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Le quattro stagioni
Le quattro stagioni
Le quattro stagioni
Ebook182 pages2 hours

Le quattro stagioni

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About this ebook

Attraverso le stagioni Gian Gabriele Benedetti scrive racconti che avvolgono i piccoli e i grandi momenti della vita.
L'autore è stato vincitore, finalista e segnalato in più di trecento Premi Letterari sia di narrativa che di poesia. Suoi scritti di narrativa, di poesia ed a carattere pedagogico-didattico sono stati pubblicati su molteplici quotidiani, periodici e su moltissime riviste d’arte. Sue poesie e suoi racconti sono comparsi in oltre settanta antologie.
LanguageItaliano
PublisherAbel Books
Release dateOct 22, 2011
ISBN9788897513414
Le quattro stagioni

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    Le quattro stagioni - Gian Gabriele Benedetti

    Gian Gabriele Benedetti

    Le quattro stagioni

    Abel Books

    Proprietà letteraria riservata

    © 2011 Abel Books

    Tutti i diritti sono riservati. È  vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico.

    Le richieste per l’utilizzo della presente opera o di parte di essa in un contesto che non sia la lettura privata devono essere inviate a:

    Abel Books

    via Terme di Traiano, 25

    00053 Civitavecchia (Roma)

    ISBN 9788897513414

    A mia moglie

         Alla memoria dei miei genitori

         Alla memoria dei miei suoceri

    "Tutto sembra possibile

    in primavera"

    Edwin Way Teale, North with the spring.

    PREANNUNCIO DI PRIMAVERA

    Febbraio stava mantenendo fede alla sua fama di mese corto e maledetto. Col capriccio di un bimbo viziato faceva continue bizze e non aveva concesso la benché minima tregua alla terra, che, impotente, subiva l'assedio implacabile del tempo.

    Prima la pioggia: giorni e giorni di lacrimare continuo del cielo, da rendere la natura pregna come una spugna inzuppata. Torrenti e fiumi ribollivano di acque lutulente e le sagome scure degli alberi protendevano le braccia nude e indifese quasi ad invocare pietà. Poi la neve. Cessò l'umido scirocco, compagno della pioggia, e l'aria rabbrividì. Le nuvole basse e rigonfie nella notte scavalcarono l'Alpe e lasciarono il passo a nubi biancastre, senza forma, immobili. Amica del silenzio, la neve arrivò in punta di piedi e ricoprì, paziente, tutto di candido stupore. La morsa del gelo soffocò ogni anelito di rinascita: l'inverno menava ancora la danza, umiliando anche la più tenera illusione.

    Ma bastarono quei due giorni di sereno, due giorni nei quali un venticello irrequieto e svagato prese a cancellare il grigiore del firmamento e ad aprire la via al sole, che già scalpitava, preparando la nuova corsa libera e disinvolta nel suo prato turchino. Lo sguardo di luce, tuttora illanguidito dal sonno invernale, rovistò dall'alto ogni angolo, sussurrando dolci inviti alla terra ravvolta nella coltre compatta.

    A quell'occhiata indiscreta si scoprirono chiazze brune sui poggi e nei prati più esposti. E fu lì che, come frammenti di azzurro, esplosero i crochi: dapprima apparvero qua e là timidi e spauriti, poi, imbevuti di sole, foderarono fitti il terreno della loro ansia colorata.

    Gli alberi gocciolanti si accesero di voci d'un tratto rinate: i passeri, pronti a capire il racconto di una primavera che non tardava il risveglio, non seppero aspettare. Fra poco mani invisibili avrebbero intessuto ricami di gemme e di erbe dove ancora insisteva quel bianco che si ostinava a nascondere la briciola invocata.

    ALBA NEL BOSCO

    Il battito lento e regolare della vecchia sveglia, posata maestosamente sul comodino a fianco del letto, riempiva dell'impronta sonora del suo passo, un po' strascicato ma continuo, il silenzio buio della piccola stanza, dove Pietro tentava di acquietare col sonno i morsi di una stanchezza accumulata in giorni e giorni di duro lavoro. Il tepore delle pesanti coperte di lana domava il freddo che i muri sconnessi della casetta a stento riuscivano a frenare.

    Fuori la notte continuava a sommergere di ciechi sguardi l'incedere senza fretta dei minuti, pur nella loro fuga inesorabile. Non un palpito di luna a chiacchierare con il profilo del tetto ed a stuzzicare di incerti fuggevoli chiarori l'intrico aspro e misterioso del bosco. Rare stelle, tenui sguardi lontani e pigri, si affacciavano quasi con distacco sulla terra incupita.

    Neppure il vento aveva osato metter fuori il naso per la consueta danza tra i rami tuttora denudati degli alberi.

    Avvolto nell'onda tiepida di sogni profondi, Pietro pareva appigliarsi inconsciamente al galoppare del tempo, per frenarne lo scorrere incessante e prolungare quanto più possibile il necessario riposo. Ma non appena l'ora del consueto risveglio si avvicinò, avvertì sfuggire, lentamente sfumando, la sequenza di immagini oniriche che irretivano la mente incontrollata. Una mano incorporea sembrò posarsi sulle palpebre appesantite e le fece schiudere, portandole a posarsi indecise sulle tenebre ancora intense della misera camera.

    Di lì a poco il trillo imperioso della sveglia fece sobbalzare la quiete sbigottita e dette il segnale della ripresa del giorno di lavoro.

    Pietro tentò di cacciare con un lungo sbadiglio il sonno che ancora lo abbrigliava e, stropicciandosi gli occhi assopiti, provò a dare lucidità al suo ridestarsi.

    Radunò le forze, ancora alla ricerca di un recupero non completamente compiuto, e prese a prepararsi con la solita sollecitudine. Ed in breve si ritrovò ritualmente sul viottolo che spingeva i propri passi attraverso le angustie del bosco, fino a raggiungere lo spiazzo allestito per la sua carbonaia.

    L'oscurità intorno, non diradata dalle poche stelle, fissate, pur nel loro tremore, sull'ultimo sonno della terra, era rotta dalla luce della lucerna a carburo che Pietro portava con sé, preziosa compagna per un cammino sicuro.

    Ed al tenue passare del lume oscillante, le ombre incerte dei tronchi sbilenchi bizzarramente si allungavano e presto si accorciavano per lasciar posto al buio cieco di una notte tarda a morire.

    L'aspro scricchiolio dei pesanti scarponi sulle pietre disordinate del viottolo tormentato rompeva il muto respirare di un'aria immobile e gelida e si ripeteva monotono in una sottile eco che andava flebilmente a perdersi nel nulla.

    Di tanto in tanto, improvviso ed inatteso, il rumoroso e scomposto sbatacchiare d'ali di qualche uccello notturno, ancora a caccia di un cibo non trovato, scuoteva il silenzio quasi compatto. Seguiva più lontano il lugubre stridio della fuga che si discioglieva simile a riso smodato.

    E Pietro, pur avvezzo a convivere con la trama delle tenebre, con l'agguato della solitudine e con le voci ormai conosciute del bosco, frenava per un attimo il passo affrettato col cuore affollato di battiti prepotenti. Poi riprendeva la via, tenace e solitario come sempre, nell'ansia di arrivare alla meta prima dello svegliarsi del giorno.

    Intanto ad oriente l'alba sbiancava debolmente il suo viso e già si delineavano i contorni sfumati dei monti. Dai casolari, disseminati nel buio come gemme smarrite, si levava il canto tuttora assonnato di galli solerti. Qualche cane brontolava qua e là la sua singhiozzata protesta verso nascosti rumori, nemici del silenzio.

    Man mano il leggero chiarore stendeva le sue dita delicate per dar forma all'ozio prolungato di una natura finora senza immagine. Le stelle, a quella carezza, andavano melanconicamente smorzando il loro lume.

    D'un tratto un clamore di luce, umiliando del tutto l'oscurità ostinata, girò il suo occhio sconfinato, fino a frugare nei segreti più reconditi della terra. E fu subito giorno.

    Pietro era ormai giunto sul posto, dove la carbonaia pulsava all'interno come un cuore vivo in un corpo, emanando all'intorno un profumo robusto di legna in lenta combustione. L'uomo respirò a pieni polmoni, gustando tutti i sapori del bosco.

    Volse, poi, lo sguardo giù nella valle per scoprire ciò che aveva visto mille volte, e mille volte gli aveva rubato l'animo. Il sole, ad occhi socchiusi, posava i suoi tentacoli intorpiditi sul mare di nebbia, che, pur nella morbida immobilità, pareva ribollire di vaporose spume candide in solchi profondi, senza fine. In fondo al canale rugliava perenne il fosso, riversando con rabbia sui sassi, che lo volevano frenare, il suo sermone dalla trasparenza di cristallo. I monti, poggiati sul nulla, assaporavano l'amplesso malizioso di spruzzi di luce, provando l'illusione dei primi fremiti di stagione novella.

    Una brezza impalpabile, levatasi dal nascondiglio notturno, prese a giocare con i tronchi oscuri degli alberi, scompigliando lievemente il pennacchio grigiastro di fumo che stancamente usciva dalla bocca della carbonaia, e portò la melodia soffocata di una campana invisibile, protesa a scuotersi di dosso l'abbraccio ovattato della nebbia. Al dolce invito, il carbonaio si tolse il logoro berretto dal capo e si segnò, volgendo il cuore devoto e commosso a Dio.

    E già si snodava su per il sentiero il passo cadenzato ed incessante dei muli di Serafino che tentavano di scaricare con sbuffi sonori delle froge la fatica della soma opprimente.

    Pietro, allora, pose le mani callose alla bocca, disposte a imbuto, e mandò il suo richiamo acuto al compagno che s'appressava. Il suo grido errò per pochi momenti rimbalzando di valle in valle, finché non lo inghiottì il ventre della terra. La risposta non tardò a divorare il silenzio stupito che si era fatto intorno.

    E l'uomo, al segnale di ritorno, prese con lena a lavorare d'ascia per modellare, come d'abitudine, i tronchi della nuova carbonaia. I colpi secchi e precisi si unirono alle voci del bosco rinato.

     LE COMARI

    Il cortiletto, acquattato tra le case che paiono gridare la loro felicità dalle finestre spalancate, come bocche ricolme di sorrisi, si anima di vita nel primo pomeriggio, non appena la stagione mostra tutta la malia del suo fremente risveglio. Le comari si fanno sull'uscio ed il loro richiamo rimbalza colorito fra i muri assopiti, screziati di luci ed ombre.

    Maria, avete finito di sbrigare le faccende?

    Do l'ultimo colpo di spazzolone al pavimento e poi vengo. Intanto chiamate la Luisa, per vedere se è pronta.

    Luisa! Luisa!... A che punto siete?

    Arrivo! Arrivo subito! Prendo il mio lavoro e son lì da voi. E la Iolanda?

    Oh, eccola! Lei è già pronta.

    Le quattro donne, rassettata la casa, si sistemano nel cortile, in un angolo non ferito dallo sguardo del sole. Sono sedute in cerchio, mentre con mani sapienti lavorano: chi rammenda, chi fa la calza, chi torce la lana col fuso e la rocca... Intanto, mentre un paio di gatti sonnecchiano ad occhi semichiusi ai loro piedi, fanno due chiacchiere per ingannare il tempo.

    Avete sentito cosa è successo alla Marina, la figliola dell'Elisa? Pare che il fidanzato l'abbia lasciata. Ma da loro non trapela nulla: tengono tutto nascosto e la bocca chiusa

    Cara voi, se l'ha lasciata, ha fatto bene: lui, un così bel giovane, e lei, tutta rinsecchita! Ci avrebbe rimesso un bel po'. E poi, sapete? Quella ragazza è anche antipatichina: sta sempre sulle sue. Ben gli sta!

    Ma non conoscete l'ultima. E qui il tono della voce si abbassa. Le comari sospendono il lavoro e allungano il collo per non perdere nemmeno una parola.

    L'altro giorno, mentre tornavo a casa con la spesa, ho sentito.... Pausa voluta, carica di silenzio eloquente, con occhi che si muovono in modo significativamente malizioso e guardingo.

    Cosa avete sentito? Dite subito e non ci fate stare in pena

    Una litigata che passava muri, porte e finestre. E pensare che quella coppia fuori, davanti alla gente, è tutta moine e svenevolezze

    Ma, per Dio, dite! Chi era? Non ci lasciate così sulle spine!

    Era... la Teresina col suo bel maritino. Se le dicevano... se le dicevano che era un piacere: 'Ma fai la finita, sgualdrinella da due soldi'. 'Sta' zitto piuttosto tu che sei un buono a nulla e fai anche il cascamorto... Come se non me ne fossi mai accorta...'. 'Ma chi me l'ha fatto fare di mettermi dietro a te!'. 'L'affare buono l'ho fatto io!... E sai quanti ce n'avevo meglio di te che mi gironzolavano intorno...!'. E giù di questo tono: sembrava una grandinata d'estate. Per non perdermi l'intera scenata, feci in su ed in giù, sotto la loro casa, diverse volte, tant'è che il Gigi, che m'aveva visto, mi chiese se avevo perduto qualcosa e mi voleva aiutare a cercarla

    Ma senti che roba! A vederli quelli lì sembrano due gattini in amore che si fanno le fusa, ma sotto sotto... Cose che non stanno né in cielo né in terra

    Anche a non volersi occupare degli affari altrui, se ne vengono a sapere di tutti i colori. A proposito: che fine ha fatto la Luigina, la moglie del Giorgino, dopo che l'han sorpresa tutta languida e svenevole con la guardia comunale?

    Da qualche giorno pare non esca più fuori. Dice che l'han vista di sfuggita sul balconcino di casa sua con un paio di occhialoni neri sul naso. La guardia, invece, è andata in mutua per una settimana. Credo, però, che a tutt'e due sia passata la voglia di tubare come piccioncini

    C'è qualcuno che gli è andata peggio. Parlo della figlia di Rosina, la Lunga

    Mi spiace, povera ragazza, ma la sera le giovincelle come lei farebbero meglio a starsene a casa, invece di divertirsi e gironzolare con i giovanotti nei posti più nascosti e con quelle sottanette corte che quasi fan vedere ogni cosa. Si sa: l'uomo è cacciatore e... se si mette la paglia accanto al fuoco, il fattaccio ci scappa sempre e dopo a chi ti raccomandi?

    Quando lo farà questo figlio di nessuno?

    Pare che sia di cinque mesi, ma lei non si vede più per le vie del paese. Che vergogna!

    Ai nostri tempi guai ad uscire fuori la sera dopo l'Ave Maria. Appena faceva buio, ci si rinserrava in casa

    "Eh, di certo,

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