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Indeed stories 2 (racconti oscuri)
Indeed stories 2 (racconti oscuri)
Indeed stories 2 (racconti oscuri)
Ebook88 pages1 hour

Indeed stories 2 (racconti oscuri)

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About this ebook

Se il ritrovarsi con i vecchi compagni di scuola può riservare delle amare sorprese (Tanti auguri), pure una tranquilla città d'arte come Firenze non è immune dal male rappresentato dal Necronomicon, il celebre libro dell'occulto di cui parlò H. P. Lovecraft (La casa vicino a Firenze). Persino essere in armonia con il prossimo è un compito che può nascondere spiacevoli conseguenze (Ho fatto pace col mondo) mentre Il tema di Pierino vedrà degli sfortunati vigili del fuoco trascinati in un incubo al di là di qualsiasi immaginazione. Claustrofobia e grotte la fanno da padrone in La vera storia di A.D. Dal canto loro Racconto psichico, Il corvo e il gatto e Racconto riescono in poche battute a introdurre il lettore in universi “neri” dominati dalla follia, la disperazione e il più puro orrore.
LanguageItaliano
Release dateJul 18, 2012
ISBN9788896086650
Indeed stories 2 (racconti oscuri)

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    Indeed stories 2 (racconti oscuri) - Marco Milani

    Edizioni DIVERSA SINTONIA

    Collana: Narrativa/unlimited

    7

    Marco Milani

    Indeed stories

    2 – DARK TALES

    (racconti oscuri)

    E-BOOK EPUB

    Impianto grafico, copertina, editing e impaginazione

    by EDS & DOMIST

    ISBN: 978-88-96086-66-7

    Pubblicato in formato elettronico da

    www.edizionidiversasintonia.it

    Copyright © 2012 - Marco Milani

    Tutti i diritti riservati

    Edizioni DIVERSA SINTONIA © 2012

    2

    DARK TALES

    (racconti oscuri)

    TANTI AUGURI

    "Spero che sia un incubo…

    perché se non lo è

    sono proprio nella merda."

    Mi sono perso.

    Sembra impossibile! Essere in giro per una città che credevi di conoscere abbastanza bene e ritrovarti, alla fine, a dover ammettere di esserti smarrito.

    Sono venuto a Ferrara per un ritrovo di ex studenti alla festa organizzata per il pensionamento del mio professore di letteratura, Elvio Tosi. È l’unico prof di tutta la mia carriera scolastica che merita la fatica di smuoversi per partecipare a questa rimpatriata tra gente che dopo vent’anni non ha più niente da dirsi, tranne che salutarsi e chiedersi come va, per poi rimpinzarsi come dei tonni di specialità ipercaloriche in qualche tipico locale. Per fortuna qui da queste parti si mangia bene e si beve ancora meglio, e non lo dico solamente perché ci abito. È un dato di fatto che in Emilia si mangia da Dio e la dieta è considerata un peccato mortale.

    Fatto sta che noi che provenivamo da fuori, giacché i ‘cittadini’ si erano accampati direttamente al ristorante, dopo esserci ritrovarti al parcheggio Kennedy appena dentro le mura della città vecchia ci siamo diretti tutti insieme al posto di ritrovo, guidati da uno dei pochi che sapeva dov’era il locale. Con un paio di chilometri macinati a piedi, abbiamo raggiunto il resto della ciurmaglia e dato inizio alla festa. Uno squallore senza confini, un ricevimento degno di essere scritto nel libro degli annali e da cancellare immediatamente con la scolorina.

    Finita finalmente la cena e dopo una serata dove, stranamente, nessuno si è tagliato le vene dalla noia, non fosse stato altro che per l’abbondanza di alcool che ha anestetizzato il tutto, a ormai mezzanotte inoltrata mi ero avviato sulla strada del ritorno con il mio compagno di banco di allora, ventitré anni orsono e mai più rivisto né risentito, Giuseppe Buzzoni, genia ferrarese dall’alba dei tempi ma dall’aspetto più simile a un iracheno che a un emiliano. Con lui mi pareva di essermi lasciato il giorno prima: deficiente uguale. Deficienti uguali, unica altra nota positiva della serata libagioni a parte.

    Avevo deciso di accompagnarlo a casa poiché non abitava molto distante dalla ‘Vecchia Osteria’, era questo il nome fantasioso e originalissimo del ristorante. Beppe non risiedeva più con i suoi genitori, nell’appartamento sopra la macelleria del padre dove tante, tantissime volte mi ero fermato a fare i compiti durante i cinque anni di scuola superiore, o meglio, più che altro mi ero fermato a giocare a Subbuteo e a farmi registrare cassette di musica hard rock, dato che non avevo i soldi per comprarmi i dischi e men che meno uno stereo per farli girare.

    A parte questo, la sua nuova residenza continuava a essere proprio in centro, nella zona vecchia. Un bell’appartamento, ricavato dalla nuova tecnologia edilizia da strutture che esistevano fin da quando gli Estensi governavano la città nel mille e vattelapesca, in una contiguità di edifici simili, costruiti in pietra e mattoni rossi, tra strade acciottolate e vicoli stretti sovrastati da archi, pure questi in mattoni e in qualche caso ancora in legno.

    Qualche strada principale era asfaltata, ma per il resto, in quella zona perennemente a traffico limitato, era come aggirarsi per la città qualche secolo prima e francamente parlando, ho spesso confuso una strada per un’altra, almeno finché una qualche targhetta posta all’angolo su un edificio mi diceva il nome della via e allora mi ci raccapezzavo un po’ di più.

    Salutato Beppe e scambiatici i numeri telefonici con la promessa di trovarci presto, memorizzate le indicazioni che mi aveva fornito per il percorso più breve, ero partito per tornare al parcheggio dove avevo lasciato la mia macchina, la buona e affidabile ‘Ida’, così battezzata dal nome della precedente proprietaria che era poi anche il mio medico di base. Tre euro di ticket sosta, e questo è un argomento che preferisco lasciar perdere.

    E invece eccomi qui, in piena notte perso per Ferrara, in centro storico, e con una lieve confusione in testa forse dovuta all’aver bevuto un po’ troppo. Potrebbe essere effettivamente per questo motivo che mi sono perso.

    In effetti ‘bevuto un po’ troppo’ è un’affermazione un tantino riduttiva rispetto al reale stato di cose. Ok, ho trincato come un matto e ora sono sbronzo, confuso, rintronato e non riesco a ritrovare la strada. Intanto ho beccato un vicolo che mi ricorda parecchio Via delle Volte. Quattro metri di larghezza ciottolata sotto una specie di tunnel arricchito da archi in muratura.

    Mi guardo in giro per cercare una qualche targhetta stinta con l’indicazione viaria, che qui in zona vecchia qualcuno ha avuto la brillante idea di appiccicarle ai muri ad almeno tre metri di altezza. Non vedo niente. Bene.

    Mi riconcentro sulla strada e ci rimango veramente di sasso quando mi accorgo che adesso la via è un corridoio di non più di un paio di metri. Quand’è che mi sono spostato? E soprattutto… dove cazzo sono finito?

    Un vicolo chiuso. Una porta poco distante davanti me. Non riesco a capire… All’ultima svolta devo aver imboccato l’ingresso di una stradina privata. Eppure mi pareva…

    - Avanti giovanotto. - La voce spezza il silenzio come l’avviarsi di una sega a motore.

    L’ingresso è spalancato e non ho fatto in tempo a rendermene conto. Ho dei buchi di memoria, mi sposto senza accorgermene, le porte si aprono… ma se erano già aperte? Non è una bella sensazione, è destabilizzante proprio. Sono in prossimità dell’uscio e potrei davvero essere ubriaco oltre i limiti dell’immaginario perché la porta adesso è chiusa, ed è una sola.

    - Venga avanti giovanotto. Prego.

    Cosa? Ah sì. Mi rendo conto di essermi momentaneamente assentato per altri lidi mentali. Solo ora riesco a mettere a fuoco che quella voce di donna, da signora non più giovane, ha ripetuto l’invito per la seconda volta. Mi soffermo curiosamente a osservare i particolari della porta. Niente di speciale per una porta da ingresso principale, in legno laccato color bianco sporco con vetrata centrale a composizione, un

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