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Honeir Il druido - Il libro proibito
Honeir Il druido - Il libro proibito
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Honeir Il druido - Il libro proibito

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About this ebook

Dopo aver ritrovato il libro proibito, cinque avventurieri intraprendono un viaggio verso le terre del Nord, alla ricerca dell’unica persona in grado di leggere ed interpretare la profezia: il saggio Tfar Kevol di Kracow.

La compagnia riesce a raggiungere la dimora dello studioso e a comprendere che, per salvare il mondo, è necessario ritrovare tre manufatti in grado di scongiurare il ritorno degli Ancestrali.

Hoenir si mette alla ricerca degli amuleti assieme a Crise, Autolico e Kowen, ma deve rinunciare all’apporto di Daeron, cui è stato richiesto di ritornare urgentemente a corte dall’imperatore in persona.

Nel frattempo, alla corte di Byze, capitale dell’Impero Orientale, imperversano gli intrighi: il folle sovrano Demetrio XI è prigioniero dei tarli della sua mente e la corte è, di fatto, manovrata dal suo Ciambellano: l’infame Lord Verminaard, che agisce agli ordini di Isabò, il Demone che trama per consentire il dominio degli dei del Caos.

Il solo ad avere a cuore la giustizia e la sorte della popolazione sembra essere il Vendicatore, uno strano personaggio che semina il panico nella città raddrizzando i torti ed uccidendo i funzionari corrotti.

Il viaggio di Hoenir e dei suoi amici prosegue, tra antichi mostri ed improbabili alleati, sino all’antica isola di Erin, dove la Compagnia varca il passaggio tra la dimensione umana e quella divina…
LanguageItaliano
Publishereditrice GDS
Release dateJul 5, 2015
ISBN9788867824281
Honeir Il druido - Il libro proibito

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    Honeir Il druido - Il libro proibito - Daniele Bello

    DANIELE BELLO

    HOENIR IL DRUIDO

    IL LIBRO PROIBITO

    EDITRICE GDS

    Daniele Bello Hoenir il druido - vol. 2 ©EDITRICE GDS

    EDITRICE GDS

    di Iolanda Massa

    Via G. Matteotti, 23

    20069 Vaprio d’Adda (MI)

    tel. 02 9094203

    e-mail: edizionigds@hotmail.it ; iolanda1976@hotmail.it

    Illustrazione in copertina di Il drago bianco di ©Fabio Larcher

    Progetto copertina di ©Iolanda Massa

    Collana ©AKTORIS

    Il romanzo è frutto della fantasia dell’Autore. Ogni riferimento a fatti, luoghi e/o persone realmente esistenti e/o esistiti è puramente casuale.

    TUTTI I DIRITTE RISERVATI.

    A Quôć Viet

    Ti ho cercato e ti ho voluto bene

    prima ancora di conoscerti.

    Prologo.

    L’imperatore fantoccio

    L’uomo magro, dallo sguardo scavato e dall’espressione nervosa, era seduto sullo scranno da diverso tempo, ormai; ogni cosa intorno a lui proseguiva imperterrita nelle sue attività senza senso, ma non riusciva minimamente a scalfire il suo mondo interiore.

    La sala era sontuosamente decorata con uno stile pomposo, che ostentava lusso e potere per lasciare senza fiato l’umile visitatore proveniente da terre lontane; il soffitto a cassettoni, alto oltre venti passi, la sovrastava imponente: era dipinto con scene tratte dal sacro e dal profano, che narravano la creazione del mondo, la vita di grandi imperatori, i rituali di corte rigidamente scanditi da secoli di tradizione.

    Due file di colonne di marmo dai colori accesi, decorate nei capitelli con complessi fregi in oro e bronzo, dividevano lo spazio in tre navate; mentre gli spazi laterali erano riservati alla servitù e alle persone di rango inferiore, l’enorme navata centrale costituiva il cuore pulsante della sala. Qui cortigiani, nobili, funzionari imperiali, ambasciatori e postulanti occupavano ogni giorno il pregiato pavimento di marmo, assediando l’imperatore e i suoi più alti dignitari con le loro questue, con richieste di sentenze, arbitrati e interpretazioni della legge. Era questa che regolava da eoni i rapporti tra i sudditi delle Marche orientali, il regno più ricco, prospero e civilizzato di tutto il mondo allora conosciuto.

    Nessuno, tuttavia, avrebbe osato salire i cinque gradini che separavano la navata centrale dalla sala del trono, ove erano ammesse solamente le più alte cariche della burocrazia. Sul trono in oro massiccio, invece, sedeva unicamente l’imperatore, da tempo immemore simbolo del potere assoluto. Freddo, altero e distaccato, con uno sguardo impostato secondo un protocollo vecchio di secoli, egli ascoltava, annuiva e poi, con un semplice cenno della mano, chiamava a sé il funzionario competente per apporre il proprio sigillo su una decisione che nessuno avrebbe potuto (né osato) contestare.

    L’uomo magro seduto sullo scranno, tuttavia, non era in grado di seguire le delicate e minuziose fasi del cerimoniale; in quel momento, egli era immerso in un mondo completamente avulso dal presente, fatto di ricordi e di ferite non rimarginate. Immagini, dapprima sbiadite, prendevano sempre più forma attorno a lui, come una nebbia onirica che lo riportava a eventi passati, ma ancora in grado di provocare sofferenza e disperazione...

    In un’antica magione posta alla sommità di un altopiano, all’interno di un ampio salone da ricevimento, due giovani nella prima adolescenza stavano iniziando un piccolo rituale di corteggiamento, vissuto con l’emozione di chi prova sentimenti tanto intensi per la prima volta e non riesce a trovare il linguaggio, verbale o corporale, più adatto a esprimerli.

    Il ragazzo era visibilmente impacciato e non riusciva a fare altro se non a farfugliare banali frasi di benvenuto, condite da espressioni affettate che si sforzavano di apparire galanti, senza però riuscire nel tentativo.

    La ragazza ascoltava, con tenera condiscendenza, le parole del suo anfitrione, apprezzandone i goffi tentativi di seduzione con la tenerezza che hanno solo le donne più sensibili; e più guardava quell’adolescente balbettare timidi tentativi di poesia, più le brillavano gli occhi.

    Poco importava che quell’incontro fosse stato organizzato da due delle famiglie più potenti dell’impero, quella dei Lascaris e quella dei Poliorketes (un tempo rivali), per suggellare una pace faticosamente raggiunta dopo tanti negoziati. Poco importava che il matrimonio tra i due fosse stato già stabilito da tempo per consolidare un’alleanza che avrebbe potuto cambiare le sorti del mondo.

    I due si amavano in modo intenso e puro, quale a volte può sbocciare tra due bambini che hanno vissuto e giocato assieme per anni e che, sul limitare dell’età adulta, si accorgono che i loro sentimenti sono cambiati per trasformarsi in qualcosa di più poetico e più carnale allo stesso tempo; quel qualcosa che i cantori per millenni hanno cercato di definire e scoprire, rimanendo sempre al confine della sua natura più profonda: l’amore.

    Forse alla maggioranza degli ospiti del maniero sarebbe apparso irrilevante che molti non vedessero di buon occhio quell’alleanza (già definita sciagurata) tra Lascaris e Poliorketes, perché tagliava fuori dal gioco del potere tante famiglie di nobile lignaggio che ambivano al trono imperiale, agognando di fondare l’ennesima dinastia.

    Da quando l’impero era stato fondato, con la benedizione di un ormai vecchio e compassato Glynis, aveva costituito per secoli il baluardo della civiltà contro la barbarie dei popoli del Nord e l’eresia di Haimal, proveniente dalle terre orientali.

    Il ruolo di guida e di punto di riferimento per tutte le terre del civilizzato Sud apparteneva – per generazioni grazie alle acclamazioni del popolo e al plauso degli intellettuali – alla figura dell’imperatore, considerata per questo sinonimo di grande levatura morale; salire sul trono significava farsi carico di enormi responsabilità e del destino di milioni di persone.

    Con il trascorrere del tempo, tuttavia, l’ambizione, le gelosie e la sete di potere prevalsero sul senso del dovere e l’amore per il popolo. Famiglie intere avevano scatenato faide senza fine, con l’unico fine di consentire a un membro del casato di cingere la corona imperiale; non più per realizzare la missione di cui il reggitore dello Stato era investito da tempo immemore, ma solo per il prestigio e le ricchezze che ne potevano derivare.

    Pochi storici, ormai, avevano il coraggio di citare le ragioni più recondite che avevano portato al Grande scisma, per la vergogna e il disonore che derivava dalla lettura di quegli avvenimenti storici. Le famiglie più in vista della regione occidentale e di quella orientale dell’impero, da tempo divise da rancori e aspre rivalità, non riconoscevano più l’autorità suprema dell’unico reggitore dell’impero.

    L’elezione alla dignità imperiale di un membro di una famiglia rivale costituiva, per le fazioni sconfitte, motivo di scorno e frustrazione, nonché causa di ulteriori dissapori, intrighi e congiure di palazzo; senza tenere conto degli anatemi e delle scomuniche che il clero, pur in nome della stessa verità rivelata da Glynis, scagliava ora contro una ora contro l’altra delle famiglie che ambivano al trono, a seconda delle differenti e mutevoli alleanze che si formavano e disfacevano tra trono e altare, secondo uno schema antico come la Storia.

    Alla fine, i territori occidentali dell’impero avevano ricusato l’autorità di Teodoro VII Lascaris, colpevole di aver usurpato il trono del legittimo pretendente, o forse di non aver concesso i favori promessi alle famiglie dell’Ovest. Le Marche occidentali (così si erano definite, in ossequio ad antiche nomenclature utilizzate dagli studiosi delle epoche passate) avevano deciso di disconoscere la legittimità dell’ultima dinastia regnante e di affidare le sorti del governo a un Senato, al quale avevano accesso tutti i capi delle famiglie di uomini liberi.

    Le provincie a Est dell’impero, da allora note anche come Marche orientali, pur continuando a reclamare una formale signoria su tutti i territori un tempo posseduti, avevano preferito chiudersi a riccio nel proprio limitato orizzonte, del resto già minacciato dai predoni seguaci di Haimal e dall’ambizione di alcuni signorotti delle Terre desolate. Lo scisma, alla fin fine, costituiva per molti un vantaggio perché escludeva dalla lotta per il potere molti nobili occidentali e restringeva gli intrighi di potere a un più limitato numero di attori, anche se la posta in gioco era un impero ormai dimezzato.

    Negli ultimi anni i Lascaris e i Poliorketes si erano spartiti la corona, macchiando il palazzo imperiale del sangue di molti pretendenti e reggitori; le lotte intestine erano proseguite sino a quando non era stata raggiunta, faticosamente, la pace tra le due famiglie, gradita al popolo ormai sfinito dall’interminabile faida, ma non ben vista da quei nobili che avevano acquisito sempre maggiori ricchezze e privilegi, sostenendo l’una o l’altra fazione.

    Una solenne cerimonia, celebrando il fidanzamento tra Elisabetta Lascaris e Demetrio Poliorketes, avrebbe al contempo suggellato la pace duratura tra i due casati e la prosperità dello Stato. Proprio in quell’occasione, si stava consumando il timido corteggiamento tra i due ragazzi.

    Tutto era poi avvenuto in pochi, terribili e interminabili istanti che avrebbero cambiato per anni le sorti dell’impero. Sinistri sicari ammantati di nero avevano fatto irruzione nel palazzo, fuoriusciti improvvisamente dalle profonde oscurità del nulla: silenziosamente, avevano circondato il castello con una malefica ragnatela fatta di inganno e tradimento, colpendo a morte chiunque avesse avuto la sventura di incrociarli.

    Le lame baluginavano e il sangue scorreva in un’orrenda sinfonia di lacrime e disperazione; la strage era stata perpetrata ed eseguita con fredda e cinica spietatezza da uomini avvezzi a provocare atroci sofferenze, senza essere neppure sfiorati dal rimorso.

    Quella notte sarebbe stata ricordata come il peggiore incubo mai prodotto dall’ingordigia, dall’ambizione e dalla assurda sete di potere. L’antica e nobile istituzione imperiale era degenerata definitivamente nel caos e nell’anarchia.

    La maggior parte dei rampolli della nobiltà in grado di aspirare al trono avevano perso la vita in quei tragici momenti, lasciando l’impero quasi del tutto privo di pretendenti.

    Demetrio Poliorketes venne ritrovato in un angolo delle stanze, pallido e tremante; batteva i denti come in preda ai deliri di una febbre malarica. Stava ancora stringendo teneramente tra le mani un fazzoletto di seta bianca, finemente ricamato con motivi geometrici color turchese, primo e unico pegno d’amore di una storia destinata a non avere un futuro. La sua mente non sarebbe stata più la stessa, da allora in poi...

    Nei mesi successivi, molte teste erano cadute tra i membri delle famiglie accusate o semplicemente sospettate di aver preso parte alla congiura, ma questo aveva contribuito solo ad ampliare la spirale di lacrime e sangue in cui erano precipitate le ormai devastate Marche orientali.

    La corona imperiale era stata posta sul capo di un giovane e ancora inesperto Demetrio Poliorketes, prigioniero dei suoi incubi. E l’impero precipitava nel disordine e nell’anarchia, vittima degli intrighi dei cortigiani che si spartivano le briciole del potere...

    Il cancelliere richiamò nuovamente alla sua attenzione l’uomo magro seduto sullo scranno: «Eccellentissimo autokrator, il Suo imprimatur è richiesto per suggellare questa importantissima decisione del Concilio». Il funzionario tossicchiò, quasi a sollecitare una reazione del suo interlocutore.

    Demetrio Poliorketes, undicesimo imperatore a portare quel nome, appose il suo sigillo sulla pergamena senza curarsi di leggerne il contenuto; del resto, anche la conversazione che aveva preceduto quella decisione gli era stata totalmente estranea. Pochi istanti dopo, la sua mente era di nuovo intenta a rovistare tra i suoi tarli e i fantasmi che la attorniavano...

    Capitolo I.

    La marcia verso Kracow

    Durante la grande crisi cosmica nota come Il ritorno dei figli dell’Oscurità, l’equilibrio delle linee del Wyrd venne scosso duramente a causa della massiccia invasione di esseri provenienti dall’Altrove. Il Selvaggio Nord per decenni fu preda delle scorrerie di barbari invasati e di creature simili agli incubi peggiori che la fantasia umana potesse mai partorire; anche le Terre desolate, con l’unica eccezione del Boemir, vennero funestate dalle invasioni. L’impero, ancora diviso tra Marche occidentali e Marche orientali, subì lo spettro della conquista e l’affermarsi di una dinastia straniera, favorita dalla totale inettitudine del giovane imperatore Demetrio XI.

    Nuova Enciclopedia del sapere1

    1.

    La compagnia di avventurieri che si era formata, per caso o per l’astuto intervento del destino, nella locanda del Drago rosso aveva intrapreso il suo viaggio già da alcuni giorni, ormai.

    Le straordinarie vicende degli ultimi giorni, dapprima condivise davanti a un piatto di radici e innaffiate da bevande inebrianti, poi vissute assieme nella Biblioteca di New Haven, erano state sufficienti a creare un legame unico e indissolubile tra quei cinque sconosciuti che non avrebbero esitato, d’ora in poi, a definirsi inseparabili.

    Il più anziano tra i componenti del gruppo era il vecchio e saggio Daeron. Ufficialmente, era un diplomatico delle Marche orientali, incaricato di curare i rapporti tra l’impero e gli Stati della regione settentrionale; in realtà, era anche uno degli eruditi più noti del mondo conosciuto in materia di Storia delle religioni e di Scienze esoteriche.

    Aveva iniziato a lavorare come scriba nelle biblioteche di Glynis, prima di intraprendere la carriera diplomatica. Sin da allora, tuttavia, aveva maturato una vera e propria ossessione per quel corpo di scritti noti come la Profezia, che secondo gli antichi conteneva il segreto per la salvezza dell’umanità nelle grandi crisi cosmiche. Scoprire l’unica copia del Manoscritto dello ziggurat nella biblioteca di New Haven aveva significato, per lui, trovarsi vicino come non mai a conoscere il segreto per cui aveva sacrificato anni di studio.

    La meta successiva del viaggio, quella che gli avrebbe definitivamente spalancato le porte della piena conoscenza, sarebbe stata la visita del saggio Tfar Kevol, il solo in grado di poter comprendere e tradurre la lingua del Manoscritto.

    Il viaggio a New Haven, inoltre, gli aveva forse dischiuso un altro dei tasselli della Profezia: quando aveva incontrato quattro giovani viandanti, animati da un improvviso e contagioso entusiasmo per la ricerca del Manoscritto, si era ricordato che il destino utilizza spesso strane vie per realizzare i suoi fini più reconditi... anche se non tutti i membri della nuova compagnia sembravano ispirare la massima fiducia.

    Uno di loro, il giovane Autolico, altri non era che uno scavezzacollo che, per dimostrare alla sua famiglia e a se stesso di essere un fallito, si era unito alla Gilda dei Ladri; una professione tutt’altro che onorevole, anche se molto richiesta dagli avventurieri e tollerata ovunque albergasse anarchia e corruzione.

    Le sue capacità di scassinare e di decifrare mappe si erano tuttavia rivelate assai utili nell’audace impresa che avevano realizzato, anche se alternate a momenti di totale inettitudine; inoltre, aveva dimostrato notevoli capacità intuitive (in gran parte inconsapevoli...), che avevano aiutato il gruppo in momenti di grande difficoltà.

    Poi c’era Kowen, il fabbro. Era sicuramente il meno istruito, si era guadagnato sul campo il ruolo di braccio armato del gruppo, grazie alle sue notevoli capacità di guerriero.

    Il coraggio e la decisione con cui aveva sempre affrontato gli ostacoli che si erano parati innanzi a lui, unitamente a un’inusuale resistenza alle arti magiche, costituivano una sicurezza per tutti; inoltre, malgrado le umili origini, aveva dimostrato di possedere uno spiccato senso dell’onore e una preziosa conoscenza approfondita di fiabe e leggende.

    Non ultima veniva l’unica presenza femminile della compagnia, Crise, la giovane sacerdotessa di Glynis che aveva abbandonato il suo monastero in un impeto di ribellione, perché perseguitata da visioni oniriche. I suoi incubi, che le raccontavano di minacce e di profezie, mal si conciliavano con il credo che le avevano impartito le sue superiori, ma alla fine la voce più profonda dell’Io si era rivelata più forte. Crise aveva attraversato la Foresta degli spettri per raggiungere New Haven, guidata com’era da una voce interiore che le imponeva di correre in aiuto di un nome.

    Aveva subito aderito con entusiasmo alla missione che aveva proposto il saggio Daeron; la sua ampia e sistematica conoscenza di tutto il sapere ufficiale dell’epoca, dalla Filosofia alla Storia delle religioni, ne facevano un valido aiuto nelle situazioni drammatiche, soprattutto quando veniva richiesta analisi e riflessione.

    E infine, il personaggio più enigmatico della compagnia, Hoenir il druido, un ragazzo dotato di poteri di cui lui stesso era a stento cosciente. Orfano, allevato in un monastero di Glynis ed educato a diventare un maestro bibliotecario, in una crisi adolescenziale dovuta a una delusione d’amore, era fuggito dal suo paese per aderire al credo della Natura professato dai druidi. Aveva esercitato le sue capacità sensitive sino a entrare in contatto con le ninfe dei boschi, le solitarie Driadi.

    Anche per lui c’era stato il richiamo di una voce interiore che lo aveva condotto nuovamente al paese natio, ma solo per scoprire l’orribile strage di tutti gli abitanti, perpetrata dai figli dell’Oscurità.

    Proprio in quell’occasione Hoenir aveva scoperto di riuscire a proiettare tutta la rabbia che aveva in corpo contro il suo avversario; in seguito, aveva sviluppato le sue qualità (imparando a distinguere quando e come le sue doti potevano e dovevano essere utilizzate), affinando anche notevoli capacità sensitive; affrontare e sconfiggere Vladj, il terribile duca del Boemir che imperversava in tutte le Terre desolate, era stato di una facilità disarmante, per il giovane druido.

    Hoenir, probabilmente, doveva ancora acquisire la piena consapevolezza delle sue straordinarie virtù, ma di una cosa Daeron era certo: il ruolo di quell’enigmatico ragazzo, la cui capigliatura era ornata da un ciuffo di capelli bianchi, sarebbe stato fondamentale, dopo il ritrovamento del Libro proibito.

    Intanto, però, l’inverno si avvicinava con i suoi rigori e le prime nevicate. Dovevano affrettarsi, se volevano raggiungere il saggio Tfar Kevol prima dell’arrivo delle terribili tormente del Nord. Ancora una volta, Daeron incoraggiò i suoi nuovi amici ad aumentare l’andatura, con fare paterno e bonario.

    2.

    Il demone stava sogghignando con un’espressione truce che sapeva di crudeltà e di sadismo. Da tempo, ormai, imperversava nei villaggi sparsi sulle alture a Nord delle Terre desolate e angariava i poveri contadini, privi di difese nei confronti della violenza e della brutalità con cui egli era solito far valere le proprie ragioni.

    Da quando era stato risvegliato dal lungo oblio di espiazione in cui era stato confinato dopo l’ultima rivolta dei demoni, aveva giurato fedeltà a Vladj e al suo oscuro signore, che lo avevano dotato di poteri che mai si sarebbe sognato di possedere. In cambio, gli era stata riconosciuta la signoria assoluta su quei bifolchi delle Terre desolate che avessero osato ribellarsi all’autorità dei nuovi signori del Male. Il suo compito era quello di riscuotere tributi e di far rispettare il terribile regime di terrore e disperazione instaurato da Vladj; ma a lui non dispiaceva andare ben oltre gli ordini dei suoi padroni. Adorava far soffrire quei villici inermi e indifesi, nessuno era in grado di opporsi ai suoi poteri malefici, che sembravano promanare dalle profondità più oscure dell’anima del mondo.

    Il demone era solito terrorizzare la popolazione locale evocando spettri e fuochi fatui durante le notti più buie; uccidendo senza pietà i viandanti che osavano mettere il naso fuori di casa al tramonto; piombando all’improvviso nelle case e nei borghi per riscuotere tasse e gabelle insopportabili per conto dei suoi odiati padroni; usando ogni forma di violenza nei confronti di chi osava ribellarsi, ma anche di chi non era in grado di far fronte alle esose richieste dei nuovi tiranni.

    Da diversi giorni, ormai, non riceveva ordini dall’infame Vladj, ma questo

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