Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

La maledizione dei Baskerville
La maledizione dei Baskerville
La maledizione dei Baskerville
Ebook296 pages4 hours

La maledizione dei Baskerville

Rating: 5 out of 5 stars

5/5

()

Read preview

About this ebook

Giallo - romanzo (219 pagine) - Una nuova edizione dell’intramontabile Mastino dei Baskerville, il capolavoro di Arthur Conan Doyle nella nuova traduzione di Alessandra Calanchi


Una nuova edizione dell’intramontabile Mastino dei Baskerville, il capolavoro di Arthur Conan Doyle, col titolo che ebbe nella prima edizione italiana uscita sulla Domenica del Corriere. A cura di Alessandra Calanchi. Con una sorprendente introduzione, Baskerville, go home!, che svela tutto ciò che  è sempre stato lasciato fra le righe: i legami imprevisti fra Doyle e l’America,  le relazioni pericolose fra personaggi e pubblico, la nascita della genetica e della psicologia comportamentale, il femminicidio.


Sir Arthur Conan Doyle (Edimburgo, 22 maggio 1859 – Crowborough, 7 luglio 1930), scrittore e medico scozzese, è l'autore dei 56 racconti e 4 romanzi che rappresentano il cosiddetto "canone" sherlockiano. È l'autore capostipite del sottogenere letterario noto come giallo deduttivo, reso famoso dal personaggio del suo investigatore Sherlock Holmes, assurto poi a ruolo di icona di tutta la letteratura gialla, superando di gran lunga la fama dello stesso Arthur Conan Doyle.

Alessandra Calanchi è professore associato di Letteratura e Cultura Angloamericana all’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”; socio onorario dell’Accademia Italiana di Scienze Forensi, all’interno della quale coordina la Sezione di Letteratura Criminale; direttrice del CCH (Comitato Culturale Holmesiano) nell’associazione Uno Studio in Holmes; e membro della John Watson Society. Ha scritto e curato numerosi volumi e saggi nell’ambito degli studi su Sherlock Holmes, fra cui Quattro studi in rosso. Lo spazio privato maschile nella narrativa vittoriana, (1997), Arthur Conan Doyle, 221B Baker Street. Sei ritratti di  Sherlock  Holmes (2001), Sherlock Holmes in America: “American Sherlockitis”, ovvero come Sherlock Holmes conquistò il Nuovo Mondo (2005), I mille e uno Sherlock Holmes, (con G. Ovarelli, 2007). Ha curato, nel DVD allegato all’edizione scolastica de Il mastino dei Baskerville (a cura di S. Gianni, 2011), le interviste a Nando Gazzolo e a Luciano  Garofano. Ha scritto più di venti articoli su Sherlock Holmes, partecipato a programmi televisivi (Rai Uno Mattina, Giallo Pistoia) e pubblicato interviste (L’Eco di Bergamo, Il Corriere del Ticino, La Sicilia, Il Giornale di Brescia). Ha organizzato convegni su Sherlock Holmes (Pesaro 2005, 2006, 2007; Urbino 2008, 2011) e partecipato a numerosi convegni nazionali e internazionali e conferenze.

Per Delos Books, ha scritto le Introduzioni di tutti i sei volumi della collana a cura di Luigi Pachì Baker Street Collection  e ha tradotto Sherlock Holmes e il mistero del golf club (2008) di J. M. Gregson (2008) e Il diario segreto del dottor Watson (2013) di P. Growick, entrambi recentemente ripubblicati nella collana Gialli Mondadori – Sherlock.

LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateFeb 17, 2015
ISBN9788867756643
La maledizione dei Baskerville
Author

Sir Arthur Conan Doyle

Sir Arthur Conan Doyle (1859–1930) was a Scottish writer and physician, most famous for his stories about the detective Sherlock Holmes and long-suffering sidekick Dr Watson. Conan Doyle was a prolific writer whose other works include fantasy and science fiction stories, plays, romances, poetry, non-fiction and historical novels.

Related to La maledizione dei Baskerville

Titles in the series (77)

View More

Related ebooks

Mystery For You

View More

Related articles

Reviews for La maledizione dei Baskerville

Rating: 5 out of 5 stars
5/5

1 rating0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    La maledizione dei Baskerville - Sir Arthur Conan Doyle

    L’ultimo dei mastini…

    di Luigi Pachì

    Questo eBook della collana Bus Stop Sherlockiana rappresenta un evento speciale perché propone sulle sue pagine il padre di Sherlock Holmes, Sir Arthur Conan Doyle, ovvero colui che ha spinto intere generazioni di autori ad applicarsi al suo stile e proporre nuove avventure e indagini del detective inglese tramite la produzione di romanzi e racconti apocrifi o pastiche che continuano anche ai giorni nostri.

    Ospitare Conan Doyle su Sherlockiana rappresenta per noi un punto di arrivo davvero importante e l’abbiamo voluto fare nel miglior modo possibile. Per questa ragione si è scelto di riproporre a tutti gli appassionati il romanzo certamente più famoso, popolare e generalmente considerato scritto meglio tra tutte le storie narrate dal dottor Watson: La maledizione dei Baskerville (The Hound of the Baskervilles). I suoi elementi sovrannaturali e gotici rendono la lettura piacevole sia ai fan del detective per antonomasia sia ai non–sherlockiani.

    Abbiamo optato per presentare questo capolavoro della letteratura popolare, pubblicato per la prima volta a puntate sullo Strand tra l’agosto 1901 e l’aprile 1902, offrendo però al lettore qualcosa in più. Per prima cosa proponiamo una nuova versione dell’intramontabile Mastino dei Baskerville (col titolo che ebbe nella prima edizione italiana uscita sulla Domenica del Corriere) nella nuova traduzione di Alessandra Calanchi, con la quale collaboriamo da anni. Alessandra è professore associato di Letteratura e Cultura angloamericana all’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, socio onorario dell’Accademia Italiana di Scienze Forensi, all’interno della quale coordina la Sezione di Letteratura Criminale, direttrice del CCH (Comitato Culturale Holmesiano) nell’associazione Uno Studio in Holmes, oltre a essere membro della John Watson Society. In sostanza, una garanzia vera e propria che ci permette di proporre questo romanzo (uscito come tale per la prima volta, dopo la versione apparsa a puntate sulla rivista The Strand, grazie alle edizioni del 1902 sia di Newnes – Londra, sia di McClure, Philips – New York) in una versione e traduzione mai uscita prima in Italia.

    Ma questa nuova edizione è molto di più. Infatti è supportata da una importante introduzione,

    BASKERVILLE, GO HOME!, che svela tutto ciò che è sempre stato lasciato fra le righe: i legami imprevisti fra Doyle e l’America,  le relazioni pericolose fra personaggi e pubblico, la nascita della genetica e della psicologia comportamentale, il femminicidio. Insomma, un’edizione davvero unica che speriamo piaccia a tutti i nostri lettori e possa rappresentare un tassello importante nella storia della nostra collana.

    La genesi di The Hound of the Baskervilles è una storia piuttosto interessante. Arthur Conan Doyle rientra dal servizio prestato durante la guerra boera a bordo della SS Briton. Durante il viaggio incontra il giovane giornalista Bertram Fletcher Robinson, che ha già avuto modo di conoscere durante una vacanza dedicata al gioco del golf, presso il Royal Links Hotel di Cromer. La conversazione diventa subito intrigante e i due iniziano a parlare di leggende e folclore, incluse le leggende britanniche riferite alle presenze e alla caccia di ectoplasmi, di fantasmi. A questo punto i due decidono di collaborare nella realizzazione di una storia a quattro mani ambientata a Dartmoor, che secondo una lettera scritta da Conan Doyle alla madre avrebbe dovuto essere di stampo orrorifico. La scelta del luogo cade su Dartmoor perché si tratta di un’area dove la famiglia di Bertram Fletcher Robinson possiede dei terreni. Ma quella che doveva essere una horror story si trasforma improvvisamente grazie all’avvento del personaggio introdotto da Conan Doyle: Sherlock Holmes. Il suo creatore posiziona il romanzo temporalmente prima dell’anno 1891, data in cui avviene l’incidente alle cascate di Reichenbach. Negli anni che seguono si accende un forte dibattito sull’effettiva contribuzione del giornalista nel portare a termine il romanzo, ma soprattutto sullo speciale folclore correlato alle misteriose presenze sovrannaturali attorno alla casa dei Baskerville. Abbiamo a che fare con un esempio di perfetta corrispondenza tra spazio architettonico e spazio psichico che è, in sintesi, rappresentato dalla descrizione del Castello dei Baskerville e del paesaggio in cui è sinistramente immerso. Attraversando la desolata brughiera del Devonshire, battuta da un vento gelido, Sir Henry Baskerville scopre una terra lugubre e misteriosa. Il castello è una costruzione pesante e massiccia, con la facciata interamente ricoperta di edera che conferisce un’aria tetra all’insieme; dal corpo centrale partono due torri merlate trafitte da numerose feritoie, mentre ai lati dei torrioni si sviluppano due ali moderne di granito nero. Il destino di Sir Henry pare segnato e la felicità dell’erede di Sir Charles Baskerville, tragicamente scomparso, si trasforma in un brivido d’angoscia di fronte a quella dimora che si stagliava con la fosforescenza incerta di un fantasma. Entrando nello specifico, The Hound of the Baskervilles, è un’opera letteraria ibrida, non del tutto una detective story, ma neppure una storia d’orrore. Quello che possiamo affermare è che si tratta di un romanzo che affonda appieno nelle radici e nelle tradizioni della storia di stampo gotico.

    Prima di lasciarvi a questo immortale caso holmesiano che si svolge nel 1889 e vede coinvolti tra i personaggi principali Sherlock Holmes, il dottor Watson e gli indimenticabili Sir Henry Baskerville, dr. Mortimer, Jack e Beryl Stapleton, ricordiamo che quando il romanzo uscì a puntate sullo Strand, la rivista aumentò la tiratura portandola a vendere 30.000 copie. E questo ci dimostra, semmai ne avessimo bisogno, di quanto il personaggio di Conan Doyle fosse già allora profondamente amato dai suoi lettori.

    Introduzione

    di Alessandra Calanchi

    La maledizione dei Baskerville è il titolo con cui il romanzo di Arthur Conan Doyle, più noto come Il mastino dei Baskerville, uscì per la prima volta in Italia a puntate (otto episodi) dal novembre 1902 al febbraio 1903, su La Domenica del Corriere, e poi in volume nella serie Il romanzo mensile nell’ottobre 1907. Il titolo che si è scelto è dunque un omaggio alla prima traduzione italiana. Interpretando lo spirito originale dell’opera e la sua struttura di romanzo d’appendice o feuilleton, i 15 capitoli del romanzo sono stati precedentemente pubblicati nel sito dello Sherlock Magazine, uno ogni mese, da ottobre 2013 a dicembre 2014, nella stessa traduzione qui presentata. Ho scritto romanzo d’appendice e usato questo stesso termine nel capitolo 4, ma in realtà Sir Henry parla di dime novel, un genere tipicamente americano: erano romanzi economici che costavano 10 centesimi  (1 dime), ispirati ai feuilleton francesi, che presentavano trame sensazionalistiche inizialmente fuse con elementi western. È logico che Sir Henry Baskerville, che ha vissuto a lungo in America, si riferisca a questo tipo di pubblicazione.

    Il romanzo appartiene al cosiddetto Sacro Canone, ovvero al corpus letterario firmato da Arthur Conan Doyle e avente come protagonista Sherlock Holmes. In particolare, è uno dei quattro romanzi del Canone (gli altri sono tutti racconti) e l’unico ambientato non nella metropoli londinese, ma nella brughiera. Inoltre, ha la caratteristica che fu pubblicato su sollecitazione dei lettori, i quali si ostinarono a reclamare la resurrezione di Holmes dopo che questi era stato eliminato nelle cascate di Reichenbach. Doyle scrisse dunque questa vicenda, ambientandola però in un periodo antecedente alla morte dell’investigatore (The Final Problem, maggio 1891), ovvero gli ultimi mesi del 1889. The Hound of the Baskervilles uscì sullo Strand a puntate dall’agosto 1901 all’aprile 1902, accompagnato da sessanta illustrazioni di Sidney Paget, e in volume per Georges Newnes Limited nel marzo 1902, in una tiratura di 25.000 copie più altre 15.000 per l’India e le colonie britanniche il 2 aprile), con sedici tavole disegnate dallo stesso Paget. L’edizione americana (70.000 copie) uscì il 15 aprile dello stesso anno. Il romanzo ebbe un immenso successo, in Inghilterra e all’estero, e ne furono tratte più di venti trasposizioni cinematografiche. In Italia non possiamo dimenticare il film per la televisione interpretato da Nando Gazzolo: l’unico attore italiano che, a oggi, abbia interpretato Sherlock Holmes.

    Sulle origini della vicenda vi sono molti diversi pareri (sorvoleremo sulle accuse di plagio, che riteniamo infondate), uno dei quali, sostenuto da Philip Weller, illustre studioso holmesiano, riguarda l’amicizia fra Conan Doyle e Bertram Fletcher Robinson, corrispondente del Daily Express durante la seconda guerra boera che gli narrò la leggenda di un cane infernale che si aggirava nei dintorni della casa del padre a Dartmoor. Sappiamo che Conan Doyle si recò sul posto, alloggiò in un albergo con vista sulla prigione, visitò le capanne preistoriche e conobbe addirittura un personaggio che si chiamava Baskerville.

    La presente traduzione è stata eseguita a partire dal testo originale uscito a puntate, integrato con le correzioni e  modifiche apportate successivamente nel volume. È inoltre una revisione di quella da me precedentemente pubblicata da Hobby & Work nel 2013. Nessuna traduzione, infatti, è definitiva: ognuna sottrae, aggiunge, elimina, rielabora, elementi a volte infinitesimali, nel tentativo di dire l’ultima parola, di rendere finalmente merito all’autore del testo originale. Questo non è possibile: solo leggere Doyle nella sua lingua ci potrà restituire Sherlock Holmes al 100%. Ciononostante, il nostro desiderio, il nostro sforzo (mio e di tutti coloro che mi hanno preceduta, Maria Gallone, Maria Buitoni Duca, Fabio Giovannini, Luca Michelini, Nicoletta Rosati Bizzotto, Oreste del Buono, Stefano Gianni, Enrico Petrella  e tanti altri) è di avvicinarci il più possibile, sempre un po’ di più, al Sacro Testo.

    Infine, sono stati molto utili: i lunghi e affascinanti racconti di Philip Weller e di sua moglie Jane sulla brughiera, il dizionario L’attico ed il rispostiglio di Pier Luigi Neri, e le conversazioni con l’amico Enrico Solito e con tutti i soci di Uno Studio in Holmes, a cui dedico questo libro.

    Approfondimento: Baskerville, Go Home!

    di Alessandra Calanchi

    Ricordo che il mio professore di letteratura angloamericana, all’università, ci disse una volta che a suo parere Cime tempestose era il romanzo più americano che fosse mai stato scritto in Inghilterra. Guido Fink – il mio professore – era un intellettuale straordinario e le sue dichiarazioni talvolta eccentriche non solo suscitavano sempre sorpresa, ma sollecitavano una riflessione. Emotivamente, non potevo che concordare con lui. Ma poteva l’emozione essere sufficiente a dare scientificità alla sua opinione? Fu così che cominciai a interrogarmi sul concetto di nazione, di appartenenza culturale, e sull’importanza (o meno) delle geografie. E quando, qualche anno dopo, ho letto Il mastino dei Baskerville, ho provato nuovamente la stessa emozione e lo stesso (costruttivo) spaesamento.

    Questo romanzo di Conan Doyle, che ho letto e riletto più volte, che ho tradotto, ritradotto, commentato, e molto amato, è forse ancor più esplicitamente di Cime tempestose un romanzo americano, pur nella sua innegabile Britishness. Che Conan Doyle scrivesse per un pubblico di lettori americano, oltre che inglese, irlandese e scozzese, è un fatto;  già fin dal celebre incontro col direttore del Lippinscott’s, all’epoca del patto grazie al quale lui e Oscar Wilde avevano per così dire venduto l’anima allo zio Sam, accettando di pubblicare sulla versione britannica del Lippincott’s i prossimi romanzi (rispettivamente Il segno dei quattro e Il ritratto di Dorian Gray) che avessero scritto (The Sign of Four  apparve nel febbraio 1890 in contemporanea  a Londra, al prezzo di uno scellino, e a Filadelfia, al prezzo di un quarto di dollaro, ovvero 1 dime o 25 cent)., era chiaro che l’autore era entrato in una fase internazionale, che aveva fatto il suo ingresso nel mercato globale (cioè made in USA): e questo non poteva non significare che da quel momento in poi avrebbe dovuto tenere presente i gusti, la lingua, il contesto dei suoi numerosi lettori (e spettatori, dopo Gillette) d’oltre oceano.

    Se pensiamo, poi, che proprio alla fine dell’Ottocento era stata dichiarata chiusa la Frontiera, quel fenomeno evidente per cui un numero straordinario di migranti di diverse etnie aveva avuto la possibilità di avanzare su un territorio sterminato, sterminando i nativi e occupando e costruendo fino alla costa del Pacifico, le cose ci sembreranno ancora più chiare: sì, perché la Frontiera, seppur muovendosi, delimitava il mondo progressivamente civilizzato dalla wilderness, ovvero i territori selvaggi del cosiddetto Far West, dove la natura regnava sovrana e non vi erano leggi a opprimere – né difendere – gli avventurosi pionieri. Quando uscì Il mastino, il celebre volume di J.F.Turner Il significato della Frontiera nella storia americana era uscito da pochi anni (1893) e di sicuro la Teoria della Frontiera come occasione di opportunità uniche e crogiolo di democrazia aveva colpito e colpiva l’immaginazione degli europei, e nutriva più dei cereali e della carne di bisonte l’autostima degli americani. E la wilderness americana, fatta di praterie, foreste, pianure desertiche, paludi, terreni rocciosi, assomiglia in modo straordinario – e non solo emotivamente – alla brughiera dei Baskerville. Sono entrambi dei luoghi selvaggi, in cui essere vicini di casa significa abitare a diverse miglia di distanza, e in cui gli elementi naturali dominano l’immaginazione e il paesaggio. Luoghi colmi di fascino e di inquietudine, la cui rappresentazione oscilla tra il gotico e l’impressionismo.

    Ma non finisce qui: il protagonista della vicenda, Sir Henry, proviene dall’America settentrionale (Stati Uniti e Canada, dove ha vissuto presso amici dopo esservi arrivato orfano dall’Inghilterra, e dove al momento della morte dello zio gestisce una fattoria) e si presenta nella capitale europea della Grande Esposizione Mondiale (nonché dell’Impero) indossando, sotto un abito di tweed definito dal britannico Watson bizzarro  (e che si rivelerà cruciale nel dodicesimo capitolo), non scarpe, bensì stivali di cuoio (boots) che si riveleranno essere made in Canada; e ammette I have got a little careless in my ways out West. Per giunta, a contrastare lo stereotipo del Sir britannico, è abbronzatissimo per aver passato gran parte della sua vita all’aperto. Il suo linguaggio, poi, è colorito e pieno di colloquialismi che purtroppo non possiamo trasporre in italiano con la stessa efficacia (think out, off the trail, if that isn’t smart!, By thunder!, I think not…): ciò non sfugge a Watson, il quale non manca di sottolineare che Sir Henry si esprime in un dialetto molto fiorito e tipicamente dell’Ovest. Nel capitolo 13 poi Sir Henry esclama: Ho avuto a che fare con i cani quando ero laggiù nell’Ovest, e so riconoscerne uno quando lo sento. Qui l’America funziona come tramite attraverso il quale la superstizione (ovvero la vecchia Europa e i suoi fantasmi) viene ricondotta entro il pragmatismo del Nuovo Mondo nel quale poco dopo ammetterà di aver imparato a giudicare meglio un cavallo o un manzo che un quadro.

    Lo stesso Holmes, campione di un tipo molto cosmopolita di Britishness, non esita a esprimere concetti che se da un lato si agganciano alla sua razionalità logico-scientifica, dall’altro sono in perfetta sintonia con il senso pratico americano: come quando, nel capitolo 12, reinterpreta il celebre detto di Socrate (So di non sapere) facendolo diventare Quello che conta non è ciò che sappiamo, ma ciò che siamo in grado di provare.

    Anche l’accenno alle dime novels – un genere ottocentesco tipicamente americano, corrispondente solo grosso modo ai penny dreadful britannici – si perde del tutto nella traduzione: è vero che Sir Henry ha l’impressione di essere stato catapultato da un racconto di fantasia nella realtà, ma è interessante che Conan Doyle si riferisca esplicitamente alla sua americanità. Non c’è alcun dubbio, a mio parere, che egli voglia ingraziarsi da un lato proprio il pubblico americano, dimostrandogli di conoscerne e apprezzarne la specifica cultura, e dall’altro sparge elementi esotici a uso e consumo dei cittadini britannici. Un doppio obiettivo che Conan Doyle, non solo medico e scrittore, ma anche grande comunicatore, aveva ben chiaro in mente: come quando fa parlare il suo personaggio, palesemente irritato, in un dialetto molto più fiorito e più tipicamente dell’Ovest di quanto non lo avessimo sentito esprimersi durante la mattinata; o ancora, quando gli fa enunciare proverbi quale Casa, terra e dollari devono restare uniti. O come quando, arrivato al Maniero, gli fa esclamare col tipico efficientismo yankee: Non c’è da meravigliarsi che mio zio presagisse una disgrazia in un luogo come questo. Qui ce n’è abbastanza da spaventare chiunque. Farò impiantare una fila di lampioni, e in capo a sei mesi, grazie a Swan e a Edison, una luce pari a mille candele illuminerà il portone d’ingresso in modo tale che non riconoscerete più questo posto. O ancora quando dice a Holmes: Confesso che non me ne intendo molto, e che saprei giudicare meglio un cavallo o un manzo che un quadro.

    Più si procede nella narrazione, più l’America, invece di allontanarsi, sembra farsi più vicina. Addirittura, Stapleton definisce erroneamente wigwams i cerchi di pietra di era preistorica (neolitica): è forse bene ricordare ai lettori che un wigwam era una sorta di capanna cerimoniale costruita nell’antichità da alcune tribù di nativi americani (in particolare gli Algonchini)  e utilizzata ancor oggi per scopi rituali. Ma le captationes benevolentiae sono sparse un po’ ovunque. Un’altra è, per esempio, l’accenno alla cittadina di Plymouth: si tratta di quella inglese, naturalmente –  ma come può, a un pubblico di lettori USA, non ricordare lo sbarco del Mayflower, i Pilgrim Fathers e la fondazione della prima colonia americana?

    Il carattere americano di Sir Henry, uomo d’azione venuto dal West, si esplicita anche in momenti in cui un Baronetto  – per quanto appartenente a una stirpe dall’indole sanguigna – manterrebbe il rinomato self control. Non così l’ultimo erede dei Baskerville, il quale, informato sul nascondiglio del pericoloso evaso, esclama: Perbacco, Watson, andrò io stesso ad acchiappare quell’uomo! E lo fa, assieme a Watson, inoltrandosi di notte su un paesaggio che potremmo verosimilmente definire Western: La luna risplendeva bassa sulla nostra destra, e il pinnacolo frastagliato di una cresta di granito si stagliava contro la curva inferiore del suo disco d’argento. Là, nero come una statua d’ebano su quello sfondo luminoso, ho visto il profilo di un uomo sulla sommità rocciosa.  […] avrebbe potuto essere lo spirito stesso di quel luogo terribile.

    La location, a proposito. Si noterà che la brughiera viene spesso rappresentata con tipico gusto protocinematografico: nel capitolo 9, per esempio, è davvero sorprendente il complesso gioco voyeuristico per cui il pubblico  di lettori (pubblico, appunto) si trova sulla collina con Watson mentre Watson scrive a Holmes, e allo stesso tempo è il narratario – come Holmes – delle vicende. Qual è la posizione del pubblico – in prima fila, come Stapleton, o in loggione, come Watson? O dentro la caverna, come Holmes? Sarà il cinema (Hollywood), e non il teatro, a raccogliere l’eredità di questo innovativo gioco di sguardi e di ruoli.

    Holmes anticipa anche la psicologia comportamentale (behaviorism), un’altra disciplina tipicamente americana che nascerà parecchi anni dopo. È vero, nel 1859 Darwin aveva sancito le origini della specie umana, e più o meno negli stessi anni Lombroso inventava l’antropologia criminale, ma nella frase seguente l’ereditarietà e la fisiognomica non c’entrano nulla –  è piuttosto la psicologia comportamentale a fare da padrona: Lo abbiamo viziato troppo quand’era un ragazzo, e gliele abbiamo date tutte vinte finché lui non si è convinto che il mondo intero era stato creato per suo sollazzo, e che poteva farvi tutto quel che voleva. Poi, nel crescere, si è imbattuto in cattive compagnie. Non certo a caso, la psicologia comportamentale nasce a Chicago nei primi anni del Novecento e il suo primo esponente di rilievo si chiama…  John Watson.

    Ma anche la genetica (che nasce nel 1900 con Mendel: solo un anno prima del Mastino) vuole la sua parte: Sì, è un esempio interessante di ricorrenza atavica che si direbbe sia fisica sia spirituale. Uno studio di ritratti di famiglia è sufficiente a convertire un uomo alla dottrina della reincarnazione. Stapleton è un Baskerville… è palese, dice Holmes, che ancora non può conoscere il DNA: per questo parla di reincarnazione, un termine che non è poi così lontano dall’indicare la trasmissione dei geni. Un’altra coincidenza: chi scoprirà il DNA nel 1953 insieme a Francis Crick sarà un americano quasi omonimo del nostro Watson: James D. Watson.

    Il fraseggio tra Gran Bretagna e America, e i rimandi intertestuali fra letteratura inglese e americana, percorrono tutto il romanzo come una sotto-trama. Nel capitolo 11, Watson fa una velata allusione al grande scrittore americano Edgar Allan Poe: avevo visto con i miei occhi quell’uomo ritto in piedi sulla sommità del Black Tor. […] Poteva sfuggirci tra la folla di Regent Street, ma si sarebbe trovato in difficoltà sulla distesa solitaria della brughiera […]. Holmes se l’era lasciato sfuggire a Londra. Per me sarebbe stato davvero un trionfo se fossi riuscito ad acciuffarlo, laddove il mio maestro aveva fallito. Il maestro è naturalmente Holmes ma qui occhieggia un altro Maestro: Poe, appunto, autore fra gli altri del racconto L’uomo della folla (1840): un racconto scritto in America, ma ambientato a Londra. E quando, verso la fine del romanzo, Sherlock Holmes recupera dalla palude di Grimpen la famosa scarpa perduta –  "Agitò in aria un vecchio stivale nero. Sul cuoio, all’interno, c’era scritto: Meyers, Toronto" –  l’indizio riguardante la sua americanità non giunge certo inaspettato.

    Ancora, nel capitolo 13 troviamo un riferimento a omicidi realmente accaduti in America: Gli studiosi di criminologia rammenteranno i casi analoghi accaduti a Grodno, nella Piccola Russia, nel ’66… e naturalmente vi sono gli omicidi di Anderson nella Carolina del Nord; ma questo caso possiede alcuni tratti assolutamente originali.  L’autore si premura di creare un’analogia con fatti di cronaca avvenuti in America, anche se Holmes si sbaglia: non solo Grodno è in Lituania, e non in Ucraina, ma anche i casi americani non sono autentici. Doyle decise evidentemente di creare un senso di verosimiglianza cambiando lievemente i nomi di casi autentici (si veda, per esempio, l’assassinio di Laura Foster da parte di Tom Dula a Elkville, North Carolina, nel 1866).

    Se l’America del Nord (dove risiede Sir Henry) rappresenta comunque, in linea generale, un luogo di civiltà e opportunità, simmetrico e contrario è il caso dell’America del Sud, paradiso dei criminali: è lì che progetta di rifugiarsi il forzato evaso (capitolo 10) ed è sempre lì che era fuggito Rodger Baskerville, il fratello più giovane di Sir Charles, che non godeva di buona reputazione (capitolo 15). Inoltre la protagonista femminile della storia, la sorella/moglie del cattivo, ha sangue ispanico nelle vene e viene dall’America del Sud.

    Una componente particolarmente interessante del romanzo è, a questo proposito, la presenza di non uno, bensì quattro straordinari personaggi femminili: una sola americana, ma tutte vittime della crudeltà maschile. A ben vedere, l’intera vicenda ruota intorno a loro, tanto che potrebbero addirittura essere viste come le autentiche protagoniste della storia. La prima viene presentata nella lunga narrazione che, a Londra, fa il Dottor Mortimer a Watson e Holmes. La sua figura appartiene a un passato remoto, anteriore al tempo in cui viene narrata la storia. È dunque un personaggio fuori campo, senza volto e senza voce, ma di cui sappiamo che fu la vittima della violenza del

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1