Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

La leggenda di Lylyth - Il bene nel dono: Volume secondo
La leggenda di Lylyth - Il bene nel dono: Volume secondo
La leggenda di Lylyth - Il bene nel dono: Volume secondo
Ebook204 pages3 hours

La leggenda di Lylyth - Il bene nel dono: Volume secondo

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Dopo la morte del padre e la salita al trono dello zio Parris, Lylyth si trova di fronte alla sfida che mai avrebbe immaginato: riprendersi il regno e liberare i Puri dalla prigionia di ghiaccio cui Lexis li ha condannati.

Fuggita al Sud, nella speranza di incontrare Firanka, sua zia, Lylyth e il compagno di viaggio, il monaco Carris, dovranno nascondersi ed agire nell'ombra per ristabilire l'equilibrio che Vilker voleva nel reame e nella vita di sua figlia.

A nord, intanto Rancis è giunto oltre la foresta fossile e ciò che ha trovato sono i segni di una civiltà che potrebbe consegnare il suo nome nella storia.

Ashford deve fare i conti con un nuovo sovrano, mentre costruisce pezzo dopo pezzo, il proprio futuro ora che la regina non ha più potere e i draghi sono scomparsi dalla penisola.

Quanto dovrà soffrire la figlia di Vilker e Florel, prima di trovare il conforto della giustizia? E quale arma potrà sconfiggere Parris, il Re con il volto di ferro, mentre qeusti cerca di forgaire il Regno che pensa gli appartenga di diritto?
LanguageItaliano
Publishereditrice GDS
Release dateNov 8, 2014
ISBN9788867823505
La leggenda di Lylyth - Il bene nel dono: Volume secondo

Related to La leggenda di Lylyth - Il bene nel dono

Related ebooks

Fantasy For You

View More

Related articles

Reviews for La leggenda di Lylyth - Il bene nel dono

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    La leggenda di Lylyth - Il bene nel dono - ALESSANDRO TEDDE

    Tavola dei Contenuti (TOC)

    01

    02

    03

    04

    05

    06

    07

    08

    09

    10

    11

    12

    13

    14

    15

    16

    17

    18

    19

    20

    21

    22

    Normal 0 14 false false false IT X-NONE X-NONE MicrosoftInternetExplorer4

    Alessandro Tedde

    IL BENE NEL DONO

    EDITRICE GDS

    Alessandro Tedde

    Il bene nel dono

    Editrice GDS

    Via Matteotti 23

    20069 Vaprio d'Adda-Mi

    www.bookstoregds.com

    www.gdsedizioni.it

    TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI

    Normal 0 14 false false false IT X-NONE X-NONE MicrosoftInternetExplorer4

    Per tutta la giornata, Silvia rimase assorta nel pensiero di quello che aveva sognato la notte precedente. Ne’ le lezioni a scuola, ne’ l’intervallo che tanto amava, l’avevano distolta da quanto accaduto. Era una principessa in fuga, orfana di un padre che voleva darle un futuro di pace e prosperità, nipote di uno zio che aveva ordito un tradimento, ingannando la sua fiducia e quella della sua famiglia. Il suo consigliere si era sacrificato per imprigionare l’unica arma a disposizione per salvare Ashford, capitale del Reame, imprigionando i Puri, cavalieri di draghi, all’interno del cristallo di ghiaccio che i Draghi stessi avevano donato agli uomini per la loro protezione. Un patto millenario rotto da un uomo che nei mesi si era guadagnato la stima della famiglia Magreen solo per il momento in cui avrebbe dovuto dare la propria vita per far sprofondare il Regno nella nebbia.

    La notte di quel tradimento, i fiumi si erano tinti del rosso del sangue dei draghi, estinguendoli su tutta la penisola, dopo che Parris aveva attuato il suo piano di conquista. Restava sua madre, ancora al castello, probabilmente prigioniera del cognato. Mentre lei, la principessa Lylyth Magreen, era in fuga assieme ad un giovane monaco, Carris, di Critiana, verso Hadda, la capitale del Governatorato del Sud. Speravano di raggiungere Firanka, sua zia, inviata da Lylyth a mediare una pace quando tutto era iniziato con un grande incendio lungo il confine tra i due territori. Lylyth non sapeva che Parris aveva ordito quel piano per reclamare un trono che spettava a lei dal giorno del suo sedicesimo compleanno.

    Abbandonando la cittadella monastero scolpita nei Grandi Picchi, aveva lasciato il priore Kece a fronteggiare il probabile ingresso delle armate di Parris nel piccolo borgo tra le montagne, in cerca della ragazzina che avrebbe potuto reclamare il trono appena usurpato. La consapevolezza che almeno il Dono dei draghi era al sicuro diede poco sollievo a Silvia, la quale aveva visto e provato le conseguenze dell’uso di quel Dono da parte di chi non ne avesse diritto. Un cristallo di ghiaccio che avrebbe congelato ogni uomo avesse osato toccarlo. Solo lei poteva usarlo, ma non aveva saputo far fronte al fiume dei suoi pensieri e alle intenzioni della persona di cui più si fidava in tutto il Regno. Era stata tradita, e quello fu uno schianto più duro della morte del padre. Era sola, e sebbene di Carris sentiva di potersi fidare, aveva paura a farlo e si affidava alle sue idee con la prospettiva di un piano che l’avrebbe salvata se le cose fossero andate come non poteva prevedere. La paura era la costante della sua vita, ora, e quando sarebbe entrata ad Hadda le cose si sarebbero fatte ancora più complicate. Il Sud, sebbene la pace fosse duratura e proficua per entrambi i territori, nutriva ancora astio nei confronti del Reame, e nemmeno il matrimonio tra zio Parris e Firanka Beritooz, figlia del Governatore di Hadda, aveva cancellato in molti l’odio verso quelli che secoli prima erano fratelli e amici, e condividevano con i cittadini del Governatorato i grandi pascoli attraverso cui scorrevano gli imponenti fiumi della penisola, dai Picchi fino ai grandi Golfi su cui sorgevano ora le due capitali.

    Silvia sentiva di aver vissuto quei momenti, non li aveva solo osservati. Aveva provato il dolore sulla sua pelle, nel suo cuore, come stesse accadendo realmente. Un sogno vivido che la stava accompagnando anche nel pomeriggio, mentre si sforzava di studiare ma lo sguardo le restava fisso sulla stessa frase per minuti lunghissimi. Aveva visto ciò che era accaduto lontano dal suo sguardo, aveva osservato Rancis arrivare al termine della Foresta Fossile e scoprire in lontananza le tracce di un insediamento umano; ed era accanto a Parris quando sul ghiacciaio aveva sacrificato il grande drago nero al suo desiderio di potere, trovandosi con la borgognotta fusa al volto per il calore della fiammata di quel drago morente. Tutto era reale come lo era la vita stessa, e il fatto che lo stesse vivendo in un sogno non lo rendeva meno tangibile o preoccupante.

    Ciò che la angustiava in fondo a quelle domande e a quelle preoccupazioni, però, era solo la paura di non riuscire a tornare ad Ashford, quella notte. Era troppo importante salvare il Regno, e se il sonno non le avesse più permesso di tornarvi, il Reame sarebbe stato consegnato a Parris, assassino del suo stesso fratello.

    Fu con questa paura nel cuore che, dopo cena, Silvia si ritirò in camera e andò a letto. Spense la luce presto, quella sera, sentendo la stanchezza scendere e lasciandola fluire nel suo corpo. Chiuse gli occhi. Sentì il capo abbracciato dal soffice cuscino in lattice. Si ritirò sotto il lenzuolo, proteggendosi dal buio, e attese.

    02

    Rancis era sul davanzale della grande stanza messagli a disposizione da Jeonus Ram Depiès a Taniq. La balconata percorreva il perimetro della stanza e voltava a destra verso il mare. Ma lo sguardo di Rancis, abituato alle acque di Ashford, era attratto dal panorama che si godeva sulla città. Taniq poteva considerarsi una vera metropoli, estesa dalla costa a gran parte dell’entroterra. Era facilmente individuabile come un nucleo di piccoli villaggi fusi assieme da una fiorente espansione economica e industriale. Dopo la visita della città accanto al Tiranno Jeonus, in cui la storia di quei vicoli gli fu raccontata con dovizia di particolari e un tono forse un po’ troppo epico, sapeva cosa fossero le industrie. Nulla del genere poteva ritrovarsi nel Regno, o nel Governatorato. C’erano, certo, molte forge, molte fornaci, ma nulla di così vasto.

    La città era strutturata su viali discretamente larghi, nulla a paragone di Hadda ma comunque funzionali a gestire il traffico nel centro, attorno al Palazzo del Governo. Allontanandosi di qualche chilometro, le strade si stringevano e divenivano più caotiche, salvo poi tornare geometriche anche se comunque strette appena usciti dai borghi più esterni. Queste nuove strade collegavano altri borghi, e così via fino alle porte della città. Ogni piccolo borgo era stato integrato nella città con l’espandersi di Taniq, creando cinte di mura concentriche ad ogni tappa di quell’allargamento. Le zone del potere, in cui risiedeva il Tiranno di Taniq e dell’intero stato, erano quelle centrali, in cui l’amministrazione pubblica godeva di precisi privilegi, tra i quali una vita alla luce del sole, priva della nebbia bianca generata dal vapore che muoveva il cuore di quella immensa regione.

    Esternamente, le aree residenziali ospitavano i dipendenti dei grandi palazzi del centro, cui veniva offerta una vita dignitosa e nello stile dei tanti borghi inglobati nella grande città. La divisione di secoli prima, in cui i villaggi erano ancora isolati, era ben visibile, infatti, per le diverse fogge e tecniche di costruzione cui ci si imbatteva passeggiando per Taniq o percorrendola a bordo di uno dei tanti mezzi di trasporto pubblico che la servivano. Per Rancis tutto questo era una novità esaltante. Il progresso esibito da quel governo e dalla loro società non aveva eguali, a sud della Foresta Fossile.

    La periferia era la zona degli operai che facevano funzionare le grandi fabbriche che alla delegazione del sud furono precluse per motivi di fiducia. Rancis non se l’era presa. Erano arrivati da appena tre settimane, nessuno avrebbe concesso a degli sconosciuti, pur trattandoli con ogni deferenza, di entrare in fabbriche che erano il segreto dell’economia e dello sviluppo di un intero paese. Le case in periferia godevano di meno luce di quelle del centro, perché il vapore bianco, pesante, gravava sui tetti delle basse abitazioni grigie e filtrava la luce diffondendola per tutto l’ambiente reso umido e a tratti soffocante. In lontananza, quando il vento soffiava dalla parte giusta e non portava quel vapore verso le zone centrali di Taniq, si poteva osservare la nube ferma su quelle case alzare colonne di vapore verso il cielo, come a sostenerne la volta.

    Dalla parte del mare, Rancis vedeva spesso i pescherecci a vapore scivolare velocemente sulla superficie dell’acqua. Ogni cosa, lì, era alimentata con quella tecnica, e agli occhi di Rancis sembrava non esserci limite alle sue applicazioni e alle sue potenzialità. Pensava che il suo nome sarebbe stato ricordato per la scoperta di una nuova via di commerci, ma davanti agli occhi aveva il germe del progresso, e la chiave per assurgere ad un rango perfino superiore a quello di Re.

    Erano tantissimi i pensieri che si muovevano nella sua mente, fermo sulla balconata a fissare il panorama. Lasciava l’occhio libero di riposare verso l’infinito, mentre la mente lavorava senza sosta, immaginando il futuro, assaporando il presente e ricordando il suo arrivo in quella terra.

    Fu poco meno di un mese prima che il drappello di uomini, che aveva appena attraversato la Foresta Fossile ed era uscito indenne dal deserto retrostante, avvistò una colonna di fumo bianco ergersi in lontananza. Subito, Rancis aveva pensato ad un accampamento, ed aveva allertato gli uomini per la possibile presenza di predoni. L’avanscoperta riportò tutt’altro. Si trattava di un enorme carro, coperto, contenente dai venti ai trenta uomini e donne, mosso senza cavalli, spinto da quel vapore. Le ruote del carro, sul terreno nero e secco, scivolavano apparentemente senza sforzo, mentre l’enorme motrice spingeva i passeggeri da dietro, sbuffando fumo e calore. Sembravano draghi meccanici, ma Rancis non era così stupido da non riconoscere l’ingegno dell’uomo, anche se sconosciuto. Si era preparato a molte cose, ma non a quello stupore. Decise di agire con cautela, per non spaventare o innervosire quello strano gruppo di persone. Tolse l’armatura e ordinò agli uomini di fare altrettanto. Le corazze vennero abbandonate a terra, e tutti rimasero coperti del solo gambesone o di semplici giubbe, con pantaloni leggeri e calzari. Rancis, Senter e pochi altri tennero le spade legate in vita, cercando di apparire innocui. Si fecero avanti per scoprire che il carro era ormai lontano, ma ne seppero riconoscere le tracce sul terreno grazie ad uno degli scout dell’Avamposto.

    Camminarono per tre giorni, prima di raggiungere la città più vicina, adiacente alla costa. Camminarono verso est seguendo il carro e l’aria fresca che tirava dalla costa e che lì arrivava flebile e benefica. Al loro ingresso in città la paura fu il sentimento più diffuso tra gli abitanti, assieme alla curiosità dei più piccoli e di molti degli adulti allontanatisi dalle strade. I loro vestiti erano molto diversi da quelli normalmente indossati in quella regione del nord, poteva osservare Rancis. Tuniche, calzari aperti, grande sfoggio di cotone e drappi sembravano essere la moda del luogo. Un manipolo di persone armate, sporche, che si guardavano in giro e sembravano sventrare gli edifici con lo sguardo per carpirne i segreti, non doveva certo essere un biglietto da visita degno della magnificenza della corte Magreen. Ma era inevitabile, anche se come primo approccio Rancis aveva sperato in ben altro.

    Addentratisi in città per qualche centinaio di metri, videro avvicinarsi dal fondo di un viale alcuni uomini armati, con rivestimenti in ferro simili alle loro armature.

    La guardia cittadina. fece cenno Rancis a Senter con la testa. Lascia parlare me.

    Senter annuì e diede ordine ai suoi uomini di fermarsi, mentre Rancis avanzava verso le guardie.

    Siamo qui in amicizia. Rancis alzò la voce per farsi sentire bene dagli uomini e levò le mani, allontanandole dalla spada.

    Le guardie, a quel gesto, rallentarono l’andatura e si guardarono, per poi tronare spediti ad avvicinarsi allo sconosciuto.

    Fermi. Da dove arrivate? Il linguaggio usato dagli uomini era molto simile a quello parlato nella penisola, solo con sillabe nuove. Piccole variazioni che alle orecchie di Rancis facevano suonare quell’idioma straniero e al contempo familiare. Non ebbe molte difficoltà a capirlo.

    Veniamo da sud della foresta. rispose Rancis.

    Le guardie alzarono immediatamente le armi e le puntarono contro il gruppo di soldati, in posizione di guardia. Rancis si allarmò e stese le mani avanti, cercando di pacificare le guardie cittadine.

    Non siamo qui per farvi del male. Siamo in esplorazione per nuovi commerci.

    A sud i draghi volano verso nord. Il fuoco viene riversato sulle nostre case. Ora venite con noi e, a parte camminare, non muoverete un muscolo.

    Rancis fece cenno ai suoi uomini di avanzare. Fate come dicono. e si tolse la spada dal fianco, porgendola al soldato centrale, quello che pensava fosse il loro comandante.

    Furono condotti in un grande salone poco distante, con sbarre alle finestre, adiacente ad un comando di soldati e a un’armeria che davano su una piccola piazza lastricata di mattoni color crema scuriti dal sole.

    Rancis osservò l’uomo cui aveva porto la spada, che ora era appoggiata ad una parete perimetrale, scrivere un breve messaggio e consegnarlo ad un giovane soldato, snello e alto, che corse fuori.

    Fra poco saremo fuori di qui, Senter. Rancis rassicurò il capo dei soldati.

    Sei ore dopo era calata la sera e fuori da quella enorme cella si avvicinò un grande frastuono, come uno sbattere di pezzi di ferro in un recipiente pieno d’acqua. Quel rumore si fece più forte fino a cessare di colpo davanti alla porta. Dall’uscio, che si spalancò sulla sera esterna e sulla strada illuminata dall’arancione del sole morente, entrò l’uomo che Rancis conobbe poi come Jeonus Ram Depiès, Tiranno di Kyirna’log, la regione in cui si trovavano.

    Il chiarimento durò solo qualche decina di minuti, il tempo di mostrare all’uomo le carte provenienti da Ashford e convincerlo della loro buona fede.

    Genti del Sud che portate i draghi, sarete al sicuro nei nostri confini, ma vi invitiamo a sortire dalle nostre terre verso le valli che vi appartengono. Così concluse Nonson, dopo lo sforzo diplomatico di Rancis.

    Come era riuscito a convincerlo del contrario non fu un merito della dialettica, ma della riconoscenza che albergava nel fondo di Jeonus quando si trattava dei draghi. Quando, secoli prima, i draghi avevano bruciato ogni cosa oltre la foresta, e avevano reso gli altissimi tronchi pietra nera e liscia, la regione di Kyirna’log, che gli abitanti chiamano Nazione, aveva perso ogni cosa. Nessuno sapeva il perché di quell’attacco. Il fuoco aveva bruciato i resoconti di quei giorni e le ragioni di quella incursione. Alcuni parlavano di draghi anche nel Nord, una stirpe differente e caduta nel violento scontro, altri di gelosia antica di millenni tra specie animali. Nessuno saprà mai la ragione di quella distruzione, ma ciò che è rimasto nella memoria degli abitanti della Nazione è la svolta che i draghi diedero alle loro vite. Le poche tribù sopravvissute stanziatesi nel corridoio tra la Foresta e il Mare del Nord si mossero verso est e si insediarono nei territori a ridosso del mare. La catena di vulcani che ricopriva la faglia che tagliava in due la Nazione fu ignorata dal popolo provato dalla furia delle bestie alate. Di contro, fu proprio il pennacchio di fumo nero che si levava ciclicamente dai crateri a spaventare prima e far rinascere poi quel popolo. La fuliggine calda dei vulcani, come il soffio dei draghi, era una fonte di energia enorme e gli uomini iniziarono a studiarla, arrivando a replicarla con l’ausilio delle abbondanti distese d’acqua dolce delle regioni dei laghi e di acqua salata del Mare del Nord. Il vapore era in breve tempo divenuto il simbolo di quelle genti, aveva

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1