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La Fine dell'Impero e la Terza Guerra Mondiale
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La Fine dell'Impero e la Terza Guerra Mondiale

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Per chi non se ne fosse accorto sono presenti nel pianeta tutti i sintomi che potrebbero portare ad un terzo conflitto mondiale. Finita la Guerra Fredda sembrava quasi che il capitalismo, la globalizzazione e il neoliberismo dovessero portare l'umanità verso un mondo migliore. Ci stiamo accorgendo che esse portano a nuove forme di povertà e dipendenza. (…) É ovvio che il mondo sia pieno di iniquità, ma guarda caso in Occidente si parla solo di quei casi, veri o presunti, che in qualche modo possono poi portare ad interventi di parte, quasi tutti casualmente disposti in Paesi esportatori di petrolio o dislocati lungo gli oleodotti e i gasdotti.(…) La dittatura del pensiero unico agisce mediante l'intimidazione politica e il discredito internazionale di chi non si vuole piegare a quella che a tutti gli effetti è diventata l'ideologia totalitaria del III millennio. (…) Le conseguenze dell'idiozia geopolitica attualmente praticata prima o poi si faranno sentire, siamo solo agli albori. (…)
LanguageItaliano
Release dateMay 16, 2015
ISBN9788896351314
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    La Fine dell'Impero e la Terza Guerra Mondiale - Gabriele Bonfiglio

    Gabriele Bonfiglio

    La Fine dell'Impero e la Terza Guerra Mondiale

    Gabriele Bonfiglio

    La fine dell'Impero e la terza guerra mondiale

    (Forlì, 2015)

    © Yorick Editore 2015

    Sede legale: Largo dei Normanni, 36 - 98066 Patti (ME)

    Sede operativa: Piazza G.B. Morgagni, 4 - 47121 Forl' (FC)

    www.yorickeditore.it

    biagioadile@yorickeditore.it

    info@yorickeditore.it

    ISBN: 9788896351314

    This ebook was created with BackTypo (http://backtypo.com)

    by Simplicissimus Book Farm

    Sommario

    Introduzione

    Parte I

    Cap. I

    I.1. Cos'è la democrazia?

    I.2. La crisi dell’eurozona

    I.3. Non è tutto oro quello che luccica

    I. Illustrazioni

    Cap. II

    II.1 - Il ruolo della criminalità organizzata e le economie da casinò

    II.2 - Stati e transnazionalizzazione

    Cap. III

    III.1 - La galassia ex sovietica, tra passato e presente

    III.2 - Ucraina: potenziale area di destabilizzazione in Europa

    III.3 - La Bielorussia di Lukašenko: ultima dittatura d'Europa o baluardo contro la globalizzazione?

    III.4 - Caucaso e Russia: incomprensioni, conflitti religiosi ed etnici di ieri e di oggi

    III. Illustrazioni

    Cap. IV

    IV. 1 - A cosa serve la Nato?

    IV. Illustrazioni

    Cap. V

    V.1 - Balcani ed Europa: analogie e differenze

    V.2 - Kosovo e Albania

    V. 3 - Essere Macedonia

    Appendice: Luna Park Europa

    V. Illustrazioni

    Parte II

    Cap. VI - Il populismo è il problema o la conseguenza?

    Cap. VII - Il pensiero economico eretico come potenziale alternativa ai mali prodotti dalla globalizzazione

    Cap. VIII - Il mondo islamico e l'Iran: il polo meridionale dell'Eurasia

    VIII - Illustrazioni

    Conclusioni

    Bibliografia

    Introduzione

    Di recente alcune importanti testate giornalistiche hanno pubblicato sbrigativamente una notizia che per la verità non ha avuto tantissimo risalto mediatico. Durante l'occupazione della Crimea da parte della Federazione Russa nel 2014, il presidente Putin ha ammesso che se in quell'occasione le potenze occidentali fossero intervenute sarebbe arrivato ad utilizzare la bomba atomica.

    Lo scopo prefissato in questo scritto è quello della messa in forse degli attuali assetti geopolitici italiani ed europei; questo potrebbe risultare azzardato, per lo meno per tutti coloro che non sono in grado di immaginare un profondo stravolgimento dello status quo, fattore che è sempre stato presente nella storia, nonostante molti soffrano di amnesie e non siano disposti ad ammettere che il mutamento è una delle condizioni vitali dell'evoluzione umana: in effetti, l'attuale equilibrio internazionale è dato per scontato generalmente, ma in maniera sempre più debole, tant’è che spesso si alzano in modo sempre più forte voci in grado di analizzare la realtà con pregiudizi minori rispetto a quanto accadeva fino a pochi anni fa. Questo scritto nasce con il chiaro intento di porre un freno a quegli studiosi e a quei politici che pensano alla geopolitica come al gioco d'azzardo.

    Inoltre c'è da dire che la crisi dell'Europa è anche la crisi del modello che ha vinto la Guerra Fredda. A ciò si aggiungono fenomeni come: la globalizzazione economica, il neoliberismo, il crollo del protezionismo, la speculazione finanziaria, la concorrenza economica spietata, la dittatura del pensiero unico che agisce mediante l'intimidazione politica e il discredito internazionale di chi non si vuole piegare a quella che a tutti gli effetti è diventata l'ideologia totalitaria del III millennio. Tutti questi fenomeni sono collegati tra loro e sono rappresentati da organi di controllo quali il Fondo Monetario Internazionale, l'Unione Europea, la Nato, le Nazioni Unite e la Banca Mondiale. Ovviamente si tratta di organismi diversi le cui direttive sono sempre più opache. Quali interessi garantiscano rimane un mistero di sempre più difficile comprensione. Per certi versi ci si può chiedere da un lato se ancora si può parlare di democrazia, dall'altro bisogna cercare di capire quali sono le caratteristiche della democrazia; oggi più che mai questi interrogativi sono di vitale importanza.

    L'Unione Europea è un'istituzione verso la quale gli Stati delegano la propria sovranità, ma di cui le rispettive popolazioni ignorano gli scopi finali (De Grossouvre, 2004, pp.33-34). Quelli che prima erano veri e propri dogmi, non lo sono più per un numero crescente di studiosi, politologi, analisti e persone comuni. Probabilmente parte di tale consapevolezza può essere imputata al ricambio generazionale, che ha portato via con sé molti di quei tabù, che per qualcuno possono iniziare a sembrare semplici assiomi irrazionali, non solo inutili, ma anche dannosi.

    In ambito geopolitico si alzano sempre più voci favorevoli ad uno sganciamento del mondo Europeo - e si noti che non si sta parlando di Unione Europea- da quello angloamericano. Finita la Guerra Fredda sembrava quasi che il capitalismo, la globalizzazione e il neoliberismo dovessero portare l'umanità verso un mondo migliore. Ci stiamo accorgendo che esse portano a nuove forme di povertà e dipendenza; più avanti vedremo come i paesi che sono stati 'aiutati' dal FMI sono spessissimo finiti sotto schiavitù finanziaria. Intanto la crisi

    attanaglia il vecchio continente, e si cerca di far fronte a questa situazione con misure di tagli della spesa pubblica e austerità economica, politiche peraltro più affini al neoliberismo di stampo statunitense e britannico che non al tradizionale stato sociale europeo; tutto questo mostra costi sociali elevati e possibili crisi umanitarie. A questo si va aggiungendo anche da una consistente parte della popolazione europea un crescente sentimento di sospetto nei confronti della politica statunitense che talvolta diventa aperto anti-americanismo. Il caso nostrano di Niscemi è solo un esempio. La vera incognita rimane l'incandescente situazione in Ucraina e in Medio Oriente con le sue inevitabili conseguenze sugli assetti geopolitici mondiali.

    Pensare che il problema sia solo la politica statunitense è limitativo, il problema prima di tutto è la politica italiana a livello internazionale e nazionale. Sebbene qualche anno fa qualcuno notasse che i confini dell'UE stavano pian piano iniziando a coincidere con quelli della Nato, il processo ha conosciuto dei cambiamenti negli ultimi anni. Peraltro in Europa è in corso una sorta di tacito conflitto tra Stati Uniti e Regno Unito da un lato, e Germania dall'altro (De Grossouvre, 2004, pp.117-123); in tutto questo la Russia è tornata prepotentemente in scena utilizzando toni da Guerra Fredda e addirittura da Seconda Guerra Mondiale.

    E l'Italia? Come altri paesi più che essere corteggiata subisce passivamente gli eventi; che a comandare in Europa siano solo gli Usa non è del tutto vero ormai - nonostante siano i più forti militarmente - ma anche in caso di predominio dei capitali tedeschi un domani il nostro Paese rischierebbe comunque di essere ridotto a terra di conquista per i mercati nordeuropei più di quanto già avviene. Insomma se la scelta è tra un padrone americano e un padrone germanico forse la migliore soluzione è un controllato isolamento, in stile scandinavo più o meno. Far sì che i francesi e i tedeschi comprino i titoli di Stato italiani significa svendere il Paese, il che significa solamente che la lingua di chi dominerà l'Italia non sarà più l'inglese. Se stare in Europa significa o sottoporsi alle oligarchie di Bruxelles capeggiate da governance non elette, o piegarsi al diktat teutonico e diventare una colonia tedesca, forse la migliore cosa è tirarsi fuori dal gioco. Il libero mercato europeo ha regalato all'Italia una concorrenza sleale di prodotti di cui in teoria non è necessaria l'importazione. In tutto questo le imprese italiane falliscono giorno dopo giorno e i giovani sono tornati ad emigrare, per lo più proprio in Germania e Regno Unito. Tutte queste sono le conquiste che l'Unione Europea e il neoliberismo hanno portato con sé, in più sono state messe le mani sullo stato sociale in pieno stile argentino. Dove sono i benefici che erano stati promessi?

    Nell’occuparsi di un argomento del genere bisogna tenere in considerazione il ruolo svolto da Stati sovrani quali USA e Regno Unito, detentori di interessi geopolitici sempre più lontani da quelli di buona parte degli Stati europei. E forse sarebbe ora che gli studiosi, l’opinione pubblica e la classe politica italiana mostrassero un maggiore interesse per tematiche di questo tipo, che in un futuro neanche tanto prossimo potrebbero rappresentare un interesse vitale per la stabilità ed il benessere che l’Europa si è guadagnata e che rischiano di essere minacciati dagli interessi geopolitici americani e dai suoi modelli. A questo si aggiungono le politiche neoliberiste tendenti a smantellare lo stato sociale, con la conseguenza di aumentare soltanto i problemi che alcuni paesi europei iniziano a mostrare chiaramente: politiche per altro non applicabili ai sistemi del vecchio continente - soprattutto ai paesi dell'Europa meridionale - che da anni mostrano sintomi di insofferenza, se non addirittura di aperta ostilità (Ramonet, 1998, pp. 39-51). Per quanto riguarda la sovranità andrebbe per lo meno notato che nel mondo c'è chi ne abusa, ma c'è anche chi fa finta di non sapere neanche che cosa sia. Le diplomazie e i settori dello spionaggio americani, israeliani, russi, britannici, francesi e cinesi si fanno beffe delle modalità con le quali lo stato italiano agisce, soprattutto in questo particolare momento storico.

    A questo si aggiunge che la retorica sulla lotta al terrorismo o sul rispetto dei diritti umani in determinati Paesi [1] seguita da atti di forza targati Nato ha perso molta credibilità, per questo una domanda da porsi è: cosa guadagna l'Italia nell'impegnarsi in teatri di guerra ('missioni umanitarie') lontani centinaia e migliaia di chilometri? Il caso siriano e iraqeno mostrano quanto l'opinione pubblica informata in generale avversi l'interventismo atlantico; se a questo si somma che la nascita del Califfato e il proliferare dell'ISIS sono stati la diretta conseguenza della pessima geopolitica occidentale in Medio Oriente qualche valido interrogativo andrebbe posto. Ogni qualvolta un sistema viene percepito come tirannico e oppressivo da una parte crescente della popolazione si valuta l'idea di abbatterlo: che l'attuale sistema di potere debba durare per sempre non è assolutamente scontato. Nessun politico di governo ha mai detto pubblicamente che il fiscal compact prevede misure di austerità per i prossimi vent'anni. Le forme di governo cadono talvolta quando la popolazione percepisce la distanza con chi li governa incolmabile, essendo questi ormai abissalmente lontani per stile di vita e percezione dei problemi, dai governati. Quando il calcolo dei vantaggi e degli svantaggi della permanenza nell'UE non sarà più favorevole per una maggioranza di europei di alcuni Paesi qualcuno potrebbe prendere seriamente in considerazione l'idea di esautorare la classe politica e non riconoscere i patti che erano stati sottoscritti senza chiedere il consenso pubblico: si pensi per esempio al caso degli F-35 di qualche tempo fa, che non solo sono incredibilmente costosi, ma la cui efficacia non è neanche dimostrata.

    La ricetta neoliberista ha già rovinato Paesi come l'Argentina e la Russia negli anni '90. Privatizzare molti settori pubblici spesso non migliora i servizi, aumenta solo i prezzi di gestione: quale sia il vantaggio di tutto ciò è un mistero della fede. Insomma: Il capitalismo, uscito vittorioso dal confronto con il socialismo sovietico, appare singolarmente screditato dai suoi propri eccessi. A tal punto che, qua e là, si fa sempre più forte la nostalgia dello stato sociale, ormai in via di smantellamento in nome del mercato. Numerosi cittadini denunciano la società dualista, formata da un gruppo di iperattivi d un lato e da una folla oceanica di precari, disoccupati ed esclusi dall'altro (Ramonet, 1998, p. 29). Quindi, che il mondo neoliberista possa essere più 'efficiente' rispetto ad altri modelli magari lo si può prendere per buono: come si può prendere per buono che pure la peste scoppiata in Europa nel 1348 è stata efficiente nel creare più posti di lavoro. Evidentemente tra Malthus e il pensiero della defunta Thatcher non c'è tutta questa differenza.

    Friedman quasi indirettamente mostra l'aspetto più totalitario -il che apparentemente è una contraddizione- delle democrazie, sempre pronte ad accogliere i modelli che in qualche modo le si avvicinano e che aprono le porte all'economia di mercato, ma irreprensibili nel punire chi si discosta dai suoi parametri e li rifiuta (Friedman, 1999, p. 116). Più in avanti analizzeremo quanto il senso di 'democrazia' sia stato snaturato dal suo significato reale, quanto sia stato sostituito con un qualcosa che ne porta il nome ma che in pratica è un misto di demagogia e oligarchia, ma soprattutto quanto il mondo angloamericano abbia contaminato anche da un punto di vista lessicale l'idea stessa di 'democrazia'. Se infatti gli europei hanno sempre differenziato tra 'liberalismo' e 'liberismo', tale distinzione è assente nel mondo angloamericano. Non è un fattore da poco, dato che l'idea di 'democrazia' che l'Occidente spaccia per il fine ultimo dell'umanità oggi per il globo non appartiene al mondo greco da cui deriva etimologicamente, ma a quello post-europeo dell'America e del suo cavallo di Troia in Europa: il poco europeo Regno Unito. Cosa c'entra la dottrina economica del liberismo (e del neoliberismo) con la democrazia? Sembra una domanda banale, ma non lo è affatto, dato che oggi è dato per scontato che le due cose siano legate in maniera indissolubile, visto che la diffusione per il globo della 'democrazia' va di pari passo con quella dell'economia di mercato. A questa tematica è dedicata una parte di questo elaborato, dove si parlerà del carattere totalitario del neoliberismo contrabbandato per democrazia e delle modalità autoritarie con le quali sta venendo imposto gradualmente in ogni angolo del mondo, con metodologie delittuose spacciate spesso per difesa dei diritti umani. Il caso dell'Ucraina è un esempio e più in avanti ne parleremo.

    Uno dei pericoli principali della geopolitica è quello di analizzare i rapporti tra Stati in maniera organicista, e quindi di pensare ad essi come ad entità vive fine a se stesse, che in qualche modo trascendono le vite individuali dei loro stessi abitanti, fattore questo che per certi versi ha contribuito a conferire a tale disciplina una sorta di damnatio memoriae che perdura ancora. Ciò però non deve trarre in inganno e far pensare che la geopolitica sia stata completamente messa da parte con la fine del secondo conflitto mondiale, anzi, al contrario essa è stata utilizzata ampiamente in maniera più equivoca; tuttora infatti è alla base della politica degli Stati, in particolar modo di quelli che realmente hanno voce in capitolo sulle questioni internazionali (Agnew, 2011, pp. 34-40). Anche se il pericolo insito nella geopolitica di analizzare i fenomeni senza un vero e proprio contatto con la realtà concreta e di isolarsi in una torre d’avorio potrebbe rivelarsi vero, questo non significa che tale disciplina debba essere sminuita, tenuta ai margini e bollata come troppo 'machiavellica'; essa al contrario deve essere studiata anche per saperne prevenire gli effetti.

    La trans-nazionalizzazione, legata all'abbattimento del potere mono-centrico dello Stato può risultare un male incurabile, soprattutto quando ci si dimentica che lo Stato nazione dovrebbe essere l’unica forma di protezione della sicurezza dei propri abitanti.

    Il disastro jugoslavo è stato la dimostrazione che l’ingerenza di alleati esterni non è garanzia quasi mai di reali vantaggi per la popolazione civile, ma anzi quasi sempre apre le porte a vere e proprie occupazioni straniere e destabilizzazioni difficilmente controllabili. Domande da porsi sarebbero le seguenti: perché lo Stato italiano ospita sul proprio territorio migliaia di militari statunitensi? È accettabile avere contingenti di soldati fedeli ad una potenza straniera sul proprio suolo nazionale? Non sarebbe ora di mettere realmente in discussione l’endemica dipendenza da una politica americana che inizia a mostrarsi giorno dopo giorno una pesante zavorra? Forse è venuto il momento di affermare senza eufemismi che nella sua attuale esasperazione estremista l'ideologia americana si è trasformata da forza propulsiva e di coesione sociale in fattore di debolezza. E di decadenza (Toscano, 2012, pp.133-141). Va ricordato che a tutti gli effetti l'Italia è stata praticamente messa sotto tutela americana dal '45 in poi (De Grossouvre, 2004, p.11). Gli americani devono essere educatamente allontanati dall'Italia, perché da soli non andranno via; pena continuare a vivere sotto una forma di blanda occupazione straniera. L'atteggiamento degli Usa nei confronti dell'Europa inoltre si è fatto sempre più sospettoso negli ultimi tempi e sotto l'amministrazione Bush è trapelata tutta la paura e la gelosia di un'Europa più indipendente (Kupchan, 2003, pp.270-276).

    Ma le cose non sono mai così semplici: non sarà solo un'ipotetica uscita dalla Nato a cambiare le cose - però sarebbe già un buon segno - bensì cambiare radicalmente il modello italiano ed europeo. Inoltre alla tirannia di Washington potrebbe seguire la dominazione di Bruxelles/Berlino, che non è neppure da sottovalutare, anzi. E' difficilmente credibile che l'eurocrazia non si renda conto che Paesi come l’Italia, la Grecia, il Portogallo e la Spagna siano in qualche modo limitati dalle politiche europee e ne stiano facendo le spese; tutto questo mentre in Germania giungono lavoratori qualificati, che vi si trasferiscono depauperando i Paesi mediterranei. Sostenere, come fanno taluni analisti, che i problemi dei Paesi deboli dell'Unione siano dovuti solo a se stessi non è corretto. Di recente la Grecia, vessata dai creditori, ha affermato che la Germania non ha mai pagato i debiti della Seconda Guerra Mondiale.

    In termini geopolitici si potrebbe dire che se da un lato l’eredità di Friedrich Ratzel è stata ampiamente rigettata e messa al bando da più di mezzo secolo per la sua impronta strettamente determinista e organicista legata in qualche modo all’avvento della politica nazionalsocialista, se ne potrebbe ricavare l’impressione maliziosa che il pensiero di Halford Mackinder, altrettanto imperialista, in qualche modo sia sopravvissuto in maniera più ambigua, riuscendo a riciclarsi in versioni aggiornate che tuttora perdurano e si impongono nel mondo con disinvoltura sotto l'egida della difesa dei diritti umani e la diffusione della democrazia. Sicuramente è da ricordare che si sta parlando di un ideologo che giustificò il colonialismo britannico (Agnew, 2011, pp. 84-91), fenomeno che da molti è stato visto in maniera più benevola rispetto ad altri tipi di politica di potenza, nazione giudicata da molti – sbrigativamente - la più civile al mondo, ma che tanti dubbi e interrogativi suscita in un pubblico più critico e meno abbindolato dai diktat anglosassoni [2]. Di fatto l'imperialismo e il militarismo britannico ottocentesco e novecentesco hanno fatto la loro buona dose di danni e morti, e per certi versi non hanno nulla da invidiare a quello che hanno causato i totalitarismi. Che questo venga taciuto anche da molti importanti storici è gravissimo.

    Il verbo wilsoniano propugnato dalle Nazioni Unite per decenni, tra contraddizioni, lotte intestine e tornaconti geopolitici camuffati è alla base di quell'internazionalismo dei quali gli Stati Uniti si sono fatti per decenni portatori (Habermas, 2005, p.84), concezione chiaramente messa in crisi negli anni '90 assieme all'autorevolezza del principale Stato che ne ha creato le basi: gli Usa, sempre più proiettati verso l'unilateralismo (Habermas, 2005, pp.5-16).

    La schizofrenia tutta americana dalla fine della Guerra Fredda ad oggi si è palesata in tutta la sua aggressività, minacciando di travolgere la stabilità mondiale che si era venuta a creare dopo il crollo sovietico. Per altro l'intervento in Iraq collegato da un punto di vista propagandistico all'attacco alle torri gemelle ha assunto connotati orwelliani, per non parlare dei toni da crociata che il presidente Bush ha utilizzato per parlare dei Talebani e che l'acritico pubblico americano ha preso per buono e ha giustificato senza chiedersi neanche per un secondo se Al Qaeda potesse essere davvero connessa al regime Iraqeno [3].

    La guerra in Iraq è il culmine di ordinamento mondiale che si giustifica subentrando alla inefficace politica dei diritti umani di un'organizzazione mondiale esaurita. Gli Stati Uniti si sono assunti per così dire il ruolo di curatore fiduciario in cui l'Onu ha fallito. Cosa si può obbiettare? I sentimenti morali possono essere fuorvianti, perché restano legati a singole emozioni e immagini. La questione della giustificazione della guerra nel suo complesso non può essere elusa. Il dissenso consiste nel chiedersi se si possa, se sia legittimo sostituire la giustificazione nel contesto del diritto internazionale con la politica di un ordinamento mondiale unilaterale perseguita da un soggetto predominante che se ne conferisce da solo l'autorizzazione. (Habermas, 2005, p. 13).

    Quelli che vengono definiti interventi decisi in nome del diritto-dovere d'ingerenza umanitaria stanno modificando l'ordine westfaliano del mondo

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