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Psicologia Clinica Ospedaliera e Territoriale
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Psicologia Clinica Ospedaliera e Territoriale

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Questo testo tratta della Psicologia clinica. Il termine clinico possiede in sé il medesimo significato di quella che sarà la pratica della Psicologia Clinica. La parola e il conseguente concetto di clinico deriva da klinikòs che significa allettamento, posizione rilassata, posizione di riposo, che si fa presso il letto ( klìné). Indica una situazione dove non vi sono azioni, indica tutti quei contesti dove l’essere umano può appoggiarsi, distendersi e questo viene derivato anche da klìnò che sta per pendere, inclinare, appoggiarsi.
Klìné indica anche le pieghe, quello che si nasconde tra le crespe delle lenzuola. In riferimento alla Psicologia Clinica, che usa la relazione in primis e la parola, klìné diventerà il discorso che si nasconde tra gli anfratti, tra le gole frastagliate di un territorio sconnesso come, similmente, appare l’essere umano quando si trova in situazioni di crisi.
In Psicologica Clinica lo strumento principale è il colloquio che si sviluppa ad esempio tra il paziente e l’infermiere producendo un campo di relazione che come tale sospende ogni altro atto curativo. In questo campo relazionale diventano importanti questi fattori:
le emozioni e lo scambio che avviene attraverso l’empatia,
la comunicazione determinata dagli atti di parola e di non parola, dalla voce e dai silenzi,
l’attivazione dell’inconscio,
l’attivazione dell’immaginario,
il transfert e il controtransfert,
i meccanismi di proiezione,
le capacità e le strategie di osservazione.
I sintomi, in Psicologia Clinica, vengono ad assumere un significato diverso rispetto al contesto biologico/anatomico o medico/organicista. I sintomi sono delle forme di linguaggio dell’essere preso nella sua globalità, come entità psicosomatica. La mente parla attraverso il corpo in forme espressive denominate sintomi psicosomatici, un vero e proprio linguaggio che esprime i disagi/tensioni che il soggetto vive all’interno di sistemi famigliari malati, gruppi di lavoro carichi di inquietudini e di conflitti.
Ogni essere umano incorpora il mondo e nei processi di digestione o elaborazione mentale si costruisce delle scene, delle rappresentazioni, dei modelli, dei ricordi. Le reazioni, le risposte che l’individuo manifesta si esprimeranno a livello corporeo e/o a livello comportamentale. Nel primo caso troviamo la formazione dei sintomi/sindromi psicosomatici, nel secondo caso le nevrosi o le psicosi, altre volte i primi e i secondi si esprimono contemporaneamente. In quest’ultimo caso l’angoscia sottesa sarà quantitativamente maggiore e qualitativamente diversa.
In Psicologica Clinica lo strumento principale è il colloquio che si sviluppa ad esempio tra il paziente e l’infermiere producendo un campo di relazione che come tale sospende ogni altro atto curativo. In questo campo relazionale diventano importanti questi fattori:
le emozioni e lo scambio che avviene attraverso l’empatia,
la comunicazione determinata dagli atti di parola e di non parola, dalla voce e dai silenzi,
l’attivazione dell’inconscio,
l’attivazione dell’immaginario,
il transfert e il controtransfert,
i meccanismi di proiezione,
le capacità e le strategie di osservazione.
I sintomi, in Psicologia Clinica, vengono ad assumere un significato diverso rispetto al contesto biologico/anatomico o medico/organicista. I sintomi sono delle forme di linguaggio dell’essere preso nella sua globalità, come entità psicosomatica.
LanguageItaliano
Release dateNov 18, 2015
ISBN9788869821431
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    Psicologia Clinica Ospedaliera e Territoriale - Silvano Secco

    integrato.

    INTRODUZIONE.

    Vivendo a stretto contatto, per molti anni, con i malati e le loro famiglie, con le Istituzioni presenti nel territorio (Distretti, Comuni e Ospedale), con Istituzioni sovra territoriali come i Tribunali (Tribunale per i Minorenni, Tribunale ordinario, Tribunale penale) diventiamo testimoni e depositari di un sapere che ci viene trasmesso inconsapevolmente da loro stessi, attori di scenari inconsapevoli. Questo sapere si fa strada e si impone in noi, così che, scrivere diventa un bisogno incalzante che non dà tregua.

    Ogni Paziente potrebbe, con la sua storia personale, riscrivere un proprio trattato di fisiologia o psicologia umana. Noi possiamo diventare il loro ponte.

    Questo libro è anche il frutto di tale albero della vita maturato dalla riflessione, dalle letture e dagli incontri di formazione con i medici, gli infermieri, gli operatori socio sanitari, gli educatori professionali, i riabilitatori, gli insegnati e anche i non-professionisti. I non-professionisti, come ad esempio i volontari o le famiglie di appoggio, le famiglie affidatarie sono una speciale categoria di persone depositarie di saperi e di atti di cura. Ritengo personalmente che lo psicologo, come figura professionale, oltre alla diagnosi e cura, attraverso le varie forme di psicoterapia che conosce, dovrebbe, come proprio vincolo etico, dare vita a proposte formative.

    La formazione, in generale, è la strada maestra che può condurre a delle modificazioni concrete degli stati mentali interiori, che poi possono dar vita a modelli operativi concreti, con all’interno un quid fondamentale che si chiama umanizzazione. In altri termini, tali modificazioni/trasformazioni interiori, sono indispensabili per preparare il professionista e il non-professionista verso cambiamenti importanti, quali la creazione di modelli operativi d’intervento che, lasciando spazio alle emozioni, divengano più umani, ma non solo.

    Questo testo vuole essere una testimonianza di fede nell’essere umano e di quello che di Sacro esiste in ogni individuo, al di là del credo o dell’ateismo professato, che sono delle libere scelte di vita, ovvero le dimensioni della esistenza e della passione, della morte e della sofferenza. L’intenzione è quella di offrire un messaggio che esalti il senso del rispetto tramite forme di com-passione non patologiche. Ho compreso dopo molti anni di lavoro che non è facile né scontato rispettare e voler bene alle persone, in modo indistinto e gratuito.

    Lavorare in un contesto ospedaliero e lavorare in un contesto comunitario territoriale, come la casa dove il Paziente abita con la sua famiglia, inseriti a loro volta in una fitta rete di relazioni, non si equivalgono come interventi. Lavorare in ospedale o nel territorio richiede uno stile di approccio diverso e delle conoscenze psicologiche, pedagogiche, sociologiche, antropologiche differenti. In questo libro si cercherà quindi di riflettere su queste differenze e sulle strategie che si possono utilizzare.

    Nella realtà/concretezza appare poi difficile/complicato lavorare in maniera integrata tra operatori con qualifiche e ruoli diversi, ma anche sovrapponibili, come ad esempio i professionisti che appartengono ad un Servizio di Psichiatria quali l’Assistente sociale, lo Psichiatra, l’Infermiere, lo Psicologo, l’O.S.S., l’Educatore professionale, i Famigliari, i Volontari. Una difficoltà analoga la ritroviamo quando, necessariamente, interagiscono figure appartenenti, non solo ad uno stesso Servizio, ma a più Istituzioni, come ad esempio professionisti provenienti dall’Ospedale, dal Comune, dal Distretto, della Scuola. Uno degli obiettivi del libro quindi è offrire delle indicazioni utili per costruire modelli integrati di lavoro d’équipe.

    Nel nostro microcosmo personale e relazionale/comunitario, la malattia e la salute sono degli universi molto complessi ed interagenti, come la vita e la morte. Sono degli universi che val la pena conoscere/approfondire nei loro risvolti, altre volte nei loro anfratti, di natura non geologica, non anatomica, ma psicologica e sociale, perché comunque conducono all’Essere.

    Leitmotiv, suffragato anche dalle attuali ricerche scientifiche, non più solo cliniche, ma anche rigorosamente comprovate, è quello delle emozioni. Le emozioni, vero filo conduttore del libro, appariranno come folletti lungo tutto il percorso degli argomenti trattati in questo libro, che è anche una raccolta di lezioni, incontri fortunati con persone speciali, letture affascinanti che molte volte mi hanno aiutato a ritrovare il cammino. Le emozioni sono una risorsa e nello stesso tempo un problema perché, se non adeguatamente elaborate e contenute, possono determinare una difficoltà di controllo/devianza del comportamento o loro trasformazione in sintomo/sindrome.

    CAP. Dalla clinica alla psicosomatica

    Clinica.

    I metodi di studio e di approccio per affrontare le problematiche psicologiche sono vari: metodo dell’osservazione, metodo sperimentale, metodo psicometrico e metodo clinico.

    Il termine clinico possiede in sé il medesimo significato di quella che sarà la pratica della Psicologia Clinica. La parola e il conseguente concetto di clinico deriva da klinikòs che significa allettamento, posizione rilassata, posizione di riposo, che si fa presso il letto ( klìné). Indica una situazione dove non vi sono azioni, indica tutti quei contesti dove l’essere umano può appoggiarsi, distendersi e questo viene derivato anche da klìnò che sta per pendere, inclinare, appoggiarsi.

    Klìné indica anche le pieghe, quello che si nasconde tra le crespe delle lenzuola. In riferimento alla Psicologia Clinica, che usa la relazione in primis e la parola, klìné diventerà il discorso che si nasconde tra gli anfratti, tra le gole frastagliate di un territorio sconnesso come, similmente, appare l’essere umano quando si trova in situazioni di crisi.

    La parola crisi deriva la latino "crisis" e dal greco krìsis, krìnõ, separo e figurativamente decido. Crisi significa anche scelta, momento che separa, una maniera di essere diversa da un’altra precedente, piega decisiva che prende un evento.

    In cinese la parola crisi è composta da due ideogrammi: il primo, wei, significa problema, il secondo, ji, significa opportunità. Anche nella nostra lingua l’etimologia della parola crisi suggerisce un duplice significato, quello della separazione e di crescita, diventando quindi la possibilità di una scelta.

    È importante saper lavorare con le crisi, imparare ad affrontare/gestire le crisi perché sono sempre una grande occasione di vita, anche se provocano tormento interiore, sofferenza psicologica.

    Le crisi entrano in gioco nel processo della crescita, in modi particolari e in determinati momenti del ciclo evolutivo, dell’individuo o di un sistema, come ad esempio la coppia o un gruppo. Le crisi contengono sempre un potenziale, ovvero il potenziale di trasformazione, che conduce a nuovi e inaspettati equilibri. Affinché questo potenziale si liberi è necessario riuscire ad affrontare la crisi e i suoi percorsi interni in modo corretto.

    Le crisi possono essere considerate in base al tempo di durata. Vi sono crisi veloci e crisi prolungate nel tempo. Ad esempio la crisi di pianto di un bambino di ventiquattro mesi è una crisi veloce, mentre la crisi adolescenziale è una crisi a lungo respiro, durante la quale vi possono essere dei momenti più avversi. Se pensiamo agli individui ci possono venir in mente anche la vecchiaia, la gravidanza; se ci riferiamo alle coppie ci vengono in mente le separazioni o i momenti di non comprensione, i conflitti; se consideriamo quello che ci riserva la vita possiamo incontrare le malattie, i lutti, i trasferimenti, il pensionamento, il passaggio da un ordine di scuola ad un altro.

    Una crisi è un momento di rottura determinato dal passaggio da un livello ad un altro, ovvero un momento che prepara una trasformazione. Ogni crisi postula un lavoro ed esige i suoi tempi per poter arrivare ad un nuovo equilibrio. È come se una persona arrivasse ad un incrocio, lì, in quello spazio-tempo, la sua strada si biforca e richiede/impone la necessità di attuare una scelta e in ogni caso un cambio di direzione. Quando si decide di prendere una direzione, in quell’istante, quando ci troviamo lì fermi all’incrocio c’è la sensazione di una doppia perdita; si lascia la strada precedentemente percorsa e si perde la strada che non si può percorre avendo fatto una scelta.

    In Psicologica Clinica lo strumento principale è il colloquio che si sviluppa ad esempio tra il paziente e l’infermiere producendo un campo di relazione che come tale sospende ogni altro atto curativo. In questo campo relazionale diventano importanti questi fattori:

    • le emozioni e lo scambio che avviene attraverso l’empatia,

    • la comunicazione determinata dagli atti di parola e di non parola, dalla voce e dai silenzi,

    • l’attivazione dell’inconscio,

    • l’attivazione dell’immaginario,

    • il transfert e il controtransfert,

    • i meccanismi di proiezione,

    • le capacità e le strategie di osservazione.

    I sintomi, in Psicologia Clinica, vengono ad assumere un significato diverso rispetto al contesto biologico/anatomico o medico/organicista. I sintomi sono delle forme di linguaggio dell’essere preso nella sua globalità, come entità psicosomatica. La mente parla attraverso il corpo in forme espressive denominate sintomi psicosomatici, un vero e proprio linguaggio che esprime i disagi/tensioni che il soggetto vive all’interno di sistemi famigliari malati, gruppi di lavoro carichi di inquietudini e di conflitti.

    Ogni essere umano incorpora il mondo e nei processi di digestione o elaborazione mentale si costruisce delle scene, delle rappresentazioni, dei modelli, dei ricordi. Le reazioni, le risposte che l’individuo manifesta si esprimeranno a livello corporeo e/o a livello comportamentale. Nel primo caso troviamo la formazione dei sintomi/sindromi psicosomatici, nel secondo caso le nevrosi o le psicosi, altre volte i primi e i secondi si esprimono contemporaneamente. In quest’ultimo caso l’angoscia sottesa sarà quantitativamente maggiore e qualitativamente diversa.

    Psicosomatica.

    Il passaggio delle emozioni o delle tensioni dalla mente al corpo e viceversa utilizza vie di tipo biologico, ovvero le terminazioni nervose e altre sostanze più piccole come i neuro ormoni. Molte osservazioni fatte sul piano clinico, come ad esempio gli effetti dello stress o dei traumi, i collegamenti tra il dolore e gli stati depressivi, i sentimenti di collera espressi o inibiti e alcune forme di malattia d’organo, che in parte cercheremo di raccontare in questo testo, hanno trovato delle conferme sui piani scientifico e ad esempio sono state scoperte le vie fisiologiche dell’empatia.

    Quello che comunque ci interessa è il punto di vista della Psicologia Clinica, questo per un motivo fondamentale, nell’approccio clinico e quindi tramite la relazione ed il dialogo riusciamo ad aiutare il paziente nel lavoro di comprensione, di gestione e anche di guarigione/trasformazione dalla propria malattia. Solo in una relazione significativa la persona/paziente può trovare l’espressione delle componenti psicologiche della propria malattia. Estremizzando, possiamo affermare che chiunque (infermiere, medico, psicologo, volontario) può diventare questa figura significativa, se il paziente lo sceglierà come depositario di un sapere che va al di là delle conoscenze scientifiche e se, questo chiunque, accetterà tale importante investitura.

    Le persone/pazienti oltre alla cura cercano anche la saggezza.

    CAP. La malattia e alcune strategie psicologiche.

    1. I disturbi di personalità e le difese psicologiche.

    Il termine persona deriva dal latino e designa la maschera che l’attore indossava quando recitava la sua parte nello scenario.

    La personalità contiene l’insieme delle caratteristiche proprie di quel soggetto che egli utilizza nella sua vita per consentirgli di adattarsi all’ambiente che lo circonda. È il prodotto di componenti biologiche e di acquisizioni progressive conquistate nel corso della vita equivalenti ad una particolare forma cristallizzata di intelligenza.

    I tratti di personalità sono schemi costanti fatti di comportamenti che si integrano con le emozioni e gli aspetti cognitivi, sempre molto soggettivi.

    Un meccanismo di difesa è una funzione psicologica che appartiene alla struttura di personalità tipica di un individuo e che viene inconsapevolmente messa in atto al fine di proteggersi dall’ansia, generata da richieste eccessive, da stimoli sproporzionati. Un meccanismo di difesa entra in azione senza che la persona ne sia cosciente, agisce quindi a livello inconscio.

    Utilizzando il modello interpretativo di tipo psicanalitico possiamo affermare che l’Io, che è la componente dell’apparato psicologico più aderente alla realtà e composto dalla logica razionale, ricorre a varie strategie per fronteggiare l’estrema portata ansiosa dell’evento, con lo scopo preminente di escludere dalla coscienza ciò che è ritenuto inaccettabile e pericoloso.

    Raramente i meccanismi di difesa intervengono separatamente, nella maggior parte dei casi sono combinati per fronteggiare l’evento o l’effetto sotto più profili.

    I meccanismi di difesa vengono utilizzati anche da un Io stabile e maturo, perché servono a gestire le comuni richieste che provengono dalle pulsioni della persona stessa e dalle pressioni ambientali.

    Vi è poi un’altra istanza psicologica interna all’individuo che può provocare ansia, è quella che si è costruita sulle norme, regole, ovvero la coscienza morale, chiamata anche Super Io nella teoria psicanalitica.

    Nei casi in cui i meccanismi di difesa vengano impiegati in senso disadattivo, sono riscontrabili le più comuni forme di disturbo mentale come le nevrosi, le strutture narcisistiche, i disturbi di personalità e le psicosi.

    Le difese primarie o primitive sono quelle difese che si sono strutturate nei primi periodi della vita di un bambino e che troviamo nelle persone adulte con gravi disturbi nel funzionamento della personalità:

    • il ritiro primitivo,

    • la negazione ed il diniego,

    • la proiezione,

    • l’introiezione,

    • la razionalizzazione,

    • la identificazione proiettiva,

    • la dissociazione e la scissione.

    Le difese secondarie o mature sono quelle difese più evolute, quando la persona conserva il senso di coerenza e continuità del Sé, le capacità di narrazione e contatto con la realtà:

    • la rimozione,

    • la regressione,

    • l’isolamento,

    • l’intellettualizzazione,

    • la razionalizzazione,

    • lo spostamento,

    • la formazione reattiva,

    • l’identificazione,

    • l’altruismo,

    • l’idealizzazione,

    • la sublimazione.

    1.1I disturbi di personalità.

    Le difese si adattano e sono l’espressione di quella particolare forma di struttura di personalità. Parlare, anche se brevemente, dei disturbi di personalità ci consente di comprendere il concetto di personalità.

    L’Associazione Psichiatrica Americana che produce il manuale diagnostico DSM 5 del 2013 definisce il disturbo di personalità come una struttura stabile di comportamento o di esperienza interna molto lontana da quella che ci si può aspettare per uno specifico contesto socio-culturale, che sin dall’infanzia o dalla adolescenza, si presenta come pervasiva, stabile, inflessibile e che comporta un notevole disagio o scadimento della qualità della vita. Appare comunque difficile stabilire i confini tra una personalità disturbata e una personalità sana, esiste di fatto un continuum che si può visualizzare come una linea, a tratti spezzata o contenente dei gradini.

    Le caratteristiche diagnostiche sono determinate dalla alterazione:

    • della capacità di percepire la realtà, con distorsione cognitiva nella percezione e interpretazione di Sé, degli altri, degli eventi,

    • dal modo in cui l’individuo si rapporta a se stesso, con distorsione affettiva nella sua variabilità, intensità, labilità, risposte affettive non adeguate,

    • dalla maniera di rapportarsi con l’ambiente, con problemi nelle relazioni,

    • in generale le strategie sono rigide, non adattive,

    • vi è una certa sofferenza soggettiva o del funzionamento, con difficoltà a controllare gli impulsi.

    Cos’è il DSM 5.

    Il DSM è il Manuale Statistico e diagnostico dei Disturbi di personalità pubblicato dall’APA (Associazione Psichiatrica Americana). Definisce in termini descrittivi i sintomi ed i criteri per la diagnosi dei disturbi di personalità, fornendo così un linguaggio comune per i clinici.

    Il DSM 5, come i precedenti, si dichiara ateorico e propone un approccio alla diagnosi relativa ai disturbi di personalità di tipo categoriale, ovvero ciascuna psicopatologia viene considerata una entità discreta, diversa qualitativamente dalle altre categorie e la cui definizione avviene alla presenza di criteri riconosciuti ed elencati come specifici. Questo perché si è voluto ridurre al minimo le diverse interpretazioni operate dai clinici e l’inevitabile conseguente disaccordo. Il DSM consente al clinico di fare una specifica diagnosi in presenza di un certo numero di minimo di sintomi.

    Collegato allo studio della personalità troviamo un concetto importante, quello di tratto di personalità, ovvero una disposizione ad agire relativamente indipendente dal contesto. Il tratto di personalità è in qualche misura determinato da elementi geneticamente costitutivi. Soltanto quando i tratti sono così rigidi e disadattavi da causare compromissione funzionale, disagio intrasoggettivo, allora denotano o contribuisco alla formazione di un disturbo di personalità.

    Prendendo come esempio l’ansia, Spielberger C.¹ ha elaborato un questionario² di autovalutazione distinguendo tra ansia di tratto e ansia di stato.

    L’ansia di tratto riflette la modalità con cui un soggetto tende/predisposizione a percepire normalmente/frequentemente come pericolosi/minacciosi stimoli o situazioni ambientali, mostrando una marcata reattività ad un numero maggiore di stimoli, con elevato arousal, debolezza dell’Io, tendenza ai sensi di colpa. Questo tipo di ansia fa parte delle caratteristiche della personalità e quindi non è patologica se non quando supera certi livelli. È da considerare come un elemento predisponente alla patologia ansiogena.

    L’ansia di stato è la risposta emozionale normale che l’individuo prova in circostanze contingenti oggettivamente pericolose. Queste ultime rompono il normale equilibrio emozionale dell’individuo, ma l’ansia di stato aiuta ad affrontare la situazione. Diventa patologica quando permane oltre un certo tempo ed è elevata.

    Le persone con elevati livelli di stato di tratto tendono a sviluppare con più frequenza disturbi di ansia di stato in circostanze cioè a basso potenziale ansiogeno.

    1.1I disturbi di personalità.

    Le difese si adattano e sono l’espressione della particolare forma della struttura di personalità di un individuo.

    Il Disturbo di personalità nel DSM 5 lo si trova in due Sezioni del Manuale, la Sezione II e la Sezione III. La prima è dedicata alla diagnosi, la seconda è proiettata alla ricerca, ma appare interessante perché contiene una visione psicodinamica.

    Il DSM 5 distingue sei Criteri generali che ci possono aiutare nella definizione di Disturbo di personalità:

    A. un pattern abituale di esperienza interiore e di comportamento che devia marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell’individuo. Questo pattern si manifesta in due (o più) delle seguenti aree: 1) cognitività, cioè i modi di percepire e interpretare se stessi, gli altri e gli avvenimenti, 2) affettività, cioè varietà, intensità, labilità e adeguatezza della risposta emotiva, 3) funzionamento interpersonale, 4) controllo degli impulsi.

    B. il pattern abituale risulta inflessibile e pervasivo, in un’ampia varietà di situazioni personali e sociali

    C. il pattern abituale determina disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti

    D. il pattern è stabile e di lunga durata, l’esordio può essere fatto risalire all’adolescenza o alla prima età adulta

    E. il pattern abituale non risulta meglio giustificato come manifestazione o conseguenza di un altro disturbo mentale

    F. il pattern abituale non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza (per es. una sostanza da abuso, un farmaco) o di un’altra condizione medica (per es. un trauma cranico).

    1.2Classificazione diagnostica dei disturbi di personalità secondo il DSM 5.

    Gruppo A eccentrico.

    Disturbo paranoide di personalità: il parametro fondamentale è la sospettosità e la sfiducia verso gli altri. Sono persone che si sentono costantemente sfruttate, danneggiate, ingannate dagli altri. Sono costantemente risentiti e patologicamente gelosi. Suscitano nell’altro (= contro-transfert) risposte ostili, che danno conferma alla loro sospettosità.

    Criteri diagnostici:

    A. Diffidenza e sospettosità pervasive nei confronti degli altri, tanto che le loro motivazioni vengono interpretate come malevole, iniziano nella prima età adulta e sono presenti in svariati contesti, come indicato da quattro (o più) dei seguenti elementi: 1)il soggetto sospetta senza fondamento di essere sfruttato, danneggiato, ingannato dagli altri; 2)dubita senza giustificazione della lealtà e affidabilità di amici e colleghi; 3)è riluttante a confidarsi con gli altri a causa di timore ingiustificato che le informazioni possano essere utilizzate in modo maligno contro di lui; 4)legge significati nascosti umilianti o minacciosi in osservazioni o eventi benevoli; 5)porta costante rancore; 6)percepisce attacchi al proprio ruolo o reputazione non evidenti agli altri ed è pronto a reagire con rabbia o a contrattaccare; 7)sospetta in modo ricorrente, senza giustificazione, della fedeltà del coniuge o partner.

    B. Il disturbo non si manifesta esclusivamente durante il decorso della schizofrenia, del disturbo bi-polare o depressivo con caratteristiche psicotiche o di altro disturbo psicotico e non è attribuibile agli effetti fisiologici di altra patologia medica.

    Disturbo schizoide di personalità: il parametro fondamentale è il distacco emotivo dalle relazioni sociali. Appaiono indifferenti alle relazioni umane, freddi e glaciali. Tendono ad isolarsi, pochi amici.

    Criteri diagnostici:

    A. Un pattern pervasivo di distacco dalle relazioni sociali e una gamma ristretta di espressioni emotive in situazioni interpersonali, che inizia nella prima età adulta ed è presente in svariati contesti, come indicato da quattro ( o più) dei seguenti elementi: 1) non desidera né prova piacere nelle relazioni affettive, incluso il far parte di una famiglia; 2) quasi sempre sceglie attività individuali; 3) dimostra poco o nessun interesse di aver rapporti sessuali con altra persona; 4) prova piacere in poche o nessuna attività; 5) non ha amici stretti o confidenti, eccetto i parenti di primo grado; 6) sembra indifferente alle lodi o alle critiche degli altri; 7) mostra freddezza emotiva, distacco o affettività piatta.

    B. Il disturbo non si manifesta esclusivamente durante il decorso della schizofrenia, del disturbo bi-polare o depressivo con caratteristiche psicotiche o di altro disturbo psicotico o di disturbo dello spettro autistico e non è attribuibile agli effetti fisiologici di altra patologia medica

    Disturbo schizotipico della personalità: il parametro fondamentale è l’eccentricità nel comportamento, la presenza di distorsioni cognitive o percettive. Tendono ad interpretare gli eventi casuali come riferiti a sé. Sono quindi superstiziosi, attratti dal paranormale e capaci di intuire/anticipare gli eventi e il loro significato.

    Criteri diagnostici:

    A. Un pattern pervasivo di deficit sociali ed interpersonali caratterizzato da disagio acuto e ridotta capacità, riguardanti le relazioni affettive, da distorsioni cognitive, percettive ed eccentriche di comportamento, che inizia entro la prima età adulta ed è presente in svariati contesti, come indicato da cinque ( o più) dei seguenti elementi: 1) idee di riferimento³ (escludendo i deliri di riferimento); 2 convinzioni strane o pensiero magico che influenza il comportamento e sono in contrasto con le norme sub culturali (per esempio, superstizione, credere nella chiaroveggenza, nella telepatia, nel sesto senso,nei bambini o adolescenti fantasie e pensieri eccessivamente bizzarri); 3) esperienze percettive insolite⁴, incluse illusioni corporee⁵; 4) pensiero ed eloquio strani ( ad esempio vago, circostanziale, metaforico, iperelaborato o stereotipato); 5) sospettosità o ideazione paranoide; 6) affettività inappropriata o limitata; 7) comportamento o aspetto strani, eccentrici o peculiari; 8) nessun amico o confidente, eccetto i parenti di primo grado; 9) eccessiva ansia sociale, che non diminuisce con l’aumento della familiarità e tende ad essere associata a preoccupazioni paranoidi piuttosto che a giudizio negativo di sé.

    B. Non si manifesta esclusivamente durante il decorso della schizofrenia, di un disturbo bipolare o depressivo con caratteristiche psicotiche, di un altro disturbo psicotico o di un disturbo dello spettro autistico.

    Gruppo B amplificativo-emotivo.

    Disturbo antisociale di personalità: il parametro fondamentale è la violazione delle regole sociali e dei diritti degli altri. Tale disturbo è anticipato nelle fasi evolutive da disturbi nel comportamento (vedi i disturbi dirompenti del comportamento). Questi soggetti compiono ripetuti atti illegali, molestano le persone e gli animali, sono impulsivi, irritabili, aggressivi. Hanno maggiori probabilità di morire per cause violente come suicidio, incidenti, omicidi, uso di sostanze.

    Criteri diagnostici:

    A. Un pattern pervasivo di inosservanza e di violazione dei diritti degli altri, che si manifesta fin dall’età dei 15 anni, come indicato da tre 8 o più) dei seguenti elementi: 1) incapacità a conformarsi alle norme sociali per quanto riguarda il comportamento legale, come indicato dal ripetersi di atti passibili di arresto; 2) disonestà, come indicato dal mentire ripetutamente, usare falsi nomi o truffare gli altri, per profitto o piacere personale; 3) impulsività o incapacità di pianificare; 4) irritabilità e aggressività, come indicato da ripetuti scontro o aggressioni fisiche; 5) noncuranza sconsiderata della sicurezza propria o degli altri; 6) irresponsabilità abituale, come indicato dalla ripetuta incapacità di sostenere un’attività lavorativa continuativa o di far fronte a obblighi finanziari; 7) mancanza di rimorso, come indicato dall’essere indifferenti o dal razionalizzare dopo aver danneggiato, maltrattato o derubato un altro.

    B. Individuo ha almeno 18 anni.

    C. Presenza di un disturbo della condotta con esordio prima dei 15 anni di età.

    D. Il comportamento antisociale non si manifesta esclusivamente durante il decorso della schizofrenia o del disturbo bipolare.

    Disturbo borderline di personalità: il parametro fondamentale è l’instabilità degli affetti, marcata impulsività, senso di vuoto e di abbandono. Per evitare di essere abbandonati compiono azioni spettacolari, impulsive, come comportamenti auto mutilanti, suicidari. Tendono ad idealizzare chi li ama, altrettanto rapidamente svalutano. Cambiano improvvisamente i loro obiettivi di vita, i valori, le aspirazioni. Quando sono sotto stress possono produrre ideazioni persecutorie e sintomi dissociativi.

    Criteri diagnostici:

    Un pattern pervasivo di instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé e dell’umore ed una marcata impulsività, che inizia entro la prima età adulta ed è presente in svariati contesti, come indicato da cinque ( o più) dei seguenti elementi: 1) sforzi disperati per evitare un reale o immaginario abbandono; nota: non includere i comportamenti suicidari o auto mutilanti considerati nel Criterio 5; 2) un pattern di relazioni interpersonali instabili e intense, caratterizzato dall’alternanza tra gli estremi di iperidealizzazione e svalutazione; 3) alterazione dell’identità: immagine di sé o percezione di sé marcatamente e persistentemente instabile; 4) impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose per il soggetto (per esempio: spese sconsiderate, sesso, abuso di sostanze, guida spericolata, abbuffate); nota: non considerare i comportamenti suicidari o automutilanti considerati nel Criterio 5; 5) ricorrenti gesti, comportamenti o minacce suicidarie o automutilanti; 6) instabilità affettiva dovuta a una marcata reattività dell’umore ( per esempio: episodica intensa disforia, irritabilità o ansia, che di solito durano poche ore e soltanto raramente più di pochi giorni); 7) sentimenti cronici di vuoto; 8) rabbia inappropriata, intensa, o difficoltà di controllo della rabbia ( per esempio; frequenti accessi di ira, rabbia costante, ricorrenti scontri fisici); 9) ideazione paranoide transitoria, associata allo stress, o gravi sintomi dissociativi.

    Disturbo istrionico di personalità: il parametro fondamentale è l’eccessiva emotività combinata con la ricerca di attenzioni. Sono persone brillanti e teatrali, che quando non si sentono al centro dell’attenzione allora si sentono a disagio, provano sofferenza. Il loro comportamento è spesso provocante e seduttivo e per contro possono avere difficoltà a raggiungere l’intimità sia emotiva che sessuale. Sono persone suggestionabili e fragili, molte volte recitano la parte della principessa o della vittima.

    Criteri diagnostici:

    Un pattern pervasivo di emotività eccessiva e di ricerca di attenzione, che inizia entro la prima età adulta ed è presente in svariati contesti, come indicato da cinque ( o più) dei seguenti elementi: 1) è a disagio nelle situazioni in cui non è al centro dell’attenzione; 2) l’interazione con gli altri è spesso caratterizzata da inappropriato comportamento sessualmente seduttivo e provocante; 3) manifesta un’espressione delle emozioni rapidamente mutevole e superficiale; 4) utilizza costantemente l’aspetto fisico per attirare l’attenzione su di sé; 5) lo stile dell’eloquio è eccessivamente impressionistico e privo di dettagli; 6) mostra autodrammatizzazione, teatralità ed espressione esagerata delle emozioni; 7) è suggestionabile (cioè facilmente influenzato dagli altri o dalle circostanze); 8) considera le relazioni più intime di quanto non siano realmente.

    Disturbo narcisistico di personalità: il parametro fondamentale è la grandiosità, la ricerca affannosa di ammirazione. Sono persona che hanno un senso grandioso del Sé e si aspettano dagli altri pari riconoscimento. Per contro la loro autostima appare fragile per cui non accettano critiche, a cui reagiscono violentemente. Hanno difficoltà estrema ad empatizzare con gli altri, così che tendono a manipolare le persone per i propri scopi.

    Criteri diagnostici:

    Un pattern pervasivo di grandiosità (nella fantasia e nel comportamento), necessità di ammirazione e mancanza di empatia, che inizia entro la prima età adulta ed è presente in svariati contesti, come indicato da cinque (o più) dei seguenti elementi: 1) ha un senso grandioso di importanza ( per esempio esagera risultati e talenti, si aspetta di essere considerato superiore senza una adeguata motivazione); 2) è assorbito da fantasie di successo, di potere, fascino, bellezza illimitata, di amore ideale; 3) crede di essere speciale e unico di poter essere capito solo da, o di dover frequentare, altre persone o istituzioni speciali o di classe sociale elevata; 4) richiede eccessiva ammirazione; 5) ha un senso di diritto (cioè l’irragionevole aspettativa di speciali trattamenti di favore o di soddisfazione immediata delle proprie aspettative); 6) sfrutta i rapporti interpersonali (cioè approfitta delle altre persone per i propri scopi); 7) manca di empatia; è incapace di riconoscere o di identificarsi con i sentimenti e le necessità degli altri; 8) è spesso invidioso degli altri o crede che gli altri lo invidino; 9) mostra comportamenti o atteggiamenti arroganti, presuntuosi.

    Gruppo C ansioso-pauroso.

    Disturbo evitante di personalità: il parametro fondamentale è l’inibizione sociale, sentimenti di inadeguatezza, ipersensibilità alle critiche. Queste persone evitano qualsiasi ambiente che dia loro responsabilità come la scuola, il lavoro. Rifuggono cioè il contatto personale perché hanno paura delle critiche, delle disapprovazioni, del rifiuto. L’autostima è carente, non riescono a parlare di sé.

    Criteri diagnostici:

    Un pattern pervasivo di inibizione sociale, sentimenti di inadeguatezza e ipersensibilità al giudizio negativo, che inizia entro la prima età adulta ed è presente in svariati contesti, come indicato da quattro ( o più) dei seguenti elementi: 1) evita attività lavorative che implicano un significativo contatto interpersonale per timore di essere criticato, disapprovato, rifiutato; 2) è riluttante ad entrare in contatto con persone, a meno che non sia certo di piacere; 3) mostra limitazione nelle relazioni intime per timore di essere umiliato o ridicolizzato; 4) si preoccupa di essere criticato o rifiutato in situazioni sociali; 5) è inibito in situazioni sociali nuove per sentimenti di inadeguatezza; 6) si vede come socialmente inetto, personalmente non attraente o inferiore agli altri; 7) è insolitamente riluttante ad assumere rischi personali o a impegnarsi in qualsiasi nuova attività, poiché questo può rivelarsi imbarazzante.

    Disturbo dipendente di personalità: il parametro fondamentale è il bisogno eccessivo e pervasivo di essere accuditi e protetti, per cui appaiono come sottomessi, costantemente preda di sentimenti di paura rispetto alla separazione. Hanno difficoltà a prendere decisioni, che comunque demandano ad altri, sono passivi.

    Criteri diagnostici:

    Una necessità pervasiva ed eccessiva di essere accuditi, che determina comportamento sottomesso e dipendente e timore della separazione, che inizia entro la prima età adulta ed è presente in svariati contesti, come indicato da cinque ( o più) dei seguenti elementi: 1) ha difficoltà a prendere le decisioni quotidiane senza un’eccessiva quantità di consigli e rassicurazioni da parte degli altri; 2) ha bisogno che altri si assumano la responsabilità per la maggior parte dei settori della sua vita; 3) ha difficoltà ad esprimere disaccordo verso gli altri per il timore di perdere il supporto o l’approvazione; nota: non includere realistici timori di punizioni; 4) ha difficoltà ad iniziare progetto o a fare cose autonomamente 8per una mancanza di fiducia nel proprio giudizio o nelle proprie capacità piuttosto che per la mancanza di motivazione o energia); 5) può giungere a qualsiasi cosa pur di ottenere accudimento e supporto da altri, fino al punto di offrirsi per compiti spiacevoli; 6) si sente a disagio o indifeso quando è solo a causa di esagerato timore di essere incapace di prendersi cura di sé; 7) quando termina una relazione intima, cerca con urgenza un’altra relazione come fonte di accudimento e di supporto; 8) si preoccupa in modo non realistico di essere lasciato solo a prendersi cura di sé.

    Disturbo ossessivo-compulsivo di personalità: il parametro fondamentale è l’eccessiva preoccupazione per l’ordine, la perfezione, l’esigenza di controllo mentale dell’altro. Esercitano il controllo stabilendo regole dettagliate, procedure meticolose. Sono persone per niente flessibili, mentalmente poco aperte alle novità. La dedizione al lavoro è estrema, anche la puntualità, la coscienziosità, la moralità sono eccessive.

    Criteri diagnostici:

    Un pattern pervasivo ed eccessivo di preoccupazione per l’ordine, perfezionismo e controllo mentale e interpersonale, a spese della flessibilità, apertura ed efficienza, che inizia entro la prima età adulta ed è presente in svariati contesti, come indicato da quattro ( o più) dei seguenti elementi: 1) è preoccupato per i dettagli, le regole, le liste, l’ordine, l’organizzazione o i programmi, al punto che va perduto lo scopo principale dell’attività; 2) mostra un perfezionismo che interferisce con il completamento dei compiti ( per esempio è incapace di completare un progetto perché non risultano soddisfatti gli standard oltremodo rigidi); 3) è eccessivamente dedito al lavoro e alla produttività, fino all’esclusione delle attività di svago e delle amicizie, non giustificato da evidenti necessità economiche; 4) è eccessivamente coscienzioso, scrupoloso, intransigente in tema di moralità, etica e valori, in modo non giustificato dall’appartenenza culturale e religiosa; 5) è incapace di gettar via oggetti consumati o di nessun valore, anche quando non hanno alcun significato affettivo; 6) è riluttante a delegare compiti o a lavorare con gli altri, a meno che non si sottomettano esattamente al suo modo di fare le cose; 7) adotta una modalità di spesa improntata all’avarizia sia per sé che per gli altri, il denaro è visto come qualcosa da accumulare in caso di future catastrofi; 8) manifesta rigidità e testardaggine.

    1.2.1 Sezione III del DSM 5.

    La Sezione III, intesa come Proposte di nuovi modelli e strumenti di valutazione, è stato inserito per affrontare i numerosi problemi diagnostici posti dall’attuale approccio ai Disturbi di Personalità. È un approccio innovativo sul piano del funzionamento della personalità che usa una Scala del funzionamento della personalità e un modello multidimensionale di tratto di personalità.

    Questi disturbi implicano una disorganizzazione pervasiva nella struttura di personalità e nel funzionamento dell’individuo e lo possiamo verificare analizzando:

    • il fallimento nello sviluppo di una coerente identità o senso del Sé⁶,

    • disfunzioni interpersonali croniche.

    Il senso del Sé.

    Il senso del Sé si sviluppa in base alla presenza di tre dimensioni:

    • differenziazione tra comprensione di Sé e conoscenza di Sé (= integrità del Sé),

    • integrazione di queste informazioni in una identità coerente (= integrazione dell’identità),

    • abilità di porsi e raggiungere obiettivi soddisfacenti e gratificanti che diano direzione e significato alla vita (= auto direttività).

    Le disfunzioni interpersonali patologiche.

    Le disfunzioni interpersonali patologiche

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