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Ti ho insegnato a leggere tra le righe della vita
Ti ho insegnato a leggere tra le righe della vita
Ti ho insegnato a leggere tra le righe della vita
Ebook128 pages3 hours

Ti ho insegnato a leggere tra le righe della vita

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About this ebook

Emma e Edoardo sono una ragazza e un ragazzo come tanti, con qualche delusione alle spalle, con un paio di storie sbagliate ad appesantire i pensieri. Si incontrano, un po’ per caso e un po’ per destino, in una libreria e decidono di giocarsela, di provare a fare qualcosa di buono con le loro maledette macerie. Questa è la storia dolce e amara di un amore difficile, costantemente minato dalla paura e dall’insicurezza; è la storia di un sentimento che nasce forte e impetuoso perché non può essere altrimenti, che sconvolge le vite di Emma e Edoardo, cambiandoli, facendoli crescere.
LanguageItaliano
Release dateJan 21, 2016
ISBN9788897060734
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    Ti ho insegnato a leggere tra le righe della vita - Ilaria Mingardi

    16

    Capitolo 1

    E CI CREDI TROPPO PRESTO, MA SEI BELLA ANCHE PER QUESTO

    - Sei bellissima -

    Quella fu la prima cosa che Pietro le disse: così, dal nulla, con appiccicato alle labbra il più bel sorriso di sempre, con quell’espressione onesta che sembrava stare così bene nei suoi occhi nocciola, splendenti come il sole di Maggio, che scalda senza bruciare.

    - Sei bellissima -

    Ad una sconosciuta. A lei, per caso, fra centinaia di ragazze al cinema quel pomeriggio. Ma, fra tutte, a lei, in coda davanti a lui per acquistare i biglietti dello spettacolo serale.

    - Ci conosciamo? -

    - Mi piacerebbe. Sono Pietro, piacere - le tese la mano destra: dita lunghe e magre, difficile resistere alla voglia di stringerle, anche solo per assicurarsi che fossero vere.

    - Mi chiamo Emma - titubante si presentò, cercando di inquadrarlo, bello e sfacciato com’era.

    - Con chi vieni allo spettacolo stasera? -

    - Oh, i biglietti non sono per me -

    - Allora posso invitarti a venirci con me -

    Era impossibile resistere a quel fascino: Pietro era uno di quelli a cui riesce facile farsi credere dalla gente. Era pericoloso proprio per questo: era impossibile capire di cosa ti stesse facendo innamorare, non si poteva avere mai la certezza che sarebbe stato lì anche il giorno dopo.

    Emma disse sì a quel film, sì a tutti quelli che vennero dopo. Scoprirono che l’amore per il cinema era una cosa che avevamo in comune - un po’ in ritardo si accorsero che era anche l’unica: i film erano l’ideale per loro - diversi come non avrebbero potuto essere più diversi due esseri umani - sufficientemente semplici per lui, sufficientemente complessi per lei. A Pietro bastava una trama appassionante, senza preferenza di genere, qualche scena d’azione non guastava; Emma si soffermava su una, due frasi per pellicola, piccole perle di saggezza, filosofie in formato tascabile che, al momento, sembravano le parole in grado di cambiarle letteralmente la vita.

    Sceglievano un film a testa, un rito che divenne presto routine:

    - Questa volta tocca a te, io sceglierò il prossimo -

    Accontentavano uno i capricci dell’altra, litigavano quasi sempre solo per finta, cercando di impersonare i protagonisti di quelle storie cinematografiche che tanto amavano, le loro fughe a sorpresa, le loro uscite di scena teatrali. Ma non li sapevano imitare sul serio: dopo neanche cinque minuti erano di nuovo uno fra le braccia dell’altra. La distanza da Pietro - anche la più impercettibile - ad Emma bruciava nei polmoni: la sua presenza era magnetica, se lui si allontanava di un passo di troppo a lei cominciava a mancare l’aria. All’inizio a Pietro tutto questo piaceva: glielo si leggeva in faccia che adorava essere il centro gravitazionale di Emma.

    - È ora che vada - diceva lei quando le lancette della sveglia sul comodino del ragazzo si erano spinte ben oltre la soglia del consentito - Domani ho lezione e devo alzarmi presto -

    Pietro lasciava che Emma si infilasse le scarpe, rimanendo immobile sul letto, senza muovere un muscolo, in viso quel sorriso un po’ beffardo, certo che dopo quattro passi nella stanza lei sarebbe tornata indietro.

    - Ma dove vuoi andare, sciocca? Il mondo è freddo là fuori! - le faceva di nuovo spazio sotto le coperte di quel letto troppo piccolo per due e la baciava sulla punta del naso, per sembrare più dolce che mai.

    Emma visse con lui l’esaurirsi di quell’estate, le ultime nostalgiche passeggiate in riva al mare, i piedi scalzi ma indosso già una maglia dalle maniche lunghe, il vento freddo d’inizio autunno fra i capelli, il braccio di Pietro stretto attorno alle sue spalle, un po’ protezione e un po’ prigione; visse con lui il cambio di stagione, il primo vero freddo, la pioggia di Novembre, le corse in centro per trovare riparo sotto una tettoia allo scoppiare del temporale, la mano nella sua, strette insieme anche se rallentavano la corsa. Visse con lui la neve, i pomeriggi fingendo di saper pattinare sul ghiaccio, fidarsi delle sue braccia e crederle un sostegno degno di sostituire il bordo della pista, protestare per la sua eccessiva velocità, per una curva troppo accentuata, ritrovarsi a terra, le ginocchia doloranti ma la bocca piena di una risata divertita; visse con lui la primavera, la voglia di leggere poesia al posto che studiare per la sessione d’esami, aggirarsi per la campagna in cerca di ciliegi da rapinare, la refurtiva che straripava dalle mani, la gara a chi lancia il nocciolo più lontano. Visse con lui quasi un anno senza badare ai dettagli, senza accorgersi che Pietro era due persone, se stesso e quello che lei vedeva in lui quando lo guardava, senza rendersi conto che lui l’aveva capito: fare il doppiogiochista con Emma sarebbe stato davvero un gioco da ragazzi.

    L’altra si chiamava Nicole: era meno ingenua di Emma. Forse non si era lasciata ammagliare dal sorriso di Pietro in coda aspettando di comprare i biglietti del cinema, forse l’aveva capito subito che di lui quasi tutto era una messinscena, se l’era fatto andare bene lo stesso, aveva giocato con lui perché lei si prestava a qualunque gioco. Si chiamava Nicole e Emma la vide solo la volta che li scoprì insieme: arrivò a casa di Pietro un po’ prima di quanto non gli avesse detto e lui non fece in tempo a nasconderla sotto il letto o dentro un armadio - espedienti da film. Nicole non aveva l’aria di essere compiaciuta, ma nemmeno dispiaciuta: scivolò fuori dalla porta dileguandosi nella tromba delle scale. Emma rimase sulla soglia ad aspettare: aspettò delle scuse, menzogne raffazzonate al momento, giustificazioni imbastite in fretta, qualunque cosa, un mi dispiace quanto un non è come sembra, senza differenza, davvero. Attese cinque minuti - la gente dovrebbe sorprendersi di quanto possano talvolta sembrare lunghi quanto una vita - con Pietro fermo dall’alta parte del pianerottolo, al sicuro fra le mura di quell’appartamento che ormai era la seconda casa di Emma, la mano ancora sulla maniglia della porta, lo sguardo fisso dentro gli occhi della ragazza, ma inespressivo.

    E lei non capiva cosa facesse più male, l’impassibilità di Pietro o la propria stupidità; l’atteggiamento di superiorità che lui aveva sempre e comunque, quel suo sentirsi un passo più avanti, più svelto, sveglio e furbo di tutti gli altri, più forte, non fragile, intoccabile e inespugnabile oppure il modo in cui lei aveva spassionatamente avuto fiducia nella bontà del suo carattere, l’ostinazione con cui per mesi avevo ripetuto a se stessa: Dentro è di miele ma ha paura a farlo vedere. Pietro tentò, non quel giorno, non in quei cinque minuti ma nelle settimane successive, di farle credere che le sue bugie fossero state a fin di bene, che fossero semplicemente verità un po’ indorate, abbellite per risultare indolori:

    - Ma l’ho incontrata per caso, ci siamo visti un paio di volte e fine, niente a che fare con questi mesi con te! -

    La prima cosa che Emma non sarebbe riuscita a perdonargli era quell’aria onesta che aveva addosso e che sembrava davvero autentica - lei non capiva se ci si impegnasse o se gli venisse naturale, magari era come i camaleonti, che l’essere bugiardi ce l’hanno nel dna e allora, già che ci sono, ne approfittano - e invece era una maschera che si cuciva sulla pelle per far cadere lei e quelle come lei nella trappola del fidarsi di uno sconosciuto incontrato al cinema un pomeriggio di Settembre. Pietro era un bel bugiardo, ma quando Emma se ne rese conto era già troppo tardi e ormai lui la sua magia l’aveva fatta: l’aveva tenuta lì dieci mesi, dopo averla stregata con i suoi occhi e ingannata con quel suo fascino, quell’aria da ragazzo venuto da lontano e venuto per lei.

    Federica, quando Emma finì in lacrime da lei quel pomeriggio - il pomeriggio in cui ebbe il piacere di conoscere la bella Nicole - fu impeccabile come al solito e, per l’ennesima volta, ricordò ad Emma uno dei mille motivi per cui Federica fosse, nonostante tutto, la sua migliore amica: non le diceva mai te l’avevo detto, anche se magari non aveva fatto altro per tutto il tempo, come nel caso di Pietro:

    - Non capisco come possa piacerti. Capisco perché, certo: quello sguardo, le spalle, il modo in cui parla. Ma non capisco come: lui non assomiglia neanche lontanamente a qualcuno con cui starebbe bene una come te - Federica scuoteva il capo e cercava la risposta negli occhi di Emma, certa che non potesse nasconderle niente, non a lei, la persona che le voleva un bene che nessuno le avrebbe mai voluto e che le aveva fatto tanto male quanto nessuno avrebbe mai potuto immaginare. Ma una delle cose che per prime si imparano, nella vita, è che ai migliori amici si perdona tutto, perché il male che fanno gli amici fa comunque meno male del male di tutti gli altri, fa quasi più bene del bene degli altri. E così, alla fine della giornata - o a metà pomeriggio, come quel giorno - Emma tornava da Federica e sapeva che, comunque, lei un sorriso dei suoi glielo avrebbe regalato; sapeva che nei suoi occhi azzurri come il cielo avrebbe trovato un briciolo di serenità, quella speranza che Federica sapeva regalare pur non avendola dentro. Era fatta così e non ci si poteva far niente, neanche volendo: Emma non l’avrebbe più riconosciuta, se Federica fosse stata diversa anche solo di mezza virgola.

    - Gli spezzerei le gambe,

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