Specchi d'acqua: L'ultima soglia 1
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A Fiordimare, Bjorn e sua sorella Amata giocano da sempre sulle sponde del fiume, fissando i riflessi tremuli che imitano ogni loro movimento. Ma se quelle non fossero solo immagini? Se quello che si vede appena oltre la superficie dell'acqua fosse un mondo identico, eppure invertito, al loro? Bjorn vede lo sguardo maligno con cui quei riflessi fissano la sua bellissima sorella e capisce di dover intervenire, prima che sia troppo tardi. E quando lei scompare, risucchiata nella terra dei Morti, c’è solo una cosa che lui possa fare: andare là sotto, a Mardifiordo, per recuperarla.
Scilla Bonfiglioli nasce a Bologna nel 1983, lavora come attrice e regista con la Compagnia Teatrale I Servi dell’Arte per la quale collabora inoltre nella stesura dei testi drammaturgici. Nel 2011 è tra i vincitori della competizione eSaggi under40 promossa da Il Saggiatore con il testo Le Maschere di Athena, edito nel 2012. Finalista del Premio Elsa Morante nel 2005, ha pubblicato racconti in diverse antologie (Bacchilega, Delos Book, Edizioni Diversa Sintonia) e sulle riviste “Writers Magazine Italia” e “Robot”. Nel 2012 pubblica Skylla e Karybdis in appendice al Segretissimo Mondadori di aprile e nel 2013 il racconto Pagare cara una pelle nell'antologia Giallo 24 su Giallo Mondadori.
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Specchi d'acqua - Scilla Bonfiglioli
Mondadori.
Gebo
Il primo segno è l'inizio del viaggio e ha nome Gebo. È un dono che ha il volto di una bambina d'oro. Il secondo segno è Ehwaz, il presagio infausto: un cavallo del colore degli incubi che abita il letto del fiume. Il terzo segno è per tracciare il sentiero e si pronuncia Isaz, la luce lunare sulle terre dei morti.
Alla fine, viene Jera.
Così vicina al bordo, Amata fece scorrere un brivido sulla schiena di Bjorn.
Per paura che lei ridesse della sua paura e lo chiamasse fifone o peggio, però, rimase zitto a guardare la sorella col cuore in gola.
Amata si era tolta i calzari e si stava arrotolando le braghe di tela fin sopra alle ginocchia. Per il resto, non indossava altro, se non la massa di capelli biondi annodati in trecce e boccoli che le cadeva sulla schiena e sui seni ancora acerbi da bambina. Si stagliava sull'argine del fiume, dove l'acqua era più profonda.
Conciata così non sembrava una principessa più di quando lui sembrasse un orso delle montagne, ma aveva il portamento di una vera guerriera.
– Amata – mormorò – stai attenta.
– Zitto. Mi distrai.
Bjorn si morse la lingua. L'ultima cosa che voleva era distrarla e farla cadere nel fiume.
– Ecco, così anche se metto i piedi nell'acqua non mi bagno.
– Che scemenza! – fece lui. – Se metti i piedi nell'acqua da lì, vuol dire che sei caduta e allora non avrà nessuna importanza se ti bagnerai i vestiti o no!
Il Fiume delle Puledre sembrava tranquillo, ma non lo era affatto.
Scorreva in torrenti e rapide dalla montagna e attraversava la foresta di pini neri che copriva gran parte del regno di Fiordimare, poi tagliava la valle e andava a gettarsi nelle acque salate della scogliera in un delta a nove rami. Ma durante il percorso, raccoglieva cose sinistre. Senza contare che in quell'ansa dove la corrente si calmava, c'erano così tante erbacce acquatiche che era uno scherzo rimanerci imprigionati e annegare.
Amata sollevò le braccia e danzò sulla riva scoscesa.
La guardò gonfiando le guance, sperando che mettesse un piede davanti all'altro e non scivolasse giù. Pensò di chiamarla. Dischiuse le labbra, ma non lasciò uscire un fiato. Metti mai che si distragga, pensò.
L'acqua era così scura che sembrava fatta d'ossidiana.
E, sotto i piedi di Amata, rifletteva la sua immagine di bambina d'oro. Come se due fanciulle gemelle camminassero sul pelo dell'acqua. Una sopra nell'aria del mattino, e l'altra sotto, tra le piante del fiume, persa tra i gambi viscidi delle orchidee.
Amata e Amata camminavano toccandosi l'un l'altra solo con le palme dei piedi e ondeggiando le braccia nello stesso momento, per non cadere.
Poi cambiò qualcosa.
Bjorn si piegò in avanti per guardare meglio.
Sua sorella, quella che camminava sull'argine e aveva lasciato i calzari vicino a lui, aveva la faccia concentrata nell’impresa. L’altra, invece, la fanciulla dell’acqua scura, si era accorta di essere guardata e aveva piantato gli occhi nei suoi. Ne strizzò uno, sorridendo con malizia.
Il ragazzo spalancò la bocca, sconvolto.
Guardò meglio e la seconda Amata era tornata a essere un riflesso della prima.
– Vuoi venire via da lì? – sbraitò.
– Perché mai dovrei farlo? Nelle fiabe si dice che sui fondali ci sia nascosto un tesoro. Secondo te è vero?
– Nostro padre ha detto che non dobbiamo venire al fiume da soli – berciò lui con voce incrinata – perché è pericoloso.
– Non ha detto così.
Bjorn si tirò le ginocchia al petto, piegando gli angoli della bocca all'ingiù. Lei era più grande, più coraggiosa e aveva sempre ragione. Era la primogenita e poi era l'unica femmina: si raccontava che, quando era venuta al mondo, avesse illuminato un periodo così cupo della vita di re Lejon e della regina Lovinne che Padre non l'aveva mai chiamata col suo nome, Susi, ma sempre così: Amata. Ed era sempre stata Amata per tutta Fiordimare.
– Papà ha detto – riprese lei, saltando da un punto all'altro della riva scivolosa – che dobbiamo stare attenti a non caderci, nel fiume.
– Appunto, scema! Cosa fai lì sul bordo?
– Ci vado apposta! Come faccio a stare attenta a non cadere se sto sul prato dove sei tu?
Si voltò con tanta