Gli Arabi - L’arte e le invasioni in Europa
By AA. VV.
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Gli Arabi e l'Islam
Il Mediterraneo alla vigilia dell'Islam
L'Islam vincente e il califfato di Damasco
La conquista del Maghrib
Il Maghrib in epoca abbaside
L'arte nella civiltà dell'Islam
L'architettura religiosa in Spagna
Case e palazzi
Castelli e fortezze
I Bagni
L'epigrafia
La ceramica
Stucchi e rilievi
Articoli religiosi
I gioielli
I metalli
Ricami e tappeti
Vetri e cristalli
Avori ed ornamenti
Oggetti domestici
Legni
I tessuti
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Gli Arabi - L’arte e le invasioni in Europa - AA. VV.
GLI ARABI
L’arte e le invasioni in Europa
Autori Vari
Zeus Editori - Prima edizione digitale 2015 a cura di David De Angelis
Indice
Gli Arabi e l'Islam
Il Mediterraneo alla vigilia dell'Islam
L'Islam vincente e il califfato di Damasco
La conquista del Maghrib
Il Maghrib in epoca abbaside
L'arte nella civiltà dell'Islam
L'architettura religiosa in Spagna
Case e palazzi
Castelli e fortezze
I Bagni
L'epigrafia
La ceramica
Stucchi e rilievi
Articoli religiosi
I gioielli
I metalli
Ricami e tappeti
Vetri e cristalli
Avori ed ornamenti
Oggetti domestici
Legni
I tessuti
Gli Arabi e l'Islam
Lunga, monotona e oscura è la preistoria di questo popolo nella patria penisola prima che la religione unificatrice di Maometto lo immettesse con stupefacente dinamica sulla così vasta scena della sua diaspora.
Nel periodo anteislamico, che i Musulmani chiamarono poi della Giahiliyya (ignoranza religiosa, o barbarie), gli Arabi nomadi svolsero una parte marginale, di ausiliari e mobili fiancheggiatori e incursori, fra le potenze che si succedettero e fronteggiarono nell'Asia Anteriore, dagli Assiri ai Seleucidi, ai Romani, ai Bizantini ed ai Persiani. Stabili insediamenti e formazioni statali si ebbero bensì a nord e a sud della Penisola, col regno dei Nabatei e dei Palmireni, entrambi domati da Roma, e con i regni sedentari del Sudarabia (l'Arabia felix o Yemen), fiorenti di una progredita agricoltura e del commercio delle spezie. Ma nel cuore della Penisola prevalse ab antico il nomadismo, via via riallargatosi nei primi secoli dell'era volgare, e il connesso frazionamento tribalizio. Salvo il centro religioso della Mecca e l'insediamento urbano di Yathrib (la futura Medina), gli Arabi vivevano la grama e dura vita beduina, a economia pastorale; in un pulviscolo di gruppi e sottogruppi tribali in lotta fra loro e con la natura inclemente, contendendosi i magri pascoli, i pozzi, il bestiame. Avversi e incapaci nella loro gran maggioranza a ogni formazione sociale che trascendesse il vincolo genealogico della tribù, essi conobbero pure ai margini del deserto degli embrioni di staterelli cuscinetto (i Ghassànidi sul limes di Siria, i Làkhmidi sull'Eufrate), vassalli rispettivamente di Bisanzio e della Persia sasanide. Qui la pura vita beduina si temperò e affinò in contatto con superiori civiltà; ma ovunque altrove essa rimase in uno stadio primitivo, socioeconomico e spirituale, su cui spicca, in mal perseguibile genesi e sviluppo, il culto della poesia, che ben fu detta l'archivio dei fasti degli Arabi, il riflesso delle loro passioni e, contese, il legato del paganesimo arabo alla civiltà araba avvenire.
L'aspetto religioso di tale società primitiva era un elementare polidemonismo, con una folla di idoli, dal culto spesso limitato a singole tribù, le cui immagini si ritrovavano all'interno della Kaba meccana. Non del tutto assente, ma vaga e sfuggente, la nozione di una superiore divinità, un Allàh o Iddio per eccellenza, restando affatto incerto il suo rapporto col mondo e con l'uomo. Semplice e sporadico il culto, ristretto a sacrifici e oracoli divinatori. Elemento comune e affratellante, il pellegrinaggio annuo alla Mecca, ove si venerava incastrato nella Kaba l'aerolito della Pietra nera, e tre divinità femminili, Allàt, Manàt e aluzza, erano oggetto della pietà cittadina e dell'occasionale omaggio dei pellegrini beduini. Nell'assenza di ogni precisa fede in una sopravvivenza oltreterrena, questa vita religiosa dell'Arabia pagana si esauriva in tali semplici riti, e si risolveva in un rozzo umanesimo materialista; mentre di fronte a esso si ergevano i rappresentanti delle due grandi fedi monoteistiche, Giudaismo e Cristianesimo, entrambe presenti nell'Arabia preislamica, sia nei piccoli centri cittadini sia in singole tribù del deserto. Al di fuori di entrambe, ma quasi anticipazione di quel che sarà poi l'Islam, spiccano nella tradizione araba le figure di singoli uomini religiosi, i cosiddetti hanif, in cui si esprimeva l'esigenza monoteistica ancor al di qua di ogni teologica formulazione.
Tra questo popolo povero e guerriero, socialmente diviso e discorde, e religiosamente tiepido o addirittura indifferente, emerge al principio del VII secolo la figura e l'opera del suo Profeta, il meccano Muhammad, un nome che in bocca occidentale diventò Maometto. Non è nostro compito qui rintracciare le tappe di quella vita: l'albeggiare in lui del concetto dominante di un unico Dio, creatore e signore dell'universo, e suo giudice nel supremo Giudizio; la lunga tenace lotta per proporre ed imporre dapprima ai suoi concittadini meccani, poi agli Arabi tutti del Higiàz e dell'intera Penisola, questo nuovo credo, manifestato nella rivelazione coranica; la passione della vigilia, la migrazione a Medina (622, inizio dell'era musulmana), la trasformazione da semplice banditore religioso in capo di una comunità e di uno Stato, cementato dalla nuova fede dell'Islam; la finale vittoria di questo e del suo Profeta contro il riluttante paganesimo meccano e beduino; il trionfale ritorno di Maometto in patria, la purificazione della Kaba dal culto idolatrico e la solenne commutazione del rito pagano nel pellegrinaggio musulmano, ancor oggi massima manifestazione unitaria di quella fede. Ricordiamo solo che il trionfo di Maometto alla Mecca è del 630, e che soli due anni dopo, nel 632, la morte a Medina suggellava quella straordinaria carriera, di rivelatore e codificatore di un nuovo verbo al suo popolo tutto, e, contro ogni iniziale previsione, a tanta altra parte dell'umanità.
Ricordiamo qui brevemente l'essenza dell'Islam, quale è riassunta nella lapidaria formula della shahada, o professione di fede: non c'è altro dio che Allàh, Muhammad è l'Inviato di Allàh
. Ripudio del politeismo pagano e affermazione di un monoteismo rigidissimo, respingente ogni concetto di filiazione divina (Cristianesimo), e insieme riconoscimento del Profeta arabo come trasmissore per divino mandato di tale verità suprema.
Il suo Libro sacro, il Corano, diretta e letterale parola di Dio, di insuperabile bellezza ed efficacia. Semplici gli obblighi principali del culto, costituenti, con la citata shahada in testa, i cinque pilastri
della nuova fede: la quintuplice preghiera canonica quotidiana, complesso di formule e gesti di adorazione secondo un rigido rituale, presto divenuto familiarissimo a ogni credente; l'elemosina legale, da erogarsi su determinati cespiti e per determinati fini assistenziali e fiscali; il digiuno del mese sacro di ramadàn, con astensione totale da cibo, bevanda, fumo, rapporti sessuali dall'alba al tramonto; il pellegrinaggio infine, nel mese a ciò dedicato, a quel santuario arabo antichissimo della Mecca, la Kaba, che Maometto genialmente islamizzò
incorporandolo nella sua fede. Fratelli nella fede tutti i credenti, sostituendosi il vincolo religioso a ogni altro legame genealogico e tribalizio, che aveva fino allora governato la vita associata del popolo arabo. Quanto alla posizione del Profeta stesso in tale nuova società o comunità, essa passò da quella iniziale di banditore del nuovo credo all'altra, ben più complessa e autorevole, di capo di stato e modello dei credenti, dettante legge non solo con la rivelazione divina, ma con i suoi propri detti e comportamenti, espressi e tramandati in innumerevoli brevi loghia
, la cui raccolta, classificazione e cernita doveva costituire per secoli una delle maggiori attività intellettuali della comunità musulmana. La dignità di eletto profeta (con alcune connesse prerogative,