Il passato ritorna
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Il passato ritorna - Learco Learchi d'Auria
el.dorado.44@hotmail.com
Prefazione
Il passato, prima o poi si ripresenta con tutti i coinvolgimenti emotivi che si sono voluti evitare nascondendoli in uno scrigno segreto che è la memoria. Questo è il messaggio che l’autore ha voluto inviare nella sua dedica. Learco Learchi d’Auria affronta, in questo nuovo racconto, un tema che quasi sempre si presenta a chi è stato costretto ad emigrare verso lidi più accoglienti sperando, così, di poter dimenticare le tristezze legate alle proprie radici.
Con disinvolta leggerezza nello stile e nell’intreccio di stati d’animo, l’autore dà l’avvio ad un racconto romanzato narrando di un passato, che ritorna alla mente del protagonista, attraverso i ricordi della sua vita. La storia si svolge in Brasile, sul Litoral Sul Paulista, dove Francesco Mancuso - Chiquinho
per gli amici - è emigrato dalla lontana Sicilia dov’era nato. Il suo è un passato da dimenticare dove tutto è triste tranne il sorriso della zia Checchina che, teneramente, lo ha allevato quasi fosse stata una mamma. Quel sorriso accompagna l’infanzia del bimbo che trascorre anche la prima gioventù nell’isola. Francesco riesce a sopravvivere, se non completamente felice, per lo meno in un ambiente sereno seppur privo dei genitori.
In seguito gli faranno compagnia i ricordi di un passato che torna alla mente: Palermo ancora lacerata dai bombardamenti delle forze alleate, i volti dei genitori, morti sotto le macerie della casa avita, e quelli dei parenti dimenticati in Patria. L’angoscia attanaglia il cuore e, nonostante siano passati più di sessant’anni dalla fine del conflitto i ricordi sono ancora vivi con la crudezza di una realtà che non si può dimenticare anche se lo si vorrebbe fare. Nel turbinio degli eventi le esperienze del giovane sono tante: il viaggio in Continente in cerca di pane e dignità: un lavoro duro da pescatore a Viareggio, quindi scaricatore della Compagnia Unica del Porto di Genova.
A vent’anni si sogna e con la fantasia si vola verso mete lontane dove tutto appare più facile. È così che nasce nel giovane Francesco la voglia dell’America. La Merica
, che per molti della precedente generazione è stata un mito. In tanti sono partiti e qualcuno è riuscito a ritornare ricco. A questo pensava il protagonista quando si era imbarcato per andare in Brasile, una terra per lui nuova ed altrettanto sconosciuta.
Il racconto narra di una fortuna cercata ma non raggiunta così come si sperava ma ugualmente trovata per vie diverse attraverso l’alito della zia Checchina, l’angelo custode di Chiquinho che mai lo ha abbandonato e che lo spinge a ritornare nella terra avita.
Learco prende spunto dalle esperienze di Francesco per introdurre il lettore in un mondo nuovo: quello degli immigrati italiani in Sud America che, per un motivo o nell’altro ritornano nei luoghi natii. L’autore, nasce artista del pennello, non dimentichiamolo, ed è qui che riesce a dipingere immagini fatte di ricordi, rimpianti, tristezze senza trascurare, però particolari che generano una certa autocritica. A tratti il racconto è una censura nei confronti di un certo sistema vigente nella mentalità dell’epoca. Il lettore scoprirà fatti nuovi che illumineranno la vita di una luce diversa e vivrà la souspence di un imprevisto finale.
Elisa Savarese
Presidente della Università Avalon
Ognuno di noi ha fatto o detto qualcosa
di cui si è, poi, pentito ma questo non
sminuisce il suo valore come persona.
Il passato, prima o poi si ripresenta con
tutti i coinvolgimenti emotivi che noi
abbiamo voluto evitare seppellendoli
in fondo alla memoria sperando, così,
di non doverli mai più affrontare.
È molto facile assolversi e spesso lo si
fa con la stessa facilità con la quale
beviamo una tazzina di caffè.
Quando ciò avviene accantoniamo un
problema irrisolto ed il nostro cervello
ci condanna per questo, inviandoci dei
segnali: non può perdonare le stesse
colpe per le quali ci siamo assolti così
facilmente ma viene per tutti il momento
della resa dei conti.
Dedico queste pagine a chi è in grado
di meditare e poi agire di conseguenza.
È sempre possibile il riscatto dei propri
debiti nei confronti della vita.
(Learco Learchi d’Auria)
I personaggi del presente romanzo sono stati ideati dalla fantasia dell’autore. Ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti sono puramente casuali.
Prologo
Erano passati, ormai, quarant’anni da quando era giunto in Brasile a bordo di un cargo sul quale aveva pagato il passaggio lavorando nella sala macchine di quella che, impropriamente, poteva definirsi una carretta del mare
. Le carrette del mare sono, in vero, natanti malandati che navigano nel Mar Mediterraneo. Sono tenuti insieme alla meglio in attesa che affondando possano far incassare all’armatore il risarcimento degli assicuratori. Unica dote che Francesco Mancuso portava con sé erano i risparmi, convertiti in 600 dollari americani di quell’epoca. Erano cuciti nella fodera della giacchetta e Francesco Mancuso aveva solo quelli e tanta voglia di emergere dal suo precario stato. Il lavoro era stato il suo companatico quotidiano fin dalla giovanissima età e la voglia non gli era mai venuta meno. Quando si era disimpegnato dalla compagnia di navigazione, sbarcando in Sud America, non conosceva una sola parola della lingua locale: il Luso-brasileiro. I primi tempi erano stati duri per lui: di giorno lavorava in una delle industrie della famiglia Matarazzo e la sera frequentava i corsi di lingua portoghese del Brasile, messi a disposizioni dall’azienda, i cui proprietari erano i successori di un italiano famoso: Francesco Matarazzo che, in Brasile, aveva creato un impero industriale. Nell’azienda nella quale aveva trovato lavoro, con la raccomandazione del Console italiano, erano impiegati molti altri connazionali che, come lui, erano giunti dalla Patria con le stesse aspettative. Francesco, che presto venne ribattezzato dai colleghi brasiliani Chico
e poi Chiquinho
per via della sua corporatura minuta, si era reso conto che senza la conoscenza della lingua locale, egli era anche privo degli occhi, delle orecchie e della bocca.
Per chi è straniero in una terra dove si parla un idioma differente da quello d’origine, la conoscenza della nuova lingua è fondamentale. È così che le scritte pubblicitarie e quelle sulle targhe stradali prendono senso. È, ancora, così che ascoltando si apprendono usi e costumi che altrimenti non si conoscerebbero. È, in fine, così che si possono chiedere informazioni, chiarimenti sul lavoro da svolgere e, sopra tutto, le cose delle quali si ha la prima necessità quali il cibo, l’acqua ed un luogo dove poter riposare dormendo.
All’inizio la gestualità della quale tutti gli italiani del sud sono dotati aveva aiutato Francesco. Aveva preso, inoltre, l’abitudine di portare in tasca la matita ed un piccolo blocchetto di fogli quadrettati sui quali disegnava gli oggetti dei quali necessitava. Un detto di Confucio, ripreso da Le Corbusier recita: "…vale più un disegno di mille parole". Quando Francesco aveva difficoltà con la lingua del luogo, dava di piglio a carta e matita e, così, faceva intendere ciò che gli occorreva. Con questo esercizio divenne un bravo disegnatore.
Vi sono dei linguaggi universali, compresi da chi li conosce, come la musica, la matematica, la fisica, la chimica ed ovviamente il disegno. Francesco era molto dotato per il disegno e questo fu un ulteriore mezzo per apprendere nuove parole. Ogni qual volta apprendeva un nuovo vocabolo, aveva preso l’abitudine di scriverlo, con gli accenti tal quale lo udiva, in corretto luso-brasileiro ed accanto poneva la traduzione in italiano. In breve aveva arricchito il proprio vocabolario e dopo alcuni mesi era in grado di farsi capire. Un poco più difficile era stato il comprendere i brasiliani: vuoi per la rapidità con la quale parlavano, vuoi perché il dizionario portoghese consta di oltre diecimila vocaboli contro i cinquecento che Francesco aveva iniziato a riconoscere. Aveva imparato a memoria alcune frasi fatte, di uso comune, e quando non capiva per via della velocità della parlata che di due parole unite ne faceva una sola, aveva imparato a chiedere che gli si parlasse più lentamente, staccandole, in quanto essendo straniero non aveva capito. C’è da dire che quello brasiliano è un popolo ospitale e gentile ed i brasiliani, quando si tenta di parlare la loro lingua, fanno di tutto per mettere a proprio agio uno straniero. I brasiliani ammirano e rispettano chi cerca di parlar loro nella lingua che, talvolta, loro stessi non conoscono correttamente. I mesi passarono in fretta e così, velocemente, anche gli anni che seguirono. Man mano che perfezionava le proprie conoscenze sul lavoro e quelle linguistiche, la vita gli veniva più facile. Fece carriera presso la fabbrica e con il denaro risparmiato gli fu possibile acquistare, con un mutuo, un piccolo appartamento e vivere dignitosamente.
Quando era andato in pensione aveva venduto, vantaggiosamente, l’appartamento di Sorocaba, la città dove aveva sede la fabbrica, ed aveva comperato una casa a Peruíbe sul Litoral Sul Paulista. Una casa
, secondo l’usanza brasiliana, è una villetta posta a piano terra, fornita di uno o più posti per le autovetture all’interno dell’area che è protetta da muri alti e da robuste cancellate anti-intrusione. A Peruíbe, dunque, si svolge la storia di Francesco Mancuso, divenuto brasiliano naturalizzato, chiamato, simpa-ticamente da tutti, Chiquinho
.
Brasile – Stato di São Paulo, Litoral Sul Paulista - Città di Peruíbe, Martedì 17 maggio 2011 - Nell’Oceano spumeggiante
Era stata la prima nottata di luna piena e presso la costa di Peruíbe, nonostante l’autunno australe fosse inoltrato, la temperatura, di giorno, era di 28 gradi. Tutto: il clima e l’ambiente naturale invitava a nuotare. Chiquinho era giunto sulla spiaggia con la bicicletta giacché la casa dove abitava era posta a soli seicento metri da lì. Si tolse la tuta leggera, di cotone, sotto la quale aveva indossato il costume da bagno. Le onde lunghe erano calme in quella mattinata priva di vento. L’uomo corse verso la battigia, felice come un ragazzo, e si tuffò nell’acqua spumeggiante che gli parve, subito, fredda ma poco dopo il corpo si ambientò ed egli prese a nuotare con vigorose bracciate verso il largo, in direzione delle due isole: Guaraú
la più grande e Ilha de Peruíbe
la più piccola, che fronteggiano quel tratto di costa. Il nuoto, la pesca dalla barca ed il mare erano antiche passioni che Chiquinho si era portate dietro per tutta la vita. Passioni cresciute con lui nella natia Sicilia, la più grande isola posta a Sud dell’Italia. Ogni tanto la sua mente andava ai ricordi di quell’infanzia lontana, ai giochi nell’acqua con i compagni, alle scorribande spensierate di quell’Italia del dopo-guerra, all’inizio del Boom economico. Gli pareva di sentire il profumo delle zagare in fiore e Chiquinho aspirava, felice, l’aria salmastra ed ozonata di Peruíbe che, tuttavia, era priva del profumo di quei fiori mediterranei che continuavano a persistere, solo, nella sua mente. Durante la sua permanenza a Sorocaba, aveva sofferto della mancanza della vicinanza del mare ma, non appena era entrato in quiescenza dal lavoro, si era dato da fare per cercare casa sul litorale. Il Litoral Paulista, questo è il nome ufficiale di quella parte di costa che si divide in due: uno a Nord della città di Santos, che è il porto dello Stato di São Paulo, e l’altro a Sud. Chiquinho avrebbe voluto trasferirsi nel Litoral Norte
ma era una zona da ricchi ed i prezzi erano proibitivi per le sue finanze. Optò, quindi, per il Litoral Sul
meno caro ma contornato da una natura altrettanto bella. Aveva trovato, dopo tanto cercare, una bella casa con stanze grandi, ariosa e luminosa, in un quartiere immediatamente vicino al centro della città ed alla spiaggia. Aveva anche due altri vantaggi: il primo era costituito da un fornitissimo supermercato, che si trovava a trenta metri di fronte all’abitazione e che recapitava a domicilio la spesa fatta, mentre il secondo era costituito dalla fermata degli autobus che, in dieci minuti raggiungevano il Centro. La vicinanza dei mezzi pubblici gli avrebbe evitato la spesa dell’acquisto e della gestione di una costosa automobile. Dopo estenuanti trattative, che in Brasile precedono ogni tipo di acquisto dal più piccolo al più impegnativo, aveva concluso l’affare prendendo possesso della sua nuova casa, Aveva, poi, apportato alcune modifiche alla parte interna dandole una parvenza di Italian Style che ne aveva migliorato notevolmente l’aspetto. L’arredamento, anch’esso, secondo il buon gusto mediterraneo, aveva dato il tocco finale. Notando che la maggioranza degli abitanti del quartiere si muovevano in bicicletta, ne aveva comperata una anche lui.
La prima amicizia, se così la si può definire, avvenne casualmente nei primi giorni nei quali Chiquinho si era recato sulla spiaggia. Non era un essere umano, benché il comportamento fosse migliore di quelli dell’uomo. Si trattava di un piccolo cetaceo: un delfino. I delfini sono mammiferi molto socievoli e spesse volte -spinti dalla grande curiosità- avvicinano, fiduciosi, gli uomini. Farseli amici è molto facile: è sufficiente dar loro qualche pesciolino da mangiare ed essi si mettono, subito a giocare con il donatore di quei ghiotti bocconcini. Avvenne così che ogni giorno il delfino aspettasse l’arrivo di Chiquinho per giocare con lui. Quando faceva le sue nuotate, Chiquinho non era mai solo perché il rapporto con il giovane delfino si era tramutato in una vera e propria amicizia. Ogni qual volta si tuffava in mare, se il cetaceo lo percepiva, nuotava veloce verso l’uomo e gli si infilava, da sotto, tra le gambe. Chiquinho conosceva quel gioco, si aggrappava alla pinna posta sul dorso, prendeva un lungo respiro ed, insieme, s’immergevano sott’acqua. Man mano che la profondità marina s’avvicinava con la propria oscurità, l’uomo percepiva il benessere di quel bagno rigeneratore. «Il mare, primordiale fonte di vita» si diceva e quando riemergeva, a Chiquinho pareva di essersi lavati di dosso vent’anni. Il nuotare, pressoché tutti i giorni, aveva un effetto benefico sul corpo dell’uomo. Il tuffarsi e giocare con il delfino era divenuto un rito che si concludeva con la donazione di qualche pesciolino che, opportunamente, Chiquinho aveva comperato strada facendo all’andata. Era un misero costo rispetto alla gioia del contatto che quel cetaceo, festoso, gli donava. Molti sfamavano il cane ma lui aveva preferito farlo per il delfino con il quale nuotava. Il resto della giornata era impegnato a cucinare, a governare la casa, a leggere, a tener contatti con i conoscenti tramite Internet, ma soprattutto a dipingere. Quella del dipingere era una passione conseguente alla necessità del disegnare che, molti anni prima, quando stava imparando a parlare la lingua del Paese che lo ospitava, aveva preso a fare per esprimersi, come meglio poteva. Cessata la necessità del comunicare con il disegno, questo era diventato un hobby. Di lì al passare ai pennelli il passo era stato quasi immediato.
Brasile – Stato di São Paulo, Litoral Sul Paulista - Città di Peruíbe, Mercoledì 18 maggio 2011 - Abitazione di Chiquinho Mancuso
Da qualche tempo, dipingendo, gli accadeva di tornare, con la mente, ad antichi ricordi che pensava d’aver dimenticato. Un giorno Chiquinho ebbe, anche, il presentimento di essere osservato. Si voltò ma non vide nessuno. Il suo atelier di pittura era completamente vuoto: c’era solo lui nella stanza. Riprese a dipingere ma la sensazione continuava a persistere. Fu nella notte che gli apparve in sogno la mamma con l’aspetto di come Chiquinho la ricordava. Era una bella signora dagli occhi azzurri come il cielo con i capelli biondi: gli stessi che da lei Chiquinho aveva presi. La donna era deceduta, con il marito, sotto le macerie di un bombardamento nel 1943. Chiquinho, che allora aveva tre anni, si era salvato perché era ospite, sfollato in campagna, presso una giovanissima zia, nubile ventiquattrenne che, essendo anche la sua madrina, lo aveva, poi, allevato amorevolmente. Nel sogno, la mamma parlò al figlio con la voce che questi ricordava. Gli disse una frase dal significato, apparentemente, incomprensibile ma allo stesso tempo inquietante.
«Il passato ritorna… preparati a questo, figlio mio! Appena puoi ritorna a casa nella nostra isola.»
Chiquinho ebbe un sonno agitato e quando si svegliò fu grato al sole che attraverso le persiane gli annunciava un nuovo giorno da vivere. La frase della mamma, tuttavia, continuava a vorticargli nella mente e Chiquinho con comprendeva quale era il passato che doveva tornare e sopra tutto il perché doveva tornare in Sicilia ad una casa che più non possedeva. Da quel momento la sua mente, quasi in obbedienza all’ordine materno, cominciò ad andare in dietro nel tempo facendogli rivivere il proprio passato. Una delle prime rimembranze riguardavano l’immediato dopo-guerra. Con la giovane e bellissima zia Francesca - che tutti chiamavano Checchina
- si erano trasferiti da poco in città e le finestre della piccola casa, presa in affitto, anziché i vetri avevano dei fogli di spessa carta catramata. Le vetrerie non erano ancora entrate in funzione per sostituire i vetri andati in frantumi a causa delle vibrazioni causate dalle esplosioni delle bombe. La casa era buia, quando le finestre erano chiuse e per questo motivo Chiquinho le teneva sempre aperte anche d’inverno. La zia brontolava ma capiva che la luce era molto importante per il benessere del ragazzo.
«Per fortuna la temperatura, qui al Sud e sopra tutto nell’isola, non è gelida come su al Nord, nel continente. Un po’ d’aria fresca non può fargli che del bene, temprandogli il corpo ed il carattere» si diceva la zia che, tuttavia, si preoccupava che Francesco avesse indossato la maglietta di lana. Crescendo, quella della maglietta di lana divenne oggetto di una contesa tra Chiquinho e la zia Checchina. Il ragazzo si ostinava a non volerla indossare, e ciò, per un