Come tu mi vuoi
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About this ebook
Una nuova agenzia di appuntamenti è stata aperta in città e calamita l'attenzione e i sogni di tante donne sole e insoddisfatte. Costanza, disincantata e amareggiata dall'amore, si accosta controvoglia a questi mercanti di compagnia e illusioni, con la segreta speranza di poterne smascherare gli inganni. Ma basta una visita negli uffici di "Kimera" perché si ritrovi prigioniera in una ragnatela di sogni inquietanti e tenebrosi, in un caleidoscopio delirante nel quale nulla è ciò che appare. Lei stessa sarà costretta a fronteggiare le sue fantasie più intime e oscure, perdendo se stessa tra le spire di un incubo sensuale e senza uscita.
Federica Soprani vive a Parma, cercando di coniugare da anni la passione per la scrittura col lavoro presso uno studio grafico e la gestione di una famiglia che ha più zampe che arti. Si è laureata in lettere moderne con una tesi dal titolo "La figura del Vampiro nel Teatro tra '800 e '900". Ha scritto racconti usciti in antologie, su riviste e periodici. Tra il 2013 e il 2015 ha pubblicato con Lite Editions i racconti della serie poliziesco-vittoriana "Victorian Solstice", scritti con Vittoria Corella. Il suo romanzo "Corella, l'ombra del Borgia" ha vinto il Premio Letterario Mondoscrittura 2013. Ha pubblicato con Lettere Animate, collana I Brevissimi, "Il bacio del mullo", e nell'antologia "Diari del Sottosuolo", a cura di Diario di pensieri persi, "Dancing with Roger": entrambi i racconti sono stati finalisti al Premio Chrysalide Mondadori 2013. Per la Gainsworth Publishing ha pubblicato il racconto "Le rovine" contenuto nell'antologia "Gli occhi del drago". Nell'estate del 2015 è uscito per Nero Press il romanzo Steampunk "Victorian Vigilante. Le infernali Macchine del Dottor Morse", scritto con Vittoria Corella.
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Come tu mi vuoi - Federica Soprani
Corella.
Capitolo 1
L’autobus si rimise in marcia con uno scossone, facendo ondeggiare i passeggeri come un’unica massa compatta.
Costanza trattenne il fiato sentendosi sollevare, pressata da ogni parte dalla selva di giacche e cappotti odorosi di pioggia. Solo uno stelo in un mare erboso sferzato dal vento, una goccia in un’onda in procinto di abbattersi sulla rena.
Quando il mezzo si assestò riprese a respirare, ma dovette chiudere gli occhi colta da un’improvvisa vertigine. Rinsaldò la presa sulla maniglia di sostegno alla quale era riuscita ad aggrapparsi, stringendo con l’altra la borsetta vicino al corpo. Il contatto ravvicinato con gli altri passeggeri la disturbava nella misura in cui non poteva sottrarsi a esso. C’era qualcosa di innaturale nel modo in cui membra sconosciute si premevano le une contro le altre, corpi anonimi si sfregavano in quel movimento oscillatorio che li coinvolgeva tutti, loro malgrado.
Un uomo alto le copriva la visuale su qualunque cosa non fosse il suo giaccone imbottito, dal quale la testa spruzzata di grigio emergeva appena. Costanza non poteva cambiare posizione per non perdere l’appiglio faticosamente guadagnato, e così subiva le spinte senza guardare da dove venissero.
Il calore di quell’umanità assiepata, dopo il freddo e l’umidità dell’attesa sotto la pensilina, e il procedere lento e monotono dell’autobus le infondevano un vago torpore.
Si scoprì a chiudere gli occhi nuovamente, e questa volta li tenne chiusi, mentre un difetto nel manto stradale la costringeva di nuovo a premersi contro la schiena dell’uomo alto. Nonostante la posizione scomoda e l’aroma non proprio fragrante dei corpi che la circondavano, era talmente stanca e poco entusiasta all’idea di recarsi al lavoro che avrebbe potuto addormentarsi cullata da quel movimento ondeggiante e lasciarsi condurre oltre la propria fermata, fino al capolinea. Dietro le palpebre abbassate, la folla intorno a lei scompariva, coagulandosi in un’oscurità foderata di respiri e frammenti di conversazione, e all’improvviso i corpi che la circondavano e la schiacciavano da ogni parte non rappresentavano più un disagio, ma un appoggio comodo a cui affidarsi. Sospirò impercettibilmente, subendo un’altra spinta senza opporsi, rassegnata, docile.
Quando sentì una mano sconosciuta scivolarle lungo il fianco non ci fece quasi caso. Qualcuno dietro di lei aveva corso il rischio di perdere l’equilibrio e si era allungato per cercare un appiglio. Non reagì neppure quando la mano, anziché ritirarsi, proseguì il movimento spostandosi sul suo ventre. Solo, aggrottò la fronte, gli occhi sempre chiusi, i pensieri resi ottusi dalla sonnolenza. Avvertiva la pressione del palmo e delle cinque dita attraverso il tessuto pesante della giacca, uno sfregamento che poteva essere ancora casuale, vista la situazione, involontario perfino nel suo risalire fino al suo sterno, e sotto il seno.
L’autobus si fermò di nuovo, le porte a soffietto si aprirono e altri passeggeri salirono, incuranti delle proteste dei loro predecessori già pressati. Quando il mezzo si rimise in moto la mano era ancora su di lei. Anzi, le dita si erano insinuate attraverso l’apertura della giacca, si facevano strada attraverso le pieghe del cardigan, disegnando il contorno del suo seno.
Ormai era impossibile ignorare quell’incursione inopportuna. Costanza aprì gli occhi, cercò di voltare la testa e si rese conto di non poterlo fare.
L’autobus sussultò. Lei si ritrovò schiacciata tra l’uomo alto e un corpo che da dietro aderiva completamente al suo. Nonostante la giacca, percepì con chiarezza l’erezione che le premeva contro la schiena, mentre le dita, che avevano proseguito indisturbate la loro perlustrazione, trovavano il suo capezzolo sotto la camicetta e lo stringevano.
Si sentì attraversare da una scossa violenta. Lasciò la maniglia per abbassare il braccio e fermare quella sconcia violazione, ma realizzò di non avere abbastanza spazio per portarlo intorno al corpo. Provò l'istinto di gridare, di ribellarsi almeno a parole, ma la voce le rimaneva strozzata in gola, imprigionata da un'instupidita incredulità. Rimase così, con il braccio sollevato, mentre le dita dello sconosciuto strizzavano e torcevano la sua carne in modo sempre più insinuante.
Un’altra mano aveva preso a modellare con lenta determinazione il disegno dei pantaloni attillati, doppiando la curva dei suoi glutei e percorrendo la fessura tra di essi con uno sfregamento continuo e metodico. Costanza cercò di stringere le gambe, ma le dita dello sconosciuto si erano insinuate talmente in profondità, giungendo a sfiorarle il sesso attraverso il tessuto elastico, da rendere inutile quella precauzione.
Quando l’autobus si fermò nuovamente, qualche passeggero finalmente scese. La massa umana che la imprigionava parve farsi meno compatta. Senza pensare, sgomitò davanti a sé, meritandosi un’esclamazione di biasimo da parte dell’uomo alto, e farfugliando parole di scusa guadagnò la porta un attimo prima che venisse chiusa.
Scese con tale slancio