Una eredità perversa: ...le radici di un destino avverso
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Una eredità perversa - Learco Learchi d'Auria
el.dorado.44@hotmail.com
Prefazione
Learco presenta il suo libro Una eredità perversa
con lo stile che gli è congeniale, quello solito: piacevole, leggero, accattivante pur trattando argomenti molto seri. È lo specchio di una società che penalizza e calpesta diritti e dignità. I personaggi del romanzo potrebbero sembrare reali ma non lo sono: essi sono usciti dalla fantasia di Learco che, come in altre situazioni da lui descritte, ha saputo dipingere luoghi, fatti, impressioni e punti di vista, talvolta contrastanti. L’arte di Learco si estrinseca nella capacità di reagire agli eventi della vita intercalando a pagine di malinconia descrizioni di momenti di serenità, che portano il lettore a non appiattirsi sulle pur crude verità che l’autore mette a nudo.
Ricordi dolorosi di un vita che i personaggi portano scolpiti nell’anima e che Learco racconta con la vivezza di un autentico artista perché coinvolge il lettore e gli trasferisce emozioni e sentimenti, che talvolta lasciano le tracce dell’amarezza vissuta, ma li alterna a quei momenti di serenità già menzionati. Il pensiero rimane attratto dall’immagine, di un piatto cucinato, di un incontro e si rialza lasciando al ricordo il compito di meditare.
La sensibilità dell’Autore è trasfusa in Vincenzo, che nonostante le vicissitudini della sua vita non si lascia abbattere e reagisce dedicandosi al figlio, al quale cerca di regalare un futuro sereno, non senza sacrifici. L’eredità perversa si trasforma, per magia, in una eredità di affetti e di sentimenti profondi, amalgamata dall’amore che la famiglia ricostituita riesce a custodire per tutti.
Utilissimo è il pre-glossario contenente alcune regole di pronuncia dei vocaboli portoghesi-brasiliani che Learco ha ritenuto opportuno inserire al fine di agevolare il lettore nella corretta pronuncia di nomi, verbi, vocaboli e frasi in generale, presenti nel testo. Si potrebbe affermare che, prendendo dimestichezza con questi, il lettore finisce con l’apprenderne la lingua.
Pregevole è anche il glossario che l’Autore ha ormai la consuetudine di compilare alla fine di ogni romanzo, vero serbatoio di informazioni e conoscenza di termini portoghesi-brasiliani e di consuetudini della cultura e della vita del Brasile e non solo di questa. Ogni termine viene spiegato con dovizia di particolari che rendono il racconto ancora più affascinante.
L’impegno profuso da Learco nella sua puntuale stesura ci danno la misura della passione per il particolare e della sua attenzione per la Storia. Il solo glossario merita di essere letto perché è un romanzo nel romanzo.
Elisa Savarese
Presidente dell’Università Avalon
Eredità
è una parola che evoca,
Il più delle volte, denaro e beni
acquisiti in seguito al decesso di un
congiunto… quindi beni di fortuna
ma non sempre è così!
Si eredita, talvolta, qualcosa che
non si vorrebbe acquisire: un triste
destino legato ad un cognome, unito
ad una educazione sbagliata impartita,
spesso, senza amore ma anche ciò che
gira in un contesto familiare permeato
di interessi di parte: un triste karma.
Se è vero che i beni ed il denaro non
guadagnati con il sudore della propria
fronte finiscono presto e portano, in
fine, disgrazia… è meglio rinunciare.
Vi sono luoghi comuni dove si dice
che, di fronte ad una eredità:
"i parenti diventano serpenti, i fratelli
brandiscono i coltelli ed i cugini, poi,
finiscono con il rivelarsi assassini".
Se così è… meglio rinunciare ad una
eredità perversa e vivere non ricchi
ma in tranquillità.
(Learco Learchi d’Auria)
I personaggi del presente romanzo ed anche l’autore, tal quale viene descritto, sono stati ideati dalla fantasia. Ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti sono puramente casuali.
Le pagine con fondino più scuro distinguono gli eventi accaduti in epoca passata rispetto a quella attuale.
Prologo
Vincenzo Fumagalli era giunto in Brasile chiamato da un fratello maggiore, tale Fidenzio. Ambedue erano milanesi di nascita ma si erano frequentati poco visto che Fidenzio, più vecchio di vent’anni, era partito per l’America Latina dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, quando Vincenzo era appena seienne. Fidenzio era poi tornato a Milano cinque o sei volte ma il troppo tempo trascorso tra una visita e l’altra lo aveva fatto divenire, di fatto, uno sconosciuto per Vincenzo che nulla sapeva di quel fratello, dall’accento straniero, che viveva lontano… dall’altra parte del globo.
Vincenzo stava considerando quanto era avvenuto lì, in Brasile, negli ultimi quattro anni. Ripensandoci non poteva fare a meno di scrollare il capo anche riflettendo su quanto fosse pesante l’eredità del cognome che portava.
«Fumagalli, pur essendo uno dei cognomi tipici e quasi completamente concentrato in Lombardia, nel dialetto significa "ruba polli e non ha nobili origini…» spesso si diceva questo ma poi continuava, rincarando la dose: «…quanto al nome che mi hanno imposto, anticamente veniva utilizzato nell’ambiente contadino milanese come soprannome per indicare una persona ignorante e credulona.»
In effetti fuma galli
erano due parole dialettali lombarde che indicavano soprattutto persone di poco conto e di malaffare: non quindi effettivi ladri di galline. Un vincènzo
, poi, nel gergo della mala, è anche il tonto da truffare
.
Queste considerazioni fatte mentalmente parevano giustificare in buona parte tutta la sorte avversa dalla quale Vincenzo si sentiva perseguitato sin dalla propria nascita.
Fidenzio Fumagalli era invece un lombardo che aveva lasciato l’Italia subito dopo la guerra, dalla quale era tornato sconfitto, come sottufficiale ventenne della Guardia Repubblicana, nella quale aveva militato sotto la Repubblica Sociale Italiana
, quella comunemente detta di Salò. Era uno dei tanti nostalgici che non si era rassegnato all’idea di una Italia nuova, quella del dopo guerra e del Boom Economico
. Si era imbarcato, come molti a lui simili, per il Sud America per sfuggire ad un padre fascista ed impositivo, alla famiglia che si era sfasciata a causa della separazione dei genitori, al proprio passato fatto di tristi ricordi ed alla delusione di una guerra perduta, con ignominia, nonché ad una Patria che, secondo lui, si era prostituita al vincitore. Non s’era reso conto che certi rospi imbottiti di sterco
, una volta ingoiati, non ti lasciano più ed entrati nel sangue ti avvelenano l’esistenza. Questo signore, divenendo anziano, aveva somatizzato i propri problemi trasferendoli in un manoscritto monumentale di memorie alle quali aveva dedicato vent’anni del proprio tempo… forse un ventennio infelice anche quello.
Leggendo quelle pagine si aveva un’idea stravolta della realtà e spesse volte il lettore poteva chiedersi se l’estensore di quei testi fosse in sé oppure se qualche rotellina gli fosse uscita dagli ingranaggi. Il tomo poteva essere interessante ma, dopo tanti anni, le cose descritte avevano perduto il sapore dell’attualità e nessuno, quindi, avrebbe comperato quel libro, sempre che fosse giunto alle stampe. Il linguaggio adoperato era quello desueto di tant’anni prima ed i testi andavano totalmente riscritti digitandoli su un supporto informatico ché, diversamente, nessun editore prende in considerazione un manoscritto
, così come anticamente si faceva.
Di fronte a questa difficoltà aveva pensato di rivolgersi al fratello più giovane che aveva avuto qualche esperienza come giornalista pubblicista e possedeva un computer portatile.
Lo aveva invitato a trasferirsi in Brasile, nella città di Salvador da Bahia, approfittando di un momento di difficoltà economica di questi, in attesa di percepire la sua prima mensilità di pensione, promettendogli mare e monti se lo avesse aiutato nella revisione dei testi delle sue memorie, prendendosi carico dell’editing di ciò che sarebbero divenuti, poi, tre volumi di seicento pagine ognuno.
Il carattere delle persone né l’atteggiamento gestuale, purtroppo, li si possono cambiare specie se impregnati di una certa ideologia politica di estremissima destra. Ogni qualvolta il fratello più giovane gli presentava i nuovi testi corretti, nasceva una discussione seguita da una lite ed infine un diktat: la versione originale non andava cambiata ed il linguaggio, seppur superato dall’evoluzione della moderna idiomatica, doveva essere rispettato esattamente tale e quale era.
Alla fine del secondo anno -in media ne occorreva uno per volume- due libri, su tre, erano stati digitati sul computer del paziente fratello minore ed erano quasi pronti per essere affidati ad un amico editore. La stampa del primo sarebbe avvenuta solamente previo pagamento di tutti i costi, visto che un tentativo con altre due case editrici non era andato a buon fine e l’amico editore non riteneva di dover investire nulla di suo su quei libri.
La cosa venne tuttavia congelata a causa di un’improvvisa malattia di Fidenzio e Vincenzo, lasciata la veste di revisore e digitatore di testi sul computer, dovette improvvisarsi badante tutto fare ed anche infermiere. Ebbe inizio, così, un calvario ed una convivenza difficile quanto penosa per ambedue. La fine di questo patimento reciproco avvenne con il decesso di Fidenzio e la partenza di Vincenzo trasferitosi nello Stato di São Paulo e, successivamente, in quello di Paraná.
Brasile – Stato di Paraná - Città di Paranaguá – Giovedì 17 maggio 2012 - Abitazione di Vincenzo
Vincenzo stava guardando, dalla finestra di casa, la pioggia cadere copiosa: «… tempo umido, come sempre qui a Paranaguá!» si disse un poco stizzito.
Si era trasferito da oltre tre anni in quella cittadina posta sul litorale dello Stato del Paraná, di fronte all’Oceano Atlantico. Era emigrato in quello stato, posto più a sud di quello di São Paulo, quando aveva deciso di allontanarsi dalle conseguenze della pericolosa follia del fratello deceduto nella Bahia. Il clima era più freddo ma la qualità di vita del Paraná, soprattutto nella capitale Curitiba, era definito uno dei migliori di tutto il Brasile.
Paranaguá, che dista dalla capitale un centinaio di chilometri, è la città più antica dello stato e conta circa 150.000 abitanti essendo la decima città del Paraná e la trentunesima del Brasile del Sud, in termini di grandezza. Posta in una grande baia, alimentata con le acque dei fiumi Itiberê e Guaraguaçu, con un’area di oltre 800 Km² si suddivide in altre baie minori di fronte alle quali vi sono alcune isole abitate da comunità di pescatori.
Il suo attuale porto, denominato Dom Pedro II
in onore dell’ultimo Imperatore del Brasile, è considerato un grande terminale di cereali essendo, di questi prodotti, il maggior punto di esportazione degli Sati del Sud. È situato nella parte interna della Baia di Paranaguá e venne inaugurato nell’anno 1935 subito dopo la costruzione dei suoi grandi Doks. La sua esistenza è tuttavia legata a cinque differenti cicli storici dell’esportazione: il ciclo dell’oro, quello dell’Erba Mate, del legno, del caffè ed infine al ciclo dell’attuale diversificazione con la movimentazione di moltissimi prodotti quali: mais, soja, semole, cotone, oli vegetali ed altro.
Dal punto di vista storico la città è stata fondata nella prima metà del XVII secolo. Le vestigia dell’epoca coloniale, con i palazzi dalle facciate piastrellate, le strade pavimentate di pietra e le chiese antiche, sono la testimonianza dei secoli precedenti. Il 29 luglio del 1648 viene staccata dallo Sato di São Paulo, divenendo un Comune dello Stato del Paraná.
Le origini del sito sono tuttavia molto più antiche in quanto nella preistoria, tra il 4.000 a.C. ed il 1.000 dell’era attuale, era stato abitato da l’Uomo di Sambaqui
. Venendo a tempi relativamente più recenti, la località venne chiamata Grande Mare Rotondo
(Paranã-kûá) nella lingua tupi-guaraní
degli indigeni Carijós. Così gli indios chiamavano la baia a causa della sua conformazione circolare. Con il passare del tempo il nome della località cambiò diverse volte: Pernaguá, Parnaguá ed in fine Paranaguá. Il popolamento sistematico di quel litorale, da parte dei colonizzatori portoghesi iniziò, tuttavia, nel 1550 nell’Isola di Cotinga, presa quale base di partenza per la ricerca aurifera. Solamente vent’anni dopo fu conquistata dai pionieri la riva sinistra del Fiume Taguaré (oggi Itiberê) detenuta dalle tribù indigene Carajó. La notizia della scoperta di ricchi giacimenti minerari fu la leva finale che attrasse molti altri cercatori provenienti dal Brasile ed anche dall’Europa. Il popolamento venne così intensificato.
Oggi è considerata Culla della Civilizzazione Paranaense
nonché Madre del Paraná
.
«Accidenti! Sta piovendo ancora ed anche più di prima… è proprio un tempo da tosse e bronchite» pensò Vincenzo, preoccupato per tutta quell’umidità che si stava accumulando ed anche ai brividi freddi che gli stavano correndo lungo la schiena.
La schiena di Vincenzo era spesso dolente a causa dell’artrosi e di tre ernie discali. L’umidità non migliorava di certo la cosa e la sofferenza, unitamente alla carenza di chiarore nel cielo, lo rendeva nervoso… il male oscuro
si rifaceva avanti ed i neri pensieri di una triste eredità si appalesavano nella mente di quell’uomo già troppo provato.
Italia – Città di Milano (Mi) - Abitazione dei Fumagalli – Venerdì 03 settembre 1948 - La tragedia, madre di ogni male
(dai ricordi d’infanzia)
Vincenzo era piccolino ed aveva da poco compiuto quattr’anni, quando subì un trauma le cui conseguenze dovette portarsi dietro per tutta la vita.
La sua mamma era stanca di subire le angherie ed i tradimenti di un marito donnaiolo e violento che l’aveva sposata in chiesa dopo aver avuto due figli fuori del matrimonio, emulo del Primo Ministro del Regno d’Italia, e capo del fascismo. La guerra era finita da tre anni, il corpo del Duce
era stato appeso per i piedi in Piazzale Loreto. Il fascismo era caduto con il suo Capo insieme all’orgoglio di uomini bassi, di statura e di levatura morale come il padre di Vincenzo. La Signora Fumagalli aveva deciso di infrangere le proprie catene allontanandosi da quella casa da lei considerata una triste prigione dove si sentiva solo una serva buona per rassettare, lavare, cucire, stirare, lavorare in cucina e qualche volta buona per il letto, quando e se il consorte si ricordava di lei tra un tradimento e l’altro.
Vincenzo non pianse quando il fatto accadde perché non poteva capire di trovarsi nel mezzo di una tragedia familiare e la mamma, mettendogli in mano un’enorme scatola di cioccolatini, gli aveva promesso che sarebbe tornata presto.
Non fece indigestione di quei dolci perché corse ad offrirli ai suoi fratelli. Loro sì, stavano piangendo per quell’abbandono improvviso del quale Vincenzo non poteva essere in grado di capacitarsi e quel cioccolato aveva perduto il buon sapore di sempre.
Crebbe allevato dalla giovane zia paterna, che abitava nella stessa casa, obbligata a farlo dal padre di Vincenzo. Il piccolo rivide la mamma negli anni successivi, giornate di festa che di festoso nulla avevano: qualche minestrina accompagnata dalle solite recriminazioni contro il marito di cui Vincenzo era figlio, una passeggiata al parco e poi, la sera, di nuovo nella casa paterna. Così facendo, un’ombra di tristezza s’era impadronita di lui, una tristezza che mai più lo avrebbe abbandonato. Con il tempo la tristezza fece posto al male oscuro della depressione. A quell’epoca la parola depressione
non era entrata nell’uso corrente e non veniva considerata neppure una malattia. Vincenzo crebbe, ma visse quell’esperienza infantile come un’ingiusta condanna per la colpa di qualcosa che non aveva commesso. Egli crebbe allevato nella casa paterna. Crebbe nell’indifferenza dei fratelli che lo consideravano, in fin dei conti, un intruso… un figlio della menopausa, arrivato nel momento meno opportuno. Bene o male riuscì ad andare avanti e pur tuttavia la lacuna di un vero affetto materno non fu mai colmata: nessuna madre, neppure la più snaturata, può essere sostituita. Vincenzo non se ne rese conto, allora, ma una pesante eredità avrebbe oppresso la sua vita, governandola, negli anni a venire.
Brasile – Stato di Paraná - Città di Paranaguá – martedì 22 maggio 2012 - Abitazione di Vincenzo
La pioggia caduta, ininterrottamente, nei giorni passati era cessata ed un caldo sole stava rischiarando il cielo.
«Finalmente un po’ di luce radiosa!» si disse Vincenzo, aprendo le persiane di casa.
L’aria era calda e stava asciugando tutto, anche i suoi cattivi pensieri. Vi è da considerare che a Paranaguá in maggio la stagione corrisponde a quella dell’autunno italiano ma il clima era cambiato anche lì, ai tropici. Di giorno il termometro segnava ventiquattro gradi ma di notte la temperatura precipitava a dieci e talvolta anche meno. Potevano esserci rare giornate di freddo intenso quando il vento del Polo Sud, proveniente dalla confinante Argentina, arrivava portando giornate di gelo. Il fenomeno durava una settimana o due ma poi le piogge cadevano, quale variazione sul tema, così come era accaduto di recente. La fine di questo processo meteorologico coincideva con il tepore diurno che tornava a scaldare la pelle ed asciugava tutto, riportando anche il buon umore negli animi delle persone lunatiche come era Vincenzo. Egli soffriva da tempo di depressione e la bipolarità, tipica di questo male, alternava in lui momenti di calma ad altri di aggressività. La luce era per lui un elemento basilare ed il suo stato d’animo ne veniva influenzato. Un cielo carico di nubi scure incideva negativamente, facendogli vedere ogni cosa pessimisticamente. Per contro, una giornata piena di sole lo rendeva felice, ottimista speranzoso in un futuro migliore.
«Oggi ho voglia di pesce fresco…» pensò tra sé e sé, e poi: «… andrò al mercato municipale, vicino al porto.»
Nei pressi della Rua João Régis giunti poco prima della riva, si imbocca la Rua da Praia nel Centro Storico della città. Lì si erge la costruzione del Mercado Municipal Brasílio Abud
intitolato ad un precedente Sindaco di Paranaguá. Occupa un’area di 2150 metri quadrati, avendo all’interno diversi box per la vendita del pescato. La zona riservata ai box dei prodotti ittici è quella più visitata dai turisti ma anche dagli abitanti della città.
Vincenzo si diresse verso il banco del quale era un abituale cliente. Gestiva quella rivendita di pesce una famiglia composta da marito, moglie ed un figlio. La signora era usa dare consigli sul pescato ed, a richiesta, indicava anche gustose ricette con le quali cucinare ogni tipo di pesce. Quel giorno c’era in offerta un pesce che, in Brasile, si chiama Tainha
.
Il nome scientifico di questo pesce grigio argentato è Mugil cephalus
, conosciuto comunemente come Cefalo o Muggine, è un pesce appartenente alla famiglia Mugilidae. Il suo areale è vastissimo, infatti vive in tutte le acque tropicali e temperate calde del mondo (distribuzione circum-tropicale), in Europa è diffuso a nord fino al Golfo di Guascogna. È una specie eurialina, in grado di sopportare ampie variazioni di salinità tanto che lo si ritrova regolarmente sia in acque marine, sia in quelle dolci, ma anche salmastre. È in grado di vivere anche in ambienti inquinati, infatti si trova frequentemente all’interno dei porti. Vive in branchi (soprattutto i giovani). Lo si incontra molto dove ci siano fondi duri o manufatti ma non disdegna anche i fondi completamente molli purché la profondità dell’acqua sia sufficientemente bassa. In Brasile la Tainha
vive buona parte della sua vita nella Lagoa dos Patos
(nel Rio Grande do Sul), ma nei mesi invernali migra in direzione del Nord per realizzare il proprio ciclo riproduttivo annuale.
Nel Sud del Brasile, la pesca è realizzata, esclusivamente, nei mesi che vanno da maggio a luglio: ecco il perché in quel mese di maggio vi era dovizia di questo pesce ed era iniziata l’offerta, a prezzo accettabile, sui banchi della pescheria del mercato municipale di Paranaguá.
Vincenzo rammentava che anche in Italia questo tipo di pesce viene cucinato in molti modi. Uno di questi prevedeva la cottura al cartoccio
dentro il forno. Il tipo di cefalo più adatto ad essere scambiato con un altro pesce più nobile, la spigola, era quello con le tacche dorate dietro le zone branchiali ma in Brasile quella variante non la si trovava. Dona Flor, la proprietaria del banco del pesce, aveva insegnato a Vincenzo un’altra ricetta: A tainha no sal grosso.
«Ne comprerò una di almeno un