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La bambina in rosso: Egon Schiele visto dalle sue donne e dai contemporanei
La bambina in rosso: Egon Schiele visto dalle sue donne e dai contemporanei
La bambina in rosso: Egon Schiele visto dalle sue donne e dai contemporanei
Ebook156 pages3 hours

La bambina in rosso: Egon Schiele visto dalle sue donne e dai contemporanei

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About this ebook

In ventotto anni di vita Egon Schiele ha lasciato dietro di sé un numero imprecisato di opere. Nell’immaginario collettivo Schiele è un pittore erotico, se non pornografico.

Su Schiele come artista è stato scritto moltissimo. Per contro su Egon come uomo, sulla sua vita privata, sulle ragioni intime del suo male di vivere, si è scritto poco…

Un piccolo borghese che della vita accetta selettivamente tutto (e solo) quello che considera funzionale alla sua missione, un anarchico che non si altera mai in omaggio a un principio di efficienza, una personalità libera ma condizionata in senso eroico dalla figura paterna, un fratello innamorato – sempre nei limiti in cui può concepire di darsi, ma non certo in senso platonico – della sorella Gerti. Un eterno fanciullo insomma, lo ha detto lui stesso.

Lo si racconta qui, anche impietosamente, tramite le sue donne – soprattutto Gerti, la più importante – e altri personaggi, tutti intervistati post mortem, con una tecnica che ha consentito di far rivivere delle figure affascinanti ed intriganti.

Come spesso accade nella scrittura, il personaggio principale alla fine risulta essere Gerti, anziché Egon. E forse in tutto ciò ha un ruolo una certa bambina in rosso…
LanguageItaliano
Release dateMay 3, 2021
ISBN9788868671204
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    La bambina in rosso - Antonio Della Rocca

    1910

    1. UN FIGLIO PER LE FERROVIE (1890)

    immagine 1

    Famiglia Schiele – 1893

    È una bella mattinata di metà giugno del 1890 e il Capostazione superiore delle imperial-regie Ferrovie dello Stato Adolf Schiele passeggia su e giù per la banchina della sua stazione di Tulln sotto gli occhi di un paio di signore alle quali quel bell’uomo in divisa con il berretto rosso e la barba nera incute rispetto e quel tanto di giusta ammirazione.

    Adolf è fatto a modo suo, che le donne lo guardino con compiacimento gli fa piacere e lo imbarazza al tempo stesso, ma quel giorno non se ne accorge neppure, quello è il giorno più importante della sua vita fino a quel momento, anche più di quello in cui tre anni fa gli è stata notificata la nomina che lo ha fatto uscire da un paesino della Carinzia per un incarico importante alle porte di Vienna.

    Il giorno prima Marie gli ha partorito un figlio maschio, dopo due aborti e due figlie femmine. Ieri era molto contento, ma oggi ha realizzato che è proprio vero, che adesso è arrivato Egon, lui sì che darà un senso alla sua vita, lui sì che – con il trampolino che costituisce l’esser figlio di un Capostazione superiore (e chissà, tra qualche anno, di un dirigente basato a Vienna, nella Capitale) – farà la vera carriera, diventerà magari Hofrat, anche nell’ordinato Impero austro-ungarico c’è una certa mobilità sociale, in fin dei conti.

    Ovviamente deve diventare ingegnere, il suo destino sono le imperial-regie Ferrovie, dove altro potrebbe meglio dimostrare il suo ingegno ? Anche la famiglia di Marie ha raggiunto interessanti obiettivi sociali ed economici lavorando per le Ferrovie, anche quell’antipatico del cognato Czihaczek è ingegnere, un pezzo grosso nel ramo, che però ha il senso della famiglia e sicuramente aiuterà il nipote nei primi passi della carriera.

    Fantastica, Adolf, mentre una parte del suo cervello segue il movimento dei treni e dei passeggeri, è un’abitudine di servizio. Ha quarant’anni, si sente in forma – anche se sa che quasi dieci anni prima, all’epoca del matrimonio, ha contratto una brutta malattia e non si è curato – e ritiene di saper fare bene il suo lavoro.

    Quello che non vuole sapere è che i due aborti della moglie e la salute malferma di Elvira, la primogenita, sono direttamente e indiscutibilmente dipendenti da quella sifilide non curata, anche la moglie ne porterà le conseguenze per tutta la vita, e quelle psicologiche saranno molto più gravi di quelle cliniche. Lui preferisce pensare che Mela, la seconda figlia, sembra robusta, che Egon è piccino ma scoppia di salute, e che l’accaduto fa parte del normale svolgersi degli eventi, o meglio che la colpa è di sua moglie, gli fa più comodo.

    Non sa neppure che la malattia se lo mangerà lentamente ma con decisione e che morirà a solo 54 anni, dopo essere stato costretto alla pensione anticipata e completamente pazzo, lasciando moglie e tre figli nelle peste.

    Ma anche se lo sapesse o lo sospettasse, gli sembrerebbe sopportabile di fronte al sapere che Egon non seguirà la carriera che in quella bella mattinata di giugno lui gli sta costruendo nella sua fantasia. Delusione che sarebbe ancor più cocente perché nei primi anni di vita Egon mostrerà molto interesse per le locomotive, e in generale tutto ciò che concerne le ferrovie, ed eserciterà il suo del tutto inatteso talento per il disegno per fare schizzi ferroviari che entusiasmeranno il genitore.

    Questi entusiasmi di suo padre di quando lui era bambino creeranno un legame tra Adolf ed Egon che neppure la pazzia del padre riuscirà a cancellare e che si rinsalderà proprio negli anni dell’adolescenza e della prima giovinezza, quando non tutti capiranno ed apprezzeranno le prime manifestazioni del suo talento e del suo carattere, non ultima la madre. Egon sarà sempre convinto che il padre in fondo lo avrebbe apprezzato come pittore.

    Anche senza ritrarlo mai, lo avrà sempre presente, sarà lui a prendere la maschera mortuaria di Adolf – procedura usuale all’epoca – che lo seguirà nelle sue peregrinazioni e gli sopravviverà, sino a finire a Tulln in una teca del Museo dedicato ad Egon molti anni dopo. Sarà un lascito di Adele Harms, sua cognata, ma questa è un’altra storia, abbastanza complicata.

    Marie – combattuta tra il suo dovere di donna austriaca di riverire il marito, il suo istinto di donna colpita nel corpo e nell’anima da questa malattia innominabile ed infamante che il marito le ha affibbiato senza lasciarle nessuna scelta (e, all’epoca, nessuna via d’uscita), il suo irriducibile istinto materno e le non meno irriducibili convenzioni borghesi – non lascerà nel figlio un’impressione paragonabile a quella del padre.

    Egon nel suo foro interno le rinfaccerà sempre di non aver manifestato il dovuto dolore per quella morte che probabilmente era stata per lei una liberazione. Ha chiara cognizione della malattia del padre e delle sue conseguenze, senza peraltro volergliene, e la fonte di questa conoscenza è la madre stessa, cosa che Egon non le perdonerà mai. Nulla di strano in tutto ciò, di rado i figli maschi perdonano alla madre il mettere a nudo le debolezze paterne, in particolare se essa ha ragione.

    In compenso – si fa per dire - la considererà per un bel po’ una risorsa dovutamente inesauribile da cui attingere modesti contributi finanziari – Marie non ha mezzi di fortuna, né suoi né del marito - ma soprattutto un rifugio in ogni momento di difficoltà. Lei – magari mugugnando - sarà sempre a disposizione, come se effettivamente fosse in debito verso di lui. Ma si sa, Egon è il figlio maschio, cosa contano Melanie e Gerti al suo confronto…

    Ma di tutto ciò Adolf Schiele in questa bella mattinata di giugno nulla sa e nulla vuole sapere: ha un figlio maschio e tanto basta. Sorride ad una delle donne che lo guardano ed ammicca, lei china gli occhi ma sorride, lui accenna un saluto con la mano alla visiera, la vita è bella. Un treno fischia entrando in stazione.

    2. L’ALUNNO SCHIELE (1905)

    immagine 1

    Egon all’Accademia delle Belle Arti - 1908

    La stazione di Tulln è sì di una certa importanza, ma la città non ha scuole medie né superiori. L’alunno Schiele Egon, cognome e nome in rigoroso ordine alfabetico, frequenta senza infamia e senza lode le elementari, disegna treni e stazioni per la felicità del suo papà, e finalmente va alle Reali, come si chiamano le medie in Austria - Ungheria. Ci deve andare in un’altra cittadina, a Krems, dove abita presso parenti. E’ il 1901.

    Contro le aspettative paterne non combina gran che, e il padre, ansioso per i rovesci del primo anno, lo manda a Klosterneuburg, che è vicina ma pare lontana. Anche qui vive a pensione da terze persone amiche ma non in famiglia. L’ansia di Adolf è accresciuta dalla malattia che lo devasta e lo conduce proprio in quell’anno ad una ingloriosa pensione anticipata, che segna l’inizio del declino economico della famiglia Schiele.

    Mentre Egon vive male l’istituzione scolastica, che lo costringe a studiare cose che non lo interessano affatto, Adolf tenta il suicidio, diventa sempre più strano, si isola dalla gente e dalla famiglia, una sera brucia nella stufa le azioni che rappresentano il peculio di famiglia, puff ! andato su per il camino. Marie si dispera in silenzio, ma tiene duro come sa e può, oltre ad Egon ha due figlie femmine da crescere, Melanie e Gerti, Elvira, la prima, è mancata a dieci anni non si sa di che, o meglio si sa ma non si può dire.

    Mentre la tragedia familiare si consuma - come si conviene - dietro le tendine di pizzo nel chiuso della casa, che non è più la stessa, perché l’andata forzata in pensione toglie anche il diritto all’alloggio di servizio, bisogna trasferirsi tutti a Klosterneuburg.

    Egon ha almeno la fortuna di incontrarvi Ludwig Strauch, suo professore di disegno, e Max Kahrer, un pittore locale, che lo adottano sul piano artistico, ne apprezzano il talento e lo aiutano praticamente e generosamente, insegnandogli molte cose e mettendolo in condizioni di disegnare, che non è un’attività a buon mercato, ci vogliono carta da disegno, matite, colori e quant’altro e di soldi in giro ce n’è pochi.

    Il 1 gennaio del 1905 Adolf Schiele muore, Egon è quattordicenne. Qualcuno dirà, nel tentativo di capire cosa stia dietro alla sua pittura e molti anni più tardi, che è stato un modo traumatico di apprendere che il sesso ha le proprie conseguenze. E’ un punto di vista come un altro, di certo Egon in vita sua non sembra essersene curato molto, delle conseguenze.

    Gli viene assegnato come tutore lo zio materno nonché padrino Leopold Czihaczek, uomo di mezzi e di ragionevole successo, amante della musica, con un Ego a prova di bomba, nulla lo scuote se ritiene di aver ragione, il che gli capita spesso se non sempre. Il nipote peraltro ad Ego non scherza nemmeno lui, nomen est omen. I posteri ricorderanno l’ing. Czihaczek solo come tutore di Egon Schiele e, tra l’altro, mai come tutore delle sorelle, ma lo abbiamo già detto, le femmine contano poco. In questo caso tale pregiudizio non si rivelerà poi così azzeccato, almeno per Gerti, la più piccola.

    Marie ha un accesso acuto di sentimento materno – forse ha il presentimento della ripulsa di Egon dopo la morte del padre e vuole crearsi dei meriti – e si dà da fare, lo ritira da scuola e cerca di trovargli un lavoro da disegnatore nell’azienda della sorella, che la manda a spasso con nobili motivazioni del tipo: lo faccio per il suo e tuo bene, così non diventa un fannullone come promette di essere.

    Lo zio lo vorrebbe avviato ad una carriera tecnico-scientifica, ma il suo professore ed altri estimatori fanno fronte comune con Marie e riescono a convincerlo che Egon potrebbe combinare qualcosa di buono all'Accademia delle Belle Arti a Vienna.

    Lo convincono al punto che quando Egon passa all’esame di ammissione – il più giovane allievo della sua classe! – Czihaczek annuncia il fatto alla sorella con un telegramma che trasuda soddisfazione, risultato splendido è l’espressione che usa. Anche lui in quel momento non sa né può sapere – tanto meno immaginarlo, con l’immaginazione che si ritrova – in quali guai si sta cacciando. Ci vorrà poco perché se ne renda conto.

    3. GERTI I

    Guardo Gerti – anzi Frau Gertrud Peschka-Schiele, come le piace essere chiamata, non la vedova Peschka, per carità - e vedo una signora in età molto avanzata. È lei che devo intervistare o la giovanetta sedicenne della foto in bianco e nero che ho davanti agli occhi? La giovinetta che mi guarda dal sotto in su dal 1910 ha un’aria da santarellina che non mi convince proprio, non so se lei sa che io so che a quell’età non era poi così innocente come uno potrebbe pensare guardando la camicia, o vestito che sia, con le piegoline che sottolineano più che nascondere un seno di tutto rispetto, il cappello solo un po’ sbarazzino e le mani incrociate sul petto, che paiono giunte ma sono solo incrociate per lasciar intravedere delle unghie lunghe e ben curate. Io so che i capelli sono di un biondo fulvo e gli occhi sono d’un castano non chiarissimo, ma la foto in bianco e nero non rende giustizia alla realtà. Un bel tipino, non c’è che dire. E sarebbe lei questa signora anziana, coi capelli bianchi un po’ trasandati, una vestaglia da casa a fiori degna di una massaia di un rione popolare? Ma gli occhi sono vivissimi e la lingua puntuta, la parlantina non le manca di sicuro. Me l’ero immaginata diversa, che so io, un abito scuro, magari con un colletto alto di pizzo e un nastro

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