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Vai dove vuoi tu
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Vai dove vuoi tu

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About this ebook

Una storia come tante, quella di Lucia, una donna che molti definirebbero una “mamma coraggio”. Ma i luoghi comuni non si addicono a questa vicenda, che inizia nel profondo sud per poi finire in un nord che fa fatica ad accogliere i personaggi con le loro difficoltà. Lucia nasce in una famiglia disagiata come tante, che si ritrova subito divisa e costretta ad emigrare: lo sradicamento, la prostituzione della mamma, la vita in un istituto per minori, l’adozione, le molestie del padre adottivo, ma anche il riscatto, il matrimonio, i figli. Ordinari drammi affrontati senza eroismo ma anche senza vittimismo, fino all’evento che cambia il corso di tutta l’esistenza di Lucia: la nascita di un figlio disabile.
I drammi esteriori ed interiori di una donna alla perenne ricerca di una propria dimensione, in bilico tra il proprio essere madre ed il desiderio di essere figlia, che trova nel suo figlio “speciale” non solo una dimensione drammatica ma anche un pezzo della propria identità.

LanguageItaliano
PublisherPM edizioni
Release dateFeb 25, 2016
ISBN9788899565121
Vai dove vuoi tu
Author

Maria Pia Casini

Maria Pia Casini, anno 1964, è autrice di numerose raccolte di poesia. Nel 2015 pubblica Le madri del marziano, breve romanzo che decide poi di ampliare e che diventerà Vai dove vuoi tu. Vincitrice del primo premio di poesia autori esordienti nel 2010 con la poesia I poeti e terzo premio nel 2013 con la poesia L’artista delle parole al concorso dell’associazione culturale “Antiche come le montagne” di Piossasco. Ha ricevuto diversi riconoscimenti e menzioni tra il 2007 e il 2009 dall’associazione culturale “Caruso” di Caserta per le poesie Ninna nanna, Lettera ad un amico e Al di là del sogno. è arrivata semifinalista al XXVIII Premio Letterario “La mole” di Torino nel 2015 con la poesia Uomo. Lavora come operatrice socio sanitaria.  

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    Vai dove vuoi tu - Maria Pia Casini

    Maria Pia Casini

    Vai dove vuoi tu

    Copyright © 2016

    PM edizioni

    via XXIV Maggio, 1

    00049 Velletri (RM)

    www.pmedizioni.it

    I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

    Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore.

    ISBN 978-88-99565-12-1

    Prima edizione: febbraio 2016

    La biografia è una menzogna ben congeniata

    Lalla Romano

    Introduzione

    Questa è una storia, niente di diverso, niente di così eclatante, una storia molto comune a tante ma è la storia di Lucia, una bimba che credeva nelle favole e che si zittiva appena sentiva dire C’era una volta, perché sapeva che la mamma le avrebbe raccontato una bella favola, di quelle con principi, principesse e streghe cattive che sarebbero state sconfitte dal mago buono e dove tutti, alla fine della storia, sarebbero vissuti felici e contenti.

    E fantasticava, immaginandosi principessa nel suo bel vestito d’organza e tulle di un rosa acceso, con una chioma di boccoli dorati che arrivavano fino a metà della schiena, raccolta in tante trecce che le incorniciavano il viso dalla carnagione tenue e gentile. Lei non era proprio così, i suoi capelli erano neri, folti, crespi e indomabili, talmente tanto crespi che quando crescevano, non scendevano lungo la schiena, ma si aggrovigliavano in una matassa informe.

    Il colorito della sua pelle era olivastra e quando scendeva per strada a giocare, il sole la imbruniva ancora di più e le sue gambe nude prendevano il colore del caffè, nessun vestito d’organza gliele copriva, al suo posto c’era una gonnellina a fiori che le arrivava sopra al ginocchio.

    Ma le piaceva fantasticare, le piacevano i bei finali che davano speranza e voglia di vivere, dopo incantesimi, battaglie con i draghi e malefici, perché sapeva che il mago buono avrebbe sempre aggiustato tutte le cose.

    Anche la sua è una storia con streghe e draghi anche nella sua ci sono battaglie e anche se non ha i capelli dorati è una splendida bambina.

    Questa storia non inizia con un c’era una volta perché ci sarà di nuovo nella storia di tante Lucia, con la speranza che abbia un bel finale sempre.

    1.  

    Concetta aveva sedici anni quando l’aveva messa al mondo, l’aveva allattata e cresciuta in quella terra arsa dal sole, dove i fichi d’india crescono fra i rovi e si raccolgono con il coppo e la salsedine arrugginisce il metallo. Era ancora una bambina, quando mesi prima, aveva incontrato Gennaro, un bel picciotto di diciassette anni, alla festa del paese. Fra i due scattò la scintilla appena gli sguardi si incrociarono e da quel momento Concetta smise di essere una bambina ma il padre Antonio non ne voleva sapere di quel ragazzo perché aveva altri progetti per quella figlia e lei non poteva permettersi di andare contro alla volontà di quel padre padrone che utilizzava la cinghia per farsi rispettare ma Concetta era testarda, tanto quanto lui e quando si metteva in testa una cosa la otteneva, cascasse il mondo.

    Gennaro la portò via una notte. La fuitina, preparata con cura aveva scatenato uno scandalo nel paese e l’unico modo per riparare a quell’onta era il matrimonio che Antonio, suo malgrado, dovette accettare.

    Concetta era già incinta quando si sposarono ma nessuno doveva saperlo, ecco perché Lucia era nata settimina.

    2.  

    Abitavano al secondo e ultimo piano di una casa, di quelle che hanno un grande terrazzo al posto del tetto, dove le donne ci stendevano i panni e cucivano pettegolezzi a misura di ognuno.

    Quella casa aveva una grande cucina piena di pentole, mestoli e stoviglie e una tinozza, dove Gennaro ci faceva il bagno la domenica, un soggiorno con un grande tavolo rettangolare ed una credenza, una camera da letto con un letto matrimoniale, due comodini ed un armadio. In quella camera non c’era posto per un lettino e Lucia, che aveva già compiuto tre anni, continuava a dormire con loro, mettendosi con la testa rivolta ai loro piedi perché era più facile per lei potersi girare durante la notte.

    La camera aveva un piccolo balcone, dove ci stava a malapena una sedia ed un cesto legato con una corda alla ringhiera che veniva utilizzato come fosse stato una carrucola.

    Da lì poteva vedere gli ambulanti che vendevano ogni tipo di merce: arrivavano con i loro carretti, alcuni li trascinavano con la bicicletta, altri a mano, e rompevano il silenzio del rione con la loro gran voce. A Lucia piaceva molto stare a guardarli da quel balcone. Quando riusciva correva in strada e facendo finta di essere grande, si avvicinava a quei banchetti improvvisati per comperare il detersivo che serviva alla mamma per lavare il bucato e, durante la Pasqua, poteva veder passare la processione, con le donne in lacrime e urlanti attorno ad un crocefisso portato a braccia da uomini per tutto il paese. Non capiva il perché di tante urla: avrebbe compreso con il tempo che quelle erano le usanze del suo paese e avrebbe anche ricordato di aver dato un bacio ai piedi di quell’uomo inchiodato su quella croce, senza sapere chi fosse e perché le avevano detto di baciarlo.

    Passava le sue giornate di bimba fra quelle quattro mura e giocava a nascondersi nell’armadio della camera da letto, oppure sulle scale che portavano alla sua casa quando la pioggia non le permetteva di uscire nel cortile, quelle scale avrebbero cambiato radicalmente la sua vita e quella di Concetta.

    Malgrado siano passati un bel po’ di anni, lei le ricorda ancora e ricorda quel treno che le portava via dalla loro terra per sempre.

    Quelle scale le scendeva Concetta nella foto di un giornale, con le mani davanti al volto per coprirsi da una vergogna che ancora adesso Lucia non capisce.

    Concetta, su quel treno con in braccio Lucia, si lasciava alle spalle Gennaro, che non avrebbe più rivisto, la sua famiglia e suo padre che era sempre stato contrario a quel matrimonio. Quel treno le avrebbe portate in un posto pieno di belle promesse, questa era la speranza che l’aveva portata a fuggire.

    A fuggire dal paese dei fichi d’india e della salsedine, dove sapeva che non ci sarebbe stato futuro né per lei né per la sua bambina.

    3.  

    Era piccola Lucia quando salì su quel treno tanto grande e buffo, un treno che sale su una nave era proprio buffo.

    Troppo piccola per capire che la vita può essere stravolta in un attimo ma che ne sapeva lei di com’era fatta la vita, a lei interessava giocare, fare finta di essere grande e andare a comperare il detersivo.

    Concetta l’aveva portata via, in un paese lontano, dove non c’erano gli ambulanti con i loro carretti ma un grande mercato, la merce esposta su enormi banconi dove si poteva trovare di tutto, vestiti, scarpe, pentole, pesce, verdura e frutta, anche i fichi d’india ma quelli erano in cassette di legno, tutti in fila a fare bella mostra, alcuni avvolti in carta colorata e non avevano le spine che pungevano le mani.

    Un tram tagliava in due quel grande mercato, a Lucia veniva in mente il treno che aveva preso insieme alla sua mamma, anche quello era buffo, di un colore verde che ricordava un prato, con quella lunga antenna che si attaccava ai fili e che assomigliava proprio ad un grande bruco ma al posto delle zampe aveva ruote in ferro che correvano su rotaie, proprio come il suo treno ma questo non saliva su una nave.

    Abitava proprio lì, in un palazzo con il tetto a punta, al suo paese non esistevano tetti di quella forma

    << Dove si stendono i panni? >> chiedeva alla mamma.

    << Qui i panni si stendono sul balcone. >>

    << E se non ci sono i balconi come qui? >>

    << Allora si stendono in casa >> le rispondeva Concetta.

    << Che brutto... >> pensava Lucia, ricordava quanto erano belle quelle lenzuola stese sul balcone sempre pieno di sole che svolazzavano con il vento, a volte piano, altre invece più forte e lei che si divertiva a passarci in mezzo, sentendo il fresco dell’acqua sulla sua pelle quando erano bagnate e il caldo del sole quando si asciugavano.

    Lì non poteva farlo ed era proprio un peccato, perché le piaceva quel gioco e non poteva scendere neanche per strada a fare finta di essere grande per comperare il detersivo. La mamma non glielo avrebbe permesso poiché era troppo pericoloso con tutta la gente che c’era e con quel tram che tagliava in due il mercato.

    L’unica cosa che poteva assomigliare al suo paese era la processione che vedeva passare tutti i giorni. Anche lì c’erano donne che urlavano, ma gli uomini, invece di portare a spalle il Cristo in croce, portavano cassette di verdura.

    La mamma non stava più con lei come prima, prima, nel loro paese, stava a casa a fare le faccende domestiche e ad accudirla, ora invece la lasciava in casa con donne che lei non conosceva e che al mattino, per colazione, le preparavano lo zabaglione fatto con tuorli d’uovo e tanto zucchero, sbattuto talmente tanto che diventava bianco e spumoso e mentre mangiava quella spuma dolce, vedeva la mamma vestirsi, mettersi il cappotto e con la borsa sulla spalla, aprire la porta di casa, pronta per uscire senza di lei.

    << Voglio venire con te! >>

    << No, tu stai a casa con le zie. >>

    << Ma io non voglio! >>

    << Tu stai qui senza fare storie! >>

    << Ma dove vai mamma? >>

    << Vado a lavorare >> le rispondeva stizzita.

    << Perché? >>

    << Perché devo guadagnare i soldi se vogliamo mangiare. >>

    << Ma io mangio lo zabaglione, non voglio che vai via. Voglio che rimani con me! È dov’è papà? >>

    Concetta diventava buia in volto e senza neanche guardala le diceva: << Papà non c’è più, ora ci penso io a te >> e se ne andava.

    Era triste Lucia, non capiva perché il papà non c’era più, dov’era andato? Perché le aveva lasciate sole? E perché si trovavano lì? Voleva ritornare a casa, voleva rivedere il suo papà, voleva rigiocare con le lenzuola, non le piaceva stare lì neanche un po’.

    Alla sera, quando la mamma ritornava a casa, stanca e con grossi cerchi attorno agli occhi, Lucia le correva incontro abbracciandola forte e le chiedeva: << Mamma, giochi con me? >>

    Ma lei era troppo stanca per giocare e con un secco no si staccava da quell’abbraccio e se ne andava a dormire.

    Lucia ricordava che mamma non giocava con lei neanche al loro paese ma non era così importante, sapeva che lei era lì che la guardava mentre faceva finta di essere grande fra pentole e piatti, con la bambola in braccio e le sorrideva, le raccontava le favole prima di andare a dormire, storie di principesse e maghi buoni, non era una cosa così strana ma lì ne sentiva il bisogno, si sentiva sola e abbandonata in un mondo brutto e sconosciuto e voleva sentirsi protetta da quella mamma sempre più assente che quando tornava non aveva neanche più la forza di raccontarle le favole.

    Questa era la nuova vita di Lucia, fatta di gente che urlava al mercato, di palazzi senza terrazzi sul tetto, di tram verdi, di nebbia che copriva il sole e di freddo che entrava nelle ossa.

    Era troppo piccola per capire certe cose ma una cosa l’aveva capita... quella vita era proprio brutta senza il papà e con la mamma che la lasciava da sola per andare a guadagnare i soldi per vivere.

    Troppo piccola per capire che per mantenerla, Concetta sarebbe stata disposta fare di tutto.

    Le giornate di Lucia passavano fra le mura di quella casa, con quelle due donne che non conosceva, continuando a fantasticare, immaginando il mago buono che veniva a prenderla per portarla al castello e nel suo bel vestito di tulle rosa, avrebbe ballato con il

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