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Altri ORIENTI - Trentaquattro scrittori arabi in trasferta
Altri ORIENTI - Trentaquattro scrittori arabi in trasferta
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Altri ORIENTI - Trentaquattro scrittori arabi in trasferta

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Un movimento di andata: che è quello degli scrittori arabi in trasferta, non solo linguistica, nel nostro Paese. E un movimento di ritorno: per una ricezione, la nostra (di occidentali con qualche senso di colpa), dentro cui conta il livello di autorappresentazione e di autoconsapevolezza antropologico-culturale di quegli stessi scrittori nel momento in cui, aprendosi a un mondo “altro” -e secondo l’inevitabile istanza d’una traduzione che è anche, in quanto tale, un tradimento-, portano con sé la possibilità stessa del dialogo interculturale. Edward Said ce l’ha insegnato nel suo Orientalismo: l’Occidente ha spesso vincolato l’interpretazione del mondo arabo a un sistema di pregiudizi e luoghi comuni che ha fortemente compromesso l’incontro e la conoscenza reciproca. È però accaduto talvolta che, secondo Silvia Lutzoni, gli scrittori arabi, nei modi di un vero e proprio processo di autocolonizzazione culturale, hanno dato il loro equivoco contributo, predisponendosi all’incontro già in costume etnico, così come li si sarebbe voluti incontrare. Su queste premesse, Lutzoni fa seguire, a una prima sezione dedicata alle idee generali, una seconda esplicitamente concentrata su una congrua produzione letteraria di autori arabi recentemente tradotti in italiano, e una terza in cui alcuni degli indiscussi protagonisti di quel mondo sono chiamati alla testimonianza in viva voce, laddove l’incontro con l’intervistatrice si trasforma in avvincente confronto critico. Tutto questo in un libro in cui la critica, volta sempre alla decostruzione ideologica e antropologica del sistema dei valori all’opera, non rinuncia mai, proprio in virtù del lavoro di demistificazione, al giudizio di valore e alla verifica della qualità estetica dei libri via via esaminati.
LanguageItaliano
Release dateJan 2, 2012
ISBN9788878534414
Altri ORIENTI - Trentaquattro scrittori arabi in trasferta

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    Altri ORIENTI - Trentaquattro scrittori arabi in trasferta - Silvia Lutzoni

    EPUB-BOOK INFORMATION

    Questo Epub è stato formattato e testato con i seguenti programmi: Adobe Digital Edition; Kindle Previewer per Pc, per iPhone e per iPad; Epubcheck.

    Autore: Silvia Lutzoni

    Collana diretta da: Massimo Onofri

    Collana: Orrizonti 2

    Formato:

    Legatura: Brossura

    Pagine: 130

    ISBN: 978-88-7853-272-4

    Prezzo 15,00 €

    © 2011 Silvia Lutzoni

    Iª edizione, giugno 2011

    ISBN EBOOK: 978-88-7853-441-4

    Prezzo: 5,00 €

    © 2011 Edizioni Sette Città

    Iª edizione, dicembre 2011

    Progetto grafico e impaginazione: MATTEO SCARPA

    Proprietà letteraria riservata.

    La riproduzione in qualsiasi forma, memorizzazione o trascrizione con qualunque mezzo (elettronico, meccanico, in fotocopia, in disco o in altro modo, compresi cinema, radio, televisione, internet) sono vietate senza l’autorizzazione scritta dell’Editore.

    La casa editrice, esperite le pratiche per acquisire tutti i diritti relativi al corredo iconografico della presente opera, rimane a disposizione di quanti avessero comunque a vantare ragioni in proposito.

    Edizioni SETTE CITTÀ

    Via Mazzini 87 • 01100 Viterbo

    tel +39.0761.304967 • +39.0761.1768103

    fax +39.0761.303020 • +39.0761.1760202

    info@settecitta.eu • www.settecitta.eu

    SINOSSI

    Un movimento di andata: che è quello degli scrittori arabi in trasferta, non solo linguistica, nel nostro Paese. E un movimento di ritorno: per una ricezione, la nostra (di occidentali con qualche senso di colpa), dentro cui conta il livello di autorappresentazione e di autoconsapevolezza antropologico-culturale di quegli stessi scrittori nel momento in cui, aprendosi a un mondo altro -e secondo l’inevitabile istanza d’una traduzione che è anche, in quanto tale, un tradimento-, portano con sé la possibilità stessa del dialogo interculturale. Edward Said ce l’ha insegnato nel suo Orientalismo: l’Occidente ha spesso vincolato l’interpretazione del mondo arabo a un sistema di pregiudizi e luoghi comuni che ha fortemente compromesso l’incontro e la conoscenza reciproca. È però accaduto talvolta che, secondo Silvia Lutzoni, gli scrittori arabi, nei modi di un vero e proprio processo di autocolonizzazione culturale, hanno dato il loro equivoco contributo, predisponendosi all’incontro già in costume etnico, così come li si sarebbe voluti incontrare. Su queste premesse, Lutzoni fa seguire, a una prima sezione dedicata alle idee generali, una seconda esplicitamente concentrata su una congrua produzione letteraria di autori arabi recentemente tradotti in italiano, e una terza in cui alcuni degli indiscussi protagonisti di quel mondo sono chiamati alla testimonianza in viva voce, laddove l’incontro con l’intervistatrice si trasforma in avvincente confronto critico. Tutto questo in un libro in cui la critica, volta sempre alla decostruzione ideologica e antropologica del sistema dei valori all’opera, non rinuncia mai, proprio in virtù del lavoro di demistificazione, al giudizio di valore e alla verifica della qualità estetica dei libri via via esaminati.

    INFO AUTORE

    Sommario

    Giustificazione

    Contesti

    Persone

    Appendice (in viva voce)

    Fonti

    Nota bibliografica

    Giustificazione

    Che cosa troverà il lettore di questo libro? Intanto, nella prima sezione intitolata Contesti e dedicata, diciamo così, alle idee generali, vi rintraccerà un discorso, certo molto provvisorio, sulla rappresentazione che l’Occidente tende a restituirsi e restituirci del mondo arabo, non senza riferimenti a quella che gli stessi Arabi forniscono talvolta di se stessi, non di rado condizionati dalle stesse categorie occidentali di interpretazione, ormai ben assimilate dopo secoli di colonizzazione e qualche decennio di globalizzazione: discorso occasionato, come si vedrà, da un viaggio per un’importante fiera del libro egiziana, da un convegno a margine d’un prestigioso premio internazionale piemontese, da antologie di scrittori arabi tradotte di recente in italiano, da inchieste socio-antropologiche e così via. Poi, nella sezione Persone, ci si imbatterà nel censimento critico d’un congruo numero di opere di scrittori arabi –in gran parte romanzi- apparse in Italia nell’ultimo decennio, tradotte spesso dall’arabo, ma anche dall’inglese e dal francese, là dove il francese, com’è noto, rappresenta non di rado, per il traduttore italiano, non il punto di partenza della traduzione d’una traduzione, ma la lingua prima di cui s’è servita e ancora si serve un gruppo cospicuo di scrittori francofoni che, per molti motivi –non ultimi quelli di mercato- hanno deciso di comporre nell’alfabeto degli antichi colonizzatori: con non poche conseguenze ideologiche, come si vedrà, a cominciare dal caso più noto e clamoroso, e cioè quello del famoso scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun. Infine, nella folta appendice che chiude il volume -per documentare con la viva voce di alcuni indiscussi protagonisti il dibattito interculturale in corso-, quello stesso lettore avrà a disposizione una serie di interviste che, chi scrive, ha avuto modo di sottoporre a molti degli autori presenti nella seconda sezione del libro, su quegli stessi temi e problemi che costituiscono poi l’orizzonte critico entro cui, nelle pagine precedenti, ci si è costantemente mossi. Tutti scrittori arabi, gli intervistati, con la radiosa eccezione di due assoluti campioni della letteratura contemporanea, le cui parole ben si coniugano, come si vedrà, con le questioni che nel libro sono state affrontate: ci stiamo riferendo a George Steiner e Salman Rushdie.

    Per quanto s’è detto, il lettore non tarderà a rendersi conto dell’impianto intimamente comparatistico di questo lavoro: e non solo per l’irrefutabile e ovvia ragione che vi si documenta l’incontro tra una scrivente occidentale (una scrivente italiana, ma di declinazione insulare e mediterranea) e una letteratura che è poi quella araba contemporanea. Ma per motivi più profondi che hanno a che fare, diciamo così, con un movimento culturale di andata e ritorno, e con una volontà irriducibile di confronto e scambio. Un movimento di andata: che è quello degli scrittori arabi in trasferta, non solo linguistica, nel nostro Paese. Per una ricezione, la nostra appunto (di occidentali con qualche senso di colpa), in cui conta il livello di autorappresentazione e di autoconsapevolezza antropologica e culturale di quegli stessi scrittori nel momento in cui, aprendosi ad un mondo altro -e secondo l’inevitabile istanza d’una traduzione che è anche, in quanto tale, un tradimento-, portano con sé la possibilità stessa del dialogo interculturale. Ecco: in che senso e in che misura lo scrittore arabo tradotto risponde, nella rappresentazione e nella decostruzione critica del proprio sistema di valori, ad una domanda di verità storico-antropologica e, se si vuole, anche politica? In che senso e in che misura quella stessa autorappresentazione resta invece condizionata da quel patrimonio di pregiudizi e luoghi comuni, che l’Occidente ha prodotto, con sempre più impegno, da Flaubert in poi, e che Edward Said –in queste pagine decisivo punto di riferimento- ha stretto nel concetto di Orientalismo¹, secondo un processo, se così si può dire, di autocolonizzazione del proprio immaginario? Dire la veritಠs’intitolava un appassionato e militante libro dello stesso Said. E allora: in che senso e in che misura le ragioni critiche della verità possono entrare in concorrenza o, viceversa, in commercio con quelle mistificanti dell’ideologia? E con quali risultati letterari? Domanda, quest’ultima, non di poco conto, se è vero –e per noi lo è- che la forza della verità, nella creazione artistica, rimane sempre di una qualità rigorosamente estetica, secondo leggi sue proprie, assolutamente non confondibili con quelle della filosofia e della scienza.

    Un movimento di ritorno, si diceva pure: che è quello della scrivente, la quale, nel confronto con lo scrittore arabo di turno avrà modo di problematizzare ogni volta le sue stesse categorie di interpretazione critica, e la sua stessa identità di occidentale in modo da esentarsi, per quanto possibile, dai rischi di etnocentrismo, per ritornare così a quel mondo altro con la consapevolezza di un «relativismo culturale» che possa restare un principio di tipo «metodologico», ma mai «filosofico», secondo la distinzione rigorosamente formulata, nel 1962, da Nicola Abbagnano³. Quell’Abbagnano che, appunto, invitava a interpretare ogni civiltà (e ogni fatto culturale) dentro il suo sistema di valori di riferimento, l’unico autorizzato a fornire la misura etica per stabilire, di quell’eventuale comportamento culturale, l’eventuale bontà o cattiveria. Quell’Abbagnano che sempre rifiutò, invece, il relativismo culturale sostanziale di certi fautori filosofici, e non metodologici, come, per esempio, Melville J. Herskovits⁴, i quali approdarono, in nome d’una specie di fanatismo identitario, all’idea relativistica che le culture siano sistemi chiusi, monolitici, coerenti e compiuti in se stessi, e tra loro in rapporto di incomunicabilità. Il discorso di Abbagnano mirava, in realtà, a conseguenze opposte (e di tolleranza) a quelle di Herskovits: il fatto che le azioni dei singoli membri d’una comunità possano essere comprese e valutate solo in base al sistema di valori che la comunità riconosce, non comportava, ipso facto, l’impossibilità della comunicazione tra le differenti culture, ma nemmeno quella della modificazione dello stesso sistema di valori⁵. Potrebbe comportare, semmai, l’esportazione di precipui valori –mettiamo il concetto degli universali diritti dell’uomo- e la loro affermazione su scala planetaria. La storia dell’Occidente, del resto, ne è già una clamorosa conferma. Così come quella dell’Oriente fino alle rivolte di questi giorni, sotto le bandiere della democrazia, dei giovani egiziani. A questo dialogo interculturale, il nostro libro vorrebbe dare il suo piccolo e umile contributo. Si aggiungerà solo che, per comodità del lettore, si sono indicati data e luogo della prima pubblicazione degli scritti che qui si ripropongono e una rapida bibliografia in traduzione degli autori di cui ci si è occupati.

    1 Said, Edward W., Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente, (1978), trad. it. S. Galli, Torino, Bollati Boringhieri, 1991; Milano, Feltrinelli, 1999 e 2001.

    2 Said Edward W., Dire la verità. Gli intellettuali e il potere, (1994), trad. it, M. Gregorio, Milano, Feltrinelli, 1995

    3 Abbagnano, N., Il relativismo culturale, in Quaderni di Sociologia, XI (1962), pp. 5-22.

    4 Cfr. Herskovits, M. J., Man and his Works, New York, A. A. Knopf, 1948. Pietro Rossi ha rigorosamente ricostruito tutta l’evoluzione del dibattito relativo al concetto antropologico di cultura in Rossi, P. (a cura di), Il concetto di cultura. I fondamenti teorici della scienza antropologica, Torino, Einaudi, 1970, dove, alle pagine 301-330, è riportato un capitolo del libro di Herskovits, quello intitolato «A Theory of Culture».

    5 Sulla questione, cfr. Onofri, M., La ragione in contumacia. La critica militante ai tempi del fondamentalismo, Roma, Donzelli, 2007, pp. 29-30.

    Contesti

    Cercando un altro Egitto (appunti di viaggio)

    Quando nel gennaio del 2006 Magdi Daqqaq, il caporedattore della rivista filogovernativa cairota «Al-Hilal», annunciò di voler stampare il controverso romanzo di Naghib Mahfuz, già pubblicato ad episodi sul quotidiano «al-Ahram» per la prima volta nel 1959, intitolato Il rione dei ragazzi (tradotto da Pironti) e censurato dalla massima autorità religiosa egiziana (la moschea università di al-Azhar), la notizia finì sulle prime pagine dei giornali, non solo di quelli arabi, alimentando un dibattito che si sarebbe esaurito soltanto dopo mesi. Ciò accadde perché Mahfuz –l’unico premio Nobel di lingua araba- ribadì che mai ne avrebbe autorizzato la pubblicazione, finché la censura non fosse stata revocata: già negli anni Sessanta, in effetti, si era accordato con Gamal Abd Al-Nasser affinché il libro – che aveva offeso le autorità religiose, ma anche quelle politiche, poiché si richiamava alla drammatica situazione del Paese – non fosse stampato se non con l’approvazione degli ‘ulamà azhariti e con la prefazione di uno di loro. Che questo libro abbia segnato profondamente la vita di Mahfuz, si può affermarlo senza esitazione, se è vero che è stato il motivo per il quale, nel 1994, venne accoltellato da due integralisti islamici: una ferita che, per altro, gli compromise la funzionalità della mano, rendendogli difficile anche scrivere. Questo non può giustificare, tuttavia, le critiche di bigottismo o l’accusa, rivoltagli da più parti, di temere gli sheikh azhariti. Secondo lo scrittore egiziano Ala al-Aswani, suo caro amico, Mahfuz, con quella reazione, s’era soltanto rifiutato di prestarsi ad ogni strumentalizzazione. Per un’operazione che aveva tutta l’aria d’una provocazione: promuovere un attrito, se non uno scontro, tra le due opposizioni, laica e islamica radicale, dopo che le elezioni parlamentari dell’anno precedente avevano sancito il notevole successo dei Fratelli Musulmani, cercando di convincere l’Occidente che, pubblicando quel libro, il governo stava difendendo la libertà di espressione.

    «Ciò che tutti sanno ormai bene – ci dice al-Aswani- è che in realtà ogni giorno, ogni minuto, nei palazzi dei servizi segreti vengono torturate persone per reati d’opinione, e nelle carceri ci sono decine di migliaia di detenuti che aspettano anche da dieci anni di essere processati. Hanno contraffatto le elezioni e il presidente è in carica da trent’anni». Mahfuz, è morto ad agosto dello scorso anno, all’età di novantaquattro anni, e Dar Shurouk, una delle più importanti case editrici egiziane, quella che ha comprato i diritti di tutta l’opera di Mahfuz (appena uscita in una bella edizione in dieci eleganti volumi), ha pubblicato finalmente Il rione dei ragazzi, accompagnato da una prefazione dell’islamista moderato Kamal Abulmagd. Sarà forse per il fatto che il libro è circolato al Cairo clandestinamente nell’edizione libanese di Dar Al-Adab, ma da quando è uscito a dicembre, giusto in tempo per essere presentato alla trentanovesima Fiera Internazionale del Libro del Cairo (che cominciava il 23 gennaio), è andato già esaurito in alcune ristampe (le tirature in Egitto solo in casi eccezionali arrivano alle due, tremila copie), senza però che attorno all’evento si sollevasse alcun clamore. Già la Fiera: milioni di libri esposti in un complesso di ottantamila metri quadri, con 667 editori, di cui 514 egiziani, 118 arabi e 35 occidentali, con un ampio spazio dedicato alle case editrici italiane, se è vero che l’Italia era quest’anno l’ospite d’onore della manifestazione. Una presenza che, lo si deve ammettere, è stata deludente: erano presenti i piccoli editori che negli anni si sono distinti nella traduzione degli arabi e gli editori blasonati, a proposito dei quali, però, non ci si può non domandare il perché di un ampio catalogo di autori stranieri: non si andava in Egitto a presentare l’Italia? A che scopo organizzare, se no, tutta una serie di conferenze, incentrate sulle relazioni e gli scambi tra Paesi arabi e Italia, mettendo a confronto autori, editori, critici letterari, giornalisti e studiosi, ma italiani ed egiziani? Lo scopo, appunto, di far conoscere la nostra cultura agli egiziani. Peccato, però, che, esclusi i conferenzieri, i dipendenti dell’ambasciata e dell’istituto di cultura italiano, e i pochi studenti, di egiziani non se ne contassero altri. Certo, la scelta di organizzare la maggior parte dei dibattiti nella sede dell’Istituto di cultura nel residenziale quartiere di Zamalek non ha incoraggiato la partecipazione dei visitatori della Fiera, che si teneva, invece, a Medinet Nasr, situato a nord est del Cairo, nella parte opposta della città. Che resta, dobbiamo ricordarlo, una megalopoli di circa sedici milioni di abitanti, dove spostarsi da una zona all’altra non è facile, e per i mezzi di trasporto – vengono in mente milioni di formiche ipercinetiche e rumorose- e per le grandi distanze.

    Ma l’impressione vera è che le ragioni siano ben più profonde. Decidiamo così di andare a parlarne con Ala al-Aswani che ci accoglie nel suo studio alle dieci di sera: «Le democrazie europee, e dunque anche l’Italia, pensano di poter trattare con l’Egitto e con i Paesi arabi in generale come se anch’essi fossero democratici», comincia così, confermandoci nell’impressione che, con l’Italia ospite d’onore alla fiera, sia accaduto, per certi aspetti, ciò che accadde nel 2004 alla Buchmesse di Francoforte, quando l’ospite d’onore era il mondo arabo. In quella occasione l’organizzazione s’era rivolta non alle associazioni di intellettuali e scrittori, ma al governo egiziano, che aveva finito per inviare la sua magra delegazione di scrittori –quelli più compiacenti- e con essi aveva promosso una serie di dibattiti ai quali i tedeschi non avevano proprio preso parte. Per non parlare dell’imbarazzante esportazione di folclore, quando

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