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Jingle Bloody Bells
Jingle Bloody Bells
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Jingle Bloody Bells

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About this ebook

Babbo Natale pubblica il suo primo libro ed esordisce in digitale, attraverso le narrazioni di nove autori italiani che ci parlano della propria visione del Natale. La notte più magica dell'anno si trasforma così in un teatro di morte e orrore, a volte venato di ironia, a volte sprofondato nella tenebra più profonda. Follia, perfidia, vendetta, mostruosità, demoni, zombie e folletti si alternano sul palcoscenico natalizio, dando vita a una giostra di sangue che vi farà dubitare della bontà del Natale. Per fortuna, penserà Santa Claus a mettere tutto a posto.

Dalla sua introduzione: "Natale non è soltanto la gioiosa festa che tutti pensano, per quanto io mi sforzi di far sì che tutti lo credano, è chiaro. In questo giorno - e soprattutto la notte - accadono le cose più assurde. Solo in superficie è un momento di gioia, per molti il Natale è quell'unico giorno nell'anno in cui fare qualcosa di diverso per cambiare le cose. E, in genere, in peggio."
LanguageItaliano
PublisherNero Press
Release dateDec 21, 2015
ISBN9788898739622
Jingle Bloody Bells

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    Book preview

    Jingle Bloody Bells - Matteo Bertone

    Indice

    Adeste Fideles

    Quando Paulina tornò a casa prima del solito

    Una donna inutile

    Defrag 2.0

    Non aprire prima di mezzanotte

    Il sasso dal cavalcavia

    Alter-Ego

    Accogli me

    Natale è quasi morto

    Gli autori

    Insonnia

    Jingle Bloody Bells

    di Autori Vari

    A cura di Babbo Natale

    Immagine di copertina: a partire da  jingle bells no more... di Asenev (stock image deviantart.com)

    Editing e introduzioni: Daniele Picciuti

    Produzione digitale e montaggio grafico: Daniele Picciuti

    ISBN: 978-88-98739-62-2

    Nero Press Edizioni

    http://neropress.it

    © Associazione Culturale Nero Cafè

    Edizione digitale dicembre 2015

    Autori vari

    Jingle Bloody Bells

    a cura di Babbo Natale

    Buon Natale! Oh-oh-oh! Buon Natale!

    Benvenuto amico lettore, sei stato un bravo bambino quest'anno? Beh, lo vedremo… intanto sono molto contento che tu stringa in mano questa mia raccolta. Mia, sì. Perché, vedi, le storie che andrai a leggere, scaturiscono direttamente dal mio vissuto, dalla memoria di Babbo Natale, altrimenti detto Santa Claus, noto pure col nome di... beh, ma non anticipiamo niente.

    Sono qui per mostrarti le mille sfaccettature del Natale, sei pronto?

    Natale non è soltanto la gioiosa festa che tutti pensano, per quanto io mi sforzi di far sì che tutti lo credano, è chiaro. In questo giorno - e soprattutto la notte - accadono le cose più assurde. Solo in superficie è un momento di gioia, per molti il Natale è quell'unico giorno nell'anno in cui fare qualcosa di diverso per cambiare le cose. E, in genere, in peggio. Vedi, spesso le persone sono strane, hanno… meccanismi mentali particolari, trascorrono un anno a ignorarti e poi il 25 dicembre vogliono farti un regalo a tutti i costi e non si accorgono di ciò che si cela realmente dentro e intorno a loro.

    Come il tipo qui di seguito. Leggi, leggi. Ne riparliamo dopo!

    Adeste Fideles

    Matteo Bertone

    «Smettila di canticchiare canzoncine natalizie, smettila subito!»

    «Non ti scaldare, lo sai che amo il Natale».

    «Amalo da un’altra parte, cazzo!»

    «Va bene. Andrò in cucina».

    Del Natale mi piace cantare le canzoni e fare i regali.

    Un regalo per mamma.

    Un regalo per me.

    Un regalo per Loretta.

    Loretta invece odia il natale, lo detesta. Dice che la gente falsa, a Natale, è ancora più falsa e quella che non lo è, lo diventa. Le viene l’ansia un mese prima, non riesce a dormire oppure si sveglia nel cuore della notte tutta sudata.

    Dice: «Ho sognato Babbo Natale che mi fissava ridendo».

    Oppure: «Ho sognato che la stella cometa si schiantava sul presepe e morivano tutti».

    O ancora: «Ho sognato che Babbo Natale si toglieva la barba ed eri tu».

    In sua presenza non posso nemmeno fischiettare Jingle Bells, diventa una iena. Una volta l’ho fatto per sbaglio, senza pensarci, e lei ha spaccato un piatto, l’ha scagliato per terra, ha imprecato ed è rimasta lì a fissarmi, immobile in mezzo ai cocci, con quegli occhi pieni di rabbia che le vengono quando ha le sue crisi.

    Per fortuna sono una persona calma io, non mi arrabbio mai.

    Non me la sono presa nemmeno quando il capo mi ha detto che avrei dovuto lasciare il lavoro. Un po’ me lo aspettavo, non è stata una sorpresa.

    Quando me lo ha comunicato ho risposto: «Ah. Va bene».

    Non mi piaceva lavorare in quel posto.

    È un magazzino triste, la gente è triste, gli scaffali sono tristi. Persino l'albero di Natale che hanno messo sul bancone è triste.

    E poi c’è quella puttana di Valeria, il mio capo.

    Puttana nel senso di stronza, non prostituta, perché non offenderei mai le prostitute chiamandole puttane.

    Mi ha definito ripugnante.

    Le donne sono brave a ferire con le parole.

    È colpa sua se me ne devo andare, per quel malinteso successo fra me e lei.

    Si è trattato di una incomprensione, io avevo pensato che lei volesse fare sesso orale nel bagno, invece lei sostiene di no, dice che io avrei fatto quello che ho fatto per via della mia ripugnanza.

    Mi ha licenziato e ha aggiunto: «Ringrazia Dio se non ti denuncio».

    Loretta non lo sa ancora e nemmeno mamma lo sa.

    Sono andato a trovarla, ieri pomeriggio, mamma.

    Nella sua villa tra gli alberi. La sua villa con i corridoi bianchi immacolati che puzzano di disinfettante. Nella sua stanza bianca, immensa, vuota.

    Talmente vuota che, se cade un bottone, l’eco rimbomba per minuti interi.

    Minuti. Interi.

    Sono rimasto lì a fissare i soffitti altissimi, a volta, mentre lei guardava di fronte a sé, seduta nel letto. Le ho raccontato del lavoro, ma non le ho detto di Valeria.

    Tanto lei nemmeno la conosce, Valeria.

    Tanto lei non risponde mai.

    Ero tutto solo, là dentro.

    Sono sempre solo, là dentro, Loretta non ci è mai voluta venire.

    Ho messo un piccolo presepe sul tavolino di metallo di fronte a lei.

    Il suo regalo: un presepe di quelli già montati. Con la neve finta sulla capanna e le statuette attaccate al pavimento. Non devi far nulla, li togli dalla scatola, li appoggi dove vuoi e il gioco è fatto.

    Gli alberi fuori dalla stanza di mamma erano immobili, sembravano cartonati appoggiati dietro alle grandi finestre. Le enormi finestre.

    Più le fissi, quelle finestre gigantesche, più diventano grandi.

    Si espandono in altezza. Si allargano.

    Ti fanno sentire minuscolo. Un microbo che fissa un microscopio puntato su di lui.

    Ero tutto solo, mamma fissava il muro bianco davanti a sé.

    Le ho detto di guardare il presepe. Le è piaciuto, credo.

    Mamma ama le tradizioni natalizie, le luci, l’albero, i regali, le canzoncine.

    Vorrei che anche Loretta la pensasse così. Invece le considera una perdita di tempo, uno spreco di soldi. È una donna pratica, concreta, una che non ha mai tempo.

    Perché appena si ferma va in crisi. Appena pensa, va in panico. Appena rallenta, ha pensieri di morte.

    Ma in fondo è una brava ragazza.

    Papà me lo diceva sempre: «Sposatela quella!», diceva.

    E così ho fatto, l’ho sposata.

    Però lui non lo sapeva dei suoi attacchi di panico. Non sapeva delle sue pastiglie. Non sapeva dei suoi pensieri di morte.

    E poi se n’è andato. Mi ha lasciato solo con lei. E con mamma.

    Se ne vanno tutti. Se ne vanno e ti lasciano solo.

    Dove vanno, non si sa.

    Io non ci credo più che i morti vadano in paradiso o all’inferno o restino appiccicati tra i muri delle case a lamentarsi per infastidire i vivi.

    Vanno sotto terra perché ce li mettiamo noi e, quando sono lì sotto, di noi non gli importa più nulla.

    E a noi non importa più nulla di loro. È il cerchio della tristezza, non della vita.

    L’unica via d’uscita è cercare un altro tipo di vita. Vita come Micaela, ad esempio.

    Micaela vive da sola, in un buco di monolocale che puzza di cibo riscaldato e biancheria stesa ad asciugare e sudore della pelle sotto i vestiti dopo una giornata di lavoro e preservativi usati e deodoranti scadenti. Ha un alberello di Natale di quelli già montati, un pezzo unico con le decorazioni attaccate. Lo tiene sul tavolino della cucina, cucina che è a pochi metri dal grande letto circolare, che è accanto al divano col copridivano bianco sudicio, che è di fronte alla tv accesa su Canale 5, senza volume. Le lucine colorate dell’alberello si accendono a intermittenza.

    Dice: «A Natale torno Polonia. Due giorni».

    Poi dice: «Togli boxer, amore».

    E poi dice: «Fai piano, amore».

    Micaela è il mio regalo.

    Mi chiede con chi passerò il Natale, quando abbiamo finito.

    Con Loretta, le rispondo, e all’improvviso tutto si rimpicciolisce.

    Il monolocale diventa piccolo, ancora più piccolo, minuscolo, e la puzza insopportabile.

    Mi rivesto il più in fretta possibile: l’odore mi intasa il cervello, mi fa girare la testa, ovunque mi giri c’è un muro con l’intonaco bianco scrostato o sporco, un quadretto orrendo, un cuscino di cattivo gusto.

    «Scusa, non mi sento bene» dico.

    Lei diventa seria, dice: «Amore, non fare scherzi qui dentro».

    A natale Micaela torna in Polonia.

    Greta torna in Moldavia.

    Elisa torna in Romania.

    Darma torna in Albania.

    Margot torna in Slovenia.

    A Natale se ne vanno tutte.

    Per fortuna, però, la notte di Natale non resterò da solo.

    Da due anni canto nel coro del Duomo. Ci sono entrato grazie a mamma, lei frequentava assiduamente le funzioni religiose, perciò la conoscevano tutti. Mi hanno fatto una specie di audizione e mi hanno preso.

    Mi piace perché a Natale cantiamo i canti di

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