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Niente altro che uno sguardo discreto
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Niente altro che uno sguardo discreto

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About this ebook

In una Londra odierna,nella medesima unita’ di tempo e di luogo,si muovono personaggi che si mescolano lungo la scia di una trama dagli intrecci profondamente introspettivi. Malley, anchor man e giornalista famoso,all’epilogo della sua parabola di successo,prova a ricercare in se’ stesso il senso delle cose perdute,riaprendo,forse avventatamente,uno squarcio su momenti del passato,in risposta ad un insopprimibile empito di resipiscenza tardiva,che lo spinge a gettare uno sguardo discreto nelle vite di altri del tutto ignari protagonisti,per rimediare e se possibile disvelare, e rivelarsi, per una forse ancora possibile opzione di esistenza finalmente inclusiva.Il difficile rapporto tra uno straordinario ragazzo,Alex,campione di nuoto,alle Paraolimpiadi,e suo padre,Peter,austero allenatore della squadra olimpica.Un continuo brainstorming recante incessanti aneliti di verità.Una donna bellissima,travolgente e trascendente,ed un possibile grande amore,scompaginato da momenti implicanti scelte troppo responsabili. Su tutto una possibile ipotesi di rivalsa rispetto a tratti di vita complessi,originatisi da protagonisti quasi naturalmente avvezzi a precludersi ogni ipotesi di futuro.
LanguageItaliano
Release dateDec 24, 2015
ISBN9788891180131
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    Niente altro che uno sguardo discreto - Giuseppe Melone

    romanzo.

    NOTA DI AGGIORNAMENTO

    MALLEY & … : i dialoghi che non c’erano!

    Nel corso del primo anno di vita che ha visto ormai questo romanzo, è capitato di presentarlo, e di parlarne, in tanti piacevoli e vivaci contesti letterari, e non solo ; e, più volte, si è fatto piacevolmente ricorso, durante i reading che hanno animato gli eventi, ad un esercizio di sceneggiatura improvvisata di dialoghi, immaginati tra i protagonisti, nei momenti più salienti della storia qui raccontata .

    Il narratore esterno, più o meno onnisciente, ha ceduto il passo, in soli pochi momenti, all’evidenza delle cose dette, direttamente, piuttosto che solo raccontate, e l’effetto che ne è scaturito, di grande impatto simbolico ed effettuale, ha reso particolare vigore e tono vivido al dispiegarsi delle vicende del romanzo .

    Ne è nata quindi l’idea di dare forma definita a quattro dialoghi portanti, e di inserirli in maniera strutturata nel corredo del racconto originario, quale plus narrativo, che si spera possa trovare, tra i lettori, lo stesso gradimento del romanzo nella sua versione iniziale .

    Con l’occasione, ringrazio tutti i lettori per l’attenzione che hanno voluto concedere a questo, in fondo, sommesso viaggio, tra gli impervi percorsi dell’animo umano, alla soglia dei sempre presenti bivi dell’esistenza, e con le generazioni di passaggio a fare da sfondo !

    Novembre 2015

    L’Autore

    PREAMBOLO

    Nel divenire degli eventi dell’esistenza umana pare spesso di essere parti di un percorso evolutivo, che, nel crescere, e maturare nelle cose e nelle situazioni, dà l’idea di acquisire competenze, conoscenze, esperienze, che instillano il convincimento per il quale esse renderanno ciascuno in grado di operare scelte giuste, talvolta illuminate, votate sempre al meglio, non fallaci, per sé e per chi si ama, per gli altri, in un naturale percorso virtuoso, lungo il quale si mantiene con continuità una propria condotta d’azione, che, spesso, a guardarla in uno scenario più ampio, non è altro che uno zigzagare, ondivago, che vede collocazioni ed ancoraggi modulari, basati su contingenze molte volte, purtroppo, vacue, incoerenti, quando non legate ad opportunità strumentali, e questo rompe l’incantesimo della magia d’origine, di quella scia positiva lungo la quale si ha la sensazione di muoversi con linearità, e senza mai divaricazioni dagli obiettivi.

    Il naturale contraltare a questo postulato, anche a valenza di necessario puntello ideologico, fa si che gli errori siano derubricati a null’altro che accadimenti erratici, sfuggiti al controllo, spesso inconsapevoli, e dunque non colpevoli, rispetto ai quali l’autoassoluzione è la linea maestra, e l’indulgenza non si nega certamente a sé, quanto sempre meno la si tende a riconoscere agli altri, spesso ritenuti colpevoli motori di errori del tutto propri, dei quali spesso occorre pentirsi, o sui quali quanto meno riflettere … ripensare.

    Ma allora … cosa rende le scelte della vita di un individuo giuste o sbagliate? Rispetto a cosa si pone questo termine di paragone, e chi è che decide cosa è giusto e cosa no; interrogativo questo che peraltro tende a sorgere allorquando ci si ritrova dinanzi a scenari situazionali che si ha difficoltà a riconoscere come promanazioni di proprie scelte o condotte, azioni od omissioni.

    Se, certamente, sappiamo cosa sia necessario – almeno per la minima esistenza -, come si valuta invece cosa sia opportuno, prospettico, utile ad una crescita ed un proprio sviluppo che, se possibile, migliori anche le proprie condizioni di partenza in senso lato; e soprattutto, per quanto tempo le scelte, ed i loro effetti, rimangono valide, meritevoli di quotidiana riconferma, al vedere di ciascuno, rimanendo giuste, se possibile sempiterne. E quando, quanto e se, è lecito, allora, poter cambiare idea, fare diversamente, riposizionarsi, ripensare a tutto, fare bilanci, e forse rinunciare a tutto, per poi anche pentirsene e vivere in un continuo processo di resipiscenza … sempre più tardiva, spesso generatrice di maldestri progetti di recupero, dettati a volte anche da legittime insopprimibili spinte del proprio intimo. Ed in tutto questo, quanto valgono i retaggi di provenienza, o le esperienze di chi vive intorno, gli accadimenti pregressi che influenzano le scelte del futuro, ritenendo spesso analoghi i presupposti, e così, scontate, le conseguenze.

    Ma, in una sorta di interrogativo cosmico, se fosse solo ipoteticamente offerto di poter tornare a vivere certi momenti di snodo della propria esistenza, col vincolo di avere memoria di quanto accaduto, sia prima, che dopo : quanti cambierebbero le proprie scelte, e quanti invece farebbero l’opposto!

    Occorrerebbe forse poter sapere che si sta sbagliando, e dunque avere giusta contezza della linea di demarcazione tra cosa sia giusto e cosa sbagliato : o spesso si sbaglia sapendo di sbagliare, rispetto ad un certo codice, ad un determinato scenario, che declinerebbe la scelta di ortodossia generale, dalla quale tuttavia ci si distanzia. E le ragioni per cui invece si resta ancorati al pensiero dominante (?), sono solo frutto di inadeguatezza interiore ad un possibile colpo d’ala, o dettate dal più agevole omologarsi al comune senso del sentire generale, nell’incapacità spesso di sostenere uno scenario che, in un certo rapporto tra funzione sociale e periodo storico, definisce qualcosa come controcorrente, non politically correct. Ma quanto può lecitamente definirsi errore il ritrovarsi, nel corso di una esistenza, ex post, in condizioni ed ambiti di vita e di relazioni umane del tutto lontane dagli scenari pensati ed auspicati, in proiezione dei quali certe scelte erano state - o si era almeno creduto così -, addirittura, specificamente elaborate. Insomma, l’esistenza stessa si esaurisce spesso in un continuo processo di stop and go, di alti e bassi, di obiettivi buoni momenti personali, anche di esaltazione – quando tutto intorno pare essere costruito e tarato per fare da giusto e degno corollario -, a fronte di realismi spesso troppo esasperati, privi di quella dose di sana indulgenza che ciascuno pur dovrebbe riservare a sé stesso ed al sapore amaro di certi accadimenti che possono disvelare una realtà che, comunque sia, è comunque un prodotto del proprio essere, e del modo in cui si decide, o ci si ritrova, a vivere i temi e le cose tutto intorno!

    Un risposta scontata sarebbe frettolosa e poco riflessiva, perché non pochi, forse, preferirebbero poggiare sulla solidità nota della propria esistenza, per quanto critica e malmessa, attribuendo valore alla conoscenza e confidenza con la propria condizione, piuttosto che assumere l’ardire di provare a rimescolare le carte della vita, provando a fare diversamente. Spesso, insomma – al netto di tutte le difficoltà che pure si incontrerebbero per destarsi da una condizione di diffusa delusione, se non malessere -, si finirebbe piuttosto per ri-affezionarsi alla propria vita, per quella che è, con i suoi limiti ed errori, con le cose desiderate che non sono state, con le mancate scelte - troppo coraggiose per essere assunte-, od il troppo coraggio nella tronfia disinvoltura di operare scelte sbagliate, e sempre con l’idea perenne, al proprio fianco, di un futuro possibile, che intanto viene eroso dalla quotidianità di un presente sempre più progressivo ed incalzante. Ed insomma, per quanto se ne continui a desiderare un’altra, si finisce per tenersi stretta la propria, di vita, che ormai è assurta a fedele compagna di viaggio, e tiene compagnia, e che non tradirà dal suo solco, a meno delle deviazioni che ciascuno vorrà, e sapendo essa aiutare ad accusare, e metabolizzare, gli effetti delle scelte che di volta in volta si andranno ancora e sempre a fare.

    Ma il gioco della vita, si sa, non si gioca da soli; la cosmogonia delle relazioni umane offre e pone altri protagonisti, che si incontrano, vengono imposti, o si scelgono, o si crede di farlo, o che da ciascuno traggono vita, opportunità, conseguenze; ma sempre e comunque l’agire di ciascuno avrà conseguenze sulle sfere di interesse di tutto il novero di individui con i quali si viene a contatto o si interagisce, e che sono il collettivo degli altri da sé.

    Dunque la leggerezza, o la ponderosità, l’intenzionalità o meno, con la quale si accompagnano certe scelte, non resta circoscritta al proprio ambito, e le esternalità negative o positive, a valenza sui terzi da sé, assumono una vita propria, rendendo ragioni o torti che sfuggono all’autore delle azioni d’origine, creano destini che sfuggono alla matrice originaria, e tornano talvolta all’origine solo come il prodotto e vettore del peso futuro che si avvertirà, con intensità variabili soggettivamente, su quella sostanza emotivo-cerebrale che alcuni producono spesso solo in tarda età, o forse mai abbastanza, e che è il senso della coscienza, del peso delle proprie scelte, pur con il relativismo del proprio essere, e tuttavia della rilevanza nodale che spesso la proiezione di ciascuno, e delle proprie azioni, è destinata ad assumere nelle vite, e spesso, forse, nei destini, di molti altri.

    CAPITOLO 1

    IL RISVEGLIO

    Un chiaro bagliore di luce penetrava da un angolo non propriamente chiuso della tenda a colori pastello, che pesantemente faceva da cortina alla grande finestra affacciata su una Londra ancora dormiente.

    Nella lussuosa camera d’albergo tutto appariva statico, rarefatto, e quell’unica linea di sole nascente, appalesata da fasci di chiarore, disegnava un triangolo di luce che divideva in due la camera, lasciando un lato del letto nella penombra, dove Malley, ormai sveglio da ore, continuava a roteare nervosamente gli occhi, accarezzandosi ripetutamente la folta barba sotto il mento, esplorando la stanza in cerca di un appiglio che gli destasse attenzione, alternando una strana fissità tra le pareti gialle, il plasma TV acceso, ed un mobile in radica lasciato disordinatamente aperto, straripante di oggetti e cose ammassate, sul quale la sera prima aveva gettato in ordine sparso il tesserino di accredito stampa, l’orologio, il portafogli, ed un cartoccio di scontrini vàrii, svuotandosi svogliatamente le tasche in un rassegnato gesto liberatorio, null’altro che fisico, che non alleggeriva per nulla quella sua testa ormai oppressa da mille ponderosi pensieri.

    Così era trascorsa affannosamente l’intera notte, anelando un nuovo giorno, il cui albeggiare sperava potesse rimettere tutto sotto una nuova luce, più univoca, come spesso accade, quando ci si augura che sia solo la notte a rendere cupi ed inesorabili, e quasi senza uscita, i toni ed i contorni dei pensieri e delle vicende che di sovente assillano l’animo umano. Anche per Malley era stato così, ed anche per lui il nuovo giorno tuttavia non pareva poter avere gli effetti salvifici auspicati.

    La venuta a Londra non stava dando i risultati sperati, e le giornate si susseguivano sempre piene di eventi che lo avvicinavano sempre tanto alla soglia di quella verità che non riusciva a rivelare, e che ormai viveva come un insopprimibile groppo che lo abbatteva, non lasciandogli più alcuno spazio, o possibilità, per orientarsi tra quei pensieri lievi che invece avevano sempre spopolato nella sua esistenza ordinaria; quella che precedeva la resipiscenza tardiva dalla quale aveva tratto origine ogni odierno conflitto, portandolo in questi luoghi per lui non nuovi, ma che adesso gli apparivano lontani, non in senso fisico, ma dove si trovava costretto a conformistiche condotte formali, nell’attesa che maturassero gli eventi per poter procedere al da farsi, che ormai, a tratti, balenava sempre più nitidamente nella sua mente.

    Il grande schermo TV continuava a gettare spasmodici bagliori di luce, trasmettendo le immagini salienti delle gare delle Paraolimpiadi del giorno prima, dove la squadra di nuoto, seguita più in particolare da Malley, aveva fatto ancora faville, ed una roca voce di fondo, che aleggiava nella stanza, faceva da sfondo a tutta quella strana e quasi irreale atmosfera, commentando gli eventi, e generando un ronzio che rendeva tutto, se possibile, ancora più fastidioso e statico, quasi una immutabile condizione di rassegnazione ambientale e mentale che coinvolgeva Malley e le cose tutto intorno a sé, rendendolo incapace di destarsi e di assumere una condotta finalmente agente o reagente, e ponendolo in squallida sintonia con il nulla che molto impersonalmente lo avvolgeva.

    Tornato in albergo, nella notte fonda della sera prima, non aveva desiderato altro che dormire, stordito e stanco per le lunghe e snervanti passeggiate lungo il Tamigi, del tutto inefficaci nel portare quiete, come quei numerosi bourbon che a ripetizione aveva ingurgitato in un pub di Covent Garden, e poi nel bar dell’albergo, prima di salire in camera, preso com’era da una smania che ormai lo opprimeva sempre di più, avvitandosi in riflessioni ridondanti e prese in un circolo sempre più vizioso, non lasciandogli respiro, e portandolo sempre al medesimo punto, alla soglia di quella difficile decisione, quell’autentico dilemma che non gli dava ormai più pace da mesi, tra la scelta del dire o non dire, di squarciare il velo di ipocrisia ed egoismo dietro il quale si era schermito per anni, del confessare per amore, oppure per egoistica serenità, liberandosi, così, nel rivelare e confessare, e così pensare di darsi finalmente pace, di resettare, in un sol colpo, tutti gli errori e le gravi omissioni commesse, e di poter così abbracciare, per la prima volta, finalmente, quella sua vita tanto schivata con le sue scelte di melliflua comodità, di conservazione e sempre di ripiego.

    Eppure Malley era giunto al punto da apparire davvero molto motivato, aveva fatto di tutto per farsi accreditare dal suo network televisivo a quell’evento mondiale, le Paraolimpiadi, pur dovendo inventarsi di sana pianta tutto un modo nuovo di pensare al mondo della disabilità, tentando di teorizzare un possibile link di collegamento con quello che invece era il suo ambito di interesse lavorativo, fatto di un giornalismo formalmente di inchiesta, ma di fatto vacuo, voyeuristico, patinato e di costume, governato spesso dall’effimero che assoggettava e dominava qualunque logica e dove comunque, per quanto criticato, il malcostume assurgeva a paradigma di valori e di tendenze.

    Far diventare le Paraolimpiadi un evento di costume, al quale la sua testata giornalistica televisiva non potesse mancare, era stato l’impegno di Malley per molti mesi, sino a sfiancare letteralmente il suo vecchio amico e caporedattore Kevin, che, forse perché unico conoscitore delle sue vere motivazioni, aveva ben capito a cosa Malley in realtà tendesse, e, nell’accedere alle sue richieste, forse sperava per lui che, in quel microcosmo del villaggio olimpico, si sarebbe potuto compiere un piccolo miracolo di vita vissuta, affidando vuoi al caso, vuoi al ritrovato coraggio di Malley, la responsabilità di sceneggiare e scrivere pagine di eventi non facili da vivere e da gestire, ma che avrebbero potuto chiudere un cerchio apertosi tanto tempo prima, finendo per sanare qualche ferita, chissà se ancora possibile, non prima però di averla aperta e lacerata, e ciò’ anche nei suoi inconsapevoli protagonisti.

    E così Malley era a Londra, inviato speciale del suo canale tv per le Paraolimpiadi, ma non già come cronista sportivo, bensì come osservatore di società e costume di un mega evento che egli, molto surrettiziamente, riteneva andasse analizzato più dal di dentro, e quindi con una sua assidua presenza all’interno del villaggio olimpico, apparentemente con la sua rubrica di costume, per descrivere le giornate degli atleti, gli allenamenti, i ritmi di vita, le occasioni di svago, il rapporto con la condizione di disabilità, ma anche gli eventi mondani, e così poter essere, in sostanza, comunque al centro di tutto quanto contasse, e sempre ad un passo dalle squadre e dagli atleti, tra i quali scegliere, perché no, qualche giovane talento da lanciare sulla ribalta dei media, anche per riservargli qualche attimo di fama e notorietà, che avrebbe dovuto anche attrarre le giuste attenzioni su di un mondo sempre bisognoso di spazi, di idonei supporti, e di riconoscimenti di ambito.

    CAPITOLO 2

    LA RICERCA DI SÉ … E GLI ALTRI

    Ma cosa oggi spingeva Malley verso un percorso di ricerca interiore che, inevitabilmente avrebbe coinvolto altre persone, in molti casi del tutto ignare di uno scenario di presupposti e premesse lontanissime dall’ordinaria elaborazione di pensiero circa le proprie vite, per come sino ad ora vissute.

    Il percorso quasi autolesionista nel quale si era avvitato, nella sua esistenza, dopo alcuni accadimenti, aveva visto Malley ben presto prendere le misure di un nuovo assetto, divenuto assai ordinario, fatto di vacuo rincorrere di giornate tutte uguali, con momenti di esaltazione e di vanità portati all’eccesso, dove l’effimero dei contesti, per lo più festaioli, e le frequentazioni di pseudo salotti culturali finivano per riempire solo quantitativamente le lunghe ore che assommavano l’insieme dei giorni che ripetitivamente egli viveva con sempre minori implicazioni di pensiero e con quasi nessuna più convinzione di ricercare qualcosa di concreto che valesse la pena di sollecitare quelli che amava definire come la sparuta e sempre più smarrita pattuglia dei suoi residuali neuroni.

    E così le vicende di vita di Malley si incasellavano in una sequela monotòna con pochi e del tutto transitori momenti meritevoli di attenzione, e quasi mai degni di palpiti emozionalmente rilevanti.

    Ciò che aveva influito sulla formazione dell’individuo Malley, e sulle sue scelte di vita seguenti, si poteva ricondurre a due filoni essenziali, l’uno relativo alla sfera affettiva, e l’altro a quella lavorativa, entrambi caratterizzati da grandissime aspettative, puntualmente disilluse, con conseguenze per lui davvero devastanti.

    In effetti, come per tanti, o meglio tantissimi, o forse per i più, la formazione umana e la vita sociale e lavorativa di Malley non era stata affatto semplice, e la sua viva ricchezza interiore d’animo e di pensiero, aveva solo contribuito a rendere tutto più complesso, sia da vivere, che da razionalizzare, facendolo muovere verso un dissenso profondo che si sostanziava in un approccio sempre complesso ed articolato alle cose ed alle relazioni umane.

    Come su una sorta di tapis roulant, Malley si era sentito, da un certo punto in poi della sua vita, obbligato a correre, non già per brama di successo, o per smania di potere e ricchezza, né per raggiungere chissà quale meta, ma unicamente per poter avere la sensazione di rimanere al passo con i tempi, che, incessantemente, invece, lo sopravanzavano, e quindi il suo correre affannoso, in tutte le sue vicende, non era altro che la sua personale difesa per non essere sbalzato fuori da un mondo in corsa, dal quale certamente non voleva essere travolto con la sua forza centrifuga

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