Il lamento di Lord Blackwolf
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Book preview
Il lamento di Lord Blackwolf - Daniele Pisani
a cura di Franco Forte
Daniele Pisani
Il lamento di Lord Blackwolf
Romanzo
Prima edizione settembre 2015
ISBN 9788867758722
© 2015 Daniele Pisani
Edizione ebook © 2015 Delos Digital srl
Piazza Bonomelli 6/6 20139 Milano
Versione: 1.0
Font Fauna One by Eduardo Tunni, SIL Open Font Licence 1.1
TUTTI I DIRITTI RISERVATI
Sono vietate la copia e la diffusione non autorizzate.
Informazioni sulla politica di Delos Books contro la pirateria
Indice
Il libro
L'autore
Il lamento di Lord Blackwolf
PROLOGO
PRIMO RACCONTO IL VICHINGO
SECONDO RACCONTO IL CAVALIERE
TERZO RACCONTO LA CONTADINA
QUARTO RACCONTO IL CHIERICO
QUINTO RACCONTO IL NANO
PRIMO INTERLUDIO
SESTO RACCONTO IL MENESTRELLO
SETTIMO RACCONTO LO SCUDIERO
OTTAVO RACCONTO LA MERETRICE
NONO RACCONTO IL MAGO
DECIMO RACCONTO IL RE DECADUTO
SECONDO INTERLUDIO
L’ULTIMO RACCONTO LORD BLACKWOLF
EPILOGO
Delos Digital e il DRM
In questa collana
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Il libro
Una singolare sfida tra narratori di storie del mistero e del terrore. Chi vincerà le cento monete d’oro in palio? E quale terribile segreto custodisce l’oscuro Lord Blackwolf, l’ideatore di questa gara senza precedenti? Undici racconti gotici ambientati in un cupo medioevo, legati da un unico grande filo conduttore.
Per combattere la noia, Lord Blackwolf, signore di Vilkegaard, decide di indire presso il proprio castello una gara senza precedenti: i partecipanti dovranno, a turno, raccontargli una storia del mistero e del terrore; al termine, chi gli avrà raccontato la migliore riceverà cento monete d’oro. I partecipanti sono dieci: otto uomini e due donne. Il Lord, affiancato da Gruhl, suo fedele servitore, li ascolta tutti, uno per uno: Olaf Eriksson il vichingo (terrori in mezzo al mare), Gaweyn il cavaliere (un’ecatombe a opera di creature infernali), Birthe la contadina (un delitto scatena forze oscure), Jeremias il chierico (terrori indicibili in un antico campo di battaglia), Sigfrido il nano (unioni carnali mostruose dalle conseguenze angoscianti), Ossian il menestrello (un uomo torna dall’inferno per vendicarsi, trasformato in un demone), Edvard lo scudiero (per anni inconsapevole servitore di una creatura terribile), Raili la meretrice (un potere di tenebra si vendica di un maledetto torturatore), Larus il mago (visioni oscure e apocalittiche attraverso uno specchio magico) e, infine, Aleksis il re decaduto (un magico e inquietante castello che reca sventura). Terminata la gara, Lord Blackwolf raduna tutti e dieci i partecipanti e, prima di decretare il vincitore, racconta lui stesso un’ulteriore storia fuori gara. Un segreto terrificante, a lungo custodito.
L'autore
Daniele Pisani, nato nel 1983, è un ingegnere ambientale con la passione per la scrittura, la lettura (lettore onnivoro e appassionato di libri e fumetti di ogni tipo) e la pittura (allievo del maestro Felice Bossone). Nel 2012 è stato finalista al Premio Alberto Tedeschi con Sherlock Holmes e l’assassino di Whitechapel (uscito nella collana Sherlockiana di Delos Digital). Per Delos Digital ha pubblicato: Blue Diamond e Qubix9001, serie Chew-9, e Giacomo Casanova - Omicidio a Rialto per la serie History Crime. Vive e lavora in provincia di Milano.
Dello stesso autore
Daniele Pisani, Blue diamond Chew-9 ISBN: 9788867753079 Daniele Pisani, Qubix9001 Chew-9 ISBN: 9788867754731 Daniele Pisani, Giacomo Casanova Omicidio a Rialto History Crime ISBN: 9788867755493 Daniele Pisani, Sherlock Holmes e il caso dello squartatore di Whitechapel Sherlockiana ISBN: 9788867757244 Daniele Pisani, Il mostro di Richmond History Crime ISBN: 9788867757541
PROLOGO
"Coloro che sognano a occhi aperti
conoscono molte cose che sfuggono
a quanti sognano soltanto dormendo."
E.A. Poe
Un guardiano, gigantesco e granitico.
Questo sembrava il castello di Lord Blackwolf, signore di Vilkegaard. Arroccato su un’aspra e brulla cima, spuntava dalle rocce come un dente dalle gengive; ma senza distinzione, quasi ne fosse un prolungamento naturale. Era molto antico: era stato testimone dell’Invasione, e pure della grande epidemia di peste di cinquecento anni prima. Secondo le leggende, quando le montagne si erano sollevate, il castello esisteva già; e pure quando i ghiacciai si erano ritirati, e la vasta pianura si era formata.
Il sole moriva all’orizzonte e tingeva di sangue le nubi. Dalla torre più alta, Lord Blackwolf osservava il tramonto. Avvolto in un ampio mantello, nero come la pece, seguì con lo sguardo il volo di un’aquila, fino a che essa non si dissolse in lontananza.
– Gruhl! – chiamò. – Gruhl!
Un ometto deforme si fece avanti.
– Agli ordini, padrone – gracchiò.
– Portami Vibur.
– Subito, padrone.
Accennato un inchino, si dileguò. Il fedele Gruhl, un essere piccolo, gobbo, il colorito verdastro, la testa pelata, il naso adunco e gli occhi bovini a dispetto della sua intelligenza vivissima.
Discese la torre percorrendo una scala a chiocciola, le gambe come le zampette di un insetto. Superò un lungo corridoio, fiancheggiato da lucenti armature a piastre sulla cui superficie di acciaio si rifletteva la sua figura grottesca. Oltrepassò una porta ad arco ed entrò in una sala dall’alto soffitto, ricolma di blasoni e trofei, nella quale spiccava un camino di marmo. Si avvicinò a una parete, montò su uno sgabello e levò dai ganci uno spadone a due mani, riposto nel fodero.
Gravato da quel fardello, che a stento riusciva a reggere, tornò indietro, il passo malfermo.
– Eccola, mio padrone – disse, raggiunta di nuovo la sommità dell’alta torre, la fronte imperlata di sudore. – Ecco Vibur.
Lord Blackwolf impugnò la spada e la sguainò, producendo un acuto e breve stridore.
Alla luce ramata del tramonto, l’acciaio sollevato al cielo scintillò. La guardia della spada, a forma di croce, aveva la foggia di due lupi, scattanti da parti opposte e legati per le code. Il pomello era una testa di lupo con una sfera tra le fauci.
Il vento prese a soffiare, come richiamato dalla spada. E fece ondeggiare la chioma corvina di Lord Blackwolf, l’ampio mantello scuro e i vessilli sulle mura, raffiguranti un lupo nero in campo grigio.
Il castello si levava a picco su un abisso buio e profondissimo, ricolmo di tenebre quasi fino a traboccarne. Siccome a nessuna ora del giorno se ne scorgeva il fondo, si diceva che arrivasse fino all’inferno.
– Prepara la cena – ordinò il Lord al servitore, mentre rinfoderava.
– Sì, mio signore. – Gruhl si faceva piccolo a ogni ordine. – Sarà fatto.
Detto ciò, disparve.
La tavola era stata imbandita con cura. La tovaglia era di lino, finemente ricamata, i piatti e le scodelle di peltro, il coltello d’acciaio, i cucchiai e il boccale di corno. Il cuoco aveva preparato arrosto con porri, condito con salsa di miele e chiodi di garofano, rape rosse, una zuppa di castagne e carote al burro.
Il Lord si sedette a un capo della lunghissima tavola, su uno scranno dorato e imbottito dall’alto schienale. Si sciacquò le mani in una tinozza, poi prese a mangiare.
– Sai, Gruhl – disse, tra un boccone e l’altro, – la noia mi opprime, in questo grande castello vuoto. Sempre soli, in questo colossale ricettacolo di ombre. Ma proprio ieri – aggiunse, e bevve un sorso di vino caldo e speziato dal boccale di corno, – mi è venuta in mente un’idea per rompere questa noia terribile. Vorrei indire, qui al castello, una tenzone.
– Un torneo, mio signore? – domandò Gruhl accanto a lui, pronto a servirlo.
– No. In gioventù ho assistito a tanti tornei tra cavalieri, partecipando anche a numerosi di essi. È uno spettacolo che non mi attira più, ormai.
– Ditemi, allora, mio Lord – chiese il servo, desideroso di compiacere il proprio padrone, – di che tenzone si tratta?
– Di una tenzone molto particolare. Chi vi parteciperà dovrà raccontarmi a turno una storia. Il migliore vincerà cento monete d’oro. – Prese ad accarezzarsi la corta barba nera. – Sì, metterò in palio cento monete d’oro. Mi pare un buon premio. – Squadrò il servo da capo a piedi, come se lo vedesse per la prima volta. Gli occhi di ossidiana, rapaci e scintillanti, l’espressione di stima mista a vago disgusto. – Che cosa ne pensi, Gruhl? Non è una buona idea?
– Sì, mio Lord. Tutto ciò che voi pensate è sempre una buona idea. Però, perdonatemi: che tipo di storie devono raccontarvi i partecipanti a questa sorta di tenzone?
– Storie terribili, mio fedele Gruhl – rispose, il tono greve, l’espressione cupa. – Storie che vanno oltre la ragione. Storie di fantasmi, mostri e orrori senza forma che conducono alla follia. Tutte, beninteso, rigorosamente vere; come sai, nessuno può mentirmi.
– Comprendo, mio Lord. Ebbene, se è vostro desiderio sentire tali storie, allora non dovete fare altro che spargere la voce in tutto il regno che presso il vostro castello è stata indetta una gara di questo tipo. Presto verranno da ogni dove, desiderosi di vincere le cento monete che voi, mio Lord, con la generosità che da sempre vi contraddistingue, avrete il buon cuore di mettere in palio.
– Lo spero, mio fedele Gruhl, lo spero. – Svuotò il boccale di corno e lo adagiò sul tavolo. – Su, va’ a prendermi l’occorrente per scrivere: voglio vergare di mio pugno il bando di gara. Sarà letto ad alta voce giù al borgo. E poi ovunque, in ogni città e villaggio del regno.
Il servo si precipitò al piano di sopra, in una stanzetta arredata con pregiati mobili di legno di pioppo e mogano, tra i quali spiccava uno scrittoio con intarsi dorati.
Gruhl prese un calamaio, tre o quattro penne già affilate, un paio di rotoli di pergamena, l’anello con il sigillo e la cera.
Tornò con tutto l’occorrente, e Lord Blackwolf si mise subito a scrivere, lasciando raffreddare la cena.
La tenzone si sarebbe svolta tre mesi dopo. Per l’esattezza, il giorno dell’Assunzione di Maria. A seconda del numero di partecipanti, sarebbe durata uno o più giorni.
Il messaggio, sigillato, fu mandato all’ufficiale delle guardie, che lo trasmise ai banditori, i quali, l’indomani mattina, lo lessero più volte ad alta voce nella piazza del borgo.
Al suono di trombe e al grido Udite! Udite!
tutti accorrevano o tendevano l’orecchio.
Al termine del discorso, chi l’aveva ascoltato per metà chiedeva maggiori ragguagli a chi, invece, l’aveva ascoltato per intero. Copie del bando furono lette in tutte le piazze del regno. Dalle piazze delle città, la voce si diffuse nelle campagne e dilagò a macchia d’olio, valicando i confini del regno di Vilkegaard.
Pian piano, con il passare dei giorni, nelle taverne, nelle caserme, nei mercati o nei campi si finì per parlare solo di quella strana tenzone.
Le reazioni furono diverse. Molti avevano storie oscure e terrificanti da raccontare, ma erano incerti se partecipare. Altri, che non conoscevano storie di questo tipo, se ne rammaricavano; tra questi, alcuni furono tentati di inventarsene di sana pianta una, perché le cento monete d’oro facevano assai gola. Ma nessuno osò. Altri ancora, piuttosto che recarsi al castello e trovarsi faccia a faccia con Lord Blackwolf, che si diceva fosse immortale, preferivano la morte.
Il tempo passò. Poi venne il giorno tanto atteso.
Ogni cosa era stata organizzata da Gruhl nel migliore dei modi.
Nella sala delle udienze, quattro colonne sostenevano un soffitto a volta affrescato con scene di caccia e battaglia. C’erano tendaggi, scudi e fregi alle pareti. Su una di esse, a intervalli regolari, si aprivano quattro finestre ad arco. Sul freddo pavimento di marmo bianco, fiancheggiato da bracieri di bronzo, campeggiava un tappeto rosso, che congiungeva la grande porta d’ingresso, dai battenti di legno di quercia e ferro, al trono di Lord Blackwolf, posto su una predella di cinque scalini.
Il trono, di argento e pietra, aveva un alto schienale e intarsi dai motivi floreali. Alle spalle, su un robusto piedistallo di bronzo, faceva bella mostra di sé una statua di marmo nero raffigurante un lupo, il muso in alto nell’atto di ululare alla luna. Ai lati, due drappi frangiati pendevano dal soffitto, stretti e lunghi, raffiguranti la testa di un lupo nero in campo grigio: il simbolo di Vilkegaard.
I partecipanti erano dieci, otto uomini e due donne.
Era da poco passata l’ora terza. Lord Blackwolf, avvolto in un mantello nero foderato di vaio e profilato di ermellino, serio in volto e assiso sul trono, fece un cenno al fedele Gruhl. Il servitore disparve. Pochi minuti dopo tornò, accompagnando il primo partecipante: un uomo robusto, l’aria rude, gli occhi azzurri, i lunghi baffi biondi, la chioma folta dello stesso colore che spuntava dall’elmo a bacinetto. Indossava una pesante cotta di maglia e un mantello. Al fianco cingeva una spada. Gruhl lo condusse a pochi passi dal trono, poi si fece da parte.
L’uomo salutò il Lord con un inchino, poi fu invitato a presentarsi e a dare inizio al suo racconto.
PRIMO RACCONTO
IL VICHINGO
Sono Olaf Eriksson, mio Lord. Un tempo, capo di una compagnia di predoni vichinghi. Su tre drakkar, rapide e robuste, compivamo saccheggi lungo tutte le coste del nord. Non conoscevamo pietà né paura. Credevamo che il mondo intero fosse un immenso forziere, serraglio e granaio fatto apposta per dare libero sfogo a qualunque nostra bramosia, sicuri di non dovere rendere conto a nessuno. A nessuno, a eccezione di Thor, che adoravamo sopra tutti gli altri dèi.
Ora, un giorno ci è capitato di approdare presso una tranquilla baia, fiancheggiata da un promontorio su cui si levava un faro. Un vecchio faro di pietra, diroccato. A giudicare dai resti, in passato doveva essere stato assai alto e massiccio. Ci siamo accampati ai suoi piedi, senza stabilire turni di guardia perché ci sentivamo al sicuro. Il sole è tramontato, è sceso il gelo della notte. Il cielo pareva un mantello nero tempestato di diamanti. Mi sono appisolato sotto un buono strato di coperte di pelo, cullato dal dolce mormorio delle onde del mare e dal crepitare delle fiamme dei fuochi