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Schegge dallo spazio - antologia
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Schegge dallo spazio - antologia

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About this ebook

Arrivano dallo spazio. Sono frammenti di ignoto in rotta di collisione con noi, schegge di futuro in avvicinamento, frecce che scoccano una dopo l’altra. Sono viaggi interstellari, alieni, navi spaziali, avventure con taglio western o piratesco e molto altro ancora. Ce n’è davvero per tutti i gusti in questa antologia! Sono schegge di immaginario che arrivano dallo spazio.
LanguageItaliano
Release dateFeb 28, 2016
ISBN9788892559844
Schegge dallo spazio - antologia

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    Schegge dallo spazio - antologia - Marco Alfaroli

    realtà.

    Bactana

    Bactana era arrivato su quel mondo a bordo di un meteorite. Forse dire a bordo potrebbe sembrare assurdo ma quel sasso spaziale era per lui un vero e proprio velivolo, perfetto per spostarsi. E perfetto per raggiungere le prede.

    Appena attraversò l’atmosfera, s’incendiò. La roccia cominciò a sfaldarsi e ci fu un momento in cui temette per l’avvicinarsi della fine.

    Ebbe fortuna: anche se ridotta ai minimi termini, la meteora riuscì a schiantarsi al suolo. Lui se ne stava al sicuro all’interno e quindi l’urto non poté procurargli alcun danno.

    Quando la polvere sollevata iniziò a diradarsi, Bactana esalò le molecole del gas di cui era fatto da tutte le fessure disponibili. Si ricompose come nuvola gassosa e osservò la pietra pensando che non ne aveva più bisogno.

    Si rese conto subito che l’ambiente circostante era ricco di vita. Pensò agli altri suoi simili che erano finiti su mondi morti o sterili. Sapeva che per loro il destino era ormai segnato.

    Bactana esultò: aveva la possibilità di moltiplicarsi e ripetere il ciclo vitale della sua specie.

    Doveva solo iniziare. Si spostò lentamente, con movimenti silenziosi, aspettando di individuare la sua prima vittima.

    Un essere bizzarro, poco dopo, si avvicinò calpestando il terreno con fragore. Sembrava che non si preoccupasse del rumore che produceva. Mostrava tranquillità e non era solo: un’altra creatura molto diversa lo precedeva: era più piccola, si spostava su quattro zampe ed era collegata all’essere più alto mediante un legame non organico.

    Bactana si concentrò sull’essere più grosso. Era il dominante. Aveva anche lui quattro estensioni del corpo, ma solo due gli servivano per spostarsi; le altre pendevano dall’alto; una teneva il collegamento con la creatura quadrupede.

    Decise di non indugiare oltre e in breve fu addosso a entrambi avvolgendoli con tutto il suo corpo gassoso. Sapeva che non potevano vederlo e, visto che muovendosi non produceva alcun suono, non si meravigliò quando le vittime iniziarono ad agitarsi guardando in tutte le direzioni senza capire chi fosse l’aggressore.

    Il gas di cui era fatto Bactana aveva preso il posto di quello che di solito respiravano. L’effetto, come sempre, fu letale.

    Bactana non provava rimorso quando uccideva un essere vivente: era un predatore, era la sua natura e gli permetteva di sopravvivere.

    Si allontanò lentamente dalle due creature stese e contorte da cui aveva prosciugato tutto il fluido vitale.

    Si sentì forte, aveva assorbito abbastanza nutrimento per fare la prima scissione. Era un processo piacevole ed era lo scopo della sua esistenza. Serviva molta energia e ora l’aveva.

    I vegetali, le pietre e il terreno intorno a lui furono illuminati dal lampo che produsse mentre si scindeva: questo era il momento più pericoloso. Il momento in cui Bactana poteva essere scoperto, perché quel bagliore improvviso poteva tradirlo.

    Tutto andò bene.

    Il nutrimento accumulato permise la scissione in quattro individui. I nuovi Bactana si allontanarono immediatamente da lui; un difetto della sua specie era la lentezza negli spostamenti, per cui era importante non rimanere tutti nello stesso territorio di caccia, altrimenti si rischiava di morire di fame.

    Bactana ripensò al mondo che aveva distrutto prima di schizzare nello spazio nascosto in uno dei suoi frammenti.

    Le gigantesche creature che lo abitavano erano molto semplici, pascolavano pacifiche tutto il giorno in cerca di cibo e vagavano qua e là senza mostrare segni di intelligenza. Servivano molti Bactana per abbatterne una, ma poi se ne otteneva una quantità incredibile di nutrimento. La cosa importante comunque era che, trattandosi di esseri stupidi, non si preoccupavano di capire perché un loro simile fosse morto, così c’era sempre alimento per tutti.

    I Bactana fecero una vera mattanza e, scissione dopo scissione, divennero milioni. Arrivò presto il fatidico momento della mancanza di cibo, ma anche questo era previsto dalla loro natura: il gas di cui erano fatti penetrò nel terreno e, com’era successo altre volte, portò quel mondo al collasso facendolo esplodere.

    Tutti i Bactana rinchiusi nei detriti scaturiti dal disastro furono sparati in mille direzioni nel cosmo e iniziarono la ricerca di un nuovo ambiente da saccheggiare.

    Ora, finalmente, nel mondo dove era arrivato il ciclo si sarebbe ripetuto. Bactana almeno lo sperava.

    Sentì qualcosa che si avvicinava. Emetteva un rumore meccanico ed era di metallo. Sembrava che scivolasse sul terreno ma poi Bactana osservò meglio quella cosa e capì: quattro propaggini rotonde e nere ruotavano e la facevano avanzare.

    Aveva due luci che lampeggiavano, una rossa e una blu. Arrivò molto vicina a lui, si fermò e ne scesero due esseri simili a quello che aveva ucciso.

    Quando ne scoprirono i resti, i loro volti assunsero un’espressione inorridita. Iniziarono a comunicare tra loro, emettendo suoni che Bactana non comprendeva.

    Uno dei due corse verso il veicolo meccanico, ne tirò fuori un piccolo oggetto nero collegato al veicolo con un filo. Iniziò a parlare. Forse chiamava i rinforzi.

    Bactana aggredì subito quello più vicino a lui. L’essere barcollò, annaspò disperatamente nell’aria e iniziò a soffocare.

    Non morì per mancanza di ossigeno. Il suo corpo fu come risucchiato, svuotato dall’interno. Cadde a terra mummificato come le vittime precedenti.

    Il secondo essere, che aveva assistito alla scena, era in preda al panico. Bactana si accorse che impugnava uno strano oggetto metallico e lo puntava verso di lui. In realtà non poteva vederlo. Immaginava che qualsiasi cosa avesse ucciso il suo compagno fosse ancora lì e infatti Bactana si trovava ancora sopra la vittima. L’essere urlò in modo isterico e sparò ripetutamente. Piccoli pezzetti di metallo durissimo attraversarono Bactana provocandogli un certo fastidio. Passando attraverso il suo corpo bruciarono una parte del suo gas. Il boato provocato dall’arma fu insopportabile.

    Lento ma inesorabile si diresse deciso verso il superstite, che si guardava intorno pieno di paura; era impotente perché non riusciva a vedere il suo nemico.

    Bactana lo uccise.

    Mentre le luci rosse e blu del veicolo continuavano a lampeggiare ci fu una nuova scissione e altri cinque Bactana si allontanarono in direzioni diverse.

    Erano trascorsi alcuni giorni, le cose stavano andando molto bene e la colonia si stava formando. Bactana non ne conosceva l’evoluzione, non sapeva in quali zone si fossero diretti gli altri. Tutto era ancora al livello locale, ma era sicuro che ogni suo simile facesse la sua parte, come lui.

    Fu all’improvviso che comparvero. Li vide apparire all’orizzonte, in mezzo al bosco, che avanzavano nella zona meno fitta di vegetazione. Erano diversi dagli altri: più si avvicinavano e più se ne rendeva conto. Erano inguainati in un involucro giallo, un tessuto che copriva tutto il corpo, anche la testa. Vedeva le loro facce che scrutavano intorno da dietro le visiere. Erano accompagnati da alcuni strani veicoli provvisti di faro e puntavano verso di lui. Forse riuscivano a vederlo?

    Bactana aveva fame e quelli erano tanti. Decise di avvicinarsi con molta prudenza, magari per attaccare quello più isolato. Prima uno e poi con calma un altro, finché alla fine si sarebbe allontanato per scindersi in una zona sicura.

    Non c’era neanche bisogno di muoversi troppo, stavano venendo loro da lui. Quando furono abbastanza vicini, scelse con attenzione la preda.

    Notò che l’essere che aveva scelto armeggiava con un apparecchio pieno di luci e indicatori, provvisto di due grosse antenne laterali, che portava a tracolla. Notò anche che quello non era l’unico equipaggiato in quel modo, ma non se ne preoccupò. Lui l’aveva scelto solo perché era più lontano dagli altri.

    Gli si avventò addosso, lo avvolse e aspettò.

    Non successe niente, il gas del suo corpo aveva preso il posto del gas respirato dalla creatura, ma questa non sembrò accorgersi del cambiamento.

    Che cosa stava succedendo? Non respirava? Forse l’involucro giallo lo isolava dall’ambiente esterno e gli forniva una riserva interna di gas atmosferici?

    Bactana fu preso dalla paura, non poteva far nulla a questi esseri! Si erano protetti da lui. Forse l’avevano scoperto. Forse avevano compreso come li attaccava.

    L’apparecchio con le antenne emise un suono e l’essere cominciò a gridare.

    «Correte! È qui! Il rilevatore l’ha individuato!» L’essere urlava in un linguaggio incomprensibile e si agitava. Aveva paura.

    Gli altri si voltarono e accorsero. Bactana pensò subito alla fuga, sentiva il pericolo. E sentiva quelle voci che lo spaventavano ancora di più.

    «Stai tranquillo!» disse un secondo essere quando raggiunse il primo. «Non può farti nulla, mantieni il contatto con il rilevatore».

    Bactana si allontanava da loro con tutte le sue forze, ma era lentissimo e vide due di quelle creature vestite di giallo avvicinarsi. Erano equipaggiate in modo diverso dagli altri, avevano due grosse bombole da cui partiva un tubo collegato a un diffusore che impugnavano. Conoscevano la sua posizione, perché, quando lui cambiava direzione, anche loro correggevano la traiettoria e miravano sul bersaglio. Ebbe l’impressione che lo vedessero attraverso l’apparecchio con le antenne.

    Bactana fu preso dall’angoscia: l’avevano scoperto e volevano ucciderlo. Doveva scappare, doveva salvarsi.

    Un getto di gas giallo lo investì, gli stavano sparando con un tiro incrociato e lui, per quanti sforzi facesse per fuggire, era sempre più lento dei suoi inseguitori. Non c’era scampo.

    Sentì un forte bruciore, il gas di cui era fatto il suo corpo si consumava, reagendo col gas giallo che gli avevano buttato addosso. Era un dolore insopportabile.

    Bactana si agitò, guardò in tutte le direzioni cercando una via di fuga.

    Pensò alla sua specie: se fosse morto, il ciclo si sarebbe interrotto. Forse gli altri erano scampati, o forse li avevano già uccisi tutti.

    Aveva scelto il mondo sbagliato, lui non era cattivo, aveva solo seguito la sua natura di predatore che vive nutrendosi delle sue prede.

    Il suo ultimo pensiero fu pieno di disperazione, poi si dissolse nel nulla.

    Il grassatore

    Abilene era una cittadina in cui non ci si annoiava mai. Negli ultimi tempi l’avevano animata violente sparatorie, dove diversi uomini di legge avevano concluso la loro giornata stesi a terra e appesantiti dal piombo.

    Il carico d’oro in arrivo da Fort Scott attirava sicuramente i peggiori ceffi del Kansas come api sul miele, ma lo sceriffo Wild Bill Hickok non se ne preoccupava più di tanto.

    Quella mattina tenne sotto controllo la strada davanti alla banca accarezzando le sue Colt Navy. Gli aiutanti, dietro di lui, imbracciavano nervosi il Winchester e masticavano tabacco.

    Il carro arrivò mezz’ora più tardi scortato da dieci soldati a cavallo e si fermò davanti a loro. Hickok si guardò intorno: sembrava tutto tranquillo, troppo tranquillo.

    «Liscio come l’olio, sceriffo!» disse il sergente mentre smontava dalla sella.

    «Può darsi, ma occhi aperti. I pendagli da forca non mancano e quell’oro fa gola. Verranno, anche se per prenderlo, rischiano di suicidarsi».

    La porta di legno della banca si aprì e ne uscirono due impiegati. Hickok li guardava accarezzandosi i baffi con le dita. Quelli là, lui, non li considerava uomini. Stavano dietro una scrivania e maneggiavano solo soldi. Sapeva che non avevano nemmeno un briciolo di coraggio, altrimenti non si sarebbero scelti quel lavoro. La loro colpa più grave, era che non sapevano usare la pistola. Era quello che ai suoi occhi definiva chi era un uomo e chi invece una donnicciola.

    I due si avvicinarono sotto il suo sguardo schifato, spingendo un buffo carrellino sul quale cominciarono a caricare i lingotti. Il cocchiere del carro scese ad aiutarli.

    «Il Signor Bennett la ringrazia per l’aiuto, sceriffo...» dissero accennando un sorriso.

    Hickok restò impassibile e non rispose; i due spinsero il carrello carico fino alla porta; qualcuno da dentro aprì e li fece entrare.

    La banda arrivò al galoppo sparando all’impazzata. Probabilmente non conoscevano l’uomo che si preparava ad affrontarli e non sapevano a che cosa andavano incontro.

    Alcuni di loro si erano arrampicati sul tetto del Saloon e puntavano i fucili sul carro e sui soldati.

    Non fecero in tempo a sparare un colpo. Lo sceriffo li vide e aprì subito il fuoco.

    Sparò in modo alternato, prima con una pistola e poi con l’altra. Ne colpì uno, che cadde giù dal tetto, poi un altro, che sparì dietro la grossa insegna del Saloon. Al terzo, colpito in pieno, volò il cappello. Perse il Winchester e rovinò pesantemente sulla tettoia dell’edificio. Rotolò per un paio di metri e rimase immobile, esanime.

    Altri banditi arrivarono a cavallo. Furono subito bersagliati dai soldati blu. Uno fu disarcionato da una fucilata. Cadde a terra morto e il suo destriero proseguì nella corsa.

    Gli aiutanti di Hickok spararono decisi senza muoversi dalle loro posizioni. Prendevano con calma la mira mentre gli avventati fuorilegge venivano avanti. Molti di questi furono abbattuti mentre passavano.

    Anche tra i difensori qualcuno si accasciò fulminato dal piombo.

    La sparatoria terminò alla svelta e i banditi si ritirarono come cani feriti. Il loro attacco, alla fine, aveva portato solo più lavoro al becchino.

    Lo sceriffo si affrettò a ricaricare le sue Colt: non era il momento di rilassarsi. Intimò al suo vice di riunire gli uomini per controllare la situazione nella banca. Uno dei suoi era ferito e zoppicava, mentre tra i soldati c’erano stati due morti; ma era un problema del sergente e non ci si soffermò.

    La scena che si trovò di fronte Wild Bill Hickok quando entrò nella banca lo sorprese parecchio: da una parte c’erano tutti gli impiegati con le mani alzate che guardavano nella stessa direzione e dall’altra un bandito col volto nascosto dalla bandana e la pistola in pugno che li teneva sotto mira.

    Ai suoi piedi, in una sacca, c’era tutto l’oro... che stava rimpicciolendo. Era una cosa assurda. Hickok sgranò gli occhi convinto di sognare. Scosse la testa, poi si rese conto che quello che vedeva succedeva realmente. Il bandito teneva nella mano sinistra qualcosa di simile a una lanterna e la luce che irradiava sul giallo metallo lo faceva diminuire di volume. Era già diventato abbastanza piccolo e leggero da poter essere trasportato da una sola persona.

    Lo sceriffo si riprese dallo stupore, ma intanto aveva perso quei due o tre secondi che bastarono al bandito per raccogliere la sacca e fuggire.

    Si slanciò verso una porta in fondo alla stanza. Hickok estrasse le sue pistole e sparò ma lo mancò per un pelo, cosa che gli accadeva di rado. Il fuorilegge chiuse con violenza la robusta porta di legno dietro di sé.

    «Cosa c’è di là? Un’altra uscita?» chiese Hickok al bancario tremante che rispose balbettando:

    «Que... quella è la stanza delle scope...»

    «Apri la porta!» tuonò lo sceriffo al suo aiutante, mentre teneva le pistole spianate.

    Il vice, con la fronte imperlata di sudore, girò con prudenza la maniglia e spalancò l’uscio. Era sicuro che quello all’interno, vistosi perso, avrebbe vomitato tutto il fuoco possibile dalla sua pistola.

    Wild Bill Hickok sparò all’impazzata numerosi colpi. Il fumo delle Colt che offuscava i suoi occhi di ghiaccio si diradò; ripose l’artiglieria nel fodero e si accarezzò i lunghi baffi.

    «Per mille bottiglie di whiskey, ma qui non c’è nessuno!»

    Una piccola sfera metallica stava nell’angolo dello stanzino pieno di scope e attrezzi da lavoro. Lo sceriffo la notò subito perché aveva una luce rossa lampeggiante che iniziò a lampeggiare sempre più velocemente, finché la frequenza fu tanto alta da farla sembrare una luce continua. Ne seguì un sibilo acuto e poi la sfera deflagrò.

    Non ci fu calore ne distruzione, solo una folata di vento che investì i presenti. Hickok si guardò intorno e si chiese una cosa sola...

    Ma cosa era successo?

    ***

    Tutte le volte sentivo quel maledetto senso di nausea, il buio m’inseguiva anche se avevo fatto il salto.

    In tutti i salti nel tempo c’era sempre l’intervallo, il limbo che ti rubava altro tempo, che ti faceva stare al buio. Ed io odio il buio.

    Il tunnel temporale mi stava conducendo all’uscita. Era una sensazione virtuale, in realtà non mi spostavo nello spazio. Poi finalmente vidi la luce in fondo a tanta oscurità: era il mio biglietto per il ritorno a casa. In questa fase avveniva l’unico movimento reale, verso un’altra zona dell’America.

    Chiusi gli occhi per via del bagliore crescente, li riaprii e mi ritrovai al sicuro nel covo, le spalle contro il muro e il bottino ai miei piedi.

    Ce l’ho fatta anche questa volta. Ma c’è mancato poco, quel bastardo sapeva il fatto suo.

    Mi avvicinai al frigo bar, avevo bisogno di una birra. Non sapevo neppure se la bomba temporale aveva fatto il suo dovere.

    Ma sì, l’aveva fatto di sicuro, quegli aggeggi funzionavano sempre. Creavano una frattura nella quarta dimensione che impediva un nuovo viaggio dal punto dell’esplosione fino ai dieci anni precedenti.

    Era un gingillo vietato. Possedevo molti congegni illegali, come, ad esempio, la mia macchina del tempo spallabile. D’altra parte anch’io sono molto illegale: sono un

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