Undici Decimi
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Undici Decimi - Elisa Venturi
Farm
Lo scrivano
Il mio assistente, Monsieur Benamou, aveva riscritto il suo nome nella riga inferiore, dopo averlo più sopra cancellato con tratto deciso di penna.
Nel controllare la nota degli appuntamenti, incappai quindi in una Madame Laurent decisa a incontrarmi, quindi decisa a non farlo più, infine di nuovo propensa. Quanto propensa non era dato sapere da tali insufficienti e contraddittori indizi.
Madame Laurent comunque, costituiva la quinta persona di genere femminile e la nona di genere umano che in questa giornata veniva ad avvalersi dei miei servigi di scrivano. Mestiere che avevo inizialmente detestato, accreditandomi un temperamento avventuroso degno di ben altro destino, poi accettato, riconoscendo che tale avventuroso temperamento tendeva a esprimersi nelle fugaci fantasie precedenti il sonno stentando invece ad affermarsi nelle vigili ore mattutine.
Dunque, dopo il mezzadro vessato dalla bramosia del proprietario, la vedova che faceva appello al buon cuore del cognato per l’istruzione del figlio minore, un paio di generiche raccomandazioni a parenti distratti, ecco giungere Madame Laurent. Sarebbe più corretto dire ecco giungere il profumo di Madame Laurent, seguito a breve dalla stessa.
Subii una specie di trauma olfattivo data la mia scarsa dimestichezza ad avere a che fare con effluvi non immediatamente riconducibili alla campagna e ai suoi frequentatori, bipedi o quadrupedi che fossero. Non era inconsueto che, nell’atto di togliersi la giacca o approssimandosi eccessivamente nell’elargire il dovuto, il contadino di turno si premurasse, infatti, di farmi intuire l’occupazione che aveva immediatamente preceduto la venuta presso il mio studio. Di solito attinente il campo, la stalla o il porcile. Era invece assolutamente inconsueto che il mio naso avesse a che fare con fragranze più nobili. Diciamo pure che al massimo aveva potuto bearsi di un vago quanto effimero odore di sapone alla lavanda.
La fragranza che via via si sprigionava in maniera sempre più decisa all’avvicinarsi di Madame Laurent costituiva quindi qualcosa di assolutamente inedito che, insieme, destava il mio stupore, la mia curiosità e forse anche il mio timore.
La mia vista comunque non fu meno provata. Immediatamente dopo il profumo giunse infatti la donna più bella che mai mi fosse stato dato di incontrare. Mi staccava di un palmo in altezza, ma non era questo solo a incutermi soggezione e quasi riverenza. L’incedere sinuoso, il suo volgere lo sguardo tra il curioso e il beffardo alternativamente alla mia persona e all’ambiente circostante insieme a quel corpo in carne così armoniosamente assemblato, dettero il colpo finale alle mie residue capacità cognitive. Avevo sì avuto occasione, per mestiere o per diletto, di incontrare qualche graziosa contadina, ma nessuna di esse avrebbe mai potuto competere con tanta eleganza e bellezza. Anche tra le più promettenti fanciulle del villaggio, che potevo occasionalmente rimirare durante le sagre paesane o che sbirciavo nel loro passaggio all’altro lato della strada, alla prova dell’osservazione ravvicinata tendevano a rivelare lacune insospettabili. Insomma, l'atto di traversare la strada era loro fatale.
Per questo potrei parlare di incanto descrivendo la sensazione provata nel trovarmi così prossimo a Madame Laurent che passò subito, summa cum laude
, tutti gli esami cui non mancai di sottoporla.
Non incline a indugiare su aspetti riguardanti le frivolezze, mi ritrovai a produrmi in una disamina meticolosa di nastri, forcine e altre decorazioni che armoniosamente adornavano viso, petto e capigliatura della signora. Tale quantità di chincaglieria avrei trovato certamente inutile esercizio di vanità in altro esemplare di donna. Non così in Madame Laurent per la quale gli stessi accessori costituivano l’esibizione della più naturale e prorompente femminilità. Avrei trascorso ore a esercitare il secondo senso che in quel pomeriggio era stato risvegliato in modo così prepotente, quando dal terzo senso venne la prova dell’eccezionalità di quell’essere. Nel porgermi la mano guantata ella infatti pronunciò il proprio nome, quindi mi ringraziò di averla ricevuta. La sua voce era modulata in modo così piacevole da ricordarmi le musiche che avevo talvolta ascoltato, durante le funzioni natalizie o pasquali, in occasione delle quali il curato ingaggiava per la sonata d’organo musici provenienti d’oltre contea.
La feci accomodare nella poltrona di fronte alla mia scrivania, quindi raggiunsi la mia postazione, certo che la bella signora non avesse nessuna intenzione di dilungarsi in preamboli con il sottoscritto. Mi sbagliavo alquanto, visto che Madame Laurent, che appresi portare il nome di Hortense, fece trascorrere parecchi secondi prima di soddisfare il mio tacito invito a manifestarmi le ragioni della sua presenza. Finalmente, dopo aver censito gli strumenti del mio lavoro posati sulla scrivania, mi mise al corrente delle sue intenzioni.
Veniva da me, mi spiegò, per tradurre in uno scritto convincente le argomentazioni riguardanti le sue aspettative di divenire a breve moglie di tal Monsieur Moreau di Yerres. La lettera avrebbe dovuto far rompere gli ultimi indugi al signore che, evidentemente, peccava d’indecisione. Come un uomo potesse consentire a un esemplare femminile di tanta bellezza di doversi produrre in richieste così esplicite, andava molto al di là della mia capacità di comprendere.
Dunque, mentre la bella signora che appresi essere vedova nonostante la giovane età, mi esponeva le sue ragioni, mi ritrovai a perdermi in fantasticherie poco professionali che chiamavano in causa uno dei pochi sensi non ancora coinvolto. I miei pensieri presero a galleggiare sulle parole pronunciate da M.me Hortense fino a condurmi lontano dal luogo dove mi trovavo.
Mi vidi in un’inconsueta dimensione domestica, dove la camera disadorna normalmente destinata a ospitare i miei sonni, veniva sostituita da una stanza da letto ampia e luminosa, completa di quelle dotazioni che solo la presenza femminile prima consiglia, poi impone. Perché la mia fantasia corresse in via prioritaria a immaginare quella stanza e non a figurarsi l’aspetto dello studiolo non è difficile da dedurre. Ciò che continuava a risultare strano anche a me stesso era come, pur non avendo avuto mai dimestichezza con tali ambienti, riuscivo, protagonista la signora, a prefigurarmi ogni minimo dettaglio: dal copriletto sontuoso, alle tende vaporose dal decoro elegante, perfino il privatissimo angolo del tavolino da toletta dove sapevo compiersi quei piccoli grandi miracoli (nel caso di Hortense, ero certo, piccoli) che facevano sì che bellezze trascurabili nel momento del risveglio diventassero degne di qualche attenzione, terminato il lavoro che vi si svolgeva.
Tutto questo, oltre