MOZ-ART
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About this ebook
Punto di partenza del volume è la lettura del libro di Wolfgang Hildesheimer “Mozart” in cui l’autore sostiene la tesi che Mozart è inspiegabile, che è un musicista “divino” la cui grandezza poco avrebbe a che fare con la sua vita e la sua epoca. Fazia non vuole certo confutare la tesi relativamente alla genialità del compositore quanto piuttosto la parte riferita alla sua inspiegabilità, che trasforma la dovuta ammirazione in una sorta di devozione passiva che forse toglie, più che aggiungere, all’apprezzabilità della musica mozartiana. Partendo da questa considerazione l’autore analizza la musica di Mozart rapportandola anche alla sua vita, all’educazione paterna, all’epoca in cui visse.
Di lettura non semplicissima, ma assai intrigante se solo ci si arma di un po’ di pazienza, MOZ-ART è un libro che non può mancare nella biblioteca di chi ama la musica.
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Book preview
MOZ-ART - Salvatore Fazìa
Note
MOZ-ART
modus artis, il nome della cosa
"Noi non leggiamo più, ma nemmeno scriviamo più
nel vecchio modo... In un libro non c’è niente da capire,
ma molto di cui servirsi...
Il libro deve far macchina a qualcosa"
(Deleuze)
Dedica
a Gisella
Indice dei temi
Esergo
Introduzione
Allora, una premessa
La tesi della inspiegabilità
Formula della s-piegabilità
L’errore virtuoso dell’appassionamento
Schema del narcisismo
sistema A o dei biografemi
sistema B o dei morfemi analitici
Intermezzo tra fabula e intreccio
Archivio Psicologico Mozartiano
Tracce e architracce
Una considerazione impopolare
Archivio Musicale Mozartiano
Lexicon, il manierista eversivo
Appendice, 1
Appendice, 2
Note
Esergo
Questo testo è nato dalla lettura del libro di Wolfgang Hildesheimer (Mozart, Rizzoli, 1982), come reazione alla tesi del libro dove H. sostiene che M. è inspiegabile, e con lui la sua musica. M. sarebbe un artista divino e la sua musica poco avrebbe a che fare con la vita sua e dell’epoca, poco avrebbe a che fare con l’umanità stessa di M. e con la sua condizione esistenziale.
Ora, H. è morto e pare poco civile prendersela col suo libro e con la sua posizione, visto che l’autore non può rispondere. In effetti è così, se non fosse che la posizione di H. è condivisa da molti, e la sua tesi pure, con l’idea collaterale che M. sarebbe il più grande musicista di tutti i tempi e pertanto poco accessibile ad un’analisi esplicativa.
Fosse così a noi non resterebbe che chinare il capo e perdersi a testa bassa nel folto del gregge dei devoti, senza porre domande, umiliati dal destino, perfino nel desiderio di poterne dire la bellezza, di capirne le ragioni e con le ragioni i valori in campo: limitati all’emozione dei sensi, interrotti a quella dei significati, indotti al godimento dei fattori estetici e autorizzati all’estasi stessa della trasfigurazione senza che mai però si possa venire a sapere qualcosa del perché e del come di tanta impressionata felicità.
La nostra reazione è nata qui, a questo punto: nel desiderio, provocato dallo stesso H., di venire a sapere qualcosa di una storia per tanti versi così eccezionale e per tanti altri versi così caratterizzata, una storia così complicata e pur così semplice, così unica e così esemplare, tipica.
Nel desiderio anche di provare ad aprire l’enigma dell’arte e di confutare il dogma così diffuso e così radicale dell’enigmaticità dell’arte, investendo al riguardo di qualche responsabilità civile la critica stessa, che di mestiere, oltre a cantare nel coro delle laudi, qualcosa deve pure poter dire sulla funzione privata e pubblica, esistenziale e storica, intima e sociale, che la musica di M. ha di commuovere e di promuovere l’anima.
Il nostro tentativo si muove sul doppio binario esistenziale e estetico, biografico e analitico, convocando altresì nell’ambito della discussione tutte quelle culture che per vie diverse potevano dare una mano a sollevare i lembi più prossimi del problema, ad entrare tra loro e nelle pieghe di una qualche spiegazione.
Alla fine qualcosa forse è venuto fuori, che, quando è stato tenuto entro i limiti dell’evidenza o della plausibilità, della stessa probabilità, pare utile e efficace, quando invece ha voluto inoltrarsi in tutte le complessità e aggirarsi tra tutte le profondità del caso, se da una parte chiede tolleranza in ragione del beneficio dell’inventario, dall’altra si apre al rischio di qualche delusione e magari del rifiuto. L’insistenza ha una sola ragione, quella civile di provare a sfatare l’unilateralità generica dell’arte e quella specifica della musica, aprendo alla multilateralità della parola e della critica, e ciò per dare una qualche ragione o un qualche diritto di legittimità alla cultura superiore della coscienza.
E, tuttavia, avvertiti come siamo dalla nota ammonizione di Lacan, secondo la quale bisognerebbe sempre portare il pensiero a rifiutare il discorso analitico alle canaglie, non ce la siamo sentita di rinunciare a forme di pensiero tenute unicamente aperte tra l’idealità del domandare e la volontà di sapere.
Il libro non è una biografia di M., tanto meno una monografia sulla sua opera o su aspetti della sua opera, è un libro sui generis: intanto è un pamphlet il cui tirassegno analitico punta sulla tipologia - musica e genio - dell’autore, sulla passione di trovarne fatalità e destino, il cui fattore è biologico, nel senso che l’arte della musica in M. diventa qui quella cosa che indicava lui stesso quando la chiamava expression, ossia getto emozionale, gesto psicologico.
Introduzione
Nessuna cosa è dove la parola manca
(Stefan George)
"Ormai si è intelligenti,
e si sa per filo e per segno come sono andate le cose"
(Friedrich Nietzsche)
"la storia dell’arte non appartiene solo a se stessa,
ma serve ad annunciare l’uomo"
(Wilhelm Pinder)
"Dato che di solito intercorre affinità
tra la psiche del genio e quella del suo interprete,
questi dovrebbe utilizzare le conoscenze della psicanalisi,
di un’analisi sperimentata personalmente"
(Wolfgang Hildesheimer)
Stefan George nota che la cosa viene a mancare quando la parola manca. Qui, nel testo di H., che è l’oggetto in discussione, la parola che viene a mancare è il nome della cosa attorno alla quale M. ha trovato e perduto la sua stessa vita. Ognuno ha la sua: chi essere, che fare per essere qualcosa e diventare ciò che si è? È il problema in cui ognuno si cerca, si guarda, s’interroga, bussando alla porta di un qualche sembrare, sperando risposte, informazioni, indizi. Ognuno è il suo enigma, per cui, non avendo la parola di quello che è, viene meno a se stesso, e allora ha ragione Stefan George: si fa vuota la vita.
Il saggio nasce in una circostanza che può essere avvertita come antipatica, perché prende le mosse da una polemica che non riusciamo a tacere e a far passare inosservata, e sulla quale anzi insistiamo perché il pregiudizio che contestiamo è uno di quelli che pressoché universalmente si è costituito in dogma: l’arte sarebbe indefinibile, Mozart, il divino, sarebbe inspiegabile. Intollerabile a una coscienza moderna, per la passione contraria, la tesi condiziona l’umore stesso delle forme del testo che qui ne contesta legittimità e senso. Queste, le forme, ne patiscono l’occasione, dando luogo a delle prese di posizione francamente insofferenti. È quasi un vezzo, quello di dire che l’arte non si spiega, e che l’opera d’arte è un evento tipologicamente ineffabile: succederebbe all’opera d’arte quel che succede ai miracoli: scientificamente inspiegabili, sarebbero meglio gestiti dall’ignoranza. È sopportabile? E, poi, la vulgata è talmente diffusa, che ne sono intaccate le stesse radici del pensare comune, per cui non è il solo H. a sostenere che l’arte, la musica, non si può e non si deve spiegare - che M., in un’eccezione assoluta, è inaccessibile alle forme dell’interpretazione parlata -, si può anche dire che, in alto loco quanto in basso, è opinione diffusa che l’indefinibilità dell’arte costituisca ormai un principio di fede e un credo generale. La cosa ritorna puntualmente anche qui, dove l’idea è che nessuno possa accedere alla soglia della musica e per questa via possa trovarne il nesso di umanità e esistenzialità che la motiva: H. crede di sostituire il difetto di analisi con l’effetto della passione, in realtà all’origine della posizione c’è qualcosa che manca, qualche parola.
Nel caso, di cui fa questione H., la parola che manca è quella che farebbe ritrovare quello che è stato M. e la circostanza di una musica che, nell’estremismo pubblico e privato a cui è stata portata, ha operato in parte contro la storia, in termini di una secessione imprevista, e in parte verso la vita in termini di una esaltazione dei sensi prima d’allora mai vista. M. è il caso di un essere che ancora piccolo viene eccitato al problema del successo e verso i mondi incendiari dell’arte, e ciò tramite la musica e lo spettacolo di sé come prodigio, sistematicamente esposto alla scena, a sipario aperto, e di fronte a tipi di pubblico pericolosi, i più rischiosi, i più drammatici, come sono quelli delle corti, dove le aristocrazie si divertono ai casi in cui le vite estreme dell’arte sono messe a spettacolo, e dove il risultato è