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Dignità o miseria della natura umana? L'Amore di Sé
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Ebook119 pages1 hour

Dignità o miseria della natura umana? L'Amore di Sé

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Dignità o miseria della natura umana? «C'è un principio supposto prevalere tra molti che è del tutto incompatibile con ogni virtù o senso morale [...] Questo principio è che ogni benevolenza è mera ipocrisia, l'amicizia un inganno, lo spirito pubblico una farsa, la fedeltà un trucco per procurare fiducia e confidenza; e mentre tutti noi, in fondo, perseguiamo solo il nostro interesse privato, indossiamo questi bei travestimenti in modo da abbassare le difese degli altri ed esporli maggiormente alle nostre astuzie e macchinazioni»... Le meditazioni senza tempo di uno dei più grandi filosofi europei. SOMMARIO: Introduzione e avvertenza ai testi / Nota bibliografica: una mappa degli studi (di Fabrizio Pinna) - David Hume: Dignità o miseria della natura umana? / L'Amore di Sé. APPENDICE: Of the Dignity or Meanness of Human Nature; Of Self-love; My Own Life & Letter from Adam Smith, LL. D. to William Strahan, Esq.; Of the Reason of Animals; Of the Immortality of the Soul; Of Superstition and Enthusiasm; Of some Verbal Disputes. LE COLLANE IN/DEFINIZIONI & CON(TRO)TESTI

LanguageItaliano
Release dateNov 9, 2015
ISBN9788899508043
Dignità o miseria della natura umana? L'Amore di Sé
Author

David Hume

David Hume was an eighteenth-century Scottish philosopher, historian, and essayist, and the author of A Treatise of Human Nature, considered by many to be one of the most important philosophical works ever published. Hume attended the University of Edinburgh at an early age and considered a career in law before deciding that the pursuit of knowledge was his true calling. Hume’s writings on rationalism and empiricism, free will, determinism, and the existence of God would be enormously influential on contemporaries such as Adam Smith, as well as the philosophers like Schopenhauer, John Stuart Mill, and Karl Popper, who succeeded him. Hume died in 1776.

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    Book preview

    Dignità o miseria della natura umana? L'Amore di Sé - David Hume

    Indice

    Indice

    Copyright

    Introduzione e avvertenza ai testi

    NOTE

    Nota bibliografica: una mappa degli studi

    DAVID HUME

    Dignità o miseria della natura umana?

    L'amore di sé

    APPENDICE

    Of the Dignity or Meanness of Human Nature

    Of Self-love

    My Own Life & Letter from Adam Smith, LL. D. to William Strahan, Esq.

    Of the Reason of Animals

    Of the Immortality of the Soul

    Of Superstition and Enthusiasm

    Of some Verbal Disputes

    LE COLLANE IN/DEFINIZIONI e CON(TRO)TESTI

    Copyright

    © Pieffe Edizioni, 2015

    © Introduzione, traduzione e cura: Fabrizio Pinna

    Tutti i diritti riservati; a norma di legge, senza autorizzazione è vietata la distribuzione e riproduzione anche parziale e con qualsiasi mezzo.

    I edizione e-Book: novembre 2015

    ISBN 978-88-99508-04-3 (e-Pub)

    ISBN 978-88-99508-05-0 (Azw3)

    Titolo: David Hume, Dignità o miseria della natura umana? / L'Amore di Sé

    Titoli originali: Of the Dignity or Meanness of Human Nature (1741); Of Self-love (1751); My Own Life - Letter from Adam Smith, LL. D. to William Strahan, Esq. (1777); Of the Reason of Animals (1751); Of the Immortality of the Soul (1755); Of Superstition and Enthusiasm (1741), Of some Verbal Disputes (1751).

    In copertina: Théodore Géricault, Naufragio (ca.1818)

    Collana IN/DEFINIZIONI, n. 2

    Pieffe Edizioni

    Sede legale: via Gramsci 5 - 17031 Albenga (SV)

    pieffe.edizioni@albengacorsara.it

    http://www.albengacorsara.it

    IN/DEFINIZIONI 2

    L'Amore di Sé

    DIGNITÀ O MISERIA

    DELLA NATURA UMANA?

    David Hume

    Pieffe Edizioni

    Introduzione e avvertenza ai testi

    «I cannot but consider myself as a kind of resident or ambassador from the dominions of learning to those of conversation: and shall think it my constant duty to promote a good correspondence betwist these two states, which have so great a dependence on each other» (David Hume, Of Essay-Writing, 1742)

    I.1. Scrivendo l'Avvertenza introduttiva alla raccolta di alcuni suoi Essays, Moral and Political (1741-42, 1777), Hume tenne fin dalla prima edizione a sottolineare che «Il lettore non deve cercare nessuna connessione tra questi saggi ma deve considerare ognuno di essi come un lavoro a parte»: «Questa è un'indulgenza — diceva — che è concessa a tutti i saggisti; e, forse, questo discontinuo metodo di scrittura è di uguale sollievo per l'autore e il lettore, liberando entrambi da ogni tedioso prolungamento dell'attenzione e applicazione» (¹).

    In realtà — com'è noto dall'ormai sterminata bibliografia critica sul filosofo scozzese e, soprattutto, come è naturale che sia così per ogni scrittore — sono molte le connessioni, con alcune discordanze, che si possono trovare tra i vari testi di David Hume. Ma, messe da parte le questioni esegetiche e filologiche, qui la citazione viene ripresa a modo di sfacciata captatio benevolentiae e come autorizzazione d'autore, per così dire, a giustificazione della scelta — all'apparenza antologicamente estemporanea — di proporre ai lettori, in traduzione e in lingua originale, solo alcuni dei suoi saggi e scritti che comunque, pur richiamandosi tra loro, conservano, appunto, indubbiamente una loro sicura autonomia (²).

    Al centro dei due testi esemplari tradotti, sono la natura umana e l'etica, intese qui come valore e fondamento laico della società, dei rapporti tra gli uomini (e gli animali) e della convivenza civile, in un senso ormai molto distante dalle suggestioni teologiche e platonizzanti, non solo cristiane, ancora tipiche della trattatistica rinascimentale (³) e spesso riproposte, aggiornate o travestite, fino ai giorni nostri attraverso più o meno sofisticate speculazioni propugnate da molta metafisica (religiosa), teologia, teosofia e antroposofia. Insomma, semplificando un po', i saggi di Hume aprono gli orizzonti di un'antropologia filosofica — già prima di Darwin, che del resto apprezzò il suo pensiero — pienamente naturalistica e modernamente scientifica (⁴). Infatti, come non molti anni fa era ancora costretto a ribadire Eugenio Lecaldano (⁵) (1991), «Con Hume entra in crisi un modo tradizionale — tutt'ora duro a morire — di considerare l'ordine tra i diversi rami del sapere. [...] La ricostruzione della natura umana fatta da Hume non comporta il privilegiamento di una parte che è fondante rispetto alle altre. La filosofia di Hume è del tutto estranea al quadro tradizionale — ripreso nel nostro secolo dalle filosofie idealistiche, spiritualistiche, materialistiche e scientistiche — che considera ontologia, gnoseologia e logica come primarie e fondanti rispetto al resto della filosofia e in particolare rispetto all'etica. Per Hume, come si è visto, è casomai la scienza dell'uomo nel suo complesso che fonda le diverse discipline ed applicazioni ed in questa scienza dell'uomo rientrano paritariamente l'analisi dell'intelletto, delle passioni e della morale".

    Ad ogni modo, ritornando più direttamente all'epoca di Hume e al suo saggio, tutt'altro che scolastico, Of the Dignity or Meanness of Human Nature (1741), ciò che più di tanti lunghi discorsi può rendere meglio evidente oggi al lettore la difficoltà, anche psicologica, di affrontare con mente davvero libera questo tòpos della meditazione filosofica, lo si trova espresso limpidamente in una lettera privata scritta nel 1775 da uno dei suoi primi intransigenti critici, il filosofo (religioso), anch'egli scozzese, Thomas Reid: «Io detesto tutti i sistemi che svalutano la natura umana. Se è un'illusione l'esistenza di qualcosa nella costituzione dell'uomo che sia venerabile e degna del suo autore, lasciatemi vivere e morire in tale illusione, piuttosto che farmi aprire gli occhi per vedere la mia specie in una luce umiliante e disgustosa. Ogni brava persona sente la sua indignazione levarsi contro coloro che screditano i suoi parenti o la sua patria; perché non dovrebbe levarsi anche contro coloro che disprezzano la sua specie?» (⁶).

    I.2. Le ormai classiche argomentazioni di Hume non presentano, a un qualsiasi lettore attento, particolari asperità insormontabili, ma qualche ulteriore annotazione di chiarimento è però forse necessaria per L'Amore di Sé, scritto che — con il titolo Of Self-love — apparve come Appendice II a una delle sue opere maggiori, An Enquiry concerning the Principles of Morals (1751). Amor proprio è uno dei concetti il cui significato — grosso modo a partire dal XVI secolo, con l'avvio della rivoluzione scientifica (⁷)— andrà via via ridefinendosi in senso eticamente neutro rispetto alle tradizionali censure religiose, sganciando l'antropologia e la psicologia (⁸) da miti e dogmi teologici irriflessi o sottratti, quasi manu militari, alla critica pubblica (⁹). Come ha recentemente ricordato Barbara Carnevali (¹⁰), "A Hobbes [1588-1679] si attribuisce, giustamente, la prima problematizzazione moderna del problema sociale: non stupisce che la sua antropologia sia anche il più importante laboratorio di filosofia del riconoscimento prima di Rousseau. Ne è centro la definizione della glory, l'insaziabile pretesa di superiorità sulle altre coscienze o desiderio di eccellenza riconosciuta. [...] L'influenza di queste idee sul pensiero successivo è stata profonda. Grazie alla popolare traduzione francese (1649) del Cittadino, da parte di Samuel Sorbiére — che rendeva la nozione di glory con il termine amour-propre —, la psicologia hobbesiana si innesta su quella agostiniana: il desiderio di essere considerati e ammirati, che a sua volta è il sintomo del conato individuale all'autoaffermazione, diventa il cardine della disincantata antropologia moralistica, acquisendo una fenomenologia sempre più sottile e raffinata".

    Con più di un equivoco, la tradizione francese si andrà poi intrecciando anche nel secolo successivo con quella britannica e la filosofia scozzese del moral sense. Com'è noto, nel Settecento è a Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) che si deve una delle più accolte — ancora oggi — distinzioni tra amour-propre e amour de soi (¹¹), mentre Hume (1711-1776), contemporaneamente, insisterà invece molto sulla non riducibilità dei comportamenti al solo self-love (equivalente all'amour-propre) e selfishness (egoism) fissando — contra Hobbes e ondeggiando intorno al concetto di self-liking elaborato dal medico e filosofo olandese Bernard de Mandeville (1670-1733) — uno dei cardini della virtù sociale nella benevolence, un sentimento di benevolenza originario e distinto proprio sia della natura umana sia di quella di altri animali (con qualche variazione, nel tempo, intorno al concetto di sympathy, rispetto a quanto aveva scritto in A Treatise of Human Nature, 1738/1740).

    Del resto, alcuni di questi slittamenti e sovrapposizioni semantiche generatrici di molti equivoci li notava lo stesso Hume, il quale in una nota al saggio Su alcune dispute verbali (1751: Of some Verbal Disputes, che in inglese si può leggere qui integralmente tra i testi inclusi in Appendice), oltre a rilevare nei discorsi una tipica confusione fra talenti/difetti e virtù/vizi, scriveva: «Il termine orgoglio è comunemente preso con accezione negativa (in a bad sense), ma questo sentimento sembra indifferente e può essere buono o cattivo, a seconda che sia bene o male fondato, e a seconda di altre circostanze che lo accompagnano. Il francese esprime questo sentimento con il termine amour propre, ma siccome con lo stesso termine esprimono anche l'amore di sé (self-love) così come la vanità, nasce per questo una gran confusione in Rochefoucault e in molti dei loro scrittori di morale» (¹²).

    Limitandosi solo ancora a qualche accenno, va comunque ricordato che ulteriori complicazioni nel Settecento nascono anche per la sovrapposizione operata tra amor proprio e interesse personale nei decenni in cui l'economia politica iniziava a definirsi come ambito autonomo di ricerca, continuando però a mantenere il suo vincolo con l'etica laica (¹³).

    Si vanno così delineando

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