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La stanza della morte: Libro secondo
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La stanza della morte: Libro secondo

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About this ebook

“Cerca nell’oscurità”.
Con questa frase enigmatica si conclude l’ultimo incontro tra Stefania Morelli, il
“killer delle fiabe”, e suo fratello, l’ispettore di polizia Luca Morelli,
nell’ospedale psichiatrico presso il quale la ragazza è ricoverata.
Una frase che obbligherà l’uomo a scavare a fondo nel passato della loro famiglia, riportando alla luce vecchie e torbide vicende delle quali aveva sempre ignorato l’esistenza e che, poco alla volta, gli faranno comprendere le motivazioni dei gesti compiuti dalla sorella.
Affiancato dalla compagna e collega di lavoro Morena, dal fidato Bernardi, e con l’aiuto di uno stravagante studioso di misteri, Morelli sarà costretto a scendere nel passato più oscuro dei suoi antenati, scoprendo antiche verità che lo costringeranno a guardare il presente sotto una luce nuova.
Anche se ciò che andrà a scoprire lo obbligherà ad aprire la mente a realtà che non credeva possibile esistessero…

Roberto Re è nato nel 1976 a Lanzo Torinese. Con la GDS ha già pubblicato il romanzo fantasy “La Valle dei Dimenticati” e il racconto “L’ultimo tramonto”, inserito nell’antologia “Dreamscapes – I racconti perduti”.
“La stanza della morte” è il secondo volume della trilogia con protagonista l’ispettore Morelli, seguito de “Il killer delle fiabe”.

“Roberto Re è riuscito a creare nell'italianissima Torino una serie thriller in stile americano. L'atmosfera che si respira è degna delle storie di Jo Nesbo, o ancor più di Cody McFadyen.
I protagonisti non sono eroi e non sono perfetti, e qui sta la loro grandezza.” (Oubliette Magazine)
LanguageItaliano
Publishereditrice GDS
Release dateJul 10, 2014
ISBN9788867823031
La stanza della morte: Libro secondo

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    La stanza della morte - Roberto Re

    Coil)

    CAPITOLO 1

    Mancava un quarto d’ora alle tredici di domenica mattina quando Morena varcò l’ingresso della stazione di Porta Susa, entrando nel vasto androne pieno di gente che si muoveva frettolosa con e senza bagagli al seguito. Non vi metteva piede da anni, e più precisamente da quando prendeva i treni che nel periodo di pausa estiva dell’università la riportavano a Roma dove abitavano i genitori. Con il tempo, e con il sopraggiungere del lavoro, le vacanze si erano fatte meno frequenti così come gli spostamenti. Mentre camminava per raggiungere il tabellone degli arrivi, si ritrovò a pensare che era dalle ferie di un paio d’anni prima che non scendeva a trovare i genitori nella capitale.

    La gente che incrociava tirandosi dietro valigie stracariche la spinse a pensare che ad agosto non le sarebbe dispiaciuto tornare giù qualche giorno. Sentiva i suoi con una discreta frequenza per telefono, ma non era la stessa cosa che potersi vedere di persona. Avrebbe pure sopportato il fastidioso traffico della capitale, dalla quale era scappata non appena se n’era presentata l’occasione, e cioè frequentare l’università a Torino.

    Arrivata davanti al tabellone elettronico degli orari, lo osservò cercando il treno che aveva preso Luca. Le aveva mandato un messaggio il giorno prima, dicendole che non avrebbe fatto in tempo a tornare quella sera e che si sarebbe arrangiato prendendo una stanza in un piccolo albergo a Desenzano del Garda. Il messaggio come al solito era stringato, e Morena si era limitata a prendere atto dell’informazione e a chiedergli a che ora sarebbe arrivato in stazione il mattino successivo, in modo da poterlo almeno andare a prendere.

    Il tabellone segnalava l’arrivo del Frecciabianca9712 per le tredici e dieci sul binario due, in perfetto orario. La donna tirò fuori dalla borsetta il cellulare e inviò a Luca un breve messaggio, comunicandogli che era arrivata e chiedendogli su quale carrozza fosse. Il trillo di risposta le giunse mentre stava scendendo la scala mobile che portava al piano di sotto, al livello dei binari.

    "Ok. 4", fu la breve risposta di lui. Morena si sedette infreddolita sulla panchina nel corridoio di fianco al binario quasi deserto. C’erano solo un altro paio di persone che aspettavano l’arrivo del treno.

    Appoggiata allo schienale, si chiese di che umore avrebbe trovato Luca al suo arrivo. Non aveva chiesto nulla di come fosse andato l’incontro, e lui non ne aveva fatto parola nello scambio di messaggi, per cui aveva preferito rimandare l’argomento. Avrebbe indagato una volta saliti in macchina, mentre rientravano a casa.

    Un paio di minuti prima dell’orario stabilito, la voce dall’altoparlante segnalò l’avvicinarsi del treno alla stazione. Morena si alzò, cercando sui monitor del binario dove si sarebbe fermata la quarta carrozza, quindi si fermò a poca distanza.

    Il treno arrivò puntuale con un fastidioso stridio di freni, amplificato dall’ambiente sotterraneo chiuso. La donna si avvicinò alla porta della carrozza che si stava aprendo, tenendosi a debita distanza per non ostacolare il flusso dei passeggeri in discesa fino a quando, per ultimo, apparve Luca.

    Gli si avvicinò e gli cinse il fianco con un braccio, per poi sfiorargli le labbra con un bacio leggero. Fatto buon viaggio?, gli domandò.

    Notò che aveva il viso stanco e un accenno di barba.

    Ho dormicchiato un po’, rispose lui. Hai pranzato?.

    No, non ne ho ancora avuto il tempo. E poi volevo aspettare per vedere se anche a te andava un boccone.

    Buona idea, approvò Luca mentre la scala mobile che avevano raggiunto iniziava a trasportarli di sopra. Ci sono un paio di bar qui, potremmo prenderci un panino.

    Ho un’idea migliore. In Piazza Statuto c’è un McDonald, offro io.

    Beh, se offri tu non posso dire di no.

    Impiegarono circa dieci minuti per raggiungere la piazza a piedi, sotto un sole di metà marzo piacevolmente tiepido che aveva invogliato i torinesi a passeggiare. Entrarono nel locale impregnato dell’odore di fritto e si misero in coda a una delle due casse, dietro a una donna obesa che stava ritirando il suo vassoio e una giovane coppietta che si teneva per mano. L’attesa durò poco, e quando fu il loro turno ordinarono panini, due bicchieri di Coca medie e due porzioni di patatine. Con i vassoi tra le mani scesero nella stanza di sotto e presero posto a un tavolino libero.

    Appoggiata la roba, si tolsero le giacche e le appesero agli schienali delle sedie colorate, dalle forme particolari.

    Mi chiedo chi possa aver disegnato e brevettato queste assurdità, borbottò Morelli spostando una delle sedie tozze per sedersi. E non sono nemmeno comode, concluse dopo che ci si fu lasciato cadere sopra.

    Vedo che il viaggio in treno non ha migliorato il tuo umore, osservò Morena aprendo il contenitore di cartone che conteneva il panino fumante. Lo prese in mano tenendolo col fazzoletto di carta e lo addentò.

    Viaggiare in treno è noioso, replicò Luca, intingendo una patatina in una delle tre confezioni monodose di maionese che si era fatto dare.

    Pranzarono e chiacchierarono per alcuni minuti del più e del meno, circondati da un viavai di coppie, famiglie con bambini rumorosi e gente sola che si sedeva per mangiare velocemente per poi ritornare ai propri affari.

    Terminato il panino e metà della sua porzione di patatine, Morena si appoggiò allo schienale della sedia. Prese il bicchiere di Coca e si portò la cannuccia alle labbra, tirandone una sorsata.

    Com’è andato l’incontro?, domandò senza tanti preamboli.

    Non le finisci?, le chiese Luca di rimando indicando le patatine rimaste, mentre si puliva le dita unte sull’ultimo tovagliolo pulito che era avanzato.

    Morena gli fece cenno di prenderle e lui allungò la mano verso il pacchetto, ne tirò fuori una ormai intiepidita e l’affogò nella maionese, cacciandosela in bocca con un gemito di piacere. Saranno schifezze, ma come vanno giù queste cose.

    Quindi?.

    È stata una discussione abbastanza spiccia, rispose infine. Il medico che dirige la struttura mi è sembrato una persona in gamba che sa il fatto suo, quindi da questo punto di vista posso stare tranquillo.

    Come stanno cercando di curarla?.

    Ansiolitici, antidepressivi, sedute con una psicologa. Le solite cose. Ma trattandosi di un centro all’avanguardia, spero che tutto venga fatto come si deve.

    Morena tirò dalla cannuccia un altro sorso della bevanda ormai quasi sgasata e intiepidita. E lei come l’hai vista?.

    Sciupata, rispose Luca mentre intingeva un’altra patatina nella maionese. Anche quella confezione, l’ultima rimasta, era praticamente finita. Poco curata, occhiaie, aria stanca. Sembra invecchiata di almeno dieci anni, rispetto all’ultima volta che l’ho vista. Quando è entrata nella sala dove ci hanno fatti incontrare, all’inizio ho quasi faticato a riconoscerla tanto mi è sembrata… diversa.

    Mi dispiace, ammise Morena allungando una mano e appoggiandola su quella dell’uomo. Morelli non rifiutò il contatto, ma non fece nemmeno nulla per ricambiarlo, rimanendo impassibile. E avete parlato di quello che è successo quella sera?.

    . biascicò con la bocca piena, spostando lo sguardo su una coppia di ragazze di vent’anni o giù di lì, per poi indugiare su una delle due, bionda e dalle forme provocanti. Diciamo che non ha preso troppo bene quello che è successo. Ce l’ha a morte con me perché le ho messo i bastoni tra le ruote costringendola a essere rinchiusa in quella struttura.

    Morena finse di non notare lo sguardo d’apprezzamento con il quale Luca stava seguendo la camminata delle due ragazze fino a un tavolo dall’altro lato della sala. E hai scoperto qualcosa di più?.

    Ho cercato di farla parlare di alcune cose del passato, ma non ha voluto saperne. Morelli prese il bicchiere della coca e tolse il coperchio di plastica che reggeva la cannuccia, bevendo direttamente un sorso. Non sono praticamente riuscito a tirarle fuori neanche una parola riguardo a nostra madre, riprese poi, appoggiandolo sul tavolo. Nulla che riguardasse ciò che era successo non solo tra loro due, ma anche tra lei e quelli contro cui si era messa. Chiusura totale.

    Quindi l’incontro è stato un fallimento.

    Quasi del tutto. Alla fine della discussione, prima che si alzasse dal tavolo e chiedesse di essere riportata nella sua stanza, ha chiuso con una frase ermetica. Breve e misteriosa.

    E sarebbe?

    Cerca nell’oscurità.

    Morena lo osservò qualche istante in silenzio. E che vorrebbe dire?.

    Bella domanda, commentò Luca aggrottando la fronte. Mi ha detto che ero stato bravo a risolvere il caso, ma che così facendo avevo aperto le porte del nostro inferno familiare. E che per capire cosa intendesse con quella frase, avrei dovuto cercare nell’oscurità.

    Che fosse la frase di una persona non troppo lucida in quel momento?, suppose Morena incrociando le braccia sul seno.

    Mi sembrava fin troppo lucida, Morena. Anzi, se devo dirti la verità aveva nello sguardo una luce che non mi è piaciuta per nulla. Trasudava malvagità. Lo sguardo di una persona che sa ma che non vuole parlare, che vuole divertirsi a giocare al gatto col topo. Lei sa qualcosa, ma non mi dirà nulla fino a quando non avrò trovato da solo qualche tassello. Fino a quando non avrò, come dice lei, cercato nell’oscurità.

    Chissà che intendeva.

    Non ne ho la più pallida idea, ribadì Morelli alzandosi di slancio, ma questo pranzo mi ha rimesso in forma. È lontana la macchina?, domandò, prendendo la giacca dallo schienale della sedia.

    Vicino alla stazione, rispose lei alzandosi a sua volta. Da te o da me?

    Da me, rispose lui avviandosi verso la scala. Ho bisogno di una bella doccia.

    Guarda che anche a casa mia esiste il bagno, sai?.

    Certo, tesoro. Ma vedi, a casa tua non esiste la mia biancheria. E per quanto non mi vergogni a farmi vedere nudo da te, la cosa ha anche i suoi aspetti negativi.

    Alzando gli occhi al cielo senza rispondere, Morena lo seguì su per le scale uscendo dal locale e insieme si diressero verso la macchina.

    Impiegarono poco più di un’ora per raggiungere Lanzo, dato che la strada era praticamente deserta. Morena parcheggiò nella piazza della parrocchia come d’abitudine, senza nemmeno provare a scendere con la macchina fino alla piazzetta antistante la casa di Luca. Trovare posto lì era sempre un’impresa e due passi non avrebbero fatto loro male dopo tutto quello che avevano mangiato.

    Arrivati all’abitazione, Luca infilò la chiave nella toppa della porticina e l’aprì, entrando dopo Morena. E, per un attimo infinitesimale, il suo sguardo si fermò sulla porta che, dal pianerottolo nel quale erano appena entrati, permetteva di accedere al garage e da lì a quella che era stata l’abitazione dei genitori.

    La casa dove viveva quand’era bambino.

    A Morena non sfuggì quella leggera titubanza. Tutto bene?, gli chiese.

    Certo, annuì lui con tono privo di emozioni Andiamo?.

    Da quanto tempo non entri nella tua vecchia casa?.

    Luca era già arrivato al primo scalino e si fermò di botto. Rimase immobile un attimo, poi si voltò lentamente verso Morena. Scusa?.

    Mi è venuta così, senza un motivo preciso. Ma mi sono accorta di come hai guardato quella porta, ti ci sei soffermato con lo sguardo come non ti avevo mai visto fare prima.

    Perché? Solitamente guardi come osservo le porte quando entro da qualche parte?.

    Morena sbuffò. Sai cosa voglio dire, Luca, non essere sarcastico. Sei tornato da un incontro con tua sorella ed è normale che con tutto quello che è successo in questi ultimi tempi tu pensi di più al passato.

    L’ultima volta ci sono entrato una settimana dopo il funerale di nostro padre, rispose, appoggiandosi al muro bianco con la schiena. Morena sembrò sorpresa di sentirlo rispondere. Lo sai che me ne andai da qui non appena ebbi la possibilità di pagarmi un affitto col mio lavoro, e che decisi di ritornare dove abito ora solo per comodità, non per ragioni affettive o altre cagate simili. Una settimana dopo il funerale dello stronzo, con Stefania siamo venuti a prendere tutto quello che avrebbe potuto servirci, svuotare il frigo e il congelatore, chiudere tutti gli impianti eccetera eccetera. Ecco, per rispondere alla tua domanda, sono nove anni che nessuno mette piede lì dentro.

    E non ti è mai venuta voglia di rientrarci?.

    Sinceramente?.

    Morena attese in silenzio la sua risposta.

    No. Si staccò dal muro e si avvicinò alla porta in legno smaltata di marrone chiaro, che avrebbe avuto bisogno di una ritoccatina. E non ho nessuna intenzione di rimetterci piede, riprese, picchiettando l’indice sulla porta, perché non ho nessuna intenzione di rivedere i posti dove sono successe troppo cose schifose, a cominciare da quelle che sapevo fino a quelle delle quali ero all’oscuro.

    E allora perché non l’avete venduta? Sarebbe stato un modo per sbarazzarvene una volta per tutte, no?.

    Scrollò le spalle. Avremmo potuto farlo, è vero. Ma è una casa vecchia, avrebbe bisogno di essere sistemata un po’ dappertutto. Impianti da aggiustare o addirittura rifare completamente, e tutta una serie di manutenzioni e beghe che non abbiamo mai voluto accollarci. Alla fine, meglio lasciarla lì a riempirsi di polvere. E poi, concluse voltandole la schiena e avviandosi verso le scale, con la crisi che c’è in giro, chi vuoi che vada a comprare una casa in un centro storico?.

    Morena gli si accodò per le scale. Ha del potenziale, comunque.

    Certo. La vuoi? Te la regalo. Arrivò davanti alla porta dell’appartamento e infilò le chiavi nella toppa, aprendola.

    Parlo seriamente, Luca, riprese Morena, seguendolo dentro e richiudendosi la porta alle spalle. Potresti collegare il tuo appartamento a quello di sotto con una scala a chiocciola. Pensa a quanto spazio in più avresti.

    E cosa me ne farei? Già sto largo in due stanze e un bagno, replicò lui, lanciando il mazzo di chiavi sul tavolo della cucina, dove atterrò con un tintinnio.

    In caso di famiglia allargata, sarebbe decisamente comodo avere spazio in più.

    Il tono della donna lo obbligò a fermarsi sulla soglia della camera da letto e a farlo voltare verso di lei. Scusa?.

    Tu continui a far finta di nulla, Luca, osservò Morena appoggiandosi allo stipite della porta della cucina e fissandolo con aria maliziosa, ma lo sai che prima o poi succederà.

    "È quel poi che mi permette di andare avanti senza preoccuparmene troppo".

    Sei un deficiente, sorrise lei.

    Un deficiente saggio e scaltro. E adesso, se non ti dispiace, c’è una bella doccia che mi aspetta. La guardò con malizia. Vieni con me…?.

    CAPITOLO 2

    La settimana che seguì non fu contraddistinta da alcun avvenimento particolare, con grande gioia di Morelli. L’ultimo periodo era stato stressante sotto molti punti di vista, e in alcune occasioni aveva abusato sia di alcolici che di sonniferi, ovviamente tenendolo nascosto a Morena e accampando delle scuse per restare a casa da solo. Non sapeva se la donna credesse alle storie che si era inventato, e neppure gliene importava granché: non averla in casa in quelle circostanze era più che sufficiente. Per quanto fosse stato bello ritrovarla – e la sua compagnia non lo infastidisse come invece voleva farle credere – a volte sentiva il bisogno di ritirarsi in sé stesso.

    Evitò anche di telefonare al direttore dell’Ospedale Giudiziario dove Stefania era ricoverata. O internata. O incarcerata. Quale che fosse il termine più appropriato, da quando era tornato aveva cercato di pensare a lei il meno possibile. La sorella aveva tutto un iter procedurale da svolgere davanti a sé, lungo e complesso sotto molti aspetti, e sapeva che avrebbe avuto altre occasioni per vederla.

    Erano passate le quattro del pomeriggio quando chiuse la cartellina contenente il rapporto che aveva appena terminato di stilare su un caso risolto il giorno prima, relativamente a un furto con omicidio dentro a un appartamento. Gli erano bastate quarantotto ore per trovare l’assassino: le tracce che quest’ultimo aveva lasciato, le testimonianze e le prove raccolte si erano rivelate talmente schiaccianti, che tempo due giorni il colpevole era stato consegnato alla giustizia.

    Aveva appena finito di firmare l’ultimo foglio e stava per alzarsi, quando Alice Valli entrò nell’ufficio.

    Disturbo?, domandò bussando alla porta aperta.

    Morelli sollevò lo sguardo dal foglio, osservandola con sorpresa. Toh… A cosa dobbiamo la tua risalita nel mondo dei vivi? I sotterranei iniziano a starti stretti?.

    Mi è mancato il suo sarcasmo, ultimamente. Chissà se avremo ancora modo di lavorare insieme, ribatté lei imperturbabile.

    Non ti preoccupare, i morti non mancano mai a Torino. Se vuoi, posso fare in modo di procurartene qualcuno.

    Molto gentile da parte sua, ma al momento declino l’offerta. La donna si guardò intorno con aria dubbiosa. Morena non è in Commissariato?.

    Aveva delle faccende da sbrigare, se hai fretta di parlarle ti conviene chiamarla al cellulare.

    Alice sbuffò. Se lascio detto a lei faccio prima. Ma deve promettermi di non dimenticarsi di riferirglielo, visto che è abbastanza importante.

    Con una smorfia esagerata, Morelli assunse l’espressione più attenta possibile incrociando le mani sulla scrivania. Sono tutt’orecchi, scandì lentamente.

    Lo spero. Senta, dica a Morena che domani è il compleanno del mio ragazzo e pensavo di fare una piccola cena tra amici a casa mia. Può riferirle che siete invitati anche voi?.

    Morelli la fissò in silenzio per qualche istante. E fammi capire una cosa, perché dovevi assolutamente dirlo a Morena e non a me, visto che comunque sono direttamente interessato?.

    Non mi creda ingenua, ispettore, ribatté lei con un sorriso a trentasei denti. Giovane forse, ma ingenua no. Se lo avessi chiesto direttamente a lei mi avrebbe risposto che non potevate e avrebbe accampato la prima scusa che le fosse venuta in mente. E con ogni probabilità a Morena non gliel’avrebbe manco detto. Invece, in questo modo, è costretto a riportarle la mia richiesta, e la risposta sarà ovviamente affermativa.

    Morelli si sporse in avanti, con l’espressione di uno squalo pronto all’assalto. E cosa ti fa pensare che glielo riferirò, ragazzina?.

    "Beh, vede… mettiamola così: Morena verrebbe comunque a conoscenza della cena in questione e davvero vorrebbe farla infuriare quando scoprirà che lei lo sapeva ma si è volontariamente rifiutato di farglielo presente? Come pensa che potrebbe prenderla?", concluse, sgranando volutamente gli occhioni e lasciando sul vago il finale della frase.

    Morelli rimase un attimo in silenzio, senza staccare gli occhi da quelli della ragazza. Mi piaci, ragazzina, concluse infine, lasciandosi ricadere contro lo schienale della sedia. Hai un faccino da angioletto, ma sai essere più velenosa di una vipera.

    Così magari la smetterà di sottovalutarmi, osservò lei ammiccando.

    D’accordo, glielo riferirò e le lascerò la decisione. Che probabilmente già sappiamo quale sarà. Chi altri sarà presente, nel caso me lo chieda?.

    Voglio fare conoscere al mio ragazzo un po’ di gente con la quale lavoro, quindi oltre a voi chiederò ad Alessio se vuole unirsi con la famiglia.

    Figurati se quello dirà di no. Se può bere e mangiare a scrocco non si lascia scappare l’occasione. Dai, ti faremo sapere qualcosa.

    Ovviamente, la risposta di Morena fu positiva. Luca riferì il messaggio la sera stessa e lei accettò con piacere l’offerta di Alice. Non avevano nemmeno fatto in tempo a discuterne, che già aveva preso il cellulare per chiamare la ragazza e confermare la loro presenza.

    Domani sera alle nove a casa sua, non più tardi. Vedi di renderti presentabile.

    Perché, non ci andiamo insieme? Pensavo volessi decidere tu il mio abbigliamento.

    Vedi tesoro, gli sussurrò lei avvicinandoglisi all’orecchio, tu a casa mia sei senza biancheria, ma io qui da te ho pochi trucchi. E voglio avere il tempo, tutto quello che mi serve, per rendermi presentabile.

    Il profumo della sua pelle gli fece venire certi pensieri, così come l’averla ad appena un centimetro dal proprio corpo. Più di come lo sei sempre?.

    Oh sì, sussurrò lei, stringendosi ancora più contro il suo corpo.

    CAPITOLO 3

    Controllando l’orologio, Luca vide che mancavano ancora un paio d’ore all’appuntamento con Morena a casa sua, dalla quale sarebbero poi ripartiti per andare a Torino a casa di Alice. Non che ne avesse effettivamente una gran voglia, ma ormai l’incontro era stato fissato. La nebbia che nascondeva il paesaggio fuori dalla finestra non contribuiva a migliorare il suo umore, ricordandogli che avrebbe preferito passare il resto della serata sulla poltrona in compagnia della Champions League e di qualche lattina di birra invece che circondato da gente e chiacchiere insulse, ma quel programma era saltato. Fu pensando alla birra che gli venne in mente la richiesta che gli aveva fatto Morena.

    "Passa a prendere qualche bottiglia di vino buono da portare alla cena, gli aveva detto il giorno prima. Confido nella tua competenza nel campo per una buona scelta".

    Mugugnando contro la propria dimenticanza, pensò che l’unico modo per rimediare fosse scendere in cantina e attingere dalla propria scorta personale, certo che contenesse qualcosa di sicuro gradimento.

    Calzò le scarpe e uscì, scendendo le scale che portavano all’ingresso. Qui, da un chiodo accanto al contatore della luce, prese il mazzo che raggruppava le chiavi della cantina e inserì quella giusta nella vecchia porta di legno. L’aria fredda e umida lo colpì, come tutte le volte che si recava di sotto. Premette l’interruttore all’inizio delle scale e una lampadina a basso voltaggio appesa con un semplice filo al soffitto di pietre grezze illuminò lievemente l’ambiente.

    Scese gli scalini di pietra grigia facendo attenzione a non scivolare, e arrivato dove le scale terminavano svoltando sulla destra, si ritrovò sul pianerottolo della cantina. Le ragnatele che pendevano dall’alto soffitto a travi scoperte erano chiara dimostrazione della scarsa manutenzione che dedicava a quella parte della casa, ma non se preoccupò più di tanto visto che lì sotto scendeva solo lui.

    Le grosse pietre dei muri – illuminate fiocamente da una lampadina che era appesa sopra la porta che dava accesso alla cantina vera e propria, qualche passo davanti a lui – erano lucide a causa dell’umidità che trasudavano. Per terra, accatastate contro le pareti, giacevano cassette di legno, scatole e imballaggi di cartone, vecchi vasi da tempo inutilizzati e altre cianfrusaglie lì sotto ormai da anni e anni. Tutto era ricoperto da uno spesso strato di polvere. Sulla parete di fianco alla porta, un vecchio armadio pendeva leggermente verso destra. Il legno era talmente consunto che i motivi che lo avevano decorato erano stati cancellati da tempo.

    Quel mobile se lo ricordava in quella posizione da sempre; da quando bambino scendeva con timore guardandosi intorno nella penombra, impaurito da fantomatiche creature maligne che popolavano la sua immaginazione e che avrebbero potuto saltar fuori dall’oscurità da un momento all’altro. Tutte le volte che doveva andarci per prendere qualcosa, lo faceva fischiettando qualche musichetta allegra, come se quei motivetti avessero il potere di esorcizzare le paure che gli affollavano la mente.

    Quello che invece non si ricordava dall’ultima volta che era sceso, e cioè circa una settimana prima, erano i piccoli buchi che adesso vedeva sul pavimento. Li fissò per alcuni istanti con una certa sorpresa, inginocchiandosi davanti al primo che si trovò davanti. La cantina, come ricordava avergli spiegato suo padre quando era più giovane, era la parte più antica della casa e risaliva al quattordicesimo secolo circa, mentre il piano superiore era stato costruito successivamente. Il pavimento, ancora originale, non era fatto di cemento bensì di terra compattata e ricoperta da quelle pietre piatte e lisce, che ai tempi venivano estratte dalla zona dei torrenti e poi lavorate.

    Luca guardò il foro che si trovava davanti – la circonferenza non maggiore di tre, quattro centimetri e la terra allargata intorno – e capì subito di cosa si trattasse.

    Una piccola talpa aveva trovato il modo di farsi strada fin lì, arrivando dall’esterno. Lanciando una imprecazione, si rialzò per cercare altri fori simili. Ne trovò uno qualche passo più avanti e un altro subito di fianco. Si avvicinò allo scalino che conduceva alla porta rialzata della cantina, e vide che  anche lì sotto c’era un buco con la terra smossa. Aprì la porta ed entrò nella stanza, dove continuò l’ispezione. Girando per l’ambiente e costeggiando il tavolo che stava al centro, il bancone da lavoro attaccato al muro e inutilizzato da decenni, le mensole con barattoli di vetro e bottiglie sia vuote che piene, bottiglioni e damigiane,  trovò un altro buco nella parete accanto alla porta.

    Gli salirono alla bocca almeno un altro paio di imprecazioni che non si sforzò di trattenere: avrebbe dovuto trovare il modo di fermarla, sempre che ce ne fosse solamente una, prima che riuscisse a trasformare la sua cantina in una forma di groviera. Uscì dalla porta e guardò il muro di fianco, notando un altro foro sotto la parte laterale dello scalino. E anche la facciata esterna del mobile di legno appariva rovinata in un punto.

    Intenzionato ad andare in fondo alla faccenda, decise di spostare il mobile per controllare se il buco che aveva notato nel muro fosse passato fino dall’altra parte. Si sarebbe sporcato e impolverato i vestiti, ma avrebbe sempre potuto lavarsi e cambiarsi quando avesse finito. Guardò l’orologio e vide che aveva ancora abbastanza tempo.

    Afferrò il mobile e iniziò a spostarlo. Era vuoto e fatto di un legno non particolarmente massiccio, ma smuoverlo appena richiese comunque un discreto sforzo. Quindi, dal momento che tanto non era in condizioni proprio splendide, decise per una misura drastica: anziché spostarlo, iniziò a farlo dondolare sempre più forte fino a dargli l’ultima spinta. Il mobile cadde con un tonfo, scricchiolando e lesionandosi in diversi punti, alzando una notevole quantità di polvere.

    Morelli guardò incuriosito quello che la caduta dell’armadio aveva svelato. Non solo il buco nel muro, come si aspettava.

    Ma anche una botola nel pavimento.

    La fissò per parecchi istanti, immobile, respirando per riprendere fiato dopo lo sforzo con le mani sui fianchi. Sbuffi di polvere svolazzavano ancora nella penombra attorno all’armadio caduto.

    E questa, che cazzo sarebbe?.

    Sentì la sua voce echeggiare nell’ambiente che lo circondava, la sua attenzione ormai focalizzata sulla botola e totalmente dimentico del piccolo foro nel muro, il motivo reale per cui aveva appena rovesciato il mobile.

    Vi si inginocchiò davanti: un’asse in legno, larga circa un metro per uno e mezzo di lunghezza, con un semplice anello di ferro fissato a una delle estremità. Sentì il cuore accelerare i battiti. Resistendo all’impulso di provare ad aprirla subito, con la mente che continuava a chiedersi di cosa potesse realmente trattarsi, si alzò e tornò nella cantina. Sapeva che da qualche parte c’era una torcia, ricordava di averla usata abbastanza recentemente, ma pur frugando con attenzione dentro al cassetto del tavolo non riusciva a ricordarsi dove l’avesse messa. Non era neanche sopra al piano da lavoro. Aprì con crescente irritazione i cassetti massicci uno per uno fino a quando, dentro all’ultimo, si imbatté in una pila rossa. La prese in mano e controllò subito se la batteria al suo interno fosse ancora carica: il fascio di luce che illuminò il muro davanti a lui fu una chiara risposta. Tornò davanti alla botola, si piegò sulle gambe, e con la mano destra afferrò l’anello. Non sapeva se si sarebbe sollevata oppure no, e non perse nemmeno tempo a chiedersi se l’istinto che gli stava dicendo di aprirla fosse da assecondare o se fosse meglio lasciar perdere.

    Iniziò a tirare.

    La botola prese a sollevarsi senza grossi attriti, aprendosi con un leggero cigolio. La spalancò completamente fino a che l’asse rimase bloccato in posizione verticale. Uno sbuffo d’aria fredda impregnata fortemente dall’odore di chiuso risalì fino a lui. Prese la pila che aveva appoggiato per terra e fece luce verso l’interno. Una scala di legno era appoggiata alla parete e scendeva fino ad appoggiarsi al pavimento di quello che, visto da sopra, aveva tutta l’aria di essere uno stanzino. Il raggio di luce illuminò debolmente il pavimento impolverato, mostrandogli qualcosa che sembrava un tavolo, e poco altro.

    Mentre il cuore continuava ad aumentare i battiti e l’adrenalina veniva pompata in circolo, mise un piede sulla scala e iniziò la discesa.

    Morena guardò con fastidio l’orologio che aveva al polso. Luca avrebbe dovuto essere già lì, e invece ancora non era arrivato.

    Si guardò nervosamente allo specchio per controllare di essere in ordine. Non amava truccarsi troppo, e anche questa volta aveva optato per un look naturale. L’immagine che lo specchio le rimandò le piacque, nonostante l’espressione contrita, ma la sua attenzione fu catturata ancora una volta dall’ora segnalata dalle lancette dell’orologio a muro.

    Avrebbero dovuto essere da Alice entro un’ora, ma di Luca ancora nessuna traccia. Spazientita, prese il cellulare dal tavolo della sala dove aveva appoggiato la borsa e fece partire la chiamata. Se aveva avuto il coraggio di ubriacarsi e dimenticarsi dell’impegno, questa volta non gliel’avrebbe fatta passare liscia.

    Lasciò squillare a lungo, ma non ottenendo nessuna risposta riattaccò. Lo ripose sul tavolo con una smorfia di insofferenza, sperando che Luca fosse in macchina diretto verso di lei e che fosse quello il motivo per cui non rispondeva.

    Si rimise ad aspettare.

    Luca era in piedi in fondo alla scala, e il fascio di luce illuminava centimetro per centimetro la stanza nella quale si era venuto a trovare

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