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L'Ombra dei Salici
L'Ombra dei Salici
L'Ombra dei Salici
Ebook439 pages6 hours

L'Ombra dei Salici

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About this ebook

In questo libro di viaggio Giordano Cellai esordisce con un opera schietta e senza pretese che sa cogliere il cuore delle terre e delle culture da lui attraversate. Insieme alla compagna, al cane e all'inseparabile Briscola, parte nel 2007 senza una meta ben precisa e modifica ogni giorno la rotta in base a dove soffia il vento. Tutto questo per riuscire ad assecondare i tanti messaggi che la vita ogni giorno ci propone, ma che, presi dalla routine quotidiana, spesso non riusciamo ad assecondare.
Ne esce un racconto “on the road” capace di comunicare in maniera nuova lo spirito dei viaggiatori e gli stati d'animo dei tanti personaggi incontrati in terre che oggi sono preda di terroristi cinici e violenti.
Un concatenarsi di vite e di esperienze che modificano in breve tempo e nel profondo gli stati d'animo dei protagonisti lasciando un marchio indelebile nelle loro vite.
Un affidarsi al prossimo, all'estraneo che suscita ammirazione, ma che allo stesso tempo ci racconta che tutto viaggia insieme al nostro spirito e a come ci poniamo verso il prossimo.
Un invito a cavalcare le splendide onde di questo mare che è la vita senza essere troppo esuberanti, ma senza accontentarsi di ammirare le onde dalla spiaggia.
LanguageItaliano
Release dateFeb 13, 2016
ISBN9788892553903
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    L'Ombra dei Salici - Giordano Cellai

    Giordano Cellai

    L'ombra dei salici

    UUID: 6bdda7ac-d271-11e5-86d9-0f7870795abd

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com)

    un prodotto di Simplicissimus Book Farm

    Indice dei contenuti

    L’OMBRA DEI SALICI

    Premessa

    CAPITOLO I

    CAPITOLO II

    CAPITOLO III

    CAPITOLO IV

    CAPITOLO V

    CAPITOLO VI

    CAPITOLO VII

    L’OMBRA DEI SALICI

    Storia di un viaggio in Iran attraverso Balcani, Turchia e Kurdistan

    INDICE

    Capitolo I - Prologo

    Capitolo II - Onde Balcaniche

    Capitolo III - Attraverso la Sublime Porta

    Capitolo IV - Ararat

    Capitolo V - Poesia Persiana

    Capitolo VI - Cambi di rotta

    Capitolo VII - Mai più come prima

    ad Erica

    splendida moglie

    e compagna di viaggio

    Itinerario percorso in circa otto mesi di viaggio

    Premessa

    Questo libro è frutto della revisione di un diario di viaggio tenuto tra il marzo 2007 e l'ottobre 2007. Lo scopo del viaggio era quello di scoprire dall'interno una cultura che l'occidente aveva cominciato a temere, ma era anche, soprattutto, quello di scoprire noi stessi attraverso il difficile atto del mettersi in gioco.

    Sono passati alcuni anni dalla sua stesura e la situazione in quella parte di mondo è profondamente peggiorata. L'Isis ed il fondamentalismo religioso hanno messo a soqquadro quei meravigliosi luoghi che ricordo con tanta vicinanza. Penso soprattutto alle facce che ho incontrato nel Kurdistan e nel sud della Turchia. Quei pastori e contadini che con tanta umiltà e gioia ci hanno sempre invitato nelle loro case.

    Oggi sono grato di aver avuto quell'incredibile opportunità e spero in un breve futuro di poter ripercorrere quelle strade. Lo spero, ma non lo credo visto che le nostre reazioni da occidentali sono sempre accompagnate da tanta arroganza, ignoranza ed ipocrisia.

    Quei luoghi sono da sempre oggetto del contenzioso dei grandi governi mondiali perché oltre alle risorse che vi si trovano, essi rappresentano anche un crocevia fondamentale nella geopolitica tra oriente ed occidente. Da decenni vengono portate avanti operazioni più o meno pulite che hanno creato ad oggi ad un'instabilità contornata di gruppi estremisti spesso figli di povertà ed emarginazione.

    Questo libro non vuol certo essere né un saggio che fornisca le soluzioni di questo complicatissimo puzzle, né tanto meno un libro denuncia che si schiera da una parte o dall'altra. Nei miei racconti di persone e luoghi realmente incontrati, ho cercato di mantenere il più possibile un atteggiamento da osservatore anche se non mi sono mai risparmiato di raccontare le sensazioni che, da occidentale, provavo ogni qual volta venivo messo di fronte a realtà che da casa apparivano in un certo modo e che da là prendevano sfumature ed angolazioni completamente diverse.

    Spero che oltre ad essere di utilità a chi decide di provare a conoscere un po' meglio queste culture, questo libro possa servire anche a chi, con cuore puro, deciderà di visitare questi posti che ci raccontano anche da dove veniamo, chi siamo e anche un po' dove stiamo andando.

    CAPITOLO I

    PROLOGO

    "…Viaggiare? Per viaggiare basta esistere.

    Passo di giorno in giorno come di stazione in stazione,

    nel treno del mio corpo, o del mio destino,

    affacciato sulle strade o sulle piazze, sui gesti e sui volti,

    sempre uguali e sempre diversi come in fondo sono i paesaggi."

    (Fernando Pessoa, Il libro dell’inquietudine)

    Come la maggior parte dei viaggi, anche questo stava cominciando dove un altro si era appena concluso. In questi ultimi tre anni, avevo affrontato uno dei viaggi più difficili della mia vita cercando di raggiungere la riconciliazione con la mia famiglia e forse anche con me stesso. Sì, perché per noi che veniamo chiamati disadattati, solo perché non ci adattiamo alle forme imposte da regole e valori che ruotano esclusivamente attorno a cifre e numeri, non è facile trovare una collocazione ben precisa. Quando veniamo al mondo, tutti abbiamo il cuore sgombro e così possiamo ammirare gioiosamente quello che ci circonda rimanendo a bocca aperta davanti alle sfumature di un fiore o fissando per ore un ruscello che scende attraverso le rocce. Così giochiamo spensierati, fino a quando cominciano a presentarci degli obbiettivi da raggiungere che, inizialmente, sono sotto forma di voti scolastici, esami o interrogazioni. E' a questo punto che sviluppiamo quel senso di competizione che ci vuole vincenti a tutti i costi e che, quando ci vede perdenti, ci ferisce. Via via che cresciamo siamo messi di fronte ad altre competizioni: sportive, estetiche, economiche. Vengono nascosti gli istinti che ci vorrebbero far essere quel che veramente siamo e veniamo spinti in percorsi forzati anche con l’ausilio di personale specializzato come psicologi o psicanalisti. Tutto questo per cercare di omologarci il più possibile l’un l’altro così da diventare più facilmente pilotabili nelle direzioni che più fanno comodo al padrone di turno. Si costruiscono, così, bisogni virtuali per i quali si forniscono metodi di appagamento disponibili sempre ed esclusivamente a pagamento, cercando anche di differenziare il più possibile l'accesso agli stessi con metodi migliori per chi paga di più e così via. In questo percorso ci sono persone che pagano molto caro il prezzo dell'omologazione di massa. I più deboli reagiscono con forme di auto-emarginazione abbandonandosi a vite sbandate dove non riescono a trovare vie di fuga e dove, spesso e volentieri, finiscono anche per rifiutare l'aiuto di persone vicine che vedendoli in difficoltà vorrebbero aiutarli. Altri, cercando di sopprimere gli istinti che gridano, si ritrovano sovraccarichi di tensioni che scaricano inavvertitamente attraverso bruschi gesti di follia improvvisa. Quest' ultima è la situazione più comune perché, parliamoci chiaro, chi comunque inconsciamente riesce a collaborare con questo regime di riprogrammazione cerebrale, non lo fa mai senza pagarne un prezzo. Chiunque abbandoni i propri istinti alla ricerca del successo deve essere pronto a sacrificare qualcosa di sé: i propri sogni, i desideri più profondi, i figli e la famiglia. Per riuscire a fare tutto ciò, il sistema che ci vuole in eterna competizione; è lì pronto a fornirci, sempre a pagamento, metodologie che riescano a mettere a tacere le grida del nostro io che dentro urla nel tentativo di riportarci sulla retta via. Ecco quindi che oggi l'uso della cocaina e delle droghe in generale è in largo aumento tra i giovani, sono moltissimi a bere e fumare regolarmente, per non parlare dell'uso oppiaceo che viene fatto della televisione che dopo una giornata estenuante di lavoro ci ipnotizza con messaggi banali o ci terrorizza facendoci credere addirittura fortunati. Ho perso amici accalappiati nella morsa della droga che sempre più diventava sostituto di quelle sensazioni appaganti che il nostro corpo ci fornisce gratuitamente ogni qual volta lo ascoltiamo. Ci dimentichiamo del meraviglioso contesto dove siamo nati ed in cui viviamo cercando di ricrearne un altro virtuale fatto di macchine lussuose, appartamenti alla moda e gratificanti sintetici. In mezzo a tutto questo ad un certo punto mi sono sentito vulnerabile.

    Nell'estenuante ricerca di un appartamento ad un prezzo accessibile per un giovane, il destino mi riportò in quelle case dove mio padre era nato e dove erano nati mio nonno e suo padre. Contadini sfruttati da padroni assetati di ricchezze e dalla chiesa che strumentalizzava i timori delle povere famiglie, non ci pensarono due volte, non appena si presentò loro la possibilità, a sganciarsi da tale schiavitù per gettarsi nella grande impresa del miracolo economico del quale si sognavano gli sviluppi, ma si ignoravano completamente gli esiti. Fatto sta che tutte le case che i contadini avevano abitato con le loro famiglie numerose furono abbandonate in favore di nuovi appartamenti in palazzine di cemento armato in città. Le campagne furono abbandonate e si passò da un'agricoltura di sussistenza, custode di una cultura millenaria di saperi e tradizioni, ad un'agricoltura industrializzata dove le nuove tecnologie rimpiazzavano le braccia con l'intento di fornire la maggior quantità di cibo nel minor tempo possibile. Naturalmente con questo evolversi delle cose la qualità del cibo è andata peggiorando così come sono peggiorate di molto le abitudini alimentari. Basti pensare che in pochi decenni siamo passati da un consumo di quindici chili pro capite all’anno di carne a quello odierno di quasi settanta chili, il tutto senza non poche problematiche socio-ambientali. Le persone che abbandonavano la terra in favore dell'industria andavano aumentando progressivamente e dopo alcuni anni i pochi agricoltori rimasti, pur con tecnologie moderne a disposizione, non erano più in grado di soddisfare il fabbisogno di un numero sempre maggiore di persone. Questi cambiamenti non hanno avuto un impatto negativo solo sui nostri paesi, dove si è visto un aumento incredibile di malattie così dette moderne come il colesterolo, il diabete o i tumori, quest’ultimi capaci da soli di attanagliare una persona su quattro, ma anche e soprattutto sui paesi del terzo mondo che si sono visti costretti, con metodi poco ortodossi, a divenire i nostri schiavi in chiave moderna e cioè a fornirci cibo a basso costo non solo a noi direttamente, ma anche al gran numero di animali allevati in capannoni e destinati esclusivamente al consumo alimentare. In altre parole, non soltanto li abbiamo forzati a barattare le loro coltivazioni di autosufficienza per monocolture di cibo per noi, ma anche per gli animali che consumiamo ormai a dismisura a ritmi abominevoli.

    Ricordo benissimo il primo giorno che entrai in una di quelle case, era come se stessi sognando ad occhi aperti. I muri stonacati ed i fili elettrici penzolanti svanivano per lasciar posto a muri tappezzati di attrezzi ed utensili. Il camino, predisposto per accogliere persone sedute al suo interno, si animava di donne che mentre intrecciavano ceste si raccontavano storie. Mi ritrovai ad abitare un posto magico dove se mi fermavo ad ascoltare, potevo sentire la natura che parlava con il suo meraviglioso linguaggio d'amore. Ebbi la possibilità di scegliere la casa che più mi piaceva, quella che scelsi aveva sulla facciata una pietra dove c'era scolpito 1612. I primi lavori furono di bonifica e, dopo aver scrostato i muri dall'intonaco che ormai cadeva a pezzi per via dell'umidità, passai alla sistemazione dell'impianto elettrico dopodiché fu il turno dell'acqua calda che portai in casa grazie ad un piccolo scaldabagno regalatomi da un amico. Nel frattempo c'era tanto da pulire e sistemare che ci vollero un paio di settimane prima di poterci portare il letto che fu la prima cosa ad apparire dentro la casa deserta. La prima scossa, però, mi fu data non appena fu il turno di sistemare l'aiuola che si trovava di fronte all'ingresso. Mi ricordo come fosse ieri la sensazione che mi avvolse non appena, strappate le erbacce che l'avevano infestata, arrivai a toccare la terra con le mie mani. Via via che con le dita la vagliavo in cerca di sassi e radici, cresceva dentro di me un benessere che non capivo da cosa derivasse. In un primo momento lo riconducevo sempre al fatto che mi trovassi in quel posto magico. Fu solo più tardi, quando vidi crescere le prime pianticelle che ci avevo piantato, che mi accorsi che si trattava di una cosa ben più fine e complessa. Nell'atto di toccare la terra con le mie mani, ristabilivo quel contatto con Madre Terra che avevo interrotto molto tempo prima, forse addirittura quando, alla mia nascita, mi fu reciso il cordone ombelicale e fui sculacciato a testa in giù. Questo sentirmi parte di quello che mi circondava si evolse successivamente in una riscoperta giornaliera di quello che era il vero habitat in cui vivevo. Se prima mi sentivo cittadino italiano, parte di una civiltà che grazie al progresso scientifico-tecnologico dominava il mondo, adesso mi vedevo come una piccola vite in un gigantesco ingranaggio dove tutto quello che ne era parte, lavorava al completamento dello stesso obbiettivo. Incominciavo a guardare con ammirazione le piante che, senza bisogno di grandi cure, ci regalavano frutti così squisiti. Non potevo fare a meno di adorare quella terra grassa che al solo porgere di un seme rispondeva con qualcosa di magico. Invidiavo bonariamente gli uccellini e gli animali che erano così liberi. Poi cominciai a riflettere su com'era possibile che mi sentissi così intrappolato in un sistema che mi voleva pieno di responsabilità sia nel lavoro che fuori. Queste responsabilità che avrebbero dovuto regalarmi successi sotto forma di carriera e denaro, finivano per isolarmi da tutto quello che adesso stavo riscoprendo formando una patina impermeabile tra me e la Madre Terra. Ricreavo così, come di riflesso, un paradiso artificiale fatto di beni materiali e di consumo. E' così che la società eleggeva a uomo di successo chi riusciva ad accumulare il massimo della ricchezza nel minor tempo possibile senza stare ad indagare troppo sul come tale obbiettivo veniva raggiunto. Il manager che lavorava mattina e sera e che investiva tutte le proprie energie nel lavoro, diveniva il modello da imitare e nulla contava se i due figli che aveva a casa crescevano senza un padre al loro fianco. A loro, veniva semplicemente raccontato che quello che loro padre faceva, era per il bene della famiglia ed era questo il vero amore.

    Le settimane passavano, così i mesi ed oltre che dall'orto e dal pollaio, ero circondato da alberi da frutto rimasti in eredità da quella generazione di contadini alla quale mio padre avrebbe dovuto appartenere. Tutto questo mi dava molto di quello di cui necessitavo per vivere rendendomi ancor più indipendente dal dover acquistare il cibo e quindi dal dovermi guadagnare i soldi per acquistare questo cibo. Stavo costruendo dentro di me una struttura che, oltre a prendere forza, diventava ogni giorno più consapevole delle proprie possibilità. D'improvviso per me non era più importante apparire in una certa maniera, ma diventava fondamentale essere parte di ciò di cui ero sempre stato parte (e della cui esistenza non mi ero mai accorto). Raramente spendevo i miei soldi in bevute tra amici, mi limitavo nell'uso della macchina ed iniziai ad interessarmi alle dinamiche di mercato cercando di scoprire quali erano i prodotti e le multinazionali che, tenendo in scacco milioni di persone, si arricchivano ogni giorno senza badare troppo all'impatto che tutto ciò poteva avere. Scoprii che molte persone stavano lottando per obbiettivi simili al mio e fu con immenso piacere che mi tuffai in quel mare di informazioni raccolte in anni e anni di ricerche da persone che come me avevano raggiunto una simile consapevolezza. Non mi interessava più avere la possibilità di comprarmi l'ultimo modello di cellulare o il poter cenare in ristoranti costosi. Mi stavo sganciando lentamente dal meccanismo che ci incatena forzatamente a lavori retribuiti in denaro che spesso sono contrari alla nostra etica o che comunque non ci appassionano. In questo modo avevo più tempo per ascoltarmi, per fare ciò che veramente volevo fare e per cercare di realizzare quelli che fino a ieri erano stati i miei sogni e che da oggi cominciavano a diventare progetti.

    Nel frattempo anche le altre case libere furono occupate da altri giovani e l'esperimento nascente stava diventando interessante. Ripensando a quei giorni, so che il borgo mi ha salvato, le persone del borgo mi hanno salvato, la lettura in cambio della televisione, il pensare invece del dimenticare. In questo luogo magico si materializzarono, come per incanto e senza che me ne accorgessi, tutti i presupposti che mi portarono a partire per un posto che non conoscevo assolutamente, lasciandomi alle spalle le certezze che mi ero creato e alle quali tanti si aggrappano confondendole come le uniche possibili.

    Fu in una giornata grigia che venni a sapere che la persona che ci aveva dato la possibilità di abitare quelle case era stata licenziata dal proprietario della tenuta. I nostri sospetti di essere presto cacciati con lui, trovarono presto fondamento e poche settimane dopo arrivarono le prime voci di una possibile vendita del borgo che abitavamo da trasformarsi, come da copione in Toscana, nel prossimo agriturismo con piscina pronto ad accogliere persone provenienti da grandi città e disposte a pagare prezzi assurdi per una boccata d'aria pura. I nostri progetti subirono una battuta d'arresto repentina ed anche il solo coltivare l'orto divenne difficile con lo spettro di dover mollare tutto. Com'è facile immaginare, ne seguì un po’ di confusione che per fortuna mai si trasformò in rassegnazione. Cominciammo così a cercare tutti insieme un'altra sistemazione dove poter andare avanti con il nostro progetto.

    Fu in questo frangente che tra le persone che erano venute ad abitare il borgo incontrai il mio faro. Quella luce che costantemente mi ricordava che non mi ero perso, ma che stavo solo navigando liberamente anche quando le acque sembravano agitarsi un po’. Erica amava come me annusare la terra fresca e con lei condividevo anche gli spettri che la società consumistica, nella quale eravamo cresciuti, ci aveva impiantato nel profondo. La decisione che prendemmo in quel momento ebbe degli sviluppi che non potevamo immaginare. Appena ci avevano paventato l'idea di poter rimanere di nuovo senza alloggio, e quindi di dover ricorrere nuovamente all'aiuto dei nostri familiari e di chi, dunque, si era costruito una sicurezza finanziaria secondo le regole di mercato contro cui noi stavamo lottando, decidemmo di investire i nostri pochi risparmi, di vendere quel poco che possedevamo ed acquistare un camper dove avremmo potuto abitare ogni qual volta si fossero presentate situazioni simili a quella che stavamo vivendo. Certamente non avevamo ampia scelta con i soldi che possedevamo e, sapendo di dover scegliere comunque tra mezzi vecchi, mettemmo solo il paletto dell'impianto a gas così da non dover far parte di quelle carriole ambulanti che quando viaggiano lasciano dietro di se nauseabondi nuvoloni neri. La ricerca non durò troppo a lungo ed insieme ad Erica fummo concordi nell’ accettare un Fiat 238 dell'82 che trovammo a Rioveggio e che sul fianco riportava la scritta Briscola. Non dimenticherò mai il nostro ingresso in autostrada il giorno che lo portammo a casa. Macchine e Tir ci sfrecciavano di fianco a pochi centimetri suonando all'impazzata. Nonostante le tre corsie, la nostra velocità fece andare su tutte le furie decine di automobilisti che dalle loro macchine ci infamavano senza mezzi termini. Il culmine lo raggiungemmo quando, vicini all'uscita, un Tir che a suo parere aveva atteso troppo prima di superarci, pensò bene di tagliarci fuori facendoci prendere uno spavento non da poco. Fu così che chiudemmo con le autostrade che, senza ombra di dubbio, richiedevano velocità alle quali avevamo da tempo rinunciato. Eravamo proprio contenti di possedere un mezzo che aveva il nostro stesso passo. Tornammo a casa e con Briscola ci mettemmo alla ricerca della nuova sistemazione con maggiore tranquillità.

    In tutto questo, continuavo a lavorare nella falegnameria di mio padre che come altri artigiani non navigava certo in acque tranquille con la nuova economia che adesso lo voleva come specie in via d'estinzione. Ogni giorno avevo a che fare con soggetti che dietro a quello che veniva costruito con amore non vedevano altro che un possibile profitto. Questa, tra le tante, era la cosa che più mi deprimeva. Banche, rappresentanti e commercianti, trasformavano automaticamente il frutto della passione e dell'ingegno di secoli, in meri corrispettivi monetari, svuotandoli in tal modo di ciò che di più prezioso avevano: l'amore. Era uno sforzo incredibile per me dovermi relazionare con queste persone che comunque, nell'intreccio malato dell'economia di mercato, rappresentavano paradossalmente la colonna vertebrale della passione di mio padre. Inconsapevolmente, nel tentativo di tener viva tale passione, si vide costretto ad accettare compromessi che lo vedevano adesso obbligato a lavorare centellinando i minuti e sorvolando su particolari divenuti superflui, se non inutili, al fine della produzione in serie. Ero cresciuto vedendo mio nonno che a pranzo si ritirava dalla bottega e solo dopo una pennichella di un paio d’ore vi rientrava; lo vedevo girare intorno ad un abbozzo di mobile per minuti prima di scegliere come affrontare il passo successivo. Adesso mio padre, mio fratello ed io eravamo costretti a pranzi espressi, a lavorare molto più a lungo degli operai e spesso anche di sabato e domenica. Come nell'agricoltura così nell'artigianato si era perso il contatto con l'anima ed il creare si era trasformato in produrre. In tutto questo mi trovavo incredibilmente combattuto su quello che era giusto fare: da una parte vedevo la rinuncia a tutte queste riscoperte che duramente stavo conquistando, dall'altra vedevo mio padre pugnalato alle spalle insieme alla nostra tradizione plurigenerazionale di falegnami della mia famiglia. Furono anni difficili e guardandoli adesso credo di aver corso non pochi rischi: fumavo in maniera assidua, ogni tanto bevevo e fui lambito pericolosamente dalla droga. Tutto questo perché, dentro di me, si stava consumando un conflitto interno che oggi rivedo in molti giovani e verso il quale questo modello di società ci spinge in maniera violenta. Oggi siamo pronti a sacrificare orde di giovani che, proprio per colpa di questi conflitti e nel tentativo di soffocare la voce del proprio io, sono costretti a ripiegare nel fine settimana in discoteca dove abusano di qualsiasi cosa sia necessaria ad affogare tali sensazioni. Tutto in nome di una crescita economica e di un progresso tecnologico: ma a quale scopo?

    Le ricerche per una nuova sistemazione intanto proseguivano, ma con esse cresceva, sia in me che in Erica, questo malessere che ci rendeva nervosi e comunque insoddisfatti. Non sapevamo cosa fosse giusto fare, ma un'altra cosa che il borgo ci aveva insegnato era di aver pazienza; ogni cosa ha i suoi tempi e quando i frutti fossero stati maturi qualcosa sarebbe successo. Questo qualcosa arrivò in maniera quantomeno inaspettata. Una delle nostre galline mugellesi, Guenda, era rimasta fuori dal recinto e stavo cercando di spingerla verso l'entrata. Come se ci fosse qualcosa che non andava, ogni qual volta che si avvicinava all'ingresso del recinto tornava indietro e continuava a sbattere contro la rete. Dopo tre o quattro tentativi, Guenda cominciò a fuggire lontano dal recinto e con Lino, il cane di Erica, mi detti all'inseguimento. Girammo come pazzi tra le case per una decina di minuti quando tutto ad un tratto la gallina fece un volo lunghissimo e si andò a posare proprio sopra una delle ruote di Briscola, il camper. Notai le ruote sotto la nostra nuova casa come se fosse stata la prima volta che c'erano. Certo era un mezzo vecchio, ma la mia mente si mise in funzione senza che io la comandassi. Inconsciamente iniziai a calcolare cosa ci sarebbe stato da fare, la velocità ed il carburante, il percorso e la meta. Dopo alcuni minuti ritornai in me e vidi che Guenda non accennava ad andarsene dalla ruota. Mi avvicinai e lei, docilmente, si fece catturare e riportare nel pollaio. Il pensiero di un viaggio con Briscola continuò ad occupare la stragrande maggioranza dei miei pensieri nei giorni successivi: certo il mezzo aveva i suoi anni, ma era proprio la sua anzianità che stranamente mi rassicurava. C'era poi il fattore velocità: i suoi stimati, visto che il contachilometri era rotto, cinquanta chilometri orari mi facevano pensare che qualsiasi posto sarebbe stato troppo lontano, ma poi mi ricordai di altre cose che il borgo mi aveva insegnato e la riconquista del tempo era una di quelle. Non era cioè importante quanto velocemente si faceva qualcosa, ma piuttosto quanto tempo avevamo a disposizione per farlo.

    Decisi quindi di parlarne ad Erica che, come se non stesse aspettando altro, accolse l'idea con un sorrisone che solo lei è capace fare. Da quel giorno difficilmente riuscii a distrarla da questa cosa che quindi prese il volo da sola. Il piano era: dare una sistemata a Briscola e partire verso est fin quando avremmo potuto. Lo scopo non ci era del tutto chiaro, ma dentro di noi sapevamo che ci stavamo mettendo alla ricerca di noi stessi, del nostro equilibrio interiore, ma soprattutto della vera natura dell'uomo che ci era stato sempre dipinto come egoista e arrivista. Avevamo scelto l'est perché era proprio da là che arrivavano i pericoli ed i timori per gli abitanti del paese in cui vivevamo: l'invasione indo-cinese, il pericolo Islam. Volevamo capire se quello che ci veniva detto era vero o se, come pensavamo noi, era frutto di strumentalizzazioni volte alla conservazione di un patrimonio culturale occidentale ormai in piena deriva che sapeva aggrapparsi solo ai suoi istinti xenofobi pur di non fare un ben più dignitoso mea culpa.

    I preparativi cominciarono, ma i risultati non furono immediati come avevamo previsto. La prima fase, che prevedeva la sistemazione dell'interno con l'eliminazione di due posti letto, non regalò sorprese, così dallo spazio che avevamo guadagnato ricavammo degli scaffali dove alloggiare le provviste del nostro orto conservate in vasetti di vetro sottovuoto oltre a del materiale raccolto in una scuola della zona da consegnare ad un istituto bisognoso in uno dei paesi che avremmo attraversato. I problemi cominciarono quando furono messe le mani nel motore. Quello che sembrava dovesse essere un controllo di routine, si trasformò in una tragedia epica dalla quale non riuscivamo a sganciarci. I pezzi da sostituire furono molti più del previsto, il prezzo per la riparazione superò i preventivi così da essere costretti a chiedere uno sconto che fortunatamente ci venne concesso dal meccanico amico di famiglia. Quando credevamo di avere un motore prontissimo, successe una cosa che ci gettò anni luce dalla partenza e che a tratti ci fece ponderare la possibilità di mollare l'impresa. Nel viaggiare con il mezzo appena revisionato, mi insospettì un suono che entrava ogni qual volta inserivo la seconda. Riportai così il camper dal meccanico che quasi senza esitazioni mi disse che il cambio era rotto. Ora, immaginate voi al nostro posto: completamente prosciugati di ogni risorsa finanziaria, costretti a cercare un cambio di un mezzo ormai estinto da anni. In questo frangente Erica tirò fuori gli artigli di una tigre che non si dà per vinta di fronte alle sconfitte, ma che reagisce con forza maggiore. Ci mettemmo alla ricerca di questo pezzo in tutti gli sfasciacarrozze della zona e riuscimmo a trovarne un paio. Ritirammo il primo ad una cinquantina di chilometri da casa per scoprire, una volta dal meccanico, che differenziava da quello di cui noi avevamo bisogno per un foro di pochi millimetri più a sinistra. La nostra ultima speranza era l'altro. Mentre ci dirigevamo dal meccanico con questo secondo cambio, ci dicevamo che se non fosse stato adatto neppure questo, sarebbe stato un segno inconfutabile del destino; in realtà tutti e due speravamo con tutto il nostro animo che qualcuno dai poteri speciali si sarebbe fatto vivo a far si che quello fosse proprio il pezzo che a noi mancava. Arrivammo in officina, lasciammo il cambio su un banco da lavoro e, come un marito in attesa della moglie partoriente, ci mettemmo a sedere nervosamente in un'altra stanza. I minuti trascorsero davvero lentamente e quando vidi il meccanico avvicinarsi un brivido gelido mi percorse la schiena. Con la faccia sorridente ci disse che il pezzo era quello e che lo avrebbe subito montato. L'euforia ci travolse e fu come essere già sulla strada. Fummo costretti a trovare qualche lavoretto che coprisse anche queste spese, ma tutto era più leggero. Saremmo partiti. Dopo un paio di giorni ritirammo Briscola con il cambio nuovo, aveva ancora qualche rumore che il meccanico si rifiutò di indagare. Anche noi, da parte nostra, eravamo esausti e tutto quello che volevamo era partire. Un altro grosso problema, però, consistette nel mettere le carte in regola. Proprio così. Ci dovevamo ricredere se pensavamo che sarebbe stato possibile girare liberamente il mondo come più ci piaceva. Avevamo invece bisogno di un bel po’ di fogli che ci avrebbero consentito di superare le barriere burocratiche dei vari stati: passaporto per Lino (il cane), carnet de passage per il veicolo, senza contare tutti i visti che, data la velocità del veicolo, avremmo richiesto strada facendo anche perché ancora non sapevamo bene dove saremmo arrivati. Nell'acquisizione di tutti i documenti gli arrivederci con gli amici e conoscenti si moltiplicarono tanto che si pensava che non saremmo mai partiti sul serio. Anche per noi quel giorno sembrava non arrivare mai e ci sentivamo come intrappolati in un limbo tra la voglia di mollare tutto e l'impossibilità di farlo.

    Sarà uno dei ricordi più vividi della mia vita quella umida mattina di marzo con il sole che stava facendo capolino tra la nebbia che lentamente andava dissipandosi. Avevamo dormito nel camper, parcheggiati nel nostro borgo e ricordo benissimo come la sera prima, mentre mi assopivo guardando le case attraverso il finestrino, la mia immaginazione prese il volo portandomi a vedere luoghi magici attraverso quella stessa cornice. L'indomani mattina, quando la chiave girò nel quadro, tutta la carica emotiva si fece sentire. Non per molto però. Dopo la prima curva il motore si spense inspiegabilmente e non sembrava voler ripartire. L'emozione si trasformò in timore ed incredulità, ci guardammo negli occhi e quando il motore si riaccese ci chiedemmo se era il caso di partire o se dovessimo tornare dal meccanico. In quella fase di annebbiamento mentale mi vennero in mente un paio di episodi che in qualche modo mi avevano colpito nei giorni antecedenti alla partenza: il primo era un film, The road to Guantanamo, dove si narrava la storia di tre giovani inglesi con genitori pachistani. I tre decidono insieme di intraprendere un viaggio nella terra natale ritrovandosi inaspettatamente prigionieri delle operazioni che gli Stati Uniti portarono avanti in Afganistan ed in Pakistan immediatamente dopo l'undici settembre. Questo film che raccontava una storia vera mi sussurrò in un orecchio che tutto può essere superato una volta raggiunto quell’equilibrio dentro noi stessi; quando sai di vivere per ciò che il cuore ti comanda si accetta anche la morte perché ciò che attende il cuore coraggioso è meraviglioso sia in questo che nell'altro mondo. Il secondo episodio fu la lettura di un libro antico Il Milione. In questo libro si narrano le avventure della famiglia Polo che con lo spirito dei più valorosi esploratori, partivano alla volta di misteriose e sconosciute terre dell'est, senza conoscere cosa avrebbero trovato dietro la curva o oltre la collina. Lessi di pellegrini che partivano in cerca di profitti e altri che partivano in cerca di se stessi o di una risposta a dei perché troppo difficili. La sana curiosità che spinge a vedere con i propri occhi, udire con le proprie orecchie, toccare con le proprie mani, assaporare con la propria bocca ... ecco, è come trovarsi assetati davanti ad una fonte. Perché non bere? La risposta ai dubbi della partenza fu quindi pressoché immediata: avevamo deciso di scommettere a Briscola e dovevamo andare fino in fondo. Era il mio primo vero viaggio. Sì, perché fino ad ora avevo viaggiato, ma penso che si possano meglio definire vacanze. Come nel viaggio della vita, questa volta partivamo senza una meta precisa, senza un ritorno prefissato, fiduciosi quantomeno di poter conoscere qualcosa che non conoscevamo già. Molti erano i dubbi e molte le speranze. Noi affrontavamo questo viaggio con spirito umile di amore sincero verso il prossimo, senza pretese e credendo nella possibilità di un'alternativa possibile a questo diffuso e spietato cinismo.

    E via!

    CAPITOLO II

    ONDE BALCANICHE

    ... Egli guardava da tutte le parti e scopriva pianure senza fine in cui non si vedeva nessuna traccia di uomini o di cavalli. Durante la notte, spiriti maligni facevano brillare torce numerose come stelle; di giorno, venti terribili sollevavano la sabbia e la diffondevano come torrenti di pioggia. In mezzo a questi crudeli assalti, il suo cuore restava libero da ogni timore.

    ( biografia del pellegrino Xuanzang VI secolo)

    Soltanto un paio di centinaia di chilometri e già ci sembrava di essere lontanissimi. Avevamo scelto di viaggiare in un certo modo e ad una certa velocità, così tutti i cambiamenti sarebbero avvenuti talmente lenti che dovevamo drizzare le antenne se non volevamo perderceli. Castrocaro Terme, una cittadina appena al di là dell'Appennino. Era stato sufficiente che lasciassimo i nostri luoghi natii perché i nostri istinti si affinassero a tal punto da portarci in un posto dove la stessa notte si sarebbe consumato un rito che a quanto pare si perde nella notte dei tempi. Verranno accesi dei falò che si dice illumineranno Marzo e con esso l'arrivo della primavera. Partecipare a questa cerimonia ci avrebbe già reso abbastanza felici, ma qualcuno pensava che non fosse un saluto adeguato per due giovani ed un cane che stavano mettendo in gioco se stessi ed il loro avvenire. Così in quella notte di luna piena ci fu regalata un'eclissi che in silenzio assaporammo per ore facendoci cullare in un sonno dionisiaco tra sogno e realtà.

    La mattina appena alzati, facemmo colazione solo dopo una passeggiata tra la campagna del posto e quindi ci mettemmo in marcia verso nord. Mentre guidavo ebbi modo di riflettere su un paio di cose avvenute durante i preparativi del viaggio. In primo luogo mi venne da pensare a quell'articolo che un giornalista locale, interessato dalla nostra storia, aveva pubblicato. Non ci pensò due volte a pubblicare il mio racconto farcito di informazioni false che io assolutamente non gli avevo fornito. Così il nostro viaggio ad est, si trasformò in una Missione d'aiuto in India dove sarei stato scortato da militari nell'attraversare l'Iran, il paese dei terroristi e della corsa alla bomba atomica. Non ebbe risposta la mia e-mail che chiedeva al giornalista di correggere con un altro articolo alcune cose tra cui il fatto che non ci sentivamo affatto portatori di aiuti con i pochi quaderni e le poche matite che avevamo. Al contrario ci sentivamo alla ricerca di aiuto dopo che la corsa all'oro della nostra società occidentale ci aveva reso straniero il sentimento di comunità. La promessa che il giornalista fece di seguire il nostro viaggio da vicino cadde e non sapemmo più niente di lui, forse proprio a causa delle mie richieste di precisazione. La seconda cosa su cui mi venne da riflettere nasceva dal fatto che, caricando il materiale che i bambini italiani ci avevano consegnato per donare ai bambini meno fortunati di loro, l'occhio mi cadde sul Made in China che la stragrande maggioranza dei prodotti riportava. Fin qui niente di strano se non che questa volta, gli oggetti facevano dietrofront e tornavano più o meno dove erano stati prodotti. Pensavo a come era assurdo il fatto che tutti quei beni prodotti in Cina non potessero essere acquistati da bambini del posto a causa delle grandi difficoltà economiche nelle quali la maggioranza delle persone versano. Anche il farmaco antimalarico che ci eravamo portati dietro, prodotto da una grande multinazionale farmaceutica tedesca, ci veniva passato dallo stato. A noi che in Italia non abbiamo malaria, lo stato italiano ci paga un farmaco che la maggior parte delle persone prende solo in caso di vacanze o viaggi. Per le persone che invece abitano zone dove si muore di malaria ogni giorno, il farmaco è costosissimo e spesso non disponibile. Ora, senza fare troppa demagogia, sono pienamente consapevole che da che mondo è mondo i potenti ed i ricchi si sono approfittati dei più deboli, ma oggi, in una società che si autoproclama sviluppata e moderna, con una globalizzazione galoppante, queste sono cose che saltano agli occhi anche a persone semplici come me e per le quali ci è difficile trovare giustificazioni. E' fin troppo facile capire che veniamo pilotati per farci credere che le nostre crisi di oggi sono causate dall'africano che si guadagna

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