Direttiva Shäfer
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Direttiva Shäfer - Luca Di Gialleonardo
9788867755486
CLAIRE
Non importa che vi siano interi complessi di foreste dedicate alla produzione di carta, non mi interessa che l’ambiente non corra alcun rischio. Secoli fa la carta era quasi sparita, ora è lo standard per le comunicazioni. Almeno sulla Terra, ovvio! Sul vecchio pianeta siamo tornati indietro di almeno un millennio…
Jong Tsui, durante un intervento nella trasmissione Parliamone
sul Canale 6, 4 novembre 146 CO.
All’inizio dell’anno 140 dalla fondazione della Confederazione Orbitale la popolazione orbitale ammonta a poco più di tre miliardi di persone, distribuite nelle duecentoundici stazioni. La popolazione terrestre è invece di circa mezzo miliardo di individui. Il novanta percento dei terrestri vive in uno dei centotrentuno complessi urbani, il restante vive in pianta stabile nei complessi produttivi.
Rapporto sul XIV censimento della Confederazione Orbitale.
12 marzo 149 CO
23.46
– Mi dispiace, ma devo proprio denunciarti.
Con i gomiti poggiati sul bancone, Cal si sporge verso la barista. La donna non sembra per nulla intimidita. Assume la stessa posizione, schiacciando i seni prosperosi sugli avambracci.
– E quale legge avrei mai violato? – chiede con un sorriso malizioso.
– La Direttiva, mi sembra ovvio.
Non ne posso più di questa scenetta idiota. – Credi di essere il primo che le fa questa battuta, Cal? – sbotto.
– Tu dici? – prosegue la barista.
Gli occhi di Cal sono tutti concentrati sul petto di lei. – Queste tette non possono essere naturali! Hai violato la regola, ne sono certo.
La barista non perde il sorriso, ma nello sguardo noto un tremolio.
– Sei davvero galante – risponde. – Adesso vuoi ordinare o preferisci passare la serata a spogliarmi con gli occhi?
– Le fai schifo – borbotto. – Non te ne rendi conto?
– Preferirei spogliarti con le mani! – Cal è il solo a sghignazzare all’ennesima volgarità.
Anche la barista deve averne abbastanza di lui. Sospira, mantenendo l’atteggiamento professionale. Le regalerei uno sguardo di solidarietà, se solo lei potesse vedermi.
Volto le spalle al teatrino e lo lascio scorrere sul resto della sala. La scarsità di clientela rende ancora più deprimenti i limitati spazi del locale. Anche se l’insegna che dà sulla strada offre il benvenuto nel Prize Casinò, credo che questo posto sia più simile a una bisca.
Il capannello maggiore si ammassa al tavolo dei dadi, dove pare che una ragazza stia dando sfoggio di una fortuna inattesa. La sento urlare incitamenti a se stessa, oltre la barriera umana. Ora richiama il supporto della buon’anima della madre morta da chissà quanto tempo. Per un attimo cala il silenzio, deve aver lanciato i dadi. Il basso lamento che sgonfia il pubblico pochi attimi dopo e, soprattutto, gli improperi che la ragazza lancia verso la buon’anima della madre, mi fanno pensare che il risultato ottenuto non sia adeguato alle aspettative.
Dall’altra parte del salone vedo quattro tipi impegnati in una sfida a poker. Nessuno di loro dispone di un gruzzolo di fiches particolarmente generoso. Mi danno l’idea di essere lì a guadagnarsi la cena, più che alla ricerca di fortuna.
Un acuto tintinnio in fondo alla sala mi informa che qualcuno è riuscito a vincere alle slot machine. Non riesco però a scorgere chi è stato. La vista è bloccata dal grosso tavolo della roulette, piazzato proprio al centro del casinò. Gran parte dei tifosi della ragazza è passata di lì, quando i dadi hanno deciso di interrompere la sequenza di buoni risultati.
– Cal, perché non facciamo un giro alla roulette? – gli chiedo.
Come al solito mi ignora, preso com’è dalla barista impegnata ad agitare uno shaker. Sono sicura che Cal ha ordinato qualcosa che la costringesse a dimenare le sue grazie.
– Ecco il tuo crollo terrestre – fa poco dopo la donna, piazzando il cocktail di fronte a Cal. Cerca di allontanarsi, ma lui non le dà tregua.
– Resta ancora un po’ con me.
– Devo lavorare.
– Ma non c’è nessuno, al bancone. Solo io.
Purtroppo, Cal ha ragione. È costretta a tornare davanti a lui, anche se stavolta non riesce a tener su la maschera di allegria. – È buono il tuo crollo?
Cal porta alle labbra il largo bicchiere e manda giù metà del miscuglio color fuoco con un solo sorso, come fosse acqua. – Dalle tue dolci manine non poteva che nascere qualcosa di squisito – risponde prima di far schioccare le labbra.
Non ne posso più. Guardo quella povera donna alzare gli occhi al cielo. Ha bisogno di una mano o non si libererà mai di questa piattola gigante.
– Cal, il nostro uomo è arrivato – gli dico mentre con una seconda sorsata scola il resto del bicchiere.
– Luce dei miei occhi, me ne faresti un altro? Però lo vorrei più shakerato, se possibile.
– Più shakerato? – chiede la disgraziata.
Mi allungo davanti a Cal e gli copro la visuale con la testa.
– Hai capito cosa ti ho detto, pezzo di imbecille?
– Certo! – risponde lui. Non ho capito se dice a me o alla donna, che con un ennesimo sospiro ricomincia a versare i liquori nello shaker.
– E allora muoviti, o lo perderai.
– Sono impegnato, non vedi?
Stavolta parla con me, ma la barista non può saperlo. – Prego?
– Niente, dolcezza. A volte parlo da solo. Tu non farci caso. – Si piega su un fianco, per riuscire a superare la mia figura e a guardare il suo oggetto del desiderio. Deve sembrare uno scemo, agli occhi degli altri, contorto in quel modo.
Non che di solito abbia difficoltà a passare per scemo, anche senza il mio contributo.
– Allora, che hai in mente di fare? – tento di nuovo, senza spostarmi.
Dove lo hai visto?
Finalmente ha assunto un’espressione seria e ha iniziato a parlarmi con il pensiero. Peccato che sia ancora piegato sullo sgabello, con gli occhi puntati al décolleté della donna. Così sembra ancora più ridicolo.
– Alle slot, in fondo alla sala.
Cal si guarda alle spalle, allunga il labbro inferiore. Non lo vedo.
– È troppo in fondo, da qui non puoi.
Sbuffa e si volta verso la barista. – Mi dispiace ma devo andare.
Lei annuisce e sorride. Probabilmente quella è la prima volta che lo fa davvero. Non si preoccupa neppure del crollo terrestre che ha già preparato. Saluta con un gesto e corre a sistemare le bottiglie.
– Andiamo – fa Cal. Scivola giù dallo sgabello e attraversa il salone con lunghe falcate. L’aver interrotto le pratiche di conquista deve averlo irritato. Prosegue a testa bassa, con le folte ciglia piegate sugli occhi e la bocca contratta. Un paio di giocatori che si trovano sul suo cammino si affrettano a spostarsi. Cal è un omone di un metro e novanta, più robusto che muscoloso. Quando è serio incute un certo timore.
Non ci mettiamo nemmeno un minuto ad arrivare all’angolo occupato dalle slot machine. Solo due sono al lavoro, in quel momento. Una con una vecchietta vestita a fiori che si mangia le unghie mentre tira giù la leva, l’altra con un uomo segaligno che fissa la pera, il limone e la fragola allineate oltre il vetro, con la faccia lugubre di chi sa di aver sprecato la serata e lo stipendio.
– Mi hai preso per il culo – borbotta Cal.
Mi punta contro il grugno ringhioso. Alzo le mani in segno di resa.
– Era solo uno scherzo, non prendertela.
Se potesse farlo mi stringerebbe le dita al collo, ne sono certa. Senza perdere tempo torna indietro. Mi passa attraverso e si affretta a raggiungere il bancone. Nella foga urta un giovane occhialuto facendo volare sul pavimento le poche fiches che questi stringeva al petto. Si blocca a pochi passi dal traguardo. La barista è ormai occupata con un altro cliente, il viso illuminato. Ci credo, stavolta deve servire un bel biondo in completo scuro, non un gigante capellone con un giubbotto di pelle graffiato dal tempo.
– Che peccato, vero? – commento. – Altri cinque minuti e saresti riuscito a portartela a letto!
Questa me la paghi, Tyra.
– Aggiungila al conto – rispondo.
Già fatto. Torna a sorridere, come se tutto fosse passato. – A questo punto, tanto vale approfittare, visto che siamo qui.
– Facciamo un salto alla roulette?
– La roulette è per le ragazzine come te. Non mi piacciono i giochi basati solo sulla fortuna – risponde muovendosi verso i tavoli da poker.
Non sceglie quello occupato dai quattro squattrinati, ma ne raggiunge un altro dove sembrano girare più soldi. Proprio ora uno dei quattro giocatori perde gli ultimi spiccioli ed è costretto a lasciare il posto, prontamente occupato da Cal.
– Ma tu sai giocare a poker? – gli chiedo. Non ricordo di averlo mai visto con una carta in mano.
Uno degli avversari di Cal è il ragazzo a cui ha dato una spallata poco prima. È seduto di fronte a lui e lo guarda timoroso. Però noto che il pugno di fiches che ha raccolto dal pavimento è ora diventato un cumulo molto più consistente. Dev’essere un bravo giocatore.
Alla sinistra di Cal siede un cinquantenne grasso, con i capelli brizzolati. Mastica un bastoncino aromatico e si sistema in continuazione un antiquato cappello a tesa larga. Indossa tre grossi anelli d’oro, e una escort vestita di rosso gli massaggia le spalle da dietro, neanche fosse un pugile pronto a salire sul ring. Davanti a lui, tre pile di fiches, ordinate per valore. E, sul petto, luccica una spilla rosso granata con un’ellisse blu scuro. Un orbitale.
L’ultimo avversario è una donna oltre la mezza età, con un abito elegante e il viso coperto dal trucco eccessivo. Anche lei sembra essere ben messa, in quanto a denaro.
– Allora, a chi tocca il mazzo? – chiede Cal facendo cadere sul tavolo una manciata di fiches. Saranno poco più di cento ori. Gli altri tre lo guardano come se fosse un pezzente. Anche il tipo lentigginoso ha più gettoni di lui.
Ho un terribile presentimento. – Cal, ti prego, dimmi che quello non è quanto ti resta dei soldi che ti ha dato la signora Kelemen.
L’ho visto sprecare il denaro come al solito, ma non pensavo avesse speso tutto. Lui non mi risponde e il presentimento si accresce.
– Tocca a me – risponde il ragazzo. – Stiamo giocando la variante con scambio.
– Nessun problema – risponde Cal. Non lo guarda nemmeno, i suoi occhi sono tutti per la biondona alle spalle dell’orbitale.
– La puntata minima è venti ori – aggiunge il ragazzo con un cenno verso i pochi spiccioli di Cal.
– Tranquillo, coccinella, due giri e avrò più soldi di te.
L’orbitale scoppia a ridere sbattendo una mano sul tavolo. La signora di fronte a lui si limita a nascondere male un sorrisetto. Il viso del ragazzo esplode di rosso, e le lentiggini scure lo fanno sembrare ancora di più al dorso di una coccinella. Si sistema gli occhiali scivolati sulla punta del naso. – Allora cominciamo – sibila mischiando le carte.
– Coccinella! – continua a ridere l’orbitale. – Sei il terrestre più simpatico che ho sentito da quando sono su questo sasso, amico.
Il ragazzo gli sbatte davanti il mazzo. – Vuole spaccare?
La distribuzione delle carte prosegue senza che nessuno parli. Anche l’orbitale si è calmato, intento a ragionare sulla strategia. Con le quattro carte che ha in mano e le due scoperte sul banco, Cal riesce ad avere solo una misera coppia di otto. Non sono un’esperta di poker, a malapena conosco le regole, ma non mi sembra una gran mano.
– Apro – dice la donna. Sorride a Cal. – Per ora con il minimo.
Lui raccoglie quattro gettoni da cinque ori e li fa rotolare sul tavolo. – Gentile da parte tua. Vedo.
L’orbitale ha bisogno di più tempo per ragionare. Alla fine sbuffa e passa. Tocca al ragazzo, che non ha ancora sbollito del tutto il rossore sul collo. – Io rilancio fino a trenta.
– Vedo – risponde la donna.
– Vedo anch’io – ribatte Cal.
La donna riordina le carte nella mano, quindi ne pone due, coperte, sul tavolo e le scorre verso sinistra. Cal ne scarta tre, tra cui anche l’otto.
Non ci credo. – Ma sei scemo?
Spinge le carte verso il ragazzo, prende le due scartate dalla donna e la prima del mazzo. Ha fortuna. L’ultima carta è un dieci e anche sul tavolo c’è un dieci, accanto all’otto. La donna ha scartato anche un sette, unica carta conservata da Cal. Doppia coppia, anche se molto bassa. Forse Cal ha scartato l’otto puntando a un’impossibile scala.
Delle tre carte passate da Cal, il ragazzo ne prende solo una. La donna prende la carta ceduta dal ragazzo e ne pesca una dal mazzo. Dopo una rapida riflessione, scuote la testa e passa. Cal si mette a contare il valore dei suoi gettoni.
Che carte ha la coccinella?
– Non ti permetterò di imbrogliare! – esclamo.
Andiamo, una sbirciatina. Non se ne accorgerà nessuno. Con quello che mi fai vincere giocheremo alla roulette. Lascio scegliere a te le puntate.
– Promesso?
Promesso.
Passo dall’altra parte del tavolo e allungo il collo verso le carte del ragazzo. Per un attimo resto interdetta. Vedo tutto sfuocato, non riesco a distinguere nemmeno il colore dei semi. Mi affretto ad alzare lo sguardo. Cal è chino a guardare i gettoni, lo vedo senza problemi.
Allora?
Riabbasso gli occhi e la vista si fa di nuovo sfocata.
– Hai deciso che fare? – chiede il ragazzo. Sembra aver riacquistato un po’ di sicurezza in se stesso.
– Sto ancora cercando la risposta ai miei dubbi – risponde Cal. – Attendo l’aiuto divino.
– Non posso vedere le sue carte – gli dico.
Come sarebbe a dire?
– Lo sai che non sempre riesco a distinguere le cose che non puoi vedere anche tu.
Pazienza, non andremo alla roulette.
Non mi crede, ne sono sicura. Non capisce che quando mi conviene so essere un’ottima alleata. Potrei tirare a indovinare, ma così perderei lo stesso la possibilità di giocare alla roulette. Tanto vale godermi la disfatta di Cal.
Di colpo, le carte assumono contorni più nitidi. I numeri scritti nell’angolo non si definiscono del tutto, ma quanto basta per capire il loro valore. Non capisco cosa sia successo e faccio per dirlo a Cal. Lui sta fissando gli occhi del ragazzo, intento a sua volta a contemplare le carte che ha in mano.
Adesso riesci a vedere qualcosa?
Il riflesso delle carte sugli occhiali del ragazzo. Possibile che stia vedendo quello? – Credo che raggiunga un full. Ti conviene passare.
Mi prende un colpo, quando lo vedo spingere tutte le fiches verso il banco.
– Punto settantadue ori.
– Finalmente! – esclama l’orbitale. – Stavo per addormentarmi.
– Vedo – risponde il ragazzo senza un minimo di esitazione.
– Idiota! Ma hai capito che ti ho detto? Ha un full!
Cal scopre le carte come se stesse calando un poker d’assi. L’orbitale ricomincia a ridere quando vede il bluff. Come previsto, il ragazzo mostra tre otto e due jack.
– Ha anche usato l’otto che hai scartato tu. – Non so se sono più irritata dall’incoscienza di Cal o dal fatto che non mi abbia ascoltata.
– Mi sa che la mia serata è finita – commenta Cal. Indica la biondona. – Ah, avessi anch’io un simile portafortuna alle mie spalle!
– Forse ti serve qualcuno che ti insegni a bluffare – replica il ragazzo.
– Fidati – continua Cal, – se la mia donna non fosse lassù non avrei perso.
La signora alla sua destra sporge il labbro inferiore. – Mi dispiace. Posso chiederti come è morta?
– Mica è morta! Vive su una stazione orbitante!
La signora lo guarda incredula, mentre l’orbitale quasi si strozza con una risata. Colpisce Cal alla spalla e si toglie il cappello per sventolarsi.
– Amico, questa è bella. Anche se non credo che tu sia mai stato su una stazione della Confederazione.
– Ci ho provato, una volta, ma non mi avete dato il permesso.
– Madornale errore! – fa lui agitando il bastoncino aromatico.
– Hai proprio ragione, amico.
Il viso dell’orbitale si irrigidisce di colpo. – Devi darmi del voi, terrestre. – Rimette in testa il cappello e tocca la spilla che porta al petto.
Per lunghi secondi, sul tavolo sembra piombare una cappa di gelo. Cal non ama i formalismi, ma non può non averne con un cittadino della Confederazione Orbitale. Contrae la mascella e per un attimo ho il timore che possa mandare il tizio al diavolo. Sarebbe un grave errore. Gli orbitali non hanno il diritto di soverchiare un terrestre, ma la mancanza di rispetto nei loro confronti è comunque un reato.
– Vi chiedo scusa – dice infine Cal, alzando le mani. – Mi sono distratto per un attimo. Vorrei farmi perdonare offrendovi un drink. Ma coccinella, qui, mi ha spolpato fino all’ultimo oro.
L’orbitale ridacchia. – Ti salvi solo perché sei simpatico – conclude, sbollendo la tensione.
– Signori miei, è stato un piacere – dice Cal. – Purtroppo devo lasciarvi.
– È stato un piacere anche per me – lo saluta il ragazzo, indicando con un cenno della testa i gettoni che ha accumulato e che non ha ancora riordinato.
Cal saluta di nuovo e si avvia verso l’uscita.
– Andiamo via? Avevi promesso che avremmo giocato alla roulette!
– Avevo promesso che avremmo puntato alla roulette la vincita della mano a poker. E la vincita è zero.
– Ma per colpa tua! Io ti ho detto le carte del ragazzo, perché hai giocato lo stesso?
– Pensavo che la doppia coppia valesse più di un full.
Mi blocco incredula e lo guardo proseguire. – Stai scherzando, spero.
Non ottengo risposta. Cal supera la porta girevole ed esce sulla strada, mi affretto a raggiungerlo. Meglio chiudere quella storia, tanto so che otterrò solo risposte idiote, da lui.
– In ogni caso dovremmo tornare dentro. Ed Morris potrebbe arrivare da un momento all’altro.
Cal scuote la testa, osservando gli autobot che sfrecciano a pochi centimetri dal manto stradale. – Stasera non verrà, inutile aspettarlo.
– E tu che ne sai? Lo hanno visto in questo casinò quasi ogni sera.
– Appunto. Quasi ogni sera. E questa è una di quelle in cui non ci sarà.
– Allora torniamo a casa?
– No. Troviamo un posto dove accomodarci e aspettiamo. – Cerca nelle tasche dei pantaloni, tirando fuori solo le mani vuote. Passa quindi a esplorare il giubbotto. – Avessi almeno qualche soldo per una birra. – Il viso assume l’espressione di un bimbo davanti a una caramella, quando pesca una tessera. Un attimo dopo il sorriso diventa un broncio. – Vuota. Siamo a secco.
– Chissà per colpa di chi! – ribatto.
Lui scrolla le spalle e va a sedersi su una panchina a qualche metro dalla porta del casinò. Lo raggiungo e rinuncio a fargli domande. Lascio passare il tempo cercando di scorgere qualche stella nel cielo che affiora oltre le cime dei palazzi che riempiono il complesso urbano. C’è troppa luce per riuscirci. Riesco solo a distinguere lo sfarfallio delle stazioni. Mi chiedo se le stelle siano visibili, fuori dalla città.
– Non siamo mai usciti dal complesso – penso ad alta voce.
– Parla per te.
– Tu lo hai fatto?
– Io sono nato e cresciuto nel complesso 67.
– Non me lo hai mai detto.
– Avrei dovuto?
– Perché ti sei trasferito qui?
– Ho fatto incazzare qualcuno che non l’ha presa bene e ho preferito filarmela.
Tipico di Cal. – Qualcuno di pericoloso, immagino. Racconta, che hai combinato?
– Non sono affari tuoi – risponde lui. Mi accorgo che sta fissando qualcosa. Il ragazzo contro cui ha giocato a poker è fermo sulla soglia del casinò. Anche lui sta guardando verso di noi. Poco dopo si avvicina. – Come è finita la serata? Hai vinto abbastanza? – gli fa Cal.
– Cal Ravelli? – chiede il ragazzo.
– In persona.
Tra le mani, il ragazzo ha un pezzetto di carta piegato. – Mi hai lasciato tu questo biglietto da visita tra le fiches, quindi.
Comincio a capire, ora. Cal ha perso di proposito la mano a poker, per passare il suo biglietto da visita nascosto tra i gettoni. – Non potevi inventarti qualcosa di più semplice? – gli chiedo. – E perché, poi? Chi è questo qui?
– Tu, invece, devi essere Marcus.
L’altro resta colpito. – Mi stavi seguendo? Cosa vuoi da me?
– Non mi interessi tu. Cercavo tuo fratello Ed, ma credo proprio che stasera non lo vedremo. Dico bene?
Marcus apre il biglietto da visita piegato in due. – Questo dice che sei un investigatore privato. Sul serio?
– È quello che sono.
– E cosa vorresti da mio fratello?
– Personalmente, nulla. Sono stato assunto da Vittoria Kelemen.
– Capisco. Ma cosa c’entro io con mio fratello e sua moglie?
Cal scuote la testa. – Non fare il finto tonto con me, Marcus. Non sei bravo a bluffare neppure con il poker.
– Ed non ha rapito suo figlio. Le milizie lo hanno interrogato per ore e non hanno trovato nulla. Vieni a casa mia, mio fratello ti dirà tutto quello che vuoi sapere.
Cal salta in piedi. – Ci sto. Chissà che non riesca a tirargli fuori qualcosa.
Marcus perde il sorriso sarcastico che aveva avuto fino a un attimo prima. – Dicevo tanto per dire.
– Ah, sì? Hai paura che svegli il tuo fratellone?
– È passata la mezzanotte, vieni domani mattina.
Cal avanza di un passo e si piega verso Marcus. I loro visi sono a pochi centimetri, ma il ragazzo non arretra. – Sono certo che se venissi domattina troverei lui, ma non te.
– E allora? Non è con lui che vuoi parlare?
– Cara la mia coccinella, ti ho già detto che non sai bluffare?
Marcus gira sui tacchi e si allontana di qualche passo alzando le braccia al cielo. – Mi hai proprio rotto le palle. Buonanotte!
– Aspetta, non ho ancora finito.
– Affari tuoi – risponde Marcus. – Non sei un miliziano, non puoi obbligarmi a starti a sentire.
– Infatti non voglio obbligarti – gli grida dietro Cal. – Io voglio pagarti.
A quelle parole, Marcus si blocca. – In che senso?
Cal torna a sedersi sulla panchina. – Parliamone, ti va?
Marcus resta fermo sul posto e si guarda intorno, come se temesse di essere osservato da qualcuno. Alla fine torna indietro, piantando le mani nelle tasche. – Parla.
– Vittoria Kelemen vuole riavere suo figlio ed è convinta che a rapirlo sia stato il suo ex marito.
– Questo lo so già.
– Saprai anche che la signora ha un sacco di soldi. In fondo tuo fratello se l’è sposata solo per quello, no? – Cal attende una replica che non arriva. – Purtroppo il giudice non è stato molto generoso, con il povero Ed. Ma rapire suo figlio non è la scelta migliore per ottenere qualche soldo.
– Ed non ha rapito Roger. E comunque lui lo ama, non lo userebbe mai per estorcere denaro a Vittoria.
– Lui no… ma tu?
– Io? Che cazzo dici?
– Parliamoci chiaro. Io so che è stato Ed a prendere il bambino e so che lo stai aiutando a nasconderlo. Vittoria è disposta a pagare bene per riaverlo e anche a fare in modo che la milizia dimentichi questo rapimento. Stasera ti ho dato un piccolissimo acconto, pochi spiccioli rispetto a quello che avrai collaborando.
– Anche se volessi non posso proprio aiutarvi.
– Pensaci, Marcus. Ora sei costretto ad alternarti con tuo fratello per badare a quel ragazzino. Se ti liberassi di lui potresti tornare a fare la vita di sempre. Con un bel gruzzolo in tasca, ovvio.
Marcus distoglie lo sguardo. Quasi mi sembra di poter leggere i pensieri che gli stanno passando per la testa. – Mio fratello non ha rapito Roger – dice alla fine.
– Ah, l’amore fraterno! – sospira Cal.
– Ci vediamo, Ravelli.
– Ci rivedremo di sicuro, coccinella. E la prossima volta non sarò così accomodante.
Il pomo d’adamo di Marcus si contrae. – Cosa intendi?
Cal si alza in piedi. – Io so che tu e tuo fratello nascondete il ragazzo da qualche parte. Diventerò la tua ombra e non ti mollerò finché non mi porterai da Roger. – Mentre parla, Cal si avvicina a Marcus, che stavolta arretra intimorito dalla sua stazza. – Dai retta a me. Intasca i soldi che Vittoria ti offre e liberati di tutte le scocciature.
Marcus si blocca. Abbassa lo sguardo, e la sua voce è quasi un sospiro. – Quanti… soldi?
– Ventimila ori. Mi sembra una bella cifra, non credi?
– Vittoria ne ha molti di