La luna d'argento
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Book preview
La luna d'argento - Giordana Ungaro
GDS
©Giordana Ungaro
La luna d’argento
EDITRICE GDS
di Iolanda Massa
Via G. Matteotti, 23
20069 Vaprio d’Adda (MI)
tel. 02 9094023
e-mail: edizionigds@hotmail.it ; iolanda1976@hotmail.it.it
Questo e-book è protetto da copyright. Sono vietate le duplicazioni, trasferimenti e distribuzione senza autorizzazione da parte dell'editore. Punibile sia civilmente che penalmente in base alla legge sul diritto d'autore a chiunque violi ogni diritto di questo libro digitale.
Collana AKTORIS.
Illustrazione e progetto copertina di ©Iolanda Massa
Tutti i diritti riservati.
Questo libro è il prodotto finale di una serie di fasi operative che esigono numerose verifiche sui testi. È quasi impossibile pubblicare volumi senza errori. Saremo grati a coloro che avendone trovati, vorranno comunicarceli.
Per segnalazioni relative a questo volume: iolanda1976@hotmail.it
Capitolo 1
Intorno a lei il silenzio era irreale, udiva solo l’ansimare cadenzato del proprio respiro e il frusciare dei lunghi steli d’erba che spostava durante il passaggio. Sfrecciava rapida, più veloce di una gazzella e di qualsiasi altro animale zigzagando tra gli alberi fitti senza alcuna esitazione.
Galoppava su quattro zampe conscia dei muscoli che si tendevano e scattavano nella corsa, non avvertiva stanchezza, solo un’ec-citazione crescente, preda di un istinto sconosciuto e alieno al quale non poteva resistere. Si impose di scindere le pulsazioni fisiche dalla ragione. La sua razionalità latitava, come rinchiusa in un cassetto. La ritrovò e con essa la consapevolezza di ciò che stava facendo. Cacciava. Odorava la preda in lontananza, bramava la carne e il sangue che pulsavano in essa. Correva irrefrenabile attraverso la foresta nel buio della notte.
Gli alberi scorrevano veloci ai margini del campo visivo, eppure notava tutto ciò che le stava intorno nitido e perfettamente delineato, riuscendo a scorgerne ogni singolo dettaglio, come se la vista si fosse acuita all’ennesima potenza.
Scorgeva le nervature sottili delle foglie, udiva gli spostamenti dei gufi tra i rami degli alberi, percepiva l’odore di piume e resina e le zaffate intense della pelliccia acre degli scoiattoli, distingueva ogni diversa forma di vita, ma non era lei che correva nel bosco, sfiorava appena i pensieri che brulicavano in quella mente. Li udiva lontani come un brusio confuso ma, paradossalmente, acuto e coerente quanto un’intelligenza umana.
Era tutto talmente intenso da inebriarla. Si sentiva estranea a sé stessa eppure perfettamente a suo agio. Che stava succedendo? La paura fece capolino appena la mente recuperò lucidità. Quello non era il suo corpo e …
Susy aprì gli occhi svegliandosi di soprassalto. Il cuore le martellava accelerato nel petto.
Era nella sua camera ma l’eco del sogno le aveva lasciato uno strascico di sensazioni che andò, via via, scemando. Sbatté le palpebre stropicciandosi gli occhi, mentre la mente si ridestava a fatica dal torpore del sonno.
Si girò verso il comodino, le lenzuola frusciarono nel movimento. I numeri a cristalli liquidi della sveglia digitale segnavano le due e mezza di notte.
Il copriletto era un groviglio attorno alle caviglie e lei era del tutto scoperta come dovuto a un ripetuto scalciare dei piedi.
Ormai era del tutto sveglia. Scese dal letto senza prendersi la briga di infilare le ciabatte, attraversò a passi svelti la stanza e scese le scale di legno, le assi scricchiolavano ad ogni passo.
Nel buio avvertì il familiare movimento della gatta di casa Perla Sutica, battezzata così in onore dei racconti che ascoltava da piccola in audiocassetta di Gobbolino il gatto della strega.
La micia aveva il pelo corto color grigio fumo e grandi occhi gialli che risaltavano come fanali sul piccolo muso affilato. Discreta, silenziosa, alle volte perfino inquietante, sostava immobile acciambellata qua e là nella casa, mimetizzandosi con l’ambiente e non ci si accorgeva della sua presenza finché s’incrociava per caso il suo sguardo.
La grande casa era buia, solo il chiarore della luna faceva scorgere i profili e le ombre degli oggetti.
Susy non aveva bisogno di accendere le luci perché conosceva perfettamente ogni centimetro, ogni mobile e ogni angolo della propria abitazione.
Si mosse con passi sicuri attraversando il grande salotto che fungeva anche da sala da pranzo. Quando fu in cucina aprì lo sportello del frigorifero. La luce interna che si accese rese il resto della stanza ancora più buio.
Udì il cigolio metallico dello sportellino della porticina privata di Perla, probabilmente era uscita in giardino. Prese una lattina di Coca-Cola e richiuse il frigo. Le bottiglie di vetro all’interno tintinnarono nel leggero contraccolpo.
Caffeina contro l’insonnia, ottimo Susy, pensò dirigendosi verso la porta da dove era uscita Perla. La spalancò, trovandosi così all’aperto sulla piccola veranda.
Cujo!
Chiamò e dal buio vide avanzare l’ombra familiare del pastore tedesco che arrivò trotterellando scodinzolante verso di lei. Vieni.
Si voltò rientrando e lui la seguì.
L’aveva chiamato così in onore del cane protagonista di uno dei libri del suo autore preferito Stephen King.
Salita nuovamente in camera accese lo stereo incastonato in una mensola tra pile di libri e oggetti vari. La musica di Fallen riempì la stanza. King e gli Evanescence erano i suoi compagni prediletti, oltre a Cujo, ovviamente.
Lasciò il volume alto, era un lusso permesso sia dal fatto di abitare isolati nel bosco, sia da quello di essere a casa da soli. I suoi erano partiti quella mattina, come accadeva ogni anno agli inizi di Luglio. Quella volta avevano optato per visitare le Isole Greche, noleggiando con altre due coppie di amici barca e skipper per un intero mese. Suo fratello era andato in Inghilterra per una vacanza studio di tre mesi, la sua scelta invece era stata quella di rimanere a casa da sola; quale miglior vacanza? Lei, Cujo, i libri e i boschi.
Tirò la linguetta della lattina e tracannò un lungo sorso di Coca-Cola finché le bollicine non le fecero lacrimare gli occhi e solleticare le narici.
Andò sul davanzale della finestra e rimase lì, appoggiata con i gomiti sul marmo freddo, a guardare la montagna buia, con Cujo accucciato ai piedi.
In quel momento sentì il bip del cellulare, era arrivato un sms.
Allungò una mano per prenderlo dal comodino lì accanto e lesse il messaggio:
Sogni d’oro bambola, non vedo l’ora che sia domani!
Era Billy il ragazzo con cui era uscita già un paio di volte in quei
giorni, un tipo fisicamente molto attraente ma, come dice Confucio, bell’aspetto e belle parole non fanno virtù. Susy non era molto costante nella vita sentimentale, anzi non lo era per niente. Le relazioni più lunghe duravano a malapena qualche mese, dopodiché si ritrovava annoiata e perdeva l’interesse, nessun ragazzo l’aveva ancora mai fatta innamorare veramente o, più semplicemente, a ventun anni non se l’era ancora mai sentita di impegnarsi seriamente con qualcuno, ecco tutto, le piaceva essere libera.
La conoscenza di Billy era ancora in fase iniziale e la curiosità verso di lui viva e stuzzicante.
Alzò la musica e Cujo sollevò appena il muso, abituato a quel volume elevato.
Un mese di libertà assoluta, pensò pregustandolo con un sorriso.
Finì la Coca e gettò la lattina nel cestino di plastica accanto alla scrivania, spense lo stereo dopo aver ascoltato un altro paio di canzoni e intorno a lei cadde il silenzio. Rimase affacciata al davanzale ad ascoltare il familiare frinire delle cicale e facendosi solleticare dai ciuffi corvini dei suoi capelli mossi dalla brezza fresca. La luna, quasi piena, rischiarava la notte dando vita al profilo degli alberi e il vento ne faceva frusciare le foglie.
Cujo scattò d’improvviso in piedi tendendo le orecchie e lo sguardo oltre la finestra verso il bosco buio. Susy seguì il suo sguardo, le parve di scorgere un’ombra scura muoversi tra gli alberi.
Improvvisamente l’aria si fece gelida e sentì la pelle accapponarsi sulle braccia nude.
Le cicale si zittirono. Quel silenzio innaturale era interrotto solo dal soffio del vento tra le fronde e dal battito accelerato del cuore che le rimbombava nel petto.
Le parve di sentire un ramo spezzarsi, calpestato da qualcosa o qualcuno.
Guardò Cujo che stava con le zampe anteriori appoggiate al davanzale, in quella posizione era alto quasi quanto lei. Fissava il fitto del bosco, sulla schiena il pelo gli si era sollevato in una cresta di allerta. Un brivido la attraversò. Quell’assenza di rumori era strana e inquietante al contempo.
Forse un ladro che aveva saputo che lei era sola in casa? Pensò.
Udì un ululato in lontananza e un altro rumore di rami spezzati. Cujo emise un debole guaito, poi un ringhio basso scaturì dal suo petto.
Passò qualche secondo, mentre socchiudendo gli occhi cercava di scorgere qualcosa nel buio. I suoi sensi erano vigili e allarmati ma non vide né sentì più nulla.
Le cicale ricominciarono a frinire, l’aria tornò ad essere fresca e non gelida, Cujo scese dal davanzale e le strusciò il muso sulla coscia cercando di attirare l’attenzione.
Susy gli passò la mano sul soffice pelo carezzandolo distratta, non riusciva ancora a staccare gli occhi dal bosco facendoli guizzare di qua e di là in cerca di un movimento.
Nulla. Lupi forse?
Impossibile. Non c’erano lupi in quelle montagne, chissà… forse qualche cane randagio che aveva sentito odore di cibo o si era perso in quella zona, pensò.
Sentì la calda e ruvida lingua di Cujo sul dorso della mano, la sua presenza la rassicurò un poco.
Gli diede un’altra grattatina e si ributtò sul letto per cercare di tornare a dormire, mentre il cane si accoccolava lì accanto sul pavimento riprendendo la posizione a ciambella col muso poggiato alle zampe anteriori.
Pensava che non si sarebbe più riaddormentata, ma dopo pochi minuti il respiro divenne lieve e regolare e cadde in un sonno profondo senza sogni.
La stanza era pregna del fumo acre e dolciastro della marijuana tanto da formare una leggera coltre ondeggiante che saliva verso il soffitto come una nebbia sottile.
Andy tirò una lunga boccata dallo spinello espirandolo poi in piccoli cerchi con un ritmico movimento della mascella. Era seduto sul grande divano di pelle scura ormai consunta, diede un’altra lunga boccata poi passò lo spinello a Yury seduto accanto a lui.
Ehi! Attento a non far cadere la cenere sul tappeto!
Lo ammonì.
L’amico prese la canna tra pollice e indice guardando allarmato il pavimento con un’espressione inebetita e corrucciata di chi si sta sforzando di pensare. Non c’era nessun tappeto in realtà e anche se ci fosse stato sul serio era talmente fatto che probabilmente non l’avrebbe visto comunque.
Dove?
Chiese Yury continuando a cercarlo qua e là con lo sguardo.
Non c’è nessun tappeto idiota!
, lo canzonò Andy dandogli una leggera pacca sulla schiena e strizzando l’occhio verso Francesco che se ne stava seduto sulla poltrona in fianco a loro.
I due amici scoppiarono in una sonora risata. Non era una gran battuta ma nello stato in cui si trovavano anche una stupidaggine appariva esilarante.
Lo stereo tenuto a volume basso faceva da sottofondo e gli U2 stavano cantando Where the street Have no Name.
"Allora Andy, ieri sei uscito con la figlia di papà, si dice."
L’altro alzò un sopracciglio cercando di fare un buffo sguardo da macho, schioccò le dita e rispose imitando il tono del personaggio di un vecchio film western.
Sì, l’ho portata a spasso sul mio nero destriero.
Lo spettacolino provocò un nuovo scroscio di risa perché, il destriero nero, era in realtà un Aprilia rv 1000.
Cazzo, tutte a te toccano le gnocche? Che avrai mai di speciale poi, io non capisco proprio.
Chiese Francesco scuotendo il capo. Andy sorrise e con il dito indice batté qualche colpetto sulla tempia. Questa French.
Rispose semplicemente.
L’amico lo guardò con sufficienza, poco convinto. Figurati, con tutto quello che ti fumi al massimo ti sono rimasti due neuroni!
Gli rispose.
Andy non perse il sorriso e schioccò appena la lingua sul palato in segno di disapprovazione.
Insomma com’è andata? L’hai castigata per bene? Mia sorella è una sua amica e dice che non fa altro che parlare di te adesso!
Yuri pose la domanda sottolineandola con una grande boccata dello spinello e sporgendosi un po’ di più verso l’amico visibilmente interessato all’argomento.
Davvero?
Rispose dubbioso e quasi stizzito. Non l’ho nemmeno sfiorata credimi! Quella sarà bella quanto vuoi, ma non ha un briciolo di cervello.
Francesco lo guardò in malo modo scuotendo nuovamente il capo. È proprio vero che… chi ha il pane non ha i denti! E poi non avrà cervello, ma compensa di brutto con le poppe!
A quella battuta ripartirono le risate.
Ragazzi qui si soffoca perché non andiamo a berci la birra della staffa in terrazza?
Propose Yury spegnendo il mozzicone in un posacenere ormai straripante.
I ragazzi si alzarono incamminandosi verso il piccolo poggiolo al quale si accedeva da una portafinestra sulla parete.
Io prendo le birre, voi però fate piano che la signora qui sotto è mezza sorda, ma se la svegliamo mi fa una predica infinita domani ok?
Disse Andy svoltando nella piccola cucina.
I due annuirono e si mossero silenziosi finché Yury non sbatté uno stinco sullo spigolo di un tavolino e quasi capitombolò sul pavimento provocando così un altro scroscio di risa.
Andy aprì il frigo, prese tre bottiglie di Ceres, le stappò e li raggiunse chiudendo lo sportello con il piede.
I due gli davano le spalle, rivolti verso l’esterno e appoggiati alla ringhiera di marmo. Si sistemò accanto a loro distribuendo le birre che fecero tintinnare in un leggero brindisi.
Dal terrazzo si vedevano le montagne buie. C’era una bella vista, non fosse stato per il grande abete che si stagliava a solo un metro di distanza tagliando così in due l’orizzonte.
Cazzo, fa tagliare sta merda di albero!
Esclamò Yury suggellando la frase con un sorso di birra.
A me piace, anzi credo che il prossimo inverno lo trasformerò in un albero di Natale coi fiocchi.
Se non ti sbattono via da qui con la prossima riunione di condominio.
Aggiunse French sarcastico. Altro scroscio di risa.
Se mi sbattono fuori è perché voi venite qui a far casino. Ti giuro che se succede poi mi pianto una tenda in camera tua, anzi no in quella di tua sorella!
, gli rispose Andy. Altre risa. Finirono le birre. Cazzo son le tre quasi! French, andiamo?
Esclamò Yuri guardando l’ora e prendendo da terra il casco da moto. L’amico fece lo stesso con il suo e s’incamminarono insieme verso la porta d’uscita sulle scale.
Ciao ragazzi ci si vede domani al lago, io mi sa che arriverò un po’ tardi ho da fare.
Li salutò Andy strizzando l’occhio e alzando il sopracciglio sinistro in un segno allusivo.
Sempre se te la dà, amico!
Rispose Yuri ridacchiando. Francesco a quella battuta non rise, sapeva che il ritardo non sarebbe stato causato da nessuna figlia di papà, almeno non quella volta.
I due sparirono chiudendosi la porta alle spalle con un tonfo. Andy rimase solo a guardare la montagna scura. Gli U2 ora can-tavano All that you can’t leave behind.
Si accese un’altra sigaretta e dopo una lunga boccata espirò il fumo facendo i soliti piccoli cerchi, ma si dissolsero senza riuscire a prender forma, investiti dalla brezza fresca dell’aria esterna.
Un cane abbaiava in lontananza poi il rombo delle moto ruppe il silenzio, sentì il rumore delle ruote che giravano sulla ghiaia del vialetto allontanandosi rapidamente.
Finì la cicca e la lanciò lontano. Volò nell’aria come una lucciola incandescente finendo a spegnersi con uno sfrigolio nel piccolo canaletto al limite del giardino della signora Nina, la sua vicina.
Guardò in alto. La luna rischiarava la notte e il cielo era tempestato di stelle.
A lui piaceva quel piccolo paese a cinquecento metri di altitudine, non l’avrebbe scambiato con nessuna moderna e caotica metropoli. Caldonazzo che nome buffo. Sorrise.
Spense lo stereo e le luci, si sfilò i jeans lasciandoli cadere sul pavimento in camera e si buttò sul letto sfatto. Sciolse i capelli biondi sfilando l’elastico che li teneva legati e chiuse gli occhi assaporando il silenzio, intorpidito dalla marijuana, godendosi l’an-nebbiamento dei sensi e lasciandosi cullare leggero verso l’oblio finché il sonno lo avvolse.
Il negozio era piuttosto affollato, alcune famiglie bighellonavano tra gli scaffali con carrelli colmi e bambini al seguito. Qualche ragazzino si era allontanato dai genitori piazzandosi sulle consolle di prova delle Play Station per provare il gioco del momento. Il brusio delle voci si mescolava alla musica tenuta a basso volume in sottofondo. Susy sfilò il bancomat dal portafoglio e lo passò a Luca, il ragazzo che stava alla cassa del reparto cd e dvd del piccolo centro commerciale del paese che, come al solito, cercò di attaccare bottone con qualche banale battuta delle sue. Come accidenti poteva sperare di fare colpo con quelle idiozie da scuola elementare?
Aveva qualche anno in più di lei e sapeva che era amico di Billy. Indossava la divisa da lavoro e appuntato sul petto aveva il cartellino col nome.
Luca passò la banda magnetica senza staccarle gli occhi di dosso, mancava poco che si mettesse a sbavare da come le fissava il seno strizzato in una canottiera nera decisamente succinta.
Così esci con Billy stasera? Magari ci si vede giù al lago più tardi allora.
Le chiese, restituendole la carta.
Certo come no!
rispose sorridendo. Magari poi potremmo fare il bagno nudi tutti insieme!
Luca ebbe un sussulto e sgranò gli occhi incredulo, sembrava un pesce lesso, poi sfoderò uno sguardo da macho. Che idiota ci credeva sul serio!
Ficata! Magari ci spariamo anche qualche partita ai videogame della sala giochi prima.
Susy cercò di sorridere ma le riuscì solo una smorfia e prese la penna che le stava passando per firmare la ricevuta.
Devi schiacciare quello per tirare fuori la punta.
Le indicò con il dito un bottone laterale.
Susy lo premette ma al posto della punta uscì una leggera scarica
elettrica, lasciò di scatto la penna facendola cadere per terra mentre Luca sghignazzava fiero del suo grande scherzo.
Lei lo fulminò con lo sguardo e firmò con un’altra penna che raccattò dal bancone della cassa mentre lui continuava a sghignazzare.
Fanculo tu e quella cazzo di penna elettrica!
Disse infuriata. Sbattendo la ricevuta sul tavolo, prese il suo pacco e si girò allontanandosi senza neanche salutare a passo spedito.
Su! Non te la sarai mica presa? A stasera allora, niente penne elettriche, promesso!
Le gridò Luca alle spalle con tono sarcastico ottenendo il risultato di darle ancora più sui nervi.
Si sentiva le guance infiammate dalla rabbia mentre usciva attraverso le porte scorrevoli verso il parcheggio e veniva investita dalla calura esterna.
Bella serata aveva davanti, una partita ai videogiochi e un branco di adolescenti in preda agli ormoni! Con la mano libera si tirò giù gli occhiali da sole che aveva appoggiati sulla testa e cercò le chiavi del suo Terrano nella tasca degli short. Schiacciò il pulsante e sbloccò le portiere, poi aprì il bagagliaio e poggiò dentro il malloppo accanto alle borse della spesa.
Ehi, guarda che hai perso questo!
Udì una voce alle sue spalle.
Le parve quella di Luca e la rabbia risalì, la voleva perseguitare forse?
Si girò di scatto e sbatté praticamente addosso al petto di qualcuno ma si accorse subito che non era Luca, vista la stazza. Nell’impatto gli occhiali le caddero per terra e si chinò a raccoglierli mentre lo sconosciuto si accucciava nello stesso gesto.
Lui li raccolse per primo, porgendoglieli assieme a uno dei suoi libri che probabilmente le era caduto senza che se ne accorgesse. Rimasero per un istante accovacciati uno di fronte all’altra, lui sorrise. Non vedeva i suoi occhi coperti da un paio di occhiali da sole e prese le proprie cose guardando il proprio riflesso nelle lenti scure. Poi lui si alzò e si voltò allontanandosi con passo tranquillo. Si fermò davanti a una Aprilia V4 RSV 1000 nera e lucida che scintillava nei raggi dorati del sole. Con un gesto secco tolse il cavalletto che fece un piccolo schiocco metallico, salì, mise il casco e accese il motore che ruggì potente. La visiera scura era già calata a coprirgli il volto. Partì a razzo sparendo alla sua vista e imboccando la strada. Susy rimase sola davanti al suo Terrano con in mano il libro e sentendosi inspiegabilmente confusa.
Inforcò gli occhiali da sole e lo poggiò nel bagagliaio, chiuse il portellone e andò al posto di guida.
Accendendo il motore, l’autoradio partì simultaneamente e la musica di The only one degli Evanescence riempì l’abitacolo. Chi era quel tipo? Si chiese incuriosita imboccando la strada per verso casa.
Guidò per le piccole strade tortuose e poco trafficate, svoltò uscendo dal paese e cominciò a risalire il lato della montagna, tornante dopo tornante, infine mise la freccia e si infilò nella strada sterrata.
Seguì il sentiero che si inoltrava nel bosco fino a raggiungere il cancello elettrico, schiacciò il verde del telecomando che teneva attaccato allo specchietto retrovisore e percorse gli altri trecento metri di vialetto ghiaioso che la portarono davanti casa.
Cujo apparve subito scodinzolando e corse a fianco alla macchina scortandola fin dentro il garage.
Susy scese e lui le