Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Il cuore di Quetzal
Il cuore di Quetzal
Il cuore di Quetzal
Ebook416 pages5 hours

Il cuore di Quetzal

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Baltak è un mercenario freddo e riservato, che vaga per le terre di Midgard accettando i lavori più pericolosi e cruenti. Una missione in particolare, la ricerca del dio Quetzal, la cui scomparsa sta causando una guerra tra umani e giganti, lo porta sulle tracce della Terra delle Nebbie, dominata dal malvagio Loki e dal suo seguace Regas. L'avventura di Baltak, tra scontri di magia, indagini, tradimenti e trappole, rivelerà progressivamente il mistero dietro il cupo mercenario: perché padroneggia le rune, poteri tipici dei druidi, e di chi è la voce di tenebra che lo accompagna e lo tormenta continuamente?
Il Cuore di Quetzal, romanzo fantasy con sfumature sword and sorcery di Gianluca Malato, autore de “Il Golem”, raccoglie a piene mani personaggi, suggestioni e tematiche dei miti nordici per raccontare da una parte una storia di guerra, complotti e macchinazioni, tra dei e uomini, tra sete di potere e virtù, e dall'altra quella di Baltak, un antieroe che cela dietro la sua immagine burbera e scontrosa un terribile dramma e un disperato desiderio di vendetta. Quale sarà il destino del cuore di Quetzal e del mercenario?

L'autore - Gianluca Malato è nato a Erice nel 1986. Scrive per diletto sin dall'età di 16 anni, scrivendo romanzi brevi e racconti di genere fantastico pubblicati in vari siti Internet specializzati.
Nel 2008 entra a far parte della redazione del giornale online Fantascienza.com, per il quale scrive notizie sul mondo del cinema e articoli di divulgazione scientifica. Ha inoltre collaborato come redattore con il portale Silenzio-In-Sala.com, con la rivista Fantasy Magazine e con il blog Ossblog.it.
Trasferitosi a Roma, si laurea in Fisica Teorica con indirizzo Meccanica Statistica dei Sistemi Complessi presso l'Universita "La Sapienza", trovando successivamente lavoro nel settore informatico.
Nel 2014 ripropone il suo primo romanzo, Il Golem, in una seconda edizione pubblicata con la formula del self-publishing. Nello stesso anno la rivista Fantasy Magazine pubblica il suo racconto di genere sword and sorcery Razziatori di tombe, ambientato nello stesso contesto fantasy del romanzo Il cuore di Quetzal, sempre del 2014 ed edito da Nativi Digitali Edizioni.

Sito web: www.gianlucamalato.it
Pagina Facebook: www.facebook.com/gianlucamalato
Profilo Twitter: www.twitter.com/gianlucamalato
LanguageItaliano
Release dateSep 3, 2014
ISBN9788898754168
Il cuore di Quetzal

Related to Il cuore di Quetzal

Related ebooks

Children's Fantasy & Magic For You

View More

Related articles

Reviews for Il cuore di Quetzal

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Il cuore di Quetzal - Gianluca Malato

    Gianluca Malato

    Il cuore di

    Quetzal

    I edizione digitale: settembre 2014

    © tutti i diritti riservati

    Nativi Digitali Edizioni snc

    Via Broccaindosso n.16, Bologna

    ISBN: 978-88-98754-16-8

    Collana: NSF - Non Solo Fantasy

    www.natividigitaliedizioni.it

    info@natividigitaliedizioni.it

    Della stessa serie:

    Il Cuore di Quetzal

    La Maschera d'Oro

    Il Demone di Fuoco

    A Mariella,

    che è come l'Araba Fenice:

    un essere unico al mondo

    A Matteo,

    perché il suo ricordo

    non morirà mai

    I furfanti di Turkazham

    Fu agli inizi della Quarta Era che cominciarono a fiorire città gigantesche, popolate da cinquemila e più abitanti, circondate da impenetrabili mura. Entro queste città si svolgevano i commerci e si trovavano molte botteghe di artigiani, ma il cuore economico era costituito dalle attività illecite quali furti, sequestri e omicidi. Nei primi anni della Quarta Era si sviluppò il mestiere, molto raro nella Terza Era e quasi assente nella Seconda Era, dello spietato brigante professionista dedito al saccheggio e alla morte, fedele solo al denaro.

    Anonimo storico della Quarta Era

    L e stelle erano alte e splendenti come gli occhi di mille lucciole. La falce di luna sembrava un occhio aperto a metà che scrutava il mondo. Dopo una giornata di affari, scambi di merce e passaggio di viandanti, la città di Turkazham dormiva in silenzio. Non tutti, però, si erano lasciati andare alle lusinghe del sonno. Attività notturne e commerci si svolgevano ancora nel quartiere malfamato che costituisce le viscere pulsanti di ogni grande città.

    Lì gli affari si concludevano anche di notte, ma non si trattava né di pelli di lupo, né di gioielli preziosi provenienti da ogni parte del mondo né di spezie rare. Loschi figuri nascosti in ampi mantelli tramavano nell'ombra ai danni di ignari nemici, contrattandone la vita con silenziosi sicari dagli occhi di ghiaccio e con la mano sempre pronta sull'elsa della spada. Chi non sfruttava le tenebre per questo tipo di attività era di sicuro alla taverna più vicina a farsi spaccare il naso in una rissa tra ubriaconi, oppure godeva dell'abbraccio di una prostituta in qualche stamberga fatiscente piena di pulci e umidità. Pochi, nel quartiere, si concedevano il lusso di dormire e chi lo faceva stringeva sempre un pugnale nascosto sotto al cuscino.

    Quella notte, un'ombra si muoveva silenziosa tra i vicoli maleodoranti. Non andava verso un incontro con un committente, superava le taverne con indifferenza e non c'era alcuna donna ad aspettarlo.

    La mano sinistra stringeva salda una spada corta legata alla cintola. I capelli, biondi come il sole, erano lunghi fino alle spalle. Un mantello di pelle di lupo proteggeva dal freddo due spalle ampie e robuste. Una barba di qualche giorno e uno sguardo truce davano all'uomo un'aria che faceva cambiare strada a quei pochi che si imbattevano per caso sui suoi passi. Era poco meno che trentenne, ma a guardarlo sembrava che il tempo si fosse accanito su di lui più violentemente.

    Le ombre che guizzavano dalle finestre e i gemiti più animaleschi che umani che provenivano dalle case accompagnavano il sicario lungo la sua strada, fino a quando si fermò davanti a una casa all'apparenza uguale alle altre. Era un piccolo edificio di mattoni di due piani in tutto, con una scala laterale che permetteva di accedere a quello superiore. Il piano inferiore di abitazioni come quella era generalmente riservato alle stalle.

    L'uomo si nascose nell'ombra di un vicolo vicino e si guardò intorno. Non c'era nessuno in giro. Sentì il miagolio annoiato di un gatto, ma a parte questo la strada era deserta e silenziosa.

    Legò i capelli con un laccio, uscì dal vicolo e si mosse con circospezione verso la scala dell'edificio.

    I gradini di legno fradicio avrebbero scricchiolato rumorosamente sotto i passi di chiunque, ma l'uomo riusciva a calibrare il peso sui piedi con tale maestria da non emettere quasi alcun rumore.

    Al primo piano, un corridoio largo circa un braccio e mezzo correva lungo la parete esterna dell'edificio e dava accesso alle camere interne separate dall'esterno mediante tende di tela stracciata e vecchia.

    Adesso si sentivano gemiti provenire da quasi ogni stanza.

    L'uomo si mosse senza far rumore, come una pantera in agguato. La porta che conduceva alla stanza che gli interessava era molto vicina.

    Passi pesanti dietro di lui fecero scattare i suoi nervi all'unisono.

    «Ma che diavolo… Baltak!»

    Il sicario bestemmiò sotto i denti e si voltò. Vide un uomo sui trent'anni alto, peloso e sudato.

    «Allora quegli sporchi monaci hanno mandato te» continuò l'intruso. «Qualcuno mi aveva detto di averlo sentito dire.»

    Avvicinò la mano a un coltellaccio che teneva alla cintola, ma era ormai troppo tardi. Baltak aveva già estratto la spada. La lama lampeggiò alla luce delle stelle e, prima che potesse stringere il coltello, l'uomo vide il suo stesso sangue sgorgare da uno squarcio netto e preciso al collo. Tentò di gridare, ma il risultato fu un gorgoglio roco e incomprensibile. Poi cadde come un sasso.

    Baltak rinfoderò la spada e lanciò un'ultima occhiata a quel corpo scosso dagli ultimi sussulti prima di rimettersi in cammino.

    Quando arrivò alla porta che gli interessava, si appiattì al muro e tese l'orecchio. Si sarebbe aspettato che anche dall'interno di quella stanza provenissero gemiti e ansimi come dalle altre stanze. Di solito le prostitute del quartiere erano rapide, così da poter servire più clienti nella stessa sera. Però, se un cliente pagava di più, loro facevano durare di più l'amplesso, a seconda della cifra.

    Il bersaglio di Baltak era un uomo tristemente famoso per essere molto breve nell'atto sessuale e per addormentarsi come un orso in letargo dopo averlo consumato. Il fatto di non sentire nulla dall'interno fece sperare a Baltak che l'uomo si fosse già appisolato. Scostò impercettibilmente la tenda e diede una sbirciata dentro.

    L'ambiente era buio, ma gli occhi di Baltak si erano già abituati all'oscurità. Aveva ragione. L'uomo, un ciccione peloso e calvo sui cinquant'anni, era disteso nudo a letto e russava come un toro.

    Baltak strisciò nella casa muovendo la tenda il meno possibile. Camminò attorno al letto come alla ricerca di qualcosa. Vide i vestiti dell'uomo gettati in un angolo come un sacco di stracci. Li rovistò facendo il minor rumore possibile, cercò nelle tasche, ma non trovò niente, a parte qualche moneta di argento e un vecchio amuleto di legno.

    Girò dall'altra parte del letto e vide una corta tunica di seta verde gettata a terra insieme a un paio di calzari.

    Sentì improvvisamente dei passi.

    I muscoli scattarono simultaneamente. Baltak si nascose dietro la prima ombra che vide e strinse tra le mani un pugnale affilato che nascondeva sempre dietro la schiena.

    Da una porta laterale entrò la donna. Era nuda e a ogni passo gocciolava acqua sul pavimento. Insieme a lei, entrò la fragranza afrodisiaca e volgare usata tipicamente delle prostitute per profumarsi il corpo prima e dopo l'amplesso.

    Baltak la vide sistemarsi i capelli e muoversi verso la tunica a terra. Appena si abbassò a raccoglierla, le saltò subito dietro e le strinse la gola con un braccio.

    «Non provare a urlare» le sussurrò appena. Il ciccione sul letto continuò a russare indifferente.

    Le mise la lama del pugnale davanti agli occhi. «Se mi darai noie, ti infilo questa nella gola» le bisbigliò nell'orecchio.

    La ragazza cominciò a tremare e ansimare. Attraverso la morsa sul collo, Baltak poteva sentire il suo cuore battere come un tamburo.

    «Sto cercando qualcosa che possiede il tuo cliente. Pergamene. Non sono nei suoi vestiti. Dove sono?»

    Allentò la presa quel tanto che bastasse per permettere alla ragazza di rispondere con un sussurro.

    «Io… non lo so.»

    Baltak avvicinò ancora di più il coltello all'occhio della donna. «Rifletti bene.»

    «È… la verità… te lo giuro! Io non l'ho mai visto in vita mia. Mi ha presa dalla strada con un suo amico e mi ha portata qui a cavallo. Poi ha detto all'altro di aspettarlo nella stalla e siamo saliti.»

    Baltak pensò all'uomo che aveva freddato qualche minuto prima. Avrà approfittato della proverbiale sonnolenza del ciccione per spassarsela anche lui con qualche donnaccia.

    «Il cavallo aveva una borsa di qualche tipo?»

    La ragazza stette in un ansimante silenzio per qualche secondo. «Ora che ci penso, sì. Ed era pure abbastanza grande.»

    Baltak soppesò quelle parole sillaba per sillaba.

    «Prendi i tuoi stracci e vattene. Se racconti a qualcuno che sono stato qui, ti troverò e ti sgozzerò come la cagna che sei.»

    Appena allentò la morsa, la ragazza si avventò sulla veste a terra, tremando vistosamente. Raccolse la tunica e i sandali e scappò via senza neanche vestirsi.

    Ma i suoi passi erano pesanti e rumorosi e l'uomo sul letto si agitò.

    Baltak imprecò tra i denti e si catapultò al suo fianco. In altre circostanze, non avrebbe esitato ad aprirgli la gola nel sonno, ma questa volta era diverso. Aveva ancora qualcosa da fare.

    Alla cintola, Baltak portava un sacchettino di cuoio chiuso da un laccio. Infilò la mano al suo interno e ne estrasse una manciata di pietre. Su ognuna di esse era inciso un simbolo. Rune. Simboli magici di una lingua nota solo ai druidi e agli dei. Gli uomini le conoscevano da secoli e temevano e rispettavano a un tempo il loro potere.

    Mise il pugno chiuso di poco sopra la faccia dell'uomo e poi lo aprì. A cadere non furono le pietre, bensì un globulo di luce pallida e cangiante che si depositò sul viso dell'uomo dissolvendosi istantaneamente in una nuvola di fumo.

    L'uomo ricominciò a russare esattamente come prima.

    Baltak richiuse il sacchetto e infilò la mano sotto il mantello. Questa volta estrasse un piccolo involto ricavato dalla vescica di un animale. Conteneva qualcosa, ma la vescica era cucita e i committenti avevano ordinato a Baltak di non aprirla.

    Pose il fagotto sotto il letto dell'uomo, esattamente come gli era stato ordinato. Poi uscì dalla casa.

    Percorrendo il corridoio al contrario, si imbatté nel cadavere dell'uomo che aveva incontrato prima. Non si premurò di nasconderlo. Nessuno, in quel quartiere, si sarebbe lamentato per la sua morte e le guardie della città preferivano non frequentare quei vicoli.

    Scese le scale e si recò verso le stalle. C'erano un paio di cavalli. Uno era un ronzino stanco con una sella gualcita, l'altro era un cavallo pezzato un po' più riposato. La sella di quest'ultimo aveva una grossa bisaccia di cuoio appesa su un lato.

    Baltak la ispezionò e trovò due pergamene ingiallite e arrotolate tenute insieme con un laccio.

    Annuì soddisfatto e uscì dalla stalla.

    Ripensò brevemente a chi gli aveva commissionato quel lavoro. Erano i loschi Monaci della Montagna, personaggi solitari rappresentanti di un culto antico quanto l'uomo. Vivevano nella loro inaccessibile montagna, praticando le arti occulte e stabilendo contatti con gli dei ed entità di altri mondi. I loro rituali incuriosivano e spaventavano la povera gente, ma i Monaci raramente avevano rapporti con gli abitanti dei paesi vicini.

    A volte qualcuno riusciva a scalare la loro montagna, raggiungendo il santuario in cima. Tipicamente, chi li incontrava chiedeva loro la guarigione di qualche persona cara affetta da una malattia, portando in cambio oro e pietre preziose. I Monaci erano praticanti esperti delle magie più complesse e antiche e se fossero stati soddisfatti dei suoi doni, avrebbero esaudito le richieste del viandante.

    Qualcuno, ma molto più raramente, si azzardava ad andare da loro per chiedere che facessero del male a qualcun altro. Era un caso molto raro, poiché con metà del denaro che di solito i Monaci accettavano come prezzo minimo per i loro servigi, a Turkazham si potevano assoldare i migliori sicari. Ma se il destinatario dell'ingiuria era anch'egli un mago, anche i sicari più spietati ci pensavano due volte prima di accettare l'incarico.

    Non era interesse personale dei Monaci fare del bene, né danneggiare gli altri. Non provavano gusto nel fare né l'una né l'altra cosa. Semplicemente, se ben ricompensati, avrebbero messo la loro magia al servizio di chi ne avesse fatto richiesta.

    L'unico vero, grande scopo della loro vita era investigare la magia in ogni sua forma, sia benigna che maligna. Studiavano per giorni interi, martoriavano lo spirito e il corpo con ore e ore di pratica, recitando incantesimi che non venivano pronunciati da secoli, oppure formule così pericolose da essere pronunciate a fior di labbra dagli altri maghi, i quali al sentirli gridare quelle parole si sarebbero tappati le orecchie per la paura.

    Nondimeno, erano molto gelosi della loro scienza. Conservavano i più antichi trattati di magia nelle zone più nascoste del loro santuario, sorvegliandole giorno e notte.

    L'uomo che Baltak aveva avvicinato quella notte era un ladro molto astuto e famoso a Turkazham. Una setta rivale dei Monaci gli aveva chiesto di rubare alcune sacre pergamene dal loro tempio. Si trattava di un trattato di magia dal titolo Incantesimi per il controllo del corpo e della mente, l'ultima copia esistente di quell'antico testo che molti credevano perduto per sempre.

    L'uomo aveva scalato la montagna spacciandosi per un novizio e aveva raccontato una storia molto convincente sul perché volesse imparare la magia. Sapeva che i Monaci sottoponevano gli aspiranti novizi a un lungo interrogatorio per verificare la serietà delle loro intenzioni.

    Il ladro riuscì a ingannare perfino loro e, esattamente come accadeva a tutti i nuovi arrivati, intraprese il suo noviziato rimanendo a guardia delle sacre pergamene, fino a quando gli anziani avessero deciso che era giunto per lui il momento di cominciare gli studi.

    Appena era rimasto da solo con i sacri testi, li aveva trafugati e portati a Turkazham con l'aiuto di un complice.

    Avrebbe dovuto venderli al rappresentante della setta il giorno dopo. Purtroppo per lui, non sapeva resistere ai piaceri della carne. Così come egli era stato incaricato di rubare le pergamene, Baltak era stato incaricato dai Monaci di rubarle a sua volta e di restituirle. Era così che funzionavano le cose, nel quartiere malfamato di Turkazham. Non c'era pietà, non c'era amicizia. C'erano solo denaro, paura, corruzione e tradimento.

    Avresti fatto meglio a ucciderlo. Un ladro in meno avrebbe significato più campo libero per te.

    Baltak si diresse verso il luogo stabilito, un piccolo stagno alimentato da un torrentello di acqua salmastra e scura. Un posto anonimo quanto bastava.

    Aspettò pazientemente per una buona mezz'ora. Poi vide un vecchio incedere lentamente con un bastone. Aveva il cappuccio abbassato fino al naso e zoppicava dalla gamba sinistra.

    «Ho quello che avete chiesto» esordì Baltak appena lo vide.

    Allorché sentì queste parole, il vecchio sollevò lo sguardo su di lui. Gli occhi erano duri e arcigni, la barba bianca e folta.

    Baltak tirò fuori le pergamene e le mostrò all'uomo.

    «Hai fatto tutto ciò che ti è stato ordinato?» chiese l'altro con voce bassa e roca.

    «Tutto.»

    L'uomo mise una mano scarna sotto il mantello e ne trasse un sacchetto grande quanto un pugno.

    Baltak lo prese, lo aprì e controllò il contenuto. C'erano almeno cinquanta monete. Annuì soddisfatto e porse le pergamene all'uomo.

    Poi entrambi girarono sui tacchi e sparirono nella notte senza dire una parola.

    Come minimo, sotto il mantello aveva almeno il doppio dei soldi. Hai forse paura dei Monaci? Sei solo un vile codardo. Forse ho fatto male a sceglierti. Sei troppo pauroso.

    Qualche giorno dopo, in città si sparse la voce che il grassone aveva contratto la peste. Le autorità di Turkazham non volevano avere niente a che fare con quel quartiere, ma non potevano sorvolare su un malato di peste. Se il morbo si fosse diffuso, avrebbe contagiato tutti gli abitanti della città.

    Fortunatamente per loro, non dovettero preoccuparsi per molto. Dopo giorni di tremende sofferenze, qualcuno era entrato nella casa del malato e lo aveva soffocato nel sonno. Poi il corpo era stato portato in una fossa comune e i suoi averi bruciati.

    Neanche ai ladri e agli assassini piaceva avere la peste in casa e fu bestemmiando di irritazione che bruciarono le ricchezze dell'uomo, che in altre circostanze avrebbero trafugato come sciacalli.

    Ucciso a tradimento e gettato in mezzo ai criminali comuni. Una degna punizione per aver osato imbrogliare i Monaci della Montagna.

    Quando, in una taverna, qualcuno rivelò a Baltak questa vicenda, egli rise di gusto e ingollò un boccale di birra schiumosa.

    Il dio in catene

    Il culto di divinità degli elementi e della fertilità era particolarmente vivo presso i popoli primitivi della Prima Era e presso le comunità di non-umani stabilitesi nei deserti infuocati o nei picchi ghiacciati. Uomini-neve e giganti adoravano divinità in grado di rendere possibile la vita nell'ambiente in cui si erano stabiliti, di conseguenza il culto di questi dei non era solo religione, ma questione di reale sopravvivenza.

    Ahjimar. Storia delle antiche religioni

    I l sotterraneo era angusto e freddo, ben diverso dal deserto incandescente a cui Quetzal era abituato. I chiodi conficcati nelle ali lanciavano acute fitte di dolore e dalle ferite stillava sangue di colore rosso vivo.

    Sentì lo sferragliare di una porta davanti a sé. Un pesante battente di ferro si aprì e la luce gli ferì gli occhi. L'aria fredda e umida che proveniva da fuori faceva dolere tremendamente i punti sulle zampe in cui le catene stringevano senza pietà.

    Udì dei passi che si avvicinavano. Provò ad aprire gli occhi. Vide tre sagome opache, vagamente distinguibili nella luce alle loro spalle.

    «Il dio prigioniero» disse una voce rauca e malvagia in tono beffardo.

    Adesso gli occhi di Quetzal si erano abituati alla luce e poteva vedere bene i suoi carcerieri.

    Due scheletri. Li aveva già visti quando lo avevano catturato. Due scheletri perfettamente spolpati, con segni indecifrabili scritti su ogni pollice delle ossa di cui erano composti, perfino dentro le articolazioni. Due scheletri umani che, per qualche oscuro incantesimo, camminavano. I loro volti scarnificati non esprimevano alcuna emozione. Erano come macchine al servizio di una volontà più grande. Il vento gliene aveva parlato, tempo prima. Li chiamavano Druhar, che in una lingua ormai perduta significa fantasmi senza occhi.

    Ma quei due scherzi della magia non facevano più molto effetto a Quetzal. Era il loro capo, a dargli una sorta di senso di terrore. Era alto, scuro, imponente. Indossava un ampio mantello rosso e dei pantaloni di pelle. Il corpo era umano, fatta eccezione per le fattezze, orribili alla vista. Le dita erano quattro in una mano e tre nell'altra ed erano tozze, come se un tempo fossero state cinque e poi le ossa si fossero fuse insieme. I muscoli del torace nudo erano possenti e tonici, ma la testa non aveva nulla di umano. Denti affilati come zanne sporgevano da labbra sottili, quasi inesistenti. Occhi neri come la pece erano circondati da una fronte rugosa senza sopracciglia. Due corna appena abbozzate sporgevano ai lati del cranio, sopra due orecchie quasi invisibili.

    «Regas. Che cosa vuoi?» chiese Quetzal in tono imperioso, nonostante il dolore.

    L'intruso incrociò le braccia e guardò il prigioniero con occhi sprezzanti. Nonostante l'oscurità, lo riusciva a vedere bene, grazie alla pallida luce che emanava. Un enorme volatile, più grande di un uomo. Il piumaggio era blu, salvo in corrispondenza delle ferite, dove appariva più rosso e luminoso. Il becco era lungo e tozzo, la testa rotonda con gli occhi di lato.

    Regas sghignazzò. «Non sei contento che veniamo a farti visita?»

    Quetzal pronunciò una maledizione in una lingua e con dei versi che non erano di questo mondo. «Vai all'inferno.»

    «Io ci sono già, all'inferno. E ne sono il re!»

    Sghignazzò ancora più forte e le sue risate echeggiarono in tutto il sotterraneo. Poi fece un cenno ai due scheletri. Uno dei due si avvicinò a Quetzal brandendo un lungo bastone di metallo che terminava in una punta piatta e incandescente.

    «Il mio signore Loki mi ha ordinato di tenerti compagnia» disse Regas mentre lo scheletro si avvicinava a Quetzal.

    Per la prima volta nella sua lunga vita, Quetzal provò paura. Regas aveva assunto un'espressione divertita, come se già pregustasse ciò che stava per succedere.

    Le piume del dio sfrigolarono. Un tremendo urlo proruppe dal becco spalancato. Il colore di tutto il corpo si fece improvvisamente rosso e luminoso come la lava.

    Lo scheletro ritirò lo stiletto. Il grido cessò.

    Regas rideva, se così si può dire. Sogghignava in quella sua espressione crudele.

    Il colore delle piume di Quetzal pulsava come un cuore impaurito. Dal rosso brillante al rosso scuro e poi daccapo.

    «Perché mi fai questo, cane di un demone?» ringhiò Quetzal con la voce leggermente incrinata dal dolore.

    «Il mio signore Loki ha progetti molto ambiziosi che ti riguardano.»

    Schioccò le dita e comparve l'altro scheletro. Nelle mani stringeva un pesante martello di ferro. Quetzal vide che il primo scheletro stava prendendo delle tenaglie roventi e si era messo dietro Regas in attesa del suo turno.

    «Va a dire al tuo signore che lo maledico» disse Quetzal in tono furioso.

    «Glielo dirò» sibilò Regas sogghignando ancora. Poi fece un cenno del capo allo scheletro col martello.

    L'ultima cosa che Quetzal vide fu l'enorme maglio di ferro che si abbatteva sul suo becco. Poi sentì lo schiocco dell'osso che si rompeva.

    Il dolore era tremendo. Chiuse gli occhi e, come prima, gridò maledizioni che nessun essere vivente o dio poteva capire.

    «Appena gli si ricompone il becco, martellalo di nuovo. Sembra che gli faccia parecchio male.»

    Il villaggio

    Fu agli inizi della Quarta Era che gli uomini e i giganti cominciarono a guerreggiare. Spinti dal potere e dalla sete di territori da presidiare, entrambe le razze proseguirono per secoli una guerra senza esclusione di colpi, scandita a volte dal ritmico battere degli zoccoli dei cavalli sui campi di battaglia, altre dal lieve fruscio delle foglie delle foreste di confine, dove si consumavano micidiali imboscate.

    Anonimo storico della Quarta Era

    S tava per arrivare una tormenta. Poteva sentire chiaramente nell'aria l'odore della tempesta imminente. Baltak imprecò sottovoce. La ferita alla mano doleva parecchio e la fasciatura di fortuna che aveva ricavato da uno straccio non ne chiudeva bene i lembi, tanto che la stoffa zampillava sangue.

    Si guardò alle spalle. Nessuno in vista.

    Idiota. Scappi come un cane bastonato. Sei uno squallido codardo.

    Tornò a guardare avanti e a salire la collina. Le gambe affondavano nella neve fino a metà polpaccio, ma si rallegrò pensando che se i cacciatori di taglie si erano messi sulle sue tracce, non se la stavano passando certamente meglio.

    Pochi giorni dopo la morte del grassone, arrivarono a Turkazham alcuni cacciatori di taglie in cerca di taglie da riscuotere. Sfortunatamente per lui, Baltak era nella loro lista. Molti briganti e assassini di fama avevano preferito fuggire, cercando rifugio nei villaggi a est, dove non sarebbero stati riconosciuti, finché le acque non si fossero calmate. La gente di quei luoghi avrebbe fatto finta di niente se essi fossero stati abbastanza generosi.

    Baltak conosceva un villaggio sulle montagne che faceva proprio al caso suo.

    Purtroppo, la sera prima, a qualcuno venne l'idea di consegnarlo ai cacciatori di taglie per guadagnare almeno metà della taglia, così Baltak fu costretto a lavorare di coltello e a fuggire nel cuore della notte, con una ferita alla mano fasciata alla spicciolata.

    Camminava ormai da ore, guardandosi spesso alle spalle per accertarsi che nessuno lo stesse seguendo. Il cielo era scuro, il vento soffiava gelido e forte schiaffeggiandogli la faccia. La nebbia nascondeva le montagne a est e le nuvole coprivano la vista delle stelle, mettendo a dura prova il suo senso dell'orientamento.

    Mise una mano nel sacchetto di rune e imprecò. Ne erano rimaste poche, però decise che valeva la pena sacrificarne una. Estrasse una pietra e la mise sul palmo aperto della mano. La runa si illuminò subito e da essa scaturì un raggio di luce che si diresse verso il cielo. Baltak annuì soddisfatto. La stella polare era dall'altra parte delle nuvole, dove quel raggio incontrava il cielo.

    Il vento cominciò a intensificare il suo ululato e una pioggia sottile cominciò a cadere. La tempesta stava per scoppiare.

    Il raggio magico si dissolse presto e Baltak cominciò a correre verso est. Dopo circa due ore di marcia superò una vallata e raggiunse un villaggio dalle case dai tetti di paglia. Le stradine erano deserte e costeggiate da canali pieni di escrementi e fanghiglia maleodorante. Cani magrissimi e gatti randagi si aggiravano pigramente per le vie, mentre gli ultimi vagabondi cercavano di sfuggire alla tormenta avviandosi con passo zoppicante verso qualche rifugio.

    Baltak individuò subito la taverna locale e vi fece ingresso. Gli avventori erano circa una trentina. Alcuni giocavano a dito di ferro, altri bevevano e mangiavano.

    Sedette a un tavolo e subito si avvicinò l'oste, un vechio con un occhio bendato e i capelli bianchi.

    Vedendolo, pulì il tavolo rozzamente con uno straccio e fece una smorfia. «Che cosa vuoi?»

    «Che avete da mangiare?»

    «Bistecca e minestra di fagioli.»

    Lo stomaco di Baltak brontolò al solo sentire quelle parole. «Portami un piatto di entrambi.»

    L'altro lo guardò sottecchi. «Prima fammi vedere i soldi.»

    Baltak prese un sacchettino legato alla cintura e lo aprì. C'erano almeno quindici monete.

    «Portami anche dell'idromele» ordinò Baltak.

    «Non abbiamo idromele, qui» brontolò l'oste. «Solo birra. L'idromele non ce lo possiamo permettere.»

    «E allora portami la tua birraccia da quattro soldi.»

    L'oste grugnì di disappunto e sparì in cucina.

    Baltak si guardò intorno. Dall'altra parte della locanda si sentì il suono di un osso che si spezzava. Poi un urlo gioioso di una dozzina di persone. Uno degli avventori che giocava a dito di ferro si resse la mano e urlò. L'altro alzò le braccia e urlò di gioia. Cominciò a circolare il denaro delle scommesse, mentre il ferito si fasciava il dito rotto e lanciava occhiatacce all'avversario.

    Arrivò l'oste con un vassoio colmo di ciò che Baltak aveva ordinato.

    «Fai in fretta» ringhiò l'oste. Poi scomparve di nuovo in cucina.

    Guercio bastardo. Fossi in te gli staccherei quella testa di letame.

    Baltak assaggiò la birra. Era scadente, liscia, una normale birra da paesino sperduto tra le montagne. Assaggiò la carne. Quella non era male. I fagioli non erano ottimi, a malapena commestibili.

    Mentre mangiava, pensò a cosa convenisse fare. Rifugiarsi in quel villaggio poteva essere una buona idea. Era abbastanza appartato, e forse i cacciatori di taglie avevano addirittura desistito dal cercarlo.

    Quando l'oste gli passò di lato lo fermò e gli chiese: «Avete camere libere?»

    L'altro gli lanciò un'occhiataccia. «No. È tutto pieno. Ora sbrigati a finire di mangiare.»

    Insolente bastardo! Prendi la spada e metti fine alla sua inutile lagna.

    Baltak continuò alla stessa, pacata, velocità di prima.

    Una nuova sfida a dito di ferro era appena cominciata, quando la porta si spalancò ed entrò un ragazzo sui quindici anni, alto e con un accenno di barba.

    «Buona sera a tutti!» gridò.

    «Ecco quell'idiota di Thorken» bisbigliò qualcuno.

    Il ragazzo si avvicinò a un gruppetto di uomini intenti a spolpare le ossa di un cinghiale.

    «Che si dice, amici?»

    Uno di essi brontolò stizzito mentre azzannava la carne.

    «Ho una notizia fresca per voi.»

    «Le conosciamo le tue notizie fresche, Thorken» lo schernì uno.

    «Questa volta è diverso. La fonte è sicura» rispose il ragazzo. «Sembra che sia sparita la figlia di re Galaghor. Il re ha offerto una cospicua ricompensa per il suo ritrovamento: cento scudi d'oro.»

    La parola magica fece drizzare le orecchie a tutti. I presenti interruppero qualunque cosa stessero facendo e si girarono verso Thorken, d'un tratto interessati. Il ragazzo si compiacque e sorrise tra sé.

    Fece una pausa enfatica e cominciò: «È da due giorni che non si hanno più sue notizie. Si era avvicinata alla foresta con la sua dama di compagnia e due guardie. Nessuno li ha più visti tornare. Stamattina qualcuno ha trovato le pelli delle guardie e della dama appese ai rami di un albero. Sono stati scuoiati come orsi. Della principessa nessuna traccia.»

    Qualcuno si torse la barba pensoso. Sguardi complici guizzarono rapidi tra gli avventori. Un uomo sputò in terra. «Dannati cannibali!»

    Baltak aveva seguito con attenzione la spiegazione del ragazzo, ma l'esclamazione dell'uomo accese la sua curiosità.

    «Io non ci voglio entrare, in quella foresta maledetta» disse un mercenario poco prima di rimettersi a mangiare.

    «Neanche io. Scherziamo? Quelli sono cannibali feroci» fece eco un altro. Poi buttò giù un sorso di birra.

    Poco a poco, tutti i presenti ritornarono alle loro faccende.

    «Siete una manica di codardi!» gridò Thorken, ma ormai non lo stava a sentire più nessuno.

    «Guardatevi, ve la state facendo sotto

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1