Un secondo lungo una vita
By Lisa Molaro
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Un secondo lungo una vita - Lisa Molaro
Lisa
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Un secondo è un attimo, un frammento di vita in un giorno qualunque.
Al mercato signore vestite di fretta spingono con la punta delle scarpe i sassolini che hanno davanti, creando delle righette di vuoto vicino al piede. Non ce la fanno proprio ad aspettare il loro turno, muovono le scarpe avanti e indietro, assomigliano a tori spazientiti che hanno riconosciuto nel rosso dei peperoni il colore nemico.
Mamme che tolgono con amore le briciole di pane dalla maglietta delle figlie, oppure ripuliscono visi su cui ancora era rimasta traccia del succo di frutta.
Il mercato è così: fatto di gente che si evidenzia o che si confonde, che chiacchiera o che sta in silenzio, che grida o che si nasconde dietro a una tovaglia appesa in bella mostra.
La piazza è riempita da gente che cammina e da macchine che parcheggiano, da persone sedute sulle panchine e da veicoli che passano anonimi.
Vita comune.
Ognuno col suo modo di respirare il quotidiano.
Ognuno, con i suoi colori, protagonista all’interno di un quadro di Monet, in cui l’effetto finale è dato da pennellate ben distinte anche se sfumate fra loro. Colori in contrapposizione, pennellate singole che pretendono la propria indipendenza e la propria visibilità in una visione armonica d’insieme.
In questo quadro immaginario, c’è forse la signora anziana che passa tra le bancarelle strette, sorreggendosi a un bastone più infermo delle sue gambe, fa passi piccoli piccoli e tiene la testa bassa squadrando ogni sassolino che si ritrova davanti; sulle spalle un golfino rosso scuro e i capelli bianchi raccolti sulla nuca… ma c’è probabilmente anche la donna vestita con un completo elegante e le scarpe col tacco, che fa altrettanta fatica a camminare sulla ghiaia ma che tiene la testa alta e diritta perché si vergogna anche solamente a guardare i vestiti appesi nella bancarella dei cinesi, la sua meta è il banco-frutta dove magari prenderà le primizie fresche di stagione prima di andare a chiudersi in ufficio.
Ci sono uomini in giacca e cravatta che discutono della situazione economica e artigiani che passano loro accanto con la salopette da lavoro e molta fretta di andare a suonare in tempo il campanello del cliente che lo aspetta.
Bambini che giocano fra loro nascondendosi dietro i vestiti appesi e altri che con la loro manina stringono quella del genitore; venditori che sbuffano perché tutti guardano e nessuno compera
e altri che vendendo il formaggio suggeriscono ricette alle signore interessate.
Ci sono le verdure colorate e le gerbere in fiore, ci sono vestiti che qualcuno ha cucito e gamberi congelati che qualcuno ha pescato.
È il mercato, quello della vita.
E in questo ipotetico quadro ci si può perdere in un centimetro a caso, infilandosi nella pennellata che rappresenta il furgoncino di un panettiere che vola a fare le consegne e, magari, ci si può dipingere sopra una storia inventata facendolo passare per primo da quel signore abituato a mangiare alle dieci e un quarto precise la sua bella michetta con le sue belle e salutari quattro fette di salame fatto in casa: vuoi alterargli le abitudini? La puntualità è tutto per il pensionato che ha una tabella di marcia che i militari se la sognano: sveglia alle 4 meno ventuno, quel minuto esatto prima che la sveglia suoni destando anche la moglie; barba in tranquillità, godendo del silenzio del bagno ancora addormentato; venti minuti per la colazione, aspirapolvere in soggiorno (adesso se la moglie si sveglia poco importa, sono ben già le 5:45 circa!) per togliere i peli del cane dal pavimento, poi alle 6 meno cinque si sale sulla sella dello scooter e si va a prendere il giornale prima ancora che il giornalaio infili la chiave nella toppa della porta. Sceglie dallo scaffale un quotidiano che più intonso e illibato di così è impossibile, augura il buongiorno all’altro pensionato che probabilmente ha le sue stesse turbe psicologiche; guarda la piazzola vuota, casco, scooter; 6:15 rientra in casa per fare il caffè alla povera moglie, che magari l’avrebbe volentieri bevuto anche qualche minutino più tardi, poi pronti per leggere il giornale e bere il primo caffè della giornata con il figlio prima che lui vada a lavorare. 6:30: si deve assolutamente andare a bagnare tutti i fiori del giardino e le verdure dell’orto senza sgarrare il secondo, altrimenti le piante di sicuro ne risentirebbero; ore 8:00, colazione con la figlia, poi qualche lavoretto indispensabile e urgentissimo da fare e alle 10:10 si scende ad aspettare che il furgoncino bianco del panettiere passi a portare le michette per lo spuntino di metà mattinata. Ovviamente, per risparmiare tempo, le fette di salame sono già belle che pronte sul tagliere di legno in sala da pranzo. Già
pensa è proprio bravo quel ragazzo che porta il pane e che ha capito l’importanza della puntualità!
Una mattinata a caso, con ore vissute e minuti forse infiniti scanditi da secondi legati tra loro.
Una mattinata a caso, di persone a caso.
Vita comune.
Un secondo lungo una vita, il telefono che suona, il secondo prima si accavalla al secondo dopo, qualcuno risponde e la lancetta del cuore si ferma.
1
È stato un attimo immerso in quel vivere, amore mio, un attimo solo.
Tu eri in Francia dai tuoi nonni, io ero appena uscito da casa dei miei per andare a fare colazione al bar con gli altri. Era un giovedì di festa e me la stavo prendendo con calma.
Iniziava giusto a piovigginare, le goccioline scendevano sporadiche, a casaccio, su gente che però già si stava spazientendo: le donne, temendo per la piega dei capelli, si nascondevano sotto ombrelli simili ad ombrelloni; si urtavano a vicenda guardandosi in cagnesco. All’angolo, una bambina, avrà avuto circa sette anni, se ne fregava dei suoi ricci e cercava con la sua maglietta di proteggere più che poteva il suo piccolo cagnolino. Lo guardava con amore, lo baciava sulla testa e con gli occhi sembrava sussurrargli: Ti proteggo io che sono grande!
Io ero fermo al semaforo.
Guardavo quella scena e ti pensavo, amore mio, pensavo a te e alla tua sfrenata ossessione per gli animali.
È scattato il verde.
Pensavo a te.
La macchina che arrivava da destra non è riuscita a frenare, non ne conosco il motivo, non pioveva ancora forte eppure l’asfalto dev’essergli sembrato inganno puro.
Lo stridere delle gomme, la vita intorno che si gelava, la bambina che sgranava gli occhi aprendo la bocca in cerca di aria da respirare, mani nei capelli. Ho visto il ciondolo di legno che mi hai regalato tu, cadere lontano da me, ho visto tanti piedi… certi immobili e altri frenetici; ho sentito urla che riempivano un silenzio impossibile, ho sentito mani che mi toccavano timide, ho sentivo voci che si allontanavano, ho visto contorni che si sfumavano.
Guardavo il punto in cui avevo visto sparire il ciondolo.
Pensavo a te.
2
Scesi da cavallo e con un colpo secco della mano mi tolsi i peli che erano rimasti intrappolati nella trama dei pantaloni, giusto sopra gli stivali: punta tacco, punta tacco e, per la gioia di nonna, gli stivali cadevano sul pavimento del porticato… pazienza avrei pulito dopo, ora non ce l’avevo la pazienza!
Spalancai la porta d’ingresso e corsi in cucina, mia nonna stava preparando le crepes da riempire a piacere, adoravo quando si faceva colazione in maniera così informale!
" Ciao Mamì, eccomi, sono rientrata! Hai sentito la mia mancanza?"
Mia nonna si girò asciugandosi le mani nel grembiulino bianco che aveva legato in vita.
Oh, mia nonna! Ricordo in modo nitido molte cose di quella mattina; sono passati molti anni da allora, ma certe sensazioni vissute sulla pelle, quel giorno, sono diventate tasselli di un puzzle che se anche si è spezzato nelle ore successive, ha conservato nel tempo i contorni di ogni singolo pezzettino, le smussature e le rotondità sono rimaste inalterate, come spruzzate di lacca, immobilizzate bloccando l’immagine, imprigionando il ricordo.
Così mia nonna, quel giorno, si girò verso di me: lo ha fatto velocemente ma il raggio di luce che entrava dalla finestra, quasi scostando la tendina bianca con i boccioli di rose rosse ricamate a punto pieno, me l’ha fatta ammirare al rallentatore.
Nonna, puro amore, Nonna-Cuore! Sempre precisa, sempre in ordine a partire dai capelli con la piega perfetta come disegnata con il tratto-pen, alle ballerine abbinate ai vestiti, passando per la versione casalinga che aveva l’aggiunta di vari grembiulini in stile vintage che adorava collezionare e che amavo guardarle addosso!
Quel giorno, mentre dallo stereo del nonno uscivano le note di Frank Sinatra, Nonna-Cuore mi si presentò davanti dunque così: ballerine verdi color latte e menta, con finto fiocchettino in plastica dello stesso colore fra il collo del piede e la punta delle scarpe; polpacci ancora ben torniti in bella vista, senza calze; vestitino al ginocchio, color crema con bordino ovviamente latte e menta; grembiulino bianco con pizzo tono su tono, immacolato (Nonna-Cuore, non so come facesse, ma o non si sporcava mai o aveva una fabbrica di grembiulini nel cassetto della cucina. Fantasticavo