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Cento registi per cui vale la pena vivere: (ad uso e abuso delle giovani generazioni)
Cento registi per cui vale la pena vivere: (ad uso e abuso delle giovani generazioni)
Cento registi per cui vale la pena vivere: (ad uso e abuso delle giovani generazioni)
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Cento registi per cui vale la pena vivere: (ad uso e abuso delle giovani generazioni)

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Questo libro è nato in un salotto. Un salotto in bianco e nero. Un uomo minuto con una spessa montatura se ne sta stravaccato con un microfono in mano e registra su nastro quelle che, per lui, sono le cose per cui vale la pena vivere. È abbattuto perché vive un momento complesso dell’esistenza. L’elenco dura qualche minuto, s’interrompe quando l’uomo ha l'intuizione che lo porta a correre verso la fine della storia, accompagnato dalle note di Rapsodia in blu. Inutile dire che quell’uomo è Woody Allen e che quel film si intitola Manhattan. Da quello splendido monologo nasce la nostra raccolta: Cento registi per cui vale la pena vivere. Già, perché si possono snocciolare un sacco di ovvietà su quanto l’esistenza umana sia complicata, piena di ostacoli, timori, momenti terribili, eccetera; il fatto è che il cinema, la letteratura, la musica e lo sport sono probabilmente le più grandi invenzioni create qui sulla Terra per farci svagare, pensare (qualche volta sognare) ma soprattutto per distrarci da tutte le difficoltà che incontriamo nella vita di tutti i giorni. Un dizionario “minimo” ad uso (e magari abuso) delle giovani generazioni, una piccola guida per chi vuole avvicinarsi alla magia della Settima arte.

Lucio Laugelli (1987), si è laureato al Dams di Bologna e specializzato alla Iulm di Milano. Videomaker, è ideatore e fondatore della rivista on-line Paper Street. Ha diretto cortometraggi e videoclip. I suoi lavori sono stati pubblicati su Panorama Tv, Wired, Rolling stone e Il Fatto Quotidiano.

Giacomo Lamborizio (1987) giornalista pubblicista, è laureato in Comunicazione e Editoria alla Statale di Milano. Nel 2007 è tra i fondatori della rivista on-line d'informazione culturale Paper Street, di cui attualmente è Vice direttore esecutivo e responsabile della sezione cinema. Attualmente lavora come coordinatore di produzione per la Blue Film di Roma, collabora con LongTake.it e Fabrique du Cinéma. Ha lavorato per Editrice Il Castoro e come critico cinematografico per AlessandriaNews.
LanguageItaliano
Release dateFeb 17, 2016
ISBN9788893040334
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    Cento registi per cui vale la pena vivere - Lucio Laugelli e Giacomo Lamborizio

    vivere

    (ad uso e abuso delle giovani generazioni)

    a cura di Lucio Laugelli e Giacomo Lamborizio

    Introduzione

    "Gente ammalata che si crea costantemente

    dei problemi veramente inutili e nevrotici

    perché questo le impedisce di occuparsi

    dei più insolubili e terrificanti problemi universali"

    (Woody Allen, in Manhattan, 1979)

    Questo libro è nato in un salotto. Un salotto in bianco e nero. Un uomo minuto con una spessa montatura se ne sta stravaccato con un microfono in mano e registra su nastro quelle che, per lui, sono le cose per cui vale la pena vivere. È abbattuto perché vive un momento complesso dell’esistenza. L’elenco dura qualche minuto, s’interrompe quando l’uomo ha l’intuizione che lo porta a correre verso la fine della storia, accompagnato dalle note di Rapsodia in blu.

    Inutile dire che quell’uomo è Woody Allen e che quel film si intitola Manhattan (1979). Da quello splendido monologo nasce la nostra raccolta: Cento registi per cui vale la pena vivere. Già, perché si possono snocciolare un sacco di ovvietà su quanto l’esistenza umana sia complicata, piena di ostacoli, timori, momenti terribili, eccetera; il fatto è che il cinema, la letteratura, la musica e lo sport sono probabilmente le più grandi invenzioni create qui sulla Terra per farci svagare, pensare (qualche volta sognare) ma soprattutto per distrarci da tutte le difficoltà di cui sopra.

    In questo libro si raccolgono i frammenti di un discorso cinefilo, una centuria di adesioni sentimentali, di esperienze di cinefilia diversa e personale. Protagonisti sono i redattori, i collaboratori e gli amici di Paper Street, la rivista on-line di informazione culturale fondata nell’ottobre 2007 che ha ospitato una prima versione, piuttosto diversa, di questo esperimento. Abbiamo deciso di sottostare a un meccanismo crudele: racchiudere in una pagina l’amore e il giudizio sui registi della nostra vita, siano essi vicini o lontani, dalla sterminata filmografia o dai pochi selezionati titoli, in un così angusto spazio è una sfida non banale, ardua, che richiede, per dirla con Diderot, bella immaginazione, giudizio critico, tatto fine e gusto sicuro.

    Probabilmente siamo una banda di nevrotici che ha costruito una gabbia cervellotica e asfissiante e ci si è rinchiusa dentro, come quella di cui parla Woody Allen nella sequenza di Manhattan che tanto amiamo. Lo spirito che ha accompagnato il nostro inventario è stato in fondo simile. Quello che abbiamo chiesto ai nostri collaboratori, infatti, è stato di guardare dentro al proprio animo di cinefili, alla propria storia di spettatori interessati e partecipi, e raccontarci i loro registi e film del cuore, condividere con noi e i nostri lettori quelle visioni che li hanno cambiati ed emozionati, quegli occhi attraverso cui hanno imparato a vedere il mondo. Il tutto in poche righe.

    Ci sono tantissimi dei nomi che vi aspettereste di trovare in un elenco enciclopedico di mostri sacri e altri meno famosi, o meno unanimemente riconosciuti nei pantheon accademici, nella lunga lista che abbiamo stilato e che arriva ora nelle vostre mani. Abbiamo dovuto per forza di cose e nostro malgrado tagliare qualche nome che mai avremmo voluto lasciare fuori, ma la tirannia dei limiti che ci siamo imposti ha comportato qualche scelta sanguinaria.

    La cosa più importante da sapere a proposito di questo testo è che non si tratta di una classifica, di una hit parade, di una storia del cinema in sedicesimo. I nomi citati non sono in ordine di importanza, non ambiscono ad esemplificare tutte le numerose, diseguali, tentacolari ramificazioni di quell’avventura del pensiero e della visione che è il cinema mondiale: sono solo i consigli di alcuni appassionati che vi vorrebbero rendere partecipi dei loro migliori momenti al cinema. Consigli ad uso delle giovani generazioni.

    Troverete i nostri magnifici cento in ordine cronologico, secondo la data di nascita, da Fritz Lang a Paolo Sorrentino. Alla fine di ogni scheda, troverete le indicazioni videografiche per recuperare in Dvd due film del regista trattato, l’ultimo (importante?) consiglio che vi lasciamo. Non ci resta che augurarvi buona lettura e soprattutto buona visione, consapevoli che ogni stimolo in più, ogni nuova esperienza cinefila che saremo riusciti a suscitare renderà il nostro lavoro un piccolo successo.

    Lucio Laugelli e Giacomo Lamborizio

    Cento registi per cui vale la pena vivere

    Fritz Lang (1890 - 1977)

    Fritz Lang è muto. E austriaco. Sulla sua biografia convivono più versioni plausibili, cosa che rende qualsiasi personaggio di riconoscibilità pubblica decisamente più affascinante. Espressionista. Ovvero esponente di quella corrente artistica che, indipendentemente dalla disciplina specifica, ha messo in atto la forzatura del concetto, della parola o dell’immagine per giungere ad una demarcazione più potente di quella puramente ed esclusivamente naturale. Lang iniziò la carriera a Berlino, dove diresse per la prima volta nel 1919, trovò plauso internazionale due anni dopo con la favola romantico-funeraria di Destino.

    Ma Lang è M, M - Il mostro di Düsseldorf (1931), diretto a quattro anni dall’esordio del sonoro nel cinema e, infatti, primo film non muto del regista. Ambiguità, angoscia, colpa, giustizia e terrore lo resero un capolavoro del cinema mondiale e consacrarono Lang alla maestria registica.

    Eppure, anche con Lang, il sogno è quello americano: giunse negli Stati Uniti nel ’34, firmando con la MGM, il cui solo marchio nella storia della produzione mondiale inibisce per caratura e denota l’altrettanta, evidente, riconosciuta all’austriaco Fritz. L’America per Fritz Lang fu un riuscito esercizio di cinema sociale, western, anti nazista e noir, finché non sentì il bisogno di tornare in Europa, in Germania, dove concluse la carriera con tre pellicole, intorno agli anni Sessanta.

    Il cinema di Lang è stato un cinema di sogni neri, di profili tormentati e antitesi. Spesso ribadì personalmente l’importanza degli occhi, dell’osservazione, ed evidentemente i suoi occhi proiettavano sullo schermo l’elaborazione di ciò che aveva visto. Una sua dichiarazione: in tutti i secoli è esistita una lingua in cui le persone colte riuscivano a comunicare. Il cinema è l’esperanto di tutti e un grande strumento di civiltà. Per capire il suo linguaggio non c’è bisogno di nient’altro che di avere gli occhi aperti.

    (Nicole Bianchi)

    Destino, di Fritz Lang, Germania 1921. Edizione Ermitage Cinema, 2011

    M - Il mostro di Düsseldorf, di Fritz Lang, Germania 1931. Edizione Dell’angelo Pictures, 2006

    John Ford (1894 - 1973)

    Nella Monument Valley c’è un punto da cui si può con lo sguardo abbracciare tutta l’arcaica bellezza di un paesaggio ormai diventato mito. Il posto si chiama John Ford Point of View. L’occhio del regista diventa l’occhio con cui il cittadino può guardare la nascita di una Nazione. Mi chiamo John Ford e faccio western. Di origini irlandesi, è stato il narratore dell’epica americana. Un Omero con la benda sull’occhio che ha scritto il grande romanzo americano. Uno Shakespeare con il sigaro che ha saputo trasformare la conquista del West in una grande tragedia classica, muovendosi con ingegno e sfrontatezza sui labili confini tra la morale e la politica, in un dialogo ininterrotto tra la leggenda e quello che c’è dietro. Quando la leggenda diventa un fatto, stampa la leggenda, è il tema che sta dietro L’uomo che uccise Liberty Valance (1962), film manifesto che si muove sulla costruzione e decostruzione dei motivi e delle gesta che stanno dietro alla nascita della democrazia americana. Come in Alba di Gloria, dove viene raccontata la storia di Abramo Lincoln.

    Genere principale, ma non unico, della sua produzione sterminata, il western è stato da John Ford declinato in tutte le sue possibili sfaccettature, diventando un vero e proprio discorso alla nazione, dove si trovano temi come il razzismo e la misoginia (Sentieri Selvaggi), l’arrivismo e la stoltezza dei comandanti (Fort Apache), il conflitto tra Est e Ovest, tra la wilderness della frontiera e la civiltà delle città della costa orientale (Sfida Infernale).

    Nel suo lavoro dialettico tra sperimentazione e consolidamento delle regole del genere, John Ford ha sempre lavorato secondo i dettami dell’industria hollywoodiana sfuggendo sempre ad una qualsiasi definizione di autore. Ad aiutarlo nella sua epica narrazione tre grandi attori, John Wayne, Henry Fonda e James Stewart che hanno saputo, ognuno sfruttando al massimo le sue peculiari caratteristiche, rendere unico ogni eroe di questa inestimabile cavalcata nel mondo americano.

    (Luca Ferrando)

    Sentieri Selvaggi, di John Ford, Stati Uniti 1956. Edizione Cineteca, 2012

    L’uomo che uccise Liberty Valance, di John Ford, Stati Uniti 1963. Edizione Cineteca, 2012

    Howard Hawks (1896 - 1977)

    Hawks fu forse uno dei migliori artigiani che hanno contribuito a formare il grande cinema americano. Cominciò negli anni Venti realizzando una decina di film quando il cinema era ancora muto ed ha proseguito a scrivere, dirigere e produrre fino al 1970, anno in cui si decise a ritirarsi, dopo aver partecipato a più di cinquanta produzioni. Basta citare alcuni esempi per capire la vastità della sua opera: Gli uomini preferiscono le bionde, Scarface (l’originale del 1932), Un dollaro d’onore, Ero uno sposo di guerra per la regia; Via col vento e Capitani coraggiosi per la sceneggiatura.

    Non si dedicò subito al cinema, il suo primissimo amore fu l’aviazione, in cui prestò servizio durante la Prima guerra mondiale. Una volta giunto ad Hollywood trasportò ciò che aveva imparato nelle pellicole che realizzò. I suoi film sono schietti, diretti, senza quasi mai artifici di sceneggiatura come i flashback. Il suo stile è veloce, con ritmi sostenuti anche nella commedia. Le gag si avvicendano una dietro l’altra in veloci sequenze come in un combattimento aereo, o come nelle comiche del cinema muto.

    Nella sua carriera affrontò veramente tutti i generi: commedia brillante, commedia musicale, western, poliziesco, azione, ed in tutti riuscì a realizzare delle pietre miliari. I suoi temi preferiti furono sempre legati all’eroismo, al sacrificio in nome di ideali più alti, alla lealtà, all’orgoglio del vivere in America, una terra dove tutto era possibile. Anche nella commedia volle comunque celebrare l’eroismo dell’uomo comune trovando magnifici interpreti come Cary Grant e Gary Cooper. Tra gli attori che lavorarono con lui si possono anche citare Katharine Hepburn, Marilyn Monroe, Humphrey Bogart, John Wayne.

    Due piccole curiosità: fu affine nei gusti al celebre Howard Hughes, che lo scelse per dirigere appunto Scarface; morì nel 1977, dopo aver ricevuto il Premio Oscar alla carriera nel 1975, alla veneranda età di 81 anni in un incidente con la sua… moto.

    (Valerio Orsolini)

    Scarface - Lo sfregiato, di Howard Hawks, Stati Uniti 1932. Edizione Cineteca, 2012

    Gli uomini preferiscono le bionde, di Howard Hawks, Stati Uniti 1953. Edizione 20th Century Fox, 2009

    Alfred Hitchcock (1899 - 1980)

    Il maestro del brivido si chiama Alfred Hitchcock ed è un regista inglese molto prolifico: ha diretto tantissimi film (solo i lungometraggi sono più di cinquanta) tra la fine degli anni Venti e la fine degli anni Settanta. Hitchcock si fa le ossa nel cinema muto e con la sua messa in scena potente e rivoluzionaria cambia le regole del giallo e del thriller incollando alle poltrone dei cinema generazioni e generazioni di spettatori.

    Spesso gioca con il pubblico come il gatto con il

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