi dei personaggi che appariranno su queste pagine mi limiterò a scriverne solo l’iniziale, non per rispetto loro, sia ben inteso. Gli unici nomi che vedrete per intero sono frutto della mia fantasia, tutti tranne il mio. Il perché, se starò attento a formulare giustamente queste righe, lo capirete a tempo debito.

    Voglio specificare prima di ogni cosa che non mi sono mai cimentato nella scrittura, lo faccio solo perché sono cosciente che è giunto il momento per guardare in faccia ciò che sono diventato e quello che ho passato e quale miglior modo di farlo se non quello di scrivere i miei pensieri così confusi per tentar di dargli un concreto ordine?

    Quella sera, che apparentemente potrebbe sembrare l’epilogo di una storia già scritta, ma che in realtà non era altro che l’inizio, il piccolo fuoco di paglia divampò in un incendio destinato a ingrandirsi fino a meritarsi l’appellativo di catastrofe. Quando arrivammo alla tavola calda di L. la prima cosa che vidi fu il cavallo di Egil legato sul davanti assieme ad un altro, probabilmente quello della sua assistente.

    Brutto segno, perché se c’era bisogno di un dottore voleva dire che qualcuno si era fatto male, e se poi il dottore era stato chiamato prima dello sceriffo voleva dire che quel qualcuno si era fatto male sul serio e dato che anche lo sceriffo era stato chiamato l’unica spiegazione erano guai seri.

    Le mie speranze di lasciare alle spalle le preoccupazioni di quella notte erano state stroncate qualche istante dopo dall’irruzione di Ana nella centrale. Era sconvolta e senza fiato, presa dal panico doveva essersi fiondata lì senza pensare minimamente di prendere un cavallo per far prima, l’unica cosa che riuscì a dire fu:

    Da mio padre...si sono messi nei guai…presto.

    Buttai giù il groppo amaro che avevo in gola, presi i cavalli e assieme ad Amos ci fiondammo alla tavola calda il più velocemente possibile.

    Arrivammo in un battibaleno, ricordo che sferzavamo i cavalli come se ad inseguirci ci fosse il diavolo in persona. Arrestai la corsa del mio cavallo proprio davanti all’ingresso principale e proprio un attimo prima che l’ultimo schiocco dello zoccolo sull’asfalto si fosse spento mi scaraventai giù dalla sella lasciando ad Amos il compito di legare il mio cavallo, ed entrai.

    L. si trovava a braccia conserte di fronte al bancone principale, ad osservare preoccupato la scena che gli si parava dinanzi, Egil, come aveva supposto era lì assieme alla sua collaboratrice, una brillante infermiera che le malelingue non esitavano ad etichettare come l’amante del doc.

    Oltre a quell’irreale situazione la prima cosa che mi colpì furono quelle macchie di sangue che si stagliavano come rossi fari d’avvertimento sul lustro pavimento bianco, un sinistro sentiero che al posto delle molliche di pane della fiaba, era creato da quelle piccole macchioline rosse che dall’entrata conducevano fino all’epicentro di quella favola nera.

    Arkel! Finalmente sei arrivato, ho mandato Ana a chiamarti il più in fretta possibile

    Sì me ne sono accorto, per poco non le veniva un infarto. Deve aver corso come una dannata. Che sta succedendo?

    Stavo quasi per chiudere quando questi quattro si sono scaraventati dentro come delle furie, la prima cosa che ho visto è che uno di loro sanguinava, la seconda invece era che tutti e quattro sembravano completamente assenti... di testa intendo, ho chiamato subito Egil

    Cosa ha fatto?, dissi avvicinandomi al doc, accennando con il capo alle chiazze scure sul pavimento.

    Non ne ho idea, è da quando sono arrivato che sta cosi, non riesco a capire da dove sanguina, ho provato a chiedere agli altri cosa fosse successo, ma sembrano tutti catatonici

    Quando sono entrati stava già cosi, i tre lo sorreggevano e lui era accovacciato come adesso, si sono seduti e non si sono più mossi disse L., in quel momento entrò anche Amos con Ana, un po’ meno paonazza ma ancora il fiato corto.

    Che succede?

    Questi quattro devono aver combinato qualche bravata, uno di loro si è ferito ma non capiamo da dove sanguina, gli altri sembrano tutti in stato di shock.

    Feci cenno ad Amos di aiutarmi, dovevamo prendere i tre ragazzi incolumi (almeno fisicamente) e portarli lontano da quello ferito, in modo che Egil avesse più spazio per tentare di tranquillizzarlo e offrirgli le cure del caso. Li accompagnammo qualche tavolo più in giù, mano nella mano, come portare tre manichini, li facemmo sedere uno ad uno e mi piazzai sulla panca di fronte a loro per averli tutti e tre ben nella visuale.

    Ora veniamo a noi continuavano a fissare il muro Tu sei B, noi ci conosciamo bene giusto?.

    Era un ragazzo smilzo con uno sguardo da volpe, penetranti occhi azzurri sul viso scarno incorniciato da una cascata di riccioli neri, era un ragazzo esuberante e nonostante la giovane età era senza dubbio una delle menti più brillanti fra i ragazzi della città. Era lui che aveva messo in circolo tutte quelle tendenze che andavano di moda tra di loro; dagli appostamenti notturni alle spedizioni esplorative, era considerato da tutti il più sveglio, quindi era lui che creava le correnti da seguire, grazie a questo suo talento naturale era anche il più incline a combinare danni e non era la prima volta che me lo trovavo davanti, ma mai per questioni serie, come avevo detto a Bear poco tempo prima, era un bravo ragazzo, non aveva mai fatto del danno a nessuno, era solo un po’ irrequieto.

    Quella volta però non fu l’esuberanza mista alla spavalderia di sempre quello che mi colpì, ma bensì quei fili argentei che erano apparsi sulla folta chioma.

    Parlavamo di te proprio poco fa con Bear, quello della fattoria, diceva che stasera qualcuno si era intrufolato nel suo pollaio ammazzandogli una gallina e ferendogli altri animali, gli ha sciolto i cani dietro e quando è venuto da me mi ha detto che non erano ancora tornati come se parlassi al vento. Gettai uno sguardo agli altri seduti lì di fianco voi altri invece non vi conosco... o sbaglio?

    Gli altri li conosco io sceriffo, Amos puntò l’indice su un ragazzetto paffutello, con i capelli neri scompigliati, ancora appiccicati sulla fronte dal sudore, questo è R. anche lui vive sulla collina, i genitori hanno un bazar in fondo alla strada, quell’altro disse riferendosi al ragazzo che aveva accanto, il più grande dei tre, con un taglio a spazzola e una corporatura robusta e i primi accenni di barba quest’altro non ricordo come si chiama, ma l’ho pescato una volta appostato sotto il portico della signora Phar dopo il famoso incidente, forse voleva darle il colpo di grazia.

    Niente, anche le parole di Amos fecero la stessa fine delle mie, quei tre continuavano a fissare il muro e cosa che mi prese completamente alla sprovvista fu che in pochi attimi avevano ricominciato a sudare copiosamente, come una fontana, erano completamente fradici. Una brutta sensazione mi si affacciò alla mente, come quando hai il sentore che qualcuno di nascosto ti pianti lo sguardo dritto tra le scapole nonostante tu sia sicuro che non c’è nessuno, oppure come quel sordo terrore che ti assale di notte apparentemente senza motivo. Rimasi muto ad osservarli, era una situazione surreale, non avevo mai affrontato niente del genere.

    B...

    Non feci in tempo a finire di dire il suo nome che quei penetranti occhi azzurri ritornarono dall’infinito in cui si erano persi per puntarsi dritti contro i miei, era come essere faccia a faccia con uno spettro, ammutolii.

    Sce…sceriffo, noi stavamo giocando, come tutte le sere, non credevamo fosse pericoloso...

    Era un lamento, un lamento di dolore, Egil, l’infermiera, L. e Ana si voltarono verso di noi, spaesati nel sentire con quale tono di sofferenza dopo tanto erano uscite quelle parole.

    Tentai di rompere il silenzio che seguì cercando riacquisire il mio ruolo.

    B. noi ci conosciamo da tanto tempo ormai, conosco la tua famiglia e so che siete tutte brave persone, ho già risolto qualche tua bravata e sai che non mi sono mai arrabbiato ma questa volta qualcuno si è fatto male, dovete dirmi che è successo

    Arkel! Non riesco a capire da dove sanguina. Comincio a preoccuparmi non riesco a farlo distendere non vorrei che si facesse male sul serio, aiutami con lui, sembra che si sia incollato la testa sulle ginocchia.

    Il ragazzo era sempre accovacciato con il petto premuto contro le cosce, come se fosse stato in preda ad un terribile mal di pancia.

    Amos va ad aiutare Egil, io cerco di far parlare questi tre

    Certo capo

    Mi rivoltai verso B. scontrandomi nuovamente con i suoi occhi carichi di terrore, non era una bella sensazione. Comunque era tornato da chissà dove, meglio che parlare con un manichino.

    B. dimmi cosa è successo

    Sceriffo… noi giocavamo come tutte le sere. C’ eravamo ritrovati di fronte alla vecchia statua nella piazza alta, avevamo le lanterne, non volevamo che accadesse, non lo sapevamo....

    Un altro brivido mi scosse la schiena, sapevo dove stavamo andando a parare.

     B. lo so che non volevi che nessuno si facesse del male, dimmi, siete andati alla fattoria di Bear, lui ha sciolto i cani e loro hanno morso il tuo amico?.

    Non ero ancora riuscito a capire chi fosse il ragazzo ferito, teneva la testa premuta sulle ginocchia, come aveva detto Egil sembrava una molla, non c’era verso di farlo distendere per vedere da dove sanguinasse e per capire se era possibile trasportarlo o se doveva essere fasciato per evitare incidenti lungo il tragitto fino all’ospedale, almeno non sanguinava abbondantemente. Mi voltai verso di lui, Amos era riuscito a farlo alzare in piedi, ma nonostante questo continuava a tenersi premuto lo stomaco, come in preda ad una forte colica, Egil era inginocchiato davanti a lui con l’infermiera accanto, stavano cercando di capire dove fosse la ferita, evidentemente era sulla pancia, ma non riuscivano ad individuarla.

    Ok B. adesso mando a chiamare Bear cosi chiariamo finalmente questa spiacevole situazione, se è stato uno dei suoi cani a ferire il tuo amico probabilmente dovrà essere soppresso, così oltre ad andarci di mezzo quel ragazzo ci andrà di mezzo anche una povera bestia la cui colpa è stata solo quella di difendere la propria casa e credo che questo non faccia per niente piacere a Bear, è molto attaccato ai suoi animali....

    Era una storia inventata, anche se speravo che il mio intuito ci avesse indovinato a discapito di quel povero cane, non credevo minimamente che fosse andata in quel modo, era solo una finta per tentare di sbloccare B. sugli altri non facevo affidamento poi se una mente agile come la sua era rimasta paralizzata da un accadimento tanto orribile da portarla alla catatonia non c’era speranza di ricavare informazioni dagli altri due ragazzi, per non parlare di quello ferito, era un incubo.

    Feci il cenno di voltarmi per dirigermi verso L. un’altra finta nella speranza di smuoverlo, non feci neanche un passo che una mano mi si posò sulla spalla, B. si era alzato in piedi, era alto quanto me e mi fissava dritto negli occhi affondandomi nuovamente quegli aghi ghiacciati fin dentro l’anima; in quel momento non desiderai mai così tanto di non fare quel mestiere, sapevo che il mondo sarebbe crollato non appena avesse consentito alle immagini che aveva catturato di scivolare attraverso la bocca, rimbalzando sulla lingua.

    B....

    Un altro lamento gli usci dalla bocca, più straziante del precedente, cominciò a piangere seguito subito a ruota dagli altri due, piangevano e si lamentavano come tre bestie ferite che sanno di essere prossime alla mano armata dello stalliere, puro orrore leggevo nei suoi occhi, si afferrò i capelli da sotto la chioma striata di bianco, nel fondo del corpo scosso da brividi e bagnato dal sudore sputò fuori quello che temevo fin dal colloquio con Bear:

    Noi giocavamo sceriffo, lo stavamo inseguendo... il cuore mi saltò un battito, il sangue si gelò e in pochi attimi fui zuppo di sudore anche io, avevamo le lanterne, era la prima volta... lo abbiamo spinto fino alla piazza sulla collina, lì non poteva scappare... un coro di lamenti si alzò come in protesta dai due ragazzi seduti, anche quello sotto le cure di Egil aveva cominciato a piangere, come ridestato dal torpore dalle parole di B.

    Non volevamo farlo arrabbiare sceriffo.

    Un’altra vampata mi salì dalla schiena lasciandomi in un bagno di sudore, contemporaneamente dall’altra parte della sala si alzò uno strillo che mi fece voltare di scatto. Amos ed Egil erano riusciti ad far distendere il ragazzo, l’infermiera era accasciata in terra con una mano si sorreggeva mentre l’altra era premuta sulla bocca, aveva gli occhi puntati sul raccapricciante spettacolo che aveva dinanzi

    Dal ventre del ragazzo penzolava un ammasso giallo-bianchiccio che si era aggrovigliato sui suoi piedi mentre con una mano tentava di sorreggere quel poco che ancora gli restava in corpo per evitare che gli cadesse a terra. Amos che lo teneva saldo per un braccio era l’unica cosa che gli evitava di accasciarsi al suolo, Egil era a qualche passo di distanza con gli occhi sgranati dietro la montatura degli occhiali. Quel povero ragazzo continuava a gemere, mentre la consapevolezza di essere vittime passive di un incubo si affacciava alla coscienza di tutti i presenti.

    Fu solo nell’attimo successivo allo shock che riconobbi finalmente il ragazzo che avevo davanti, piccolo, paffutello, con due grandi e brillanti occhi neri: Era A., aveva appena sedici anni.

    Capitolo 3 - Introduzione

    Uno spiffero solitario si intrufolò dalla finestra trovando un varco sotto il pesante copertone che lo proteggeva, andandosi a schiantare proprio dietro la nuca. Un brivido lo riscosse dal torpore del sonno, era già un po’ che era sveglio, ma il freddo di quella mattina lo rendeva riluttante ad abbandonare il tepore del letto. Si guardò un attimo intorno, dalla finestra entrava la pallida luce mattutina diluita di gran lunga dalla foschia che abitualmente copriva la città, immergendo ogni cosa in un candido bagno di latte.

    Si mise a sedere tirandosi la coperta fin sopra le spalle, non voleva lasciare campo libero per un altro attacco da parte di qualche altro gelido spiffero mattutino, si stropicciò abbondantemente gli occhi, la candela era consumata fin alla base, doveva essersi addormentato lasciandola accesa.

    Con un movimento fulmineo scostò la coperta e corse dall’altro lato della piccola stanza per infilarsi i pantaloni e la pesante camicia grigia, poi fece le abluzioni mattutine e si diresse verso la porta che dava sul lungo corridoio.

    Buongiorno Signorino. Stavo giusto venendo a svegliarla, siete mattiniero stamane

    Buongiorno Belegunde, uno spiritello è riuscito ad intrufolarsi fin sotto le coperte per quello mi sono alzato, quando sono sveglio non riesco a rimanere a letto. Mia madre dov’è?

    La Signora ha già fatto colazione, ha detto di dirvi che vi aspetta nella sala da studio per la lezione mattutina

    Dì a mia madre che stamattina devo scappare in un posto, recupererò la lezione di oggi in un altro momento.

    Scese velocemente la lunga scalinata che portava nell’atrio ancor prima che la domestica potesse trovar il tempo di protestare. Sapeva che avrebbe fatto infuriare la mamma non presentandosi alla lezione, ma quel giorno aveva un appuntamento a cui non poteva proprio mancare.

    Ingoiò velocemente qualche biscotto secco in cucina mandandolo giù con un paio di sorsate di thè nero, prese la giacca e sgattaiolò fuori prima che la signora Belegunde venisse per rimbeccarlo sugli effetti negativi che avrebbe provocato sul carattere di sua madre se fosse uscito prima delle ore di studio. Fuori dalla porta di casa la fresca brina gli fece passare completamente il torpore del sonno, la giornata era grigia, i lampioni erano ancora accesi, testimonianza della notte appena trascorsa, non avrebbero tardato a spegnersi solitamente il dosaggio di olio di Zos era calcolato per esaurirsi poco tempo dopo il sorgere del sole, evidentemente questa volta ne avevano messo un pizzico in più.

    Dato la monotematicità del tempo, le cose che contraddistinguevano una brutta giornata da una bella erano essenzialmente due: la pioggia e il suo personalissimo umore.

    Quella mattina non pioveva e per quanto lo riguardava era di ottimo umore, i suoi programmi erano allettanti e niente faceva pensare ad una brutta giornata escluso la lieve lavata di testa che la mamma gli avrebbe fatto non appena fosse rincasato. Ma anche per quello aveva un efficacissimo rimedio. Si soffermò ancora un attimo a respirare la fresca aria mattutina, si alzò il colletto del cappotto e con passo svelto si avviò verso la lunga discesa che conduceva fino alla città. Le strade erano ancora semi deserte, in quella parte in particolare non c’erano molti passeggiatori mattutini, lui viveva nella parte più alta del paese, sulla collina, una zona residenziale per famiglie agiate, molto agiate, questo comportava che i suoi vicini erano maggiormente propensi agli spostamenti utilizzando le calde e confortevoli carrozze anziché i propri piedi e le proprie gambe, tanto meglio.

    Aumentò il passo, in pochi attimi fu nuovamente in piano, le strade man mano che si avvicinava al centro cittadino cominciavano a brulicare di passanti tutti sparati in direzioni diverse non ci si annoia mai a guardarli pensava, ogni giorno nuove facce giungevano fin lì per apprezzare quello che la città poteva offrire. Un infinità di etnie si mescolavano per le sue strade riversando nelle sfuggite conversazioni che riusciva a capire una miriade di lingue e dialetti differenti, quella non era una grande città né tanto meno una capitale, ma in un altro senso, uno molto più profondo credeva lui, era molto più importante di tutte queste cose: quella era Harapan la città della sapienza, patria di tutti gli eruditi dei tre continenti e, ne era sicuro, se ci fossero state altre terre, anche di quelle.

    Fu riscosso da quei pensieri alla vista di un’appena percettibile svolazzare giallo, nascosto sotto un cespuglio di bacche nere sul lato opposto della strada. Era rimasto incastrato tra i bassi rovi passando inosservato fino a quel momento, fino a che il suo occhio allenato e arguto l’aveva scovato involontariamente. Arrestò immediatamente la sua sparata marcia e attraversò la strada con disinvoltura sgusciando fluido fra i mille passanti che gli sfrecciavano davanti. Era un piccolo fogliettino giallo, grande all’incirca quanto il doppio della sua mano con delle scritte nere sopra. Questo vi è sfuggito pensò, un sorriso gli si allargò sotto il colletto del giubbotto, velocemente lo prese e se lo mise in tasca rapido come il fulmine prima che qualcuno lo potesse vedere, si guardò un attimo attorno contento di quella inaspettata sorpresa si rimise in marcia, mischiandosi alla folla.

    Finalmente, in lontananza emerse come un bolide fra il mare di folla la meta di quel pellegrinaggio mattutino, una costruzione colossale, completamente bianca, ornata da ancor più colossali file di colonne che sembravano pesanti quanto il mondo stesso, immersa nella foschia lattiginosa di quella mattina e posta in forte contrasto con i mille variopinti abiti della persone ai suoi piedi il colpo d’occhio era incredibile.

    Dovrei essere in orario, con un balzo salì i tre grandi gradini lucidi e bussò energicamente sul grande portone borchiato. Un repentino sferragliare di chiavistelli gli annunciò che il suo ospite lo stava già aspettando. La porta si scostò leggermente e dal suo interno una testa canuta, apparentemente vecchia quanto il tempo, spuntò dall’ombra interna rivolgendogli un caloroso sorriso di benvenuto.

    Gudbert! Eccoti, in orario perfetto. Dov’è il tuo amico, credevo che foste inseparabili

    Buongiorno Graham, Bron va alla scuola pubblica, la mattina ha lezione

    Tu invece no? disse guardandolo da sopra la montatura degli occhiali fingendo un rimprovero.

    Anche io, ma stamattina sono scappato prima che Belegunde mi portasse a forza alle lezioni di mia madre

    Sei fortunato Gudbert, tua madre è una brillante studiosa, dovresti esserle grato che si sia presa personalmente la responsabilità della tua istruzione non lasciandoti nelle mani dei dotti del governo. Non che io abbia qualcosa contro di loro, anzi...

    Graham, adesso non dare la colpa a me, sei tu che mi hai detto che mi avresti fatto vedere la tua collezione!

    La nostra collezione! Comunque hai ragione è colpa mia, o che sbadato che sono, io sto qui a vaneggiare mentre tu sei sempre lì fuori al freddo, entra, entra e perdonami, ormai sono vecchio.

    Graham era il Magister dell’antica biblioteca colui che ne era responsabile, incaricato di custodirla, di custodire tutta la sapienza dell’uomo fin dall’inizio dei tempi, tutto questo era dentro quel vecchio e quell’immenso posto, era soprattutto grazie ad essa ma anche grazie alle brillanti istituzioni sorte nella città che Harapan aveva acquisito nei secoli la fama di capitale della conoscenza, ed essere il Magister dell’antica biblioteca era un onore incommensurabile per chiunque.

    Gudbert entrò. Graham lo precedette diretto verso un ignota destinazione. Era un uomo basso e paffutello con una corona di folti capelli bianchi come il latte, aveva una barba corta e ben curata, anch’essa di un bianco sorprendente. I grandi occhi grigi nascosti dietro l’esile montatura dei pregiati occhiali lavorati trasmettevano una conoscenza infinita, un rispetto e una timidezza che assaliva chiunque gli si trovasse di fronte, non fosse altro che per l’istituzione che rappresentava. Nonostante questo c’era anche un lato sconosciuto del famoso erudito, un lato oscuro, una parte che era data conoscere a lui e a pochissimi altri; ovvero quella capacità di aver conservato intatto nonostante l’età, uno spirito e una goliardia incredibile, quella che così spesso si perde facendosi carico di troppi anni. Mentre lo seguiva poteva quasi scorgere l’accenno di sorriso che gli allungava le labbra, come un bambino che sta per mostrare il suo giocattolo nuovo al compagno di giochi.

    Fin dalla più tenera età Gudbert aveva sempre dimostrato una sorprendente intelligenza, propenso a sviluppare una curiosità spasmodica verso tutto e tutti, una qualità peculiare per quel tempo.

    Spesso si recava in visita con il nonno nella vecchia biblioteca essendo un amico di infanzia di Graham, fin dalle prime visite era stato subito simpatico al vecchio erudito, che con il passare del tempo lo aveva preso sotto la sua ala protettrice invitandolo ogni qualvolta avesse voluto a far visita alla vecchia sala di lettura. Lo considerava più un parente stretto che un amico di famiglia.

    Arrivarono nell’immensa sala, un trionfo architettonico in archi in pietra, sculture, lunghe librerie piene di manoscritti di ogni tipo e di ogni epoca adornate da un soffitto a volta con sconcertanti affreschi della vita che si svolgeva in essa. Uno spettacolo che lasciava letteralmente a bocca aperta. Per quante volte uno ci si potesse recare rimaneva sempre intimorito dalla maestosità della costruzione. I tavoli da lettura erano raggruppati tutti nel centro della sala mentre i massicci scaffali che sorreggevano i preziosi manoscritti erano disposti tutt’attorno, circondandoli con svariate file concentriche che davano vita ad un autentico labirinto, tanto grandi erano le dimensioni di quelle pareti di pergamena e carta che il solo pensiero di spostarli sarebbe parso assurdo.

    Un antica usanza della biblioteca imponeva che la consultazione dei libri dovesse svolgersi esclusivamente sui grandi tavoli, non ci si poteva soffermare a leggere per i vicoli fra gli scaffali, né tantomeno portarli in altro luogo della stessa biblioteca. Portarli all’esterno poi era impensabile ammenoché non si disponesse di un permesso speciale rilasciato esclusivamente dal Magister.

    Nel bel mezzo della sala da lettura, su un imponente cattedra di legno intarsiata che si ergeva a quasi il doppio in altezza della statura di un uomo, vigeva sulle attività della sala il Magister con i suoi aiutanti; quest’ultimi erano i diretti responsabili della sala, nonché bibliotecari incaricati di rintracciare e portare ai tavoli di lettura i volumi chiesti dagli studiosi.

    Ancora non era orario di apertura e trovarsi in quell’ambiente cosi immenso con la sola compagnia del Magister gli provocava un incredibile senso di irrealtà, come se si trovasse nel mezzo di uno di quegli strani sogni che gli capitavano spesso. Dovette addirittura rallentare il passo per non andar a sbattere contro qualche scaffale, colto d’improvviso da un giramento di testa.

    Gudbert stai bene?

    Sì grazie, è solo che mi sono sentito così piccolo qua nel mezzo, che ad un certo punto ho creduto di camminare in un sogno e ho dovuto rallentare per non sbattere contro qualcosa.

    Una sommessa risata uscì dal ventre del Magister Sì ti capisco, nonostante tutti questi anni succede anche a me quando mi ritrovo a passeggiare solo per questi corridoi. Trovarsi al cospetto di tutta questa conoscenza disse accennando con un fugace gesto della mano verso i libri che li circondavano ti fa riflettere sull’ignoranza dell’uomo, e su quanto egli sia presuntuoso. Dopo tanti anni qua nel mezzo Gudbert, ho capito che per quanto uno si sforzi di diventare un erudito, un colto e un dotto, per quanto impieghi tutte le proprie forze alla ricerca della verità e della conoscenza, non sarà mai nient’altro che una goccia nell’infinito.

    L’infinito, era un concetto che lo affascinava estremamente, un concetto talmente grande da non poter essere concepito dalla mente dell’uomo, basterebbe questo per stroncare ogni sicurezza.

    Forza Gudbert, altrimenti faremo tardi disse riprendendo il passo voglio mostrartela prima che qualcuno si accorga che non sono nel mio studio a sbrigare le ultime pratiche.

    Svoltò a destra entrando in un corridoio ancora più stretto, la corpulenta figura dell’amico pareva che vi si volesse incastrare da un momento all’altro. Non aveva un buon senso dell’orientamento ma a giudicare dagli spostamenti dovevano quasi essere arrivati sul lato est della grande sala. Riuscì a vedere una piccola porta in fondo al corridoio, sbirciando dalle rade fessure che il corpo dell’amico lasciava. Forse erano quasi giunti a destinazione.

    Graham estrasse un corpulento mazzo di enormi chiavi, ne scelse una apparentemente a caso e la infilò nella serratura della misteriosa porta. Uno scatto metallico preannunciò il via libera, spinse e scomparve qualche attimo nel buio della misteriosa stanza. Poco dopo un chiarore giallastro rischiarò la sala.

    Deve avere una boccetta di olio di Zos nascosta chissà dove pensò.

    Graham si affacciò nuovamente con un sorriso di trionfo stampato sulla faccia e gli fece cenno di entrare. Un lieve odore di cenere e muffa gli assalì le narici, Olio di Zos disse Graham mostrandogli la boccetta contenente l’olio blu scuro, l’altro è il risultato di parecchio tempo al chiuso.

    Era una piccola stanza, grande appena da contenere una scrivania e una sedia, per il resto c’erano fogli accatastati ovunque. Il suo primo pensiero fu quello di guardare la piccola torcia che Graham aveva acceso. Se fosse caduta lì nel mezzo avrebbe incendiato tutto e certamente non avrebbe scommesso che quella porticella avrebbe arrestato il divampare delle fiamme verso la grande sala. L’olio di Zos era utile ma anche molto pericoloso; una volta accesso l’unico modo per spegnerlo era aspettare che si consumasse.

    Tranquillo Gudbert Graham picchiettò sulla campana di vetro che custodiva la torcia, ammenoché qualcuno non lo faccia intenzionalmente è impossibile smuovere la campana disse mostrandogli un’altra minuscola chiave che calzava perfettamente con quella precauzione, anche se dovesse succedere poi, l’unico danno che ne ricaverei sarebbe l’incenerimento di quello che c’è in questa stanza. Quella porticina sembra tanto misera ma in realtà è costruita con legno di Taoss, cento volte più duro di qualsiasi acciaio, inattaccabile da ogni punto di vista rise con gusto, non scordarti che sono il Magister Gudbert, non sono uno sprovveduto, non lascerei mai che un umile passatempo mettesse in pericolo la biblioteca.

    Si allontanò repentinamente dalla campana di vetro come se avesse ricordato d’improvviso il motivo di quella gita, si accovacciò dietro la sgangherata scrivania e si mise a sferragliare con uno dei cassetti.

    Eccolo qui disse tirando fuori un massiccio volume dalla copertina anonima ti avevo promesso che non appena ce ne fosse stata l’occasione te lo avrei mostrato, ebbene eccolo qui. Guarda quanti ne abbiamo salvati, almeno non si potrà dire che le loro nobili intenzioni siano state del tutto vane.

    Quasi dimenticavo! Gudbert si infilò la mano in tasca tirando fuori il foglietto che aveva raccolto poco prima questo è di stamattina, era rimasto incastrato sotto un cespuglio di bacche nere.

     Graham lo osservò un attimo tu sei indubbiamente il ragazzo più fortunato che conosca disse mentre lo stiracchiava sul banco in tutti questi anni non sono riuscito a recuperare più che pochi fogli, poi arrivi tu… ed eccoci qua picchiettò con il palmo sul massiccio volume che aveva davanti.

    Avvicinati Graham sciolse il nodo che teneva insieme le due estremità della copertina legate con della fine corda corrosa dal tempo poi finalmente mostrò quello che era costato a Gudbert mille sforzi e preghiere, compreso il pellegrinaggio di quella mattina e le grida di sua madre previste per il pomeriggio: una collezione formidabile di quei piccoli manoscritti gialli. Ce n’erano a centinaia, e non solo quelli con impressi sopra quelle affascinanti scritte, ma ce n’erano alcuni anche con disegni, immagini, calcoli e quant’altro.

    C’erano massime di pensatori sconosciuti, strani disegni raffiguranti stelle

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