Nel soldo di Roma. Monete romane del museo Francesco Gonzaga di Mantova
By Daniele Lucchini and Bruno Cavallaro
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Nel soldo di Roma. Monete romane del museo Francesco Gonzaga di Mantova - Daniele Lucchini
Nel soldo di Roma
Monete romane del museo Francesco Gonzaga di Mantova
Bruno Cavallaro
Daniele Lucchini
Colophon
Finisterrae 43
Prima volta in Finisterrae: 2016
In copertina: Daniele Lucchini
Due monete dalla collezione Pietro Zappa, 2016
© 2016 Daniele Lucchini, Mantova
http://www.librifinisterrae.com
Tutti i diritti riservati
ISBN: 9781326572129
In collaborazione con
Epigrafe
Africano ha i milioni, e tuttavia ne cerca ancora. / La fortuna a molti dà troppo, a nessuno abbastanza.
Marziale, Epigrammi XII,10
La monetazione greca
La nascita della moneta è un processo durato diversi secoli, frutto di una lenta e lunga evoluzione. Per quanto riguarda il bacino del Mediterraneo le forme di scambio commerciale che possiamo definire pre-monetali o para-monetali si servivano di spiedi (obeloi in greco, da cui oboli), anelli o pani di bronzo o rame, che riportavano iscrizioni micenee o cipriote. Cipro stessa prese il nome da cuprum, il rame di cui in epoca arcaica era ricca. Nei poemi omerici oggetti di bronzo quali spiedi, tripodi o lebeti svolgono la funzione sia di utensili sia di valori di scambio o premi per i giochi. Accanto al metallo, il valore degli oggetti viene anche espresso tramite il bestiame¹. Un lontano ricordo di questa fase arcaica si conserva in alcuni termini: capitale deriva dal latino caput ovvero testa, evidentemente di un animale nella mandria; pecunia, ricchezza, denaro, deriva da pecus ossia gregge di pecore, così come peculatum che da furto di animali è passato a significare l'omonimo reato nell'uso odierno.
Accanto a queste forme pre-monetali, nel vicino Oriente, globetti, verghe, lingotti o porzioni informi d'oro, argento o elettro (la lega dei due metalli preziosi che si può trovare in natura) erano usati con funzione di scambio o riserva di valore. Il loro uso, come quello del bestiame, assieme a tutte le altre forme di baratto continuò in parallelo per lungo tempo, anche dopo l'introduzione della moneta vera e propria.
In letteratura, come ricorda Erodoto, i fenici, popolo dedito al commercio, conobbero ed utilizzarono molto tardi la moneta, preferendole il baratto e lo scambio diretto di merci. Così va rivista la vulgata secondo cui la moneta fu inventata per agevolare il commercio. Sembra invece che le esigenze che ne causarono la nascita si debbano ricercare più nell'organizzazione della città-stato, per la quale occorreva un mezzo di pagamento che fosse adeguato per le spese (mercenari, pedaggi, contributi agli alleati) e al tempo agevole da calcolare e riscuotere tra i cittadini sotto forma di tasse e tributi.
La moneta non fu adottata in primo luogo dai grandi imperi antichi (egizi, assiri e babilonesi), la cui struttura sociale fondata sull'agricoltura utilizzava come riserva di valore principalmente i raccolti, ma da comunità che vivevano al confine tra quei grandi imperi ed il mondo greco. Le denominazioni monetarie orientali derivano dal nome delle unità di misura del peso. Così abbiamo comune in tutto l'Oriente antico e in Egitto il talento, con un peso variabile tra i 26 e i 36 kg a seconda dell'area e del periodo; era suddiviso in 60 mine, ciascuna a sua volta suddivisa in 60 sicli. Il siclo come unità base poteva giungere fino a 10 grammi. Tuttavia non furono mai battuti né talenti, né mine: tali grandezze riferite all'oro e all'argento servivano soltanto come unità di conto.
L'area geografica dell'Asia Minore in cui si stabilirono i coloni greci vide lo sviluppo di comunità umane in cui la struttura sociale piuttosto mobile e vivace specializzava le diverse funzioni dei cittadini. Per questo motivo la nascita della moneta ha anche una ragione sociale: la moneta rispondeva all'esigenza, che viene riferita con disprezzo da Platone, di occultare la ricchezza privata, di fornire una riserva di valore nascosta, al contrario di quanto accadeva in precedenza quando le ricchezze di ciascuno erano palesi a tutti essendo costituite da terre ed armenti².
Erodoto riferisce che i primi ad emettere moneta d'oro e d'argento furono gli abitanti della Lidia, da cui in effetti provengono i primi pezzi globulari di elettro, una lega naturale di oro e argento, che recano sul recto l'impronta di un animale o di una divinità e sul verso dei fori che sono il segno di uno o due punzoni, definiti dai numismatici quadrati incusi.
La prima testimonianza di un tondello di metallo prezioso che reca l'impronta dell'autorità emittente con un peso definito e garantito si ebbe con il ritrovamento avvenuto nel 1904-1905 di un deposito nelle fondazioni del tempio di Artemide ad Efeso. Tra le prime monete, una riporta l'iscrizione Fàenos emì séma
, ovvero sono il segno di Faenos
, il nome di colui che ne garantiva il peso e la purezza, vale a dire uno dei primi banchieri. Ben presto però il privilegio della zecca venne accentrato nelle mani dell'autorità pubblica e l’ultimo re di Lidia, Creso (560-546 a. C.), poté coniare la prima moneta d'oro puro dell'antichità il creseide. La moneta fu adottata successivamente anche dall'impero persiano al tempo di Dario (521-485 a. C.) che, facendo porre sul recto della moneta la propria effige, istituì un nuovo conio: il darico, del valore di 16 sicli d'argento. Il rovescio di tutte queste monete arcaiche è incavo per la presenza del segno del punzone.
Nel contempo in tutta la Grecia, e ben presto anche nelle colonie greche in Italia meridionale ed in Sicilia, si diffusero diversi piedi monetari, sistemi di rapporto fra la quantità d'argento utilizzata per l'emissione e la moneta. La divisa comune era denominata dracma, dal greco dratto cioè afferro, impugno; infatti in origine la parola indicava la presa di sei oboli, ovvero sei spiedi di bronzo.
Il più importante sistema fu il piede attico, utilizzato ad Atene, basato sull'emissione della tetradracma di circa 17,2 grammi d'argento, suddivisa