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Jamal 1960
Jamal 1960
Jamal 1960
Ebook255 pages3 hours

Jamal 1960

By Rema

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About this ebook

Thriller che si svolge in un collegio internazionale, nella Sankt Gallen del 1960,. Tre ragazzi, trovano un morto e di lì nascono una serie di avventure e di storie che si intrecciano, legate ad un passato fatto nella Legione Straniera, in un Algeria prossima all’indipendenza a patologie morbose e a fatti che hanno un legame tra loro di un passato che rivive in un presente, dove non ci sono moralmente e spiritualmente spazi per permettere certe cose. I tre ragazzi legati da questi sconvolgenti eventi trovano nel tenente Gus Zimmermann il loro appoggio ed aiuto per riuscire a dipanare i misteri e trovare infine il colpevole.
LanguageItaliano
PublisherRema
Release dateJan 27, 2016
ISBN9788892531628
Jamal 1960

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    Jamal 1960 - Rema

    1960

    Copyright

    Titolo del libro: Jamal 1960

    Autore: Rema

    © 2014 , Rema

    rema@outlook.it

    TUTTI I DIRITTI RISERVATI. La riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo, non è consentita senza la preventiva autorizzazione scritta dell’Autore.

    Revisione editoriale a cura di lessicoitaliano.it

    Ai cari vecchi amici del Rosenberg,

    ai quali sono legato da tanti ricordi e nostalgie di gioventù

    Rema

    Prefazione

    La narrazione è ambientata nell'Institut auf dem Rosenberg di San Gallo, città capoluogo dell'omonimo cantone nella Svizzera tedesca. L’idea di scrivere un romanzo ambientato nel collegio mi è stata suggerita da Alvise, un amico ed ex rosenberghiano come me, durante la festa per il 125mo anniversario della fondazione del collegio, tenutasi a San Gallo il 23 agosto 2014.

    Devo aver metabolizzato per oltre un mese l’idea senza neanche rendermene conto. Fatto è che mi sono alzato una mattina e… di colpo mi è arrivata una folgorazione: una trama che, rifacendosi a quegli anni ravvivati dalla fresca rivisitazione dei luoghi, mi ha motivato a scrivere con entusiasmo questa nuova storia. Nonostante molti nomi di persone e di luoghi siano inventati (per ovvi motivi), mi auguro di riuscire a comunicare nel racconto le sensazioni, i colori e la dinamica dei ricordi, che non sempre le memorie riescono a trasmettere, se non a chi abbia vissuto le proprie esperienze nello stesso ambiente e nella stessa epoca.

    Se non sono riuscito nell'intento, cari amici e voi accidentali lettori, perdonatemi.

    Rema

    Prologo

    Ero arrivato verso le undici di quel mattino di agosto a Sankt Gallen, amena città, capoluogo dell'omonimo cantone svizzero, per rivedere un vecchio e caro amico, compagno di collegio dal ’58 al ’62. Dopo gli anni del collegio, il mio amico aveva continuato gli studi all’Università di Sankt Gallen, alla rinomata Wirtschaffen Hochschule, una facoltà di economia e commercio riconosciuta internazionalmente come una scuola di altissimo livello.

    Riccardo, affermato commercialista, professore di economia alla Hochschule, si era anche sposato in Svizzera, aveva due figli e, da qualche anno, tre nipotini.

    Come me ormai non più giovane, non se la sentiva di ritornare in Italia se non per pochi giorni a far visita ai parenti; in quelle occasioni, si fermava per qualche giorno nella bella villa di Santa Margherita, ereditata dal padre. Era diventato cittadino svizzero a tutti gli effetti, con tanto di nazionalità e passaporto.

    Non era cambiato molto; alto sul metro e ottantacinque, a dispetto degli anni aveva mantenuto un fisico asciutto. I capelli, una volta castani, si erano ingrigiti, come i suoi folti sopraccigli, ma gli occhi grigioverdi mantenevano quel guizzo di allora e gli occhiali professorali, appoggiati su un naso piccolo e proporzionato, lo rendevano più serio e posato di un tempo. Il suo bel profilo ovale si era arricchito di una barba anch’essa ingrigita che gli donava un’aria molto intellettuale. La sua casa era una bella e grande villa, non lontana dal collegio, circondata da un giardino il cui verde prato e le numerose piante suggerivano pace e serenità. Consumammo un frugale pasto sotto il gazebo nel giardino, servito da una graziosa cameriera indiana. Sua moglie, mi disse, sarebbe ritornata nel pomeriggio da Teufel, dove abitava la figlia. Poi mi fece accomodare nel suo studio su una delle due confortevoli vecchie poltrone. Si diresse verso uno stipetto, prese due balloon ed una bottiglia di armagnac di vent’anni e, sorridendo, depose il tutto sul tavolinetto posto tra le due poltrone. Versò quel liquido ambrato e facemmo un brindisi ai vecchi ed ai nuovi tempi.

    Poi, come al solito, i ti ricordi si sprecarono, e le immagini legate ad essi riemersero dalla memoria come vecchie foto ingiallite dal tempo, ma ancora nitide.

    Dopo un altro brindisi, guardandolo sorpreso, gli chiesi:

    «Da quando bevi dell'armagnac? Mi pare di ricordare che un tempo fossi astemio».

    Seguì una pausa di silenzio, durante la quale capii dalla sua espressione che la sua mente era ritornata al passato. Poi mi rispose:

    «Caro Vittorio, certamente ricorderai i due omicidi avvenuti in collegio nell'ottobre del ’60 nell'arco di pochi giorni… Bene, quegli avvenimenti io, Augusto e Roberto li vivemmo in prima persona. Da allora, in occasioni speciali o piacevoli, bevo volentieri un balloon di Armagnac».

    Rimasi anch'io per un po' silenzioso, assaporando quel nettare e cercando di far mente locale su quegli eventi; alla fine, gli manifestai la mia curiosità:

    «Sì, mi ricordo. Fu un momento terribile, che sconvolse la nostra piccola comunità. Ricordo pure che tu, Augusto e Roberto foste direttamente coinvolti in quella storia. Non ho mai saputo come veramente si è svolta l’intera vicenda e, a distanza di tanti anni, mi piacerebbe conoscerla direttamente dalle labbra di un protagonista, sempre che questi abbia voglia di raccontarmela…»

    Riccardo si fece serio, si alzò, si chinò e tirò fuori da un cassetto della scrivania una cartella in marocchino. Rialzando la testa, mi spiegò:

    «Sai, dopo l’esame di stato a Berna, poco prima di iscrivermi alla Hochschule, ho pensato di buttar giù una specie di resoconto, quasi un diario di quei giorni. Se proprio lo desideri, ti racconto come andò».

    Alla mia risposta affermativa, cominciò, quasi con solennità, il suo racconto.

    Capitolo 1Inizio dell’anno scolastico 1960-1961

    L

    e campane della cattedrale di Sankt Gallen avevano appena suonato le 16 di quel lunedì 10 ottobre 1960. Mio padre mi aveva lasciato da mezz’ora, dopo avermi accompagnato in auto per quella strada piena di curve, che era veramente penosa per chi soffriva la macchina. In quel tempo le autostrade non c’erano, perciò il viaggio era veramente lungo. Eravamo partiti da casa alle 7 del mattino per arrivare a Lecco, proseguire per Chiavenna, superare il Maloyapass a Silvapiana, poi lo Julierpass, dove ci eravamo fermati brevemente per colazione all' Ospizio La Veduta , proprio sulla cima del passo. Avevamo poi proseguito per Altstätter, Teufen e, finalmente, Sankt Gallen, die Stadt in der grüner Ring .[1]

    Era il mio terzo anno al collegio e dopo un’estate di vacanza, ritornare e rivedere i vecchi compagni era una prospettiva piacevole. Entrammo in collegio e mio padre, dopo avermi aiutato a scaricare il bagaglio, fatte le ultime raccomandazioni di rito, mi abbracciò e ripartì; aveva un appuntamento a Lugano con il rappresentante della sua ditta per la Svizzera, il signor Louise, proprio colui che gli aveva suggerito l’idea di iscrivermi al collegio. Prima di lasciarmi, con mio enorme stupore mi aveva elargito duecento franchi svizzeri, una somma importante per un ragazzo di sedici anni, tanto più che era sempre molto restio a darmi dei soldi, se non guadagnati; infatti, nel porgerli mi aveva detto: «Questi sono per il mese che hai fatto in fabbrica».

    Andai a disfare la valigia ed a sistemare le mie varie cose nell’armadio e nel tavolino da notte; poi mi sarei recato a vedere se era già arrivato qualcuno dei compagni dell’anno precedente.

    Il collegio sorge su una delle colline che circondano Sankt Gallen, distribuito tra sette palazzine che ospitano, secondo l'anno di corso, le camerette degli allievi, eppoi le aule, nonché i servizi e gli uffici. Ciascuno degli edifici ha una denominazione:

    il Nußbaum, per ragazzi fino ai 12-13 anni; l’Ulrichshof, dove si trovavano la mensa, gli uffici della direzione e delle quattro sezioni, la svizzera-tedesca, l’italiana, l’anglo-americana e la linguistica, oltre all’economato ed a qualche aula; il Talsteig, dove ero io, per ragazzi dai 14 ai 16 anni; l’Ekkehard, che ospitava ragazzi dai 15 ai 17 anni, il Niedersteig, per quelli dai 17 ai 19 anni, l’Hochsteig e la Stammhaus, per quelli dai 18 ai 20 anni. All’epoca, la sezione italiana e quella anglo-americana contavano una settantina di alunni ciascuna, quella svizzero-tedesca circa duecento e la linguistica quasi cento. La rappresentanza delle varie nazioni del mondo era pressoché totale.

    Il Talsteig era la palazzina più in basso del complesso, ed era vicina ai campi da tennis ed al campo di calcio e di atletica. Stavo uscendo dalla camera, quando mi scontrai con Augusto, che stava entrando con il padre e la madre nella camera. Così, eravamo compagni sia di classe sia di camera.

    Li lasciai e salii al piazzale, dove si affacciavano sulla Höhenweg tre degli edifici, l’Ulrichshof, l’Ekkehard ed il Nußbaum.

    Come giunsi sul piazzale, m’incontrai con Vittorio, Roberto e Sergio, appena arrivati da San Gimignano, Roma e Forlì, rispettivamente. Scambiati i saluti, decidemmo, visto che solo il giorno dopo sarebbe cominciata la scuola e mancavano un paio d'ore alla cena, di andare allo Schoren, una trattoria-bar lì vicino, per prenderci una birra. Incontrammo alcuni tedeschi e americani che avevano cominciato già da un mese l’anno scolastico: Uwe, un armadio di quasi due metri, berlinese, Franz, più minuto, di Düsseldorf, Jim, di Chicago, Bernd, di Basilea, Wim, di San Francisco; tra tutti, spiccava Arnold, grosso e nero come il carbone, del Ghana. Quattro risate, un brindisi, che gli altri ci obbligarono a pagare, visto che eravamo gli ultimi arrivati, e rientro per la cena.

    Augusto lo rividi poi in camera, perché era sceso in città con i suoi a cena. Veniva da Sesto San Giovanni, era un ragazzo di statura media, magro, i capelli di color castano leggermente ramato, una fronte aperta, due sopracciglia ben disegnate e gli occhi color castano chiaro in continuo movimento, il naso regolare posto su due labbra un po' sottili. Caratterialmente tranquillo e riflessivo, ma, come accade con tutti i calmi, guai a farlo arrabbiare… in quei momenti era meglio stare alla larga. La sua generosità eccedeva qualsiasi aspettativa; quanto all'amicizia, per lui era una cosa sacra.

    La sera vedemmo che c’erano dei volti nuovi tra il personale di servizio. La maggior parte delle inservienti era alloggiata all’ultimo piano del Talsteig, proprio sopra le nostre camere; le altre erano in città, così come la maggior parte del resto del personale maschile, del quale solo sei elementi abitavano in una casa posta sotto il Talsteig, detta la fattoria. Questa non era altro che un cascinale riadattato, che al piano terra ospitava il laboratorio per la manutenzione e le riparazioni urgenti, dalla falegnameria all’idraulica, all'impianto elettrico. In un angolo c’era il magazzino per gli attrezzi sportivi degli studenti e al piano superiore le camere ed i servizi igienici.

    L’anno prima vi alloggiavano tre svizzeri, Franz, Ulrich ed Heinz, due italiani, Romeo e Gennaro, ed uno spagnolo, Felipe. Quell’anno, al posto di Gennaro era arrivato un croato, Milenko, ed al posto di Felipe, un algerino, Jamal. Ulrich, che svolgeva le mansioni di guardiano notturno, controllava che gli studenti non uscissero durante la notte e che tutto fosse tranquillo.

    Il giorno dopo, al termine della colazione, ci fu nello studio del preside la presentazione dei professori e degli orari settimanali delle lezioni. Non vi erano grosse novità: come nuovi professori c’erano il Mene di Lettere, lo Scale di Storia, la Daru di Francese ed il Botti di Matematica e Fisica. Gli altri erano rimasti gli stessi: il Borli di Geografia e Chimica, padre Zill di Tedesco, il Mill d’Inglese e don Mario di Religione. Gli allievi e i professori vivevano a stretto contatto, a differenza di quanto avveniva nelle scuole statali; ciò non soltanto favoriva la reciproca comprensione, ma, senza che venisse meno la deferenza ed il rispetto dei ruoli, insegnava ai ragazzi che tutti hanno la stessa dignità, indipendentemente dalla loro funzione.

    La prima ora cominciò con un lieve ritardo, ma senza particolari problemi. Ogni ora di lezione durava 45 minuti, e siccome ciascun insegnamento si teneva nella propria aula, eravamo noi alunni che ci spostavamo a seconda della materia. Alle 10 c’era un breve intervallo e dopo un quarto d'ora si riprendeva.

    Tutto stava scorrendo nella maniera più tranquilla, direi quasi monotona, un’ora dopo l’altra, e così arrivammo a mezzogiorno.

    Prima di sederci per il pranzo, il direttore, il professor Rhein, era solito chiamare uno studente a caso per recitare la preghiera di ringraziamento. Il professor Rhein era una persona di altri tempi; alto, capelli bianchi, un’espressione severa e nello stesso tempo dolce, lineamenti fini ed occhi azzurri, ingranditi dalle lenti spesse degli occhiali. Quel giorno toccò ad Amin, ugandese, recitare la preghiera, Vater segne diese Speise, uns zur Kraft und dir zum Preise.[2]

    Come sempre accadeva, quando la preghiera terminò, si levò un rumore assordante di sedie smosse, seguito dal brusio di circa quattrocento giovani che parlavano e scherzavano. Finito il pranzo, ci si trovò sul piazzale, dove i più grandi, facendo molta attenzione per non essere colti in flagrante dai professori, fumavano una sigaretta, mentre gli altri parlavano tra loro. Quel giorno, alle 14 avremmo seguito ancora una lezione di geografia ed alle 15 una di storia. Come ogni giorno, alle 16 avremmo avuto da una a tre ore di libertà, a seconda dell’età. In quelle ore di libera uscita, alcuni scendevano in città, altri facevano una passeggiata, altrimenti si andava, se il tempo lo permetteva, a giocare a tennis o al calcio, oppure ad allenarsi nella corsa sulla pista che circondava il campo di calcio, o anche in palestra a giocare a pallacanestro. Gli americani avevano sempre con sé i guanti e la palla da baseball, ed era un continuo lanciarsela l'un l'altro; su richiesta, potevano ottenere le mazze per allenarsi sul campo adiacente a quello del calcio. Le mazze erano conservate con gli sci ed altri attrezzi ritenuti pericolosi in un magazzino della fattoria, dove era Franz che curava la distribuzione e la restituzione degli attrezzi.

    Quel pomeriggio Vittorio, Augusto ed io, visto il tempo discreto, decidemmo di andare a visitare l’OLMA, la fiera che si teneva tutti gli anni in quel periodo a Sankt Gallen.

    Le fiere all’epoca attiravano anche persone da paesi vicini ed erano una vera e propria festa. Oltre agli stand che esponevano i prodotti più disparati, c’era anche il Luna Park.

    Scendendo, ci imbattemmo in alcuni ragazzi tedeschi ed americani e ci aggregammo a loro. Quando arrivammo in centro, ci separammo in due gruppi, perché alcuni si diressero al City, un bar vicino alla Mark Platz, a bere una birra e prendere un piatto di patate fritte, mentre noi tre, in compagnia di altri quattro, preferimmo andare al Luna Park. Girando fra le giostre ed i baracconi, capitammo alle giostre degli aeroplanini, e qui trovammo Giuliana e Gabriella, entrambe della provincia di Udine, e Bruna, piemontese. Le conoscevamo dall'anno precedente, perché tutt'e tre facevano le inservienti alla lavanderia del collegio ed erano nostre coinquiline al Talsteig. Giuliana aveva 23 anni, non era tanto bella, ma aveva un seno notevole, i capelli biondi; era un po’ grassottella, aveva degli occhi azzurri bovini, inespressivi, le guance paffute ed una bocca grande e carnosa su un inizio di doppio mento. L'impressione che destava era quella di una persona piuttosto grossolana. Gabriella, 20 anni, pareva più una tedesca che un'italiana: bionda, alta e slanciata, con i seni ben proporzionati sulla vita snella, un ventre tondo e due belle gambe. Gli occhi azzurro chiaro vivaci e la bocca ben disegnata che risaltava sulle guance magre le donavano un'espressione sensuale, accentuata dal sorriso che le conferiva un'aria un po' maliziosa. Era da quattro anni in Svizzera e da due al collegio, dove il lavoro, diceva lei, le permetteva di inviare alla famiglia un discreto sostegno. Bruna, maggiore di un anno, aveva un bel portamento, capelli neri corvini ed occhi verdi; era simpatica, e noi ragazzi trovavamo molto gradevole la sua presenza.

    Non mi sembrò vero di avere l'occasione buona per passare un po' di tempo con una compagnia femminile; ci fermammo a parlare con loro e poi andammo in giro tutti insieme scherzando e ridendo. Siccome Gabriella si divertiva a stuzzicarmi, pensai che non le dispiacessi e, benché fosse più grande di me, mi feci coraggio: cogliendo il momento in cui eravamo rimasti indietro agli altri, la invitai a bere un bicchiere di vino o una birra al Walliser Keller, un

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